Dove finiscono gli 85 miliardi di dollari che la Fed mette ogni mese sul mercato?

25 settembre 2013

La Settimana scorsa la Federal Reserve ha deciso, contro ogni previsione, di proseguire l’iniezione mensile di 85 miliardi di dollari sul mercato, il cosiddetto Quantitative easing.
Da diversi anni, ogni 12 mesi la Federal Reserve versa sul mercato americano circa 1’000 miliardi di dollari.

Di fronte al pessimo stato in cui, da anni, versa l’economia americana, gli economisti, gli analisti e i consiglieri finanziari cercano di capire a cosa serva, concretamente, il QE.

La Federal Reserve crea moneta. Acquista obbligazioni di cui le banche vogliono disfarsi. Le banche prendono i soldi della Fed e acquistano altre obbligazioni, trasferendo i soldi della banca centrale verso il governo federale, che altrimenti dovrebbe cercare fondi altrove e a tassi d’interesse più elevati.
Da quando Ben Bernanke ha annunciato che il programma del Quantitative easing rimane invariato, il prezzo dell’oro è salito di oltre 100 dollari l’oncia, tornando a essere considerato il bene rifugio per eccellenza, quello che resisterà alle inevitabili tempeste che si abbatteranno sulla fragilità della continua stampa di moneta da parte della Federal Reserve. source
Gli investitori e le banche centrali previdenti osservano da che parte tira il vento e accumulano oro.
A cosa serve il programma del Quantitative easing, che dura da ben cinque anni e che non ha minimamente migliorato lo stato dell’economia americana?
In realtà permette ai “soliti noti” di manipolare, confondere e confiscare. Il valore della moneta viene manipolato, quel che accade realmente viene taciuto e i miliardi che ogni mese la Fed versa sul mercato finiscono nelle tasche dei soliti privilegiati.
L’economista francese Jacques Rueff (1896-1978) spiegava perché l’inflazione sembra stimolare il mercato del lavoro. E’ perché l’inflazione spoglia i lavoratori del loro salario, abbassando il costo della manodopera, il che rende le nuove assunzioni più facili per i datori di lavoro.
Qualche giorno fa l’economista Marc Faber ha spiegato come il Quantitative easing spoglia oltre il 90% della popolazione per andare a pagare l’élite.
Dove vanno a finire i miliardi del QE della Federal Reserve? Nel prezzo delle azioni. Chi guadagna soldi quando i costi salgono? Wall Street e i suoi facoltosi clienti.
Tutti gli altri perdono.
(Fonte : la-chronique-agora.com)
http://finanzanostop.finanza.com/2013/09/25/dove-finiscono-gli-85-miliardi-di-dollari-che-la-fed-mette-ogni-mese-sul-mercato/?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

Il governo ungherese vuole nazionalizzare 7 utilities

oh ben si comprende come le madamin del pensiero politically correct tanto dedite a servire il capitale ciancino di derive eversive/totalitarie ungheresi
siamo matti? Nazionalizzare le utilities quando nel libero e sacro occidente il mantra dice di privatizzare tutto?
Questa deriva eversiva finirà per impoverire…….LE BANCHE -sia mai, lesa maestà
Noi intanto svendiamo Telecom, viva il libero mercato

Posted By Redazione On 23 settembre 2013
Fonte: http://elzeviro.net/2013/09/22/il-governo-ungherese-vuole-nazionalizzare-7-utilities/ [1]di Redazione il 22 settembre 2013

CONTROINFORMAZIONE IGNORATA

L’Ungheria continua le sue politiche indirizzate ad aiutare la povera gente.

Mentre in Italia le bollette continuano a salire e le varie amministrazioni locali stanno privatizzando le aziende dell’acqua andando contro il parere negativo degli italiani (i quali hanno votato contro in un recente referendum) il premier unghereseViktor Orbán ha dichiarato che il Paese è in trattative per procedere alla nazionalizzazione di sei o sette utilities.

L’intento, ha spiegato il leader di centro-destra, sarebbe quello di far scendere i prezzi dell’energia per proseguire il rilancio dell’economia interna. Stiamo conducendo numerosi incontri per riacquistare 6 o 7 società, in passato privatizzate, del comparto utility”, ha detto Orbán.
Silenzio assoluto sul nome delle aziende in questione. In Ungheria uno dei maggiori player del settore è il Gruppo ENI, con la locale Tigaz, oltre ad E.on e RWE (Germania) e alle francesi GDF Suez ed Edf.

Nel 2014 si terranno le elezioni politiche in Ungheria ed i sondaggi danno ampio vantaggio all’attuale pm, anche grazie ad alcune scelte populiste (nel senso nobile del termine) come quella di tagliare i costi delle bollette, linea che Orbán sembra voler portare avanti.

E chi avrebbe da ridire? Nessuno ovviamente e per questo questa notizia è stata completamente ignorata (censurata?) dai mezzi di informazione.

D’altra parte l’Ungheria, avendo pagato con due anni di anticipo il prestito contratto col FMI non deve subire ricatti da nessuno e quindi può proseguire con le suepolitiche sociali.

Ovviamente in Italia questo sarebbe pura fantascienza, non fosse altro che siamo governati da burattini e nullità.

Giuseppe De Santis
 http://www.stampalibera.com/?p=66752

LA ROMANIA TORNA AL PASSATO E IGNORA GLI APPELLI DA TUTTA L’EUROPA:,I RANDAGI VERRANNO CATTURATI E UCCISI DOPO 14 GIORNI

MA che bell’esercizio di sovranitàI RANDAGI VERRANNO CATTURATI E UCCISI DOPO 14 GIORNI

 Intorno alle 11.35 (ora italiana) di oggi le agenzie hanno lanciato la notizia, che ha gettato nello sconforto non solo i manifestanti che stazionavano davanti alla Corte dalle prime ore del mattino ma tutte le decine di migliaia di cittadini – in Romania e in Europa – che da due settimane erano scese in piazza per dire no alla legge.

 Nel giro di 2-3 anni l’Europa emanerà senza dubbio una Direttiva sugli Animali da Compagnia – dichiara la Presidente di Save the Dogs Sara Turetta – la Romania sarà costretta a rivedere comunque questa legge barbara e senza senso. L’OMS e l’OIE hanno ripetutamente bocciato le uccisioni di massa come metodo per contenere il randagismo conclude amareggiata Turetta – ma i politici rumeni continuano volutamente ad ignorare queste indicazioni. E’ un comportamento inspiegabile, destinato a far soffrire non solo milioni di cani randagi ma anche a creare enormi tensioni sociali tra gli amanti degli animali e coloro che si improvviseranno “giustizieri fai da te”. 

 Save the Dogs si è mobilitata nelle scorse settimane, contattando esponenti della politica e della diplomazia europea e incontrando – lunedì 23 settembre – l’Ambasciatore di Romania a Roma, Dana Constantinescu. Inascoltati sono stati i richiami rivolti al Governo rumeno da numerosi Europarlamentari, dalle più grandi organizzazioni animaliste del mondo (tra cui IFAW, Human Society, Dogs Trust e WSPA) e dalla stessa Angela Merkel, che nei giorni scorsi ha avuto parole di critica nei confronti della nuova legge. Inutile anche l’appello di 300 esponenti di spicco della società rumena (cantanti, attori, intellettuali) che si sono schierati contro il provvedimento.

 Sara Turetta partirà nei prossimi giorni alla volta della Romania per verificare la volontà delle amministrazioni di Cernavoda e Medgidia a proseguire con i progetti portati avanti dall’associazione italiana.

 Il provvedimento riporta la Romania al 2001, quando un Decreto Legge diede il via ad una mattanza che solo a Bucarest fece 144.000 vittime, mentre a livello nazionale le cifre non sono mai state rese disponibili ma sono spaventose, visto il numero enorme di randagi presenti sul territorio.

 La tragica morte del piccolo Ionut, lo scorso 2 settembre, in una zona periferica di Bucarest, presumibilmente attaccato da alcuni cani randagi, aveva scatenato la reazione violenta dei media rumeni e di gran parte del mondo politico. In meno di due giorni la legge – che da due anni giaceva incompiuta nei cassetti della Commissione Parlamentare dell’Amministrazione Pubblica – è stata rivista e portata in Parlamento, dove è passata con la grande maggioranza dei voti, annullando di fatto i passi avanti della 9/ 2008. Solo la pressione delle associazioni animaliste ha permesso che 30 senatori bloccassero l’iter facendoappello alla Corte Costituzionale, la quale oggi si è espressa e ha ritenuto “infondata la richiesta di revisione” fatta dai senatori.

 


Save the Dogs and other Animals Onlus

Mps e le telefonate scomparse

Scritto da Franco Costa • 25 settembre 2013

 dumbo

Sembrava strano che in un Paese in cui intercettazioni e interrogatori appaiono sui giornali ancora prima di essere protocollati, nell’imponente indagine su Mps, non vi fossero intercettazioni telefoniche o non trapelassero.

 L’indagine non è irrilevante, trattasi del sostanziale fallimento della terza banca italiana, eppure, nulla. Già stupiva la mancanza di arresti, in un Paese in cui si arresta con una certa facilità persino personaggi “minori” come Lele Mora e Fabrizio Corona, magari per farli “parlare” e la spiegazione del mancato arresto di Mussari potrebbe essere il timore che parlasse.

 Anche la perquisizione è avvenuta con molto ritardo, un ritardo così evidente da renderla inutile. Però delle telefonate, nessuna notizia.

 Poi Il Fatto rompe il silenzio e ne pubblica qualcuna, pare di anni fa, Dagospia insinua che possano mettere in difficoltà il Pd, dimostrando che nella banca il partito faceva il bello e il cattivo tempo, sai la novità, sarebbe come se un’olgettina confessasse che Berlusconi le toccava il sedere.

 La più rilevante riguarda Giuliano Amato che chiede soldi per il suo Tennis Club; dei poveri o di chi aspetta un credito, chi se ne frega, il problema è il bilancio all’osso del Club di Orbetello. Tu, pirla, pensi che adesso il pensionato d’oro lo fanno nero e invece no, Napolitano lo nomina Giudice Costituzionale e a noi è pure andata bene, che Re Giorgio lo voleva Presidente della Repubblica o Premier.

 Poi pare ci sia una telefonata del solito Fassino, che all’epoca voleva una banca: persa Bnl, si era rivolto ad Mps, ora però, da quando è andato in barca con Bazoli, ha capito che le banche sono tutte di sinistra e non telefona più a nessuno. Non sappiamo se la telefonata esista, ma sarebbe opportuno dare un anno di condanna a Berlusconi, magari non c’entra nulla, ma compensa qualche altra marachella.

 Insomma, la vicenda Mps potrebbe, come dice Grillo, far saltare il Pd, ma noi non lo crediamo, infatti anche il dissenso tra Pm e Gip prelude ad un happy end.

 In Toscana le vicende che riguardano la sinistra, oltre ad essere intricate, sono pure incappucciate, almeno così si mormora, ma poiché la mormorazione è un peccato, noi non vi crediamo e se il partito ci dice che non c’entra, noi vi crediamo ciecamente, come crediamo che gli elefanti volano, anche se in questo caso volano molto bassi.

La Grecia non esce dalla crisi. E la Troika è in agguato

La Grecia non esce dalla crisi. E la Troika è in agguato
Atene conferma l’ennesimo calo del Pil per il 2013, pari al 4%, solo di poco inferiore rispetto alle stime precedenti. Se nel 2014 non saranno raggiunti i risultati prefissati, la troika imporrà nuove misure di austerity (che aggraveranno la recessione, in una spirale che rischia di essere senza fine). E Oxfam lancia l’allarme: nel 2025 il 25% degli europei sarà povero.
 
 La Grecia non sembra riuscire a vedere la luce in fondo al tunnel. Questa mattina il governo di Atene e la troika composta da Fondo monetario internazionale, BCE e Commissione europea hanno indicato la recessione per il 2013 al 4%. Un dato ritoccato in modo solo lieve (di uno 0,2%) rispetto alla precedente stima. E peggiore rispetto ai rumors della settimana scorsa, secondo i quali la contrazione avrebbe potuto scendere al 3,8%.
Ciò che è chiaro, a prescindere dall’andamento dei decimali, è che l’economia greca non riesce a superare la profondissima crisi nella quale è scivolata ormai da anni. Un Paese già socialmente in ginocchio deve affrontare dunque altri duri mesi del “purgatorio” imposto dalle autorità internazionali (quasi come se la vita di milioni di persone potesse essere trattata come un “esperimento”).
Atene dichiara di sperare in una ripresa nel 2014, che risparmierebbe al dilaniato Stato europeo nuove e dolorose misure di austerità da parte dell’inflessibile troika. Imposizioni che scatterebbero qualora gli obiettivi prefissati non fossero raggiunti.
D’altra parte, proprio ieri ha fatto scalpore un rapporto della ONG internazionale Oxfam, secondo il quale in Europa ci saranno tra i 15 e i 25 milioni di nuovi poveri entro il 2025. Nel prossimo decennio, dunque, il numero di indigenti nel Vecchio Continente potrebbe dunque arrivare alla cifra stratosferica di 146 milioni di persone. Qualcosa come un quarto della popolazione complessiva. Il risultato finale di un secolo di «progresso».
25 Settembre 2013
Andrea Barolini
http://www.valori.it/economia/la-grecia-non-esce-dalla-crisi-troika-agguato-6754.html?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

LA VERITA’ SULL’EURO

Euro si o euro no? Anche in Italia, dopo anni di passività e di fede cieca nelle virtù taumaturgiche della moneta unica, si è aperto il dibattito sull’euro. Ma la diatriba ha preso presto una brutta piega, tanto che sarebbe meglio chiuderla seduta stante, per non sprecare altro tempo prezioso inseguendo fantasmi verdi come bigliettoni.

Da un lato, il partito degli euro-faziosi sostiene che se l’Italia non avesse abbondonato la liretta per la valuta comune adesso avremmo un sistema allo sfascio, con i conti perennemente in rosso, senza competitività, in preda alla recessione e corroso dall’inflazione. In sostanza, è proprio quello che sta accadendo attualmente con l’euro imperante, anche se fingono di non vedere.

I “negazionisti”, invece, ritengono che laddove abbandonassimo la banconota forte e riadottassimo la divisa debole saremmo in grado di agire efficacemente sulla politica economica, stampando moneta quando occorre e svalutando quando serve, per non scaricare sull’economia reale gli imprevisti di quella di carta, ottenendo margini più ampi di correzione che adesso ci sono preclusi dai parametri di Maastricht. Così dichiarano ma non c’è la controprova. Soprattutto, manca una classe dirigente coraggiosa capace di prendere decisioni ardite. Lasciare l’euro per affidare i destini di una possibile transizione ad altro scenario agli stessi che ci sgovernano adesso non è garanzia di alcun mutamento. Ugualmente, nessun riscontro ci è dato circa gli scenari apocalittici disegnati dagli euro-convinti, i quali cercano di dissuadere la pubblica opinione dallo sposare simili idee antieuropeiste, paventando fame e miseria.

Probabilmente, hanno ragione entrambi, o, meglio, hanno tutti torto alla stessa maniera, perché il fulcro del problema, da loro nemmeno sfiorato, se ne sta ben coperto, sotto una coltre di fumo ideologico, in tutt’altro luogo analitico, ad un livello differente della realtà sociale che pertiene alla sfera politica e non a quella economica (se non liminarmente). Di fatti, alla base di qualsiasi decisione finanziaria c’è, o almeno dovrebbe esserci, una valutazione precisa da parte di tutta la classe dirigente, circa i pro e i contro che operazioni di questo tipo potrebbero generare, tenendo conto delle traiettorie geopolitiche mondiali e regionali e dei rapporti di forza internazionali. Senza una visione più complessiva dei fenomeni sociali e storici si finisce nella rete della “legisimilità” indiscutibile dei mercati la quale, dietro la  sua apparente neutralità, cela articolati piani politici, elaborati e studiati dagli Stati più attrezzati alle sfide dei tempi.

La verità è che quando il nostro Paese è entrato nell’euro ha scelto di non scegliere e di farsi trascinare dagli eventi che in quel momento erano favorevoli alla “corrente unionista”, supportata da una utopia falsamente globalista che sarebbe stata successivamente smentita dai fatti. Anzi, i fautori nostrani dell’ingresso dell’Italia nell’euro, i vari Amato, Ciampi, Prodi, erano superburocrati collegati ai centri finanziari sovranazionali (ma con base fissa oltreoceano) i quali, pur di legare lo Stivale alle consorterie che spingevano le loro carriere, accettarono un cambio estremamente svantaggioso per la nostra nazione. Quindi, l’errore fu fatto a monte e, forse, se si fosse contrattato adeguatamente il prezzo della nostra adesione alla moneta comune, non avremmo mai subito uno scossone così devastante per il sistema-paese. Dico forse perché anche questa ipotetica capacità concertativa non sarebbe stata bastevole senza una adeguata progettualità politica portata avanti da una élite direttiva gelosa della sua sovranità politica e del funzionamento non eterodiretto dell’intera macchina statale. E’ accaduto il contrario di quel che era saggio fare ed abbiamo ceduto potere a Bruxelles senza contropartite proporzionate.

Gli euro-partigiani, quantunque il fallimento delle loro idee sia palese, continuano a premere sull’acceleratore europeo senza alcun ravvedimento. Ancora ieri, in una trasmissione televisiva su LA7, Piazza Pulita, trattando della questione, veniva ripetuta la solita tiritera sull’euro che ci avrebbe salvati da danni ancor maggiori. Presente in studio un mio concittadino che si chiama come me, imprenditore nel settore dei velivoli ultraleggeri, il quale s’improvvisava storico ed economista, commettendo un grave e comune strafalcione. Costui asseriva che fuori dall’euro avremmo patito la medesima sorte della Repubblica di Weimar, costretti a trasportare il denaro con il carrello della spesa per comprare beni di prima necessità.  Al mio omonimo vorrei rammentare che semmai è vero il contrario, cioè che la Germania weimariana si ritrovò in quelle condizioni catastrofiche proprio a causa di vincoli vessatori esterni, tra esorbitanti riparazioni di guerra, imposizione di tagli alla spesa pubblica per la sostenibilità del bilancio e la solvibilità dei debiti contratti, nonché per le  scorrerie della finanza internazionale che speculava e si ingrassava a spese dei tedeschi. Vi ricorda qualcosa? La decadenza si arrestò con la nomina di Hitler a Cancelliere. Hitler compì il miracolo, impensabile solo qualche mese prima, contravvenendo a quasi tutti gli obblighi imposti a Berlino dalle Potenze vincitrici della I guerra mondiale e ripristinando la struttura politica-militare del Reich (rimando, per una miglior comprensione di queste circostanze, ad un ottimo articolo di Sylos Labini). Il rilancio dell’economia nazista seguì questi atti d’imperio politico e non viceversa.

Ribadire, pertanto, anche al cospetto delle innumerevoli smentite portate dai fatti e dalla storia, siffatte bizzarre teoresi che si fondano sull’incoscienza, o, peggio, sulla menzogna, ovverosia che l’Italia ha bisogno di vincoli esterni per rimettersi in marcia, vuol dire consegnarsi mani e piedi a chi ci vuole ancor più sfiancati e dipendenti, al fine di derubarci anche di quel poco che ci resta di buono.

Le terapie d’urto hanno un senso quando sono brevi e mirate, se si protraggono a lungo possono sortire l’effetto opposto. Come per il nostro Paese che ormai stordito non ha quasi più la capacità di rialzarsi. Gli euro-settari si mettano l’anima in pace e non persistano in questo assurdo malinteso che ci condurrà alla completa rovina. Forse, al Belpaese serviva effettivamente un elettrochoc per recuperare lucidità ma gli elettrodi sono stati applicati sul posto sbagliato da persone senza nessuna competenza. Questi andavano messi sulla testa e non sui coglioni, perciò il trattamento da curativo è diventato semplicemente una tortura menomante.

C’è però da dire che le banalità si sprecano anche sull’altro versante, quello degli euro-contrari. Sempre su La7, nel programma del pur bravo Gianluigi Paragone, una specie di filosofo, uno dei nouveaux “filosofessophes” di questa fase senza speranza, ha dichiarato che il nuovo nazismo è l’egemonia della moneta e che i teologi della globalizzazione sono i nazisti del nostro tempo. Bella stupidaggine e le motivazioni che dovrebbero allontanare da noi simili sciocchezze  sono le medesime del discorso fatto sopra, ben chiarite anche nell’articolo di Sylos Labini. Il nazismo non c’entra proprio niente con quello che sta accadendo oggi, anzi questo fu proprio una reazione verso umiliazioni geopolitiche intollerabili, condotte con strumenti differenziati, compresi quelli finanziari. Un presunto intellettuale che usa le parole così a cazzo di cane per ottenere un’eco mediatica non è un pensatore ma, appunto, un cazzone.

Sono convinto che la rilevanza data dal circuito mainstream alla controversia pro e contro l’euro è qualificabile come un tentativo di saturare surrettiziamente la scena pubblica con dispute di secondo e terzo grado, apposta per togliere spazio al tema dirimente, quello della sovranità politica vietata all’Italia da una sordida sottomissione alle grandi capitali atlantiche ed europee, dalla quale discendono a cascata tutti i nostri casini. Sicuramente, non saranno i filosofi che frequentano l’accademia, né gli economisti che se la intendono col Financial Times (leggi qui), a tirarci fuori dai guai, perché il guaio è che il loro naso è il punto più lontano dove riescono a guardare.

I difetti dell’euro – che sono un effetto di ciò che ci sta capitando ma non la causa primigenia delle nostre sventure – sono i difetti della nostra mancanza di sovranità.Senza recupero d’indipendenza e di autonomia nazionale, attraverso nuove alleanze geopolitiche che ci sottraggano all’influenza atlantica  e ci spalanchino il subrecinto europeo, non avremo nessuna via di scampo. Se le cose stanno in questi termini, come credo, dobbiamo prendercela con noi stessi e con chi ci sgoverna, non con la Germania che fa il suo sporco lavoro e non fa le nostre stesse sporche figure  in campo mondiale, dove riusciamo sempre a rinnegare i nostri interessi ed a tradire i patti con i partner. Nessuna critica alla nazione tedesca sarà mai accettabile se chi lamenta le chiusure e le rigidità teutoniche non avrà prima detto, chiaro e tondo, qual è l’Amministrazione (per antonomasia) che ci sta tenendo, da lustri, sotto il suo tallone di ferro politico e militare (servendosi anche dei nostri vicini e degli organi burocratici dell’UE da essa controllati) e chi sono i suoi complici interni. Nessuna disapprovazione della speculazione finanziaria avrà per noi valore scientifico e veritativo se questa verrà fondata su presupposti moralistici e umanitaristici (vedi le campagne contro i banchieri deviati, per il  recupero dell’onestà negli affari), o astratti  e metafisici (vedi le crociate contro il globalismo disantropomorfizzante, il capitalismo assoluto ed altre baggianate del tipo), anzichè sulla denuncia dei reali manovratori, governi organizzati in apparati e uomini  in carne ed ossa, che si muovono alle sue spalle. Speriamo con ciò, finalmente, di esserci capiti. Le querelles che ho descritto sono tutte interne allo stato di cose presente, non c’è nulla di meglio al mondo di una finta opposizione per puntellare un sistema. Pro-euristi e anti-euristi sono due facce della stessa medaglia.

Scritto da: Gianni Petrosillo – Tratto da: conflittiestrategie.it – 24.09.13

Saldi Telecom

di Antonio Rapisarda – 25/09/2013

Fonte: Barbadillo

telecom-italiaLe parole dell’amministratore delegato di Telecom Italia (“Italia” per poco)  Franco Bernabè, il giorno dopo la svendita di Telecom agli spagnoli di Telefonica, sono inquietanti e indicative allo stesso tempo. Prima il sofisma: «Telecom non è diventata spagnola». Ma il punto più importante è quando l’ad si scaglia contro chi si indigna solo adesso, a cose fatte: «Per arrivare a scelte differenti dovevamo tutti quanti pensarci prima – ha attaccato durante l’audizione al Senato -. Se il sistema Italia fosse stato davvero così preoccupato del futuro di Telecom, come si è dimostrato in questi ultimi due giorni, forse sarebbe stato possibile un intervento più strutturato. Questo straordinario interesse per Telecom non mi sembra il sentimento che ha ispirato finora il sistema Italia. Se si parla di sistema sarebbe stato necessario un consenso più unanime e organico sugli obiettivi di Telecom».
Parole che – al di là della responsabilità di chi dirige un asset del genere – indicano il livello di sciatteria diffusa e i responsabili a tutti i livelli nella gestione del destino industriale italiano. Non è un caso, a proposito, che Enrico Letta, in “missione” negli States proprio per proporre affari per l’Italia, solo martedì prossimo riferirà in Aula sull’accaduto. Il premier, insomma, non ha reputato di dover rientrare prima in Italia per affrontare le legittime richieste di spiegazione. Anzi, proprio ieri Letta ha alzato le mani sulla questione così: «Bisogna considerare che Telecom è una società privata», “dimenticando” a quanto pare il principio dellagolden share – il potere di uno Stato anche rispetto un’azienda privatizzata quando arriva un acquirente straniero.
Anche a livello politico non mancano responsabilità, incongruenze e ricostruzioni storiche parziali. Protagonista, in questo caso, il Pd che si straccia le vesti sul caso Telecom – «svendita del nostro patrimonio nazionale inaccettabile» hanno tuonato capigruppo ed esponenti democratici – dimenticando forse come proprio quel patrimonio fu privatizzato e poi tolto dal controllo del Tesoro rispettivamente da Romano Prodi e da Massimo D’Alema: due massimi esponenti del centrosinistra di governo e del Pd in particolare.
Ovviamente la parte del leone (in negativo) la fa la classe dirigente dell’imprenditoria italiana – tra “famiglie” e “capitani coraggiosi” – che ha dimostrato di non saper né voler gestire tanto Telecom quanto altre importanti aziende, utilizzando i soldi delle banche per acquisire per poi vendere dopo aver scaricato sull’azienda stessa i debiti. Un circolo vizioso – questo tra privatizzazioni, cattiva impresa e mancato ruolo della politica – che ha portato anche il settore delle telecomunicazioni (dove l’Italia era leader) fuori dalla nostra giurisdizione. «Telefono casa…»? Non più.
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=46294&utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

Ungheria: Orban nazionalizza le società di distribuzione di energia elettrica e gas

O santo cielo…..sta facendo precipitare l’Ungheria nel medio evo e nella barbarie…….fermatelo! O santa troika protettrice delle BANCHE salva gli interessi degli usurai

(ANSA) – BUDAPEST – Il premier ungherese Viktor Orban, in un’intervista, ha confermato il piano di rinazionalizzare le società di distribuzione energetica (gas, elettricità), privatizzate negli anni Novanta a multinazionali straniere.

Orban ha accusato queste società – tedesche, francesi e italiane – di realizzare “un profitto eccessivo” a scapito delle famiglie ungheresi. Il suo governo le aveva obbligate via decreto da gennaio di tagliare del 10% le bollette, e un altro taglio di 10% è stato già annunciato dall’1 novembre. Il taglio delle bollette è il principale cavallo di battaglia elettorale del partito governativo ungherese in vista delle elezioni nel 2014.

Il capogruppo parlamentare Antal Rogan ha detto di volerlo mettere nella costituzione, mentre l’opposizione democratica accusa Orban di demagogia populista. (ANSA).
http://informare.over-blog.it/article-ungheria-orban-nazionalizza-le-societa-di-distribuzione-di-energia-elettrica-e-gas-120230646.html

Ci siamo: Monte dei Paschi impone il “bail in” sugli obbligazion isti bloccando il pagamento di cedole da $650 milioni

24 settembre 2013

 Di Francesco Simoncelli

 marinka040813 Ci siamo: Monte dei Paschi impone il              bail in sugli obbligazionisti bloccando il pagamento di              cedole da $650 milioni

Ecco l’ennesima prova di incopetenza economica da parte di un “esperto del settore.” Secondo il professore d’economia Alberto Bagnai la soluzione ai nostri problemi è l’uscita dall’euro e la successiva svalutazione della nuova moneta. Il nostro eroe si pone un sacco di domande, ma come tutti i riformatori monetari non si pone la domanda cruciale: cosa impedirebbe, legalmente ed economicamente, allo stato di emettere credito in eccesso? Queste domanda o sono evitate o rimangono senza risposta. Quello che abbiamo tra le mani, invece, è un pugno di mosche “supportato” dal nulla da dati statistici; previsioni basate sul presente e sulla presunta soluzione in tasca al socialista riformatore monetario di turno. Inoltre, anche le sue presunte risposte colme di “saggezza” in realtà fanno acqua da tutte le parti. Soprattutto quando spinge il lettore a credere che lo stimolo delle esportazioni attraverso la svalutazione della moenta porti benefici di lungo periodo. Non è così. Quello che non si vede è che questa rappresenta una sovvenzione implicita ai paesi esteri, un trasferimento di ricchezza dal paese esportatore a quello improtatore. Non solo ne risentono le tasche dei cittadini che subiscono gli effetti tremendi dell’effetto Cantillòn, ma ne risentirà anche la ricchezza del paese, il quale smette di essere comeptitivo e si espone ad altri giri di stampa monetaria. Queste sono le stesse politiche che hanno condotto l’Italia ad un passo dal baratro alla fine degli anni ’90; sin da allora niente è stato risolto, ma tutto è stato nascosto sotto il tappeto. Ora la misura è colma. La fonte di un reale vantaggio competitivo è una riforma liberale delle politiche economiche che vada a ricompensare l’operosità di una popolazione, che protegga la sua proprietà dalla tassazione, e che incentivi il risparmio. E’ così che si ricostituirà la base di capitale con cui prosperare; le svalutazioni monetarie, al contrario, erodono tale base (oltre ad innescare cicli deleterei di boom-bust). Vi faccio io una domanda ora: preferireste guadagnare di più con una valuta che pero’ perde potere d’acquisto nel tempo (come propone Bagnai), oppure guadagnare lo stesso ammontare di denaro ma con esso comprare più beni e servizi nel tempo (es. avere spese meno gravose)?

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 da Zerohedge

 Due settimane fa abbiamo avvertito cheMonti dei Paschi era diretta verso il bail-in poiché le necessità di capitale puntavano alla nazionalizzazione,” anche se abbiamo lasciato aperta la questione “su chi ricadrà l’haircut compresi gli obbligazionisti senior ed i depositanti… data la piccola dimensione del debito subordinato nella struttura del capitale.” Oggi, come molti si aspettavano il giorno dopo le elezioni tedesche, il domino sta finalmente iniziando a traballare e come avevamo previsto, Monte Paschi (la banca più antica d’Italia e, secondo molti, la banca più insolvente) ha tranquillamente avviato un “bail in” sugli obbligazionisti sospendendo i pagamenti di interessi su tre cambiali ibride, seguendo tra l’altro le richieste delle autorità europee: gli obbligazionisti devono contribuire alla ristrutturazione della banca italiana. Ricordate ciò che Diesel-BOOM ha detto di Cipro — che si tratta di un modello? Non stava scherzando .

 Come riporta Bloomberg, Monte dei Paschi “in un comunicato ha detto che non intende pagare gli interessi su circa €481 milioni ($650 milioni) di cambiali ibride esistenti emesse attraverso MPS Capital Trust II e Antonveneta Capital Trust I e II.” Perché queste cambiali? Perché gli obbligazionisti ibridi hanno zero protezioni e zero possibilità di fare ricorso. “In base ai termini delle cambiali non datate, la banca di Siena è autorizzata a sospendere i pagamenti degli interessi senza andare in default e senza compensare le cedole perse alla ripresa dei pagamenti.” Inoltre gli ibridi, tanto per citare l’olandese, sono solo il modello per l’equilibrio di bilancio della banca.

 Cosa succederà ora? Semplice: la rielezione Merkel è cosa fatta e l’EURUSD è troppo alto (ricordate le lamentele dell’Adidas della scorsa settimana). Inoltre se la BCE procede con un altro LTRO come molti credono che accadrà, forzerà l’EURUSD ancora più in alto, aumentando una liquidità ancora indesiderato. Allora che cosa fare? Inscenare una piccola e contenuta crisi ovviamente. Come il bail in da parte di una grande banca italiana. La buona notizia per ora è che i depositanti non saranno intaccati. Purtroppo, dato che i contanti dei depositanti si trovano dalla parte sbagliata delle passività (non)garantite, è solo una questione di tempo prima che quelli con i depositi non assicurati condivideranno alcuni dei dolori ciprioti. Dopo tutto, per la Nuova Normalità di un mondo insolvente, “è giusto .”

 Vale a dire:

 “Nel nuovo mondo in cui ci troviamo, gli obbligazionisti pagano il conto quando sono costretti a farlo,” ha dichiarato John Raymond, analista di CreditSights Inc. a Londra. “Le regole sugli aiuti di Stato impongono perdite se possibile.”

 Il 7 Settembre Joaquin Almunia ha detto ai giornalisti che entro due mesi la banca dovrebbe ricevere l’approvazione definitiva per il suo piano di ristrutturazione. L’istituto di credito, che ha ricevuto un salvataggio da €4.1 miliardi, ha presentato un nuovo piano dove la quantità di nuovo capitale che intende raccogliere è più che raddoppiata: €2.5 miliardi per rimborsare l’aiuto.

 Almunia ha raccomandato che ” dovranno essere evitati il più possibile flussi di cassa in uscita dal beneficiario ai detentori di capitali ibridi ed ai titolari di debito subordinato,” in una lettera inviata al ministro delle Finanze italiano Fabrizio Saccomanni il 16 Luglio e vista da Bloomberg News .

 Ancora più importante, questo è solo l’inizio :

 I €108 milioni di azioni privilegiate del Monte dei Paschi emesse attraverso Antonveneta Capital Trust II sono scese di 5 centesimi sull’euro raggiungendo i 41 centesimi, secondo i prezzi delle obbligazioni di Bloomberg. Questo è uno dei prezzi più bassi sin dal 23 Aprile, come mostrano i dati compilati da Bloomberg.

 Mentre la banca sta bloccando i pagamenti sui titoli che compongono il suo capitale Tier 1, uno degli strati più bassi negli strumenti di capitale di debito, ha anche l’equivalente di circa €2.6 miliardi di debito Upper Tier 2 in euro e sterline.

 Mentre Monte dei Paschi continua a pagare le cedole su queste cambiali, non è chiaro se sarà in grado di farlo in futuro, ha detto Raymond.

 Aspettatevi per Mercoledì un aggiornamento da parte della banca, quando terrà una conferenza.

 Gli investitori potrebbero scommettere che la banca riacquisterà il debito “al pari o leggermente al di sotto dei livelli attuali di trading,” secondo Eva Olsson, analista di Mitsubishi UFJ Securities a Londra. I singoli investitori in Italia detengono molte delle obbligazioni e hanno rappresentato una fonte importante di finanziamento per le banche in questi ultimi anni.

 “Monte dei Paschi probabilmente dovrà raccogliere capitale l’anno prossimo, ma consideriamo questo tentativo una sfida ostica,” ha scritto Olsson.

 Infatti, e buona fortuna. Soprattutto per come verranno visualizzate le cifre del capitale sottoposte al “bail in” rispetto al patrimonio della banca.

[*] traduzione di Francesco Simoncelli

http://www.rischiocalcolato.it/2013/09/ci-siamo-monte-dei-paschi-impone-il-bail-in-sugli-obbligazionisti-bloccando-il-pagamento-di-cedole-da-650-milioni.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+blogspot%2FHAzvd+%28Rischio+Calcolato%29