Ribelli siriani: vogliamo uno stato islamico basato sulla sharia

Pubblicato da ImolaOggi

set 25, 2013

nusra

25 SET – Tredici gruppi ribelli siriani di ispirazione islamica hanno affermato di non riconoscersi nella Coalizione delle opposizioni, con sede all’estero, aggiungendo di volersi battere per l’instaurazione di uno Stato basato sulla legislazione islamica (Sharia).

 Tra i gruppi figurano sia organizzazioni jihaiste come il Fronte al Nusra, legato ad Al Qaida, sia altre considerate più moderate, come la Brigata Al Tawhid, di Aleppo.

 Quirico: L’Occidente non vuole vedere che ci hanno dichiarato guerra, l’islam moderato non esiste

 Quirico: un attacco alla Siria aiuterebbe la jihad internazionale

La costruzione mediatica del nemico: dalla Siria ai NO TAV – Nanni Salio

http://serenoregis.org/2013/09/20/la-costruzione-mediatica-del-nemico-dalla-siria-ai-no-tav-nanni-salio/?print=1

Non è una novità: giornali, TV e media in generale sono usati a man bassa per plasmare e manipolare l’oopinione pubblica.

Pochi sono coloro che cercano di applicare rigorosamente i principi del “giornalismo di pace” proposti da Johan Galtung (www.transcend.org/tms/2009/12/italian-giornalismo-di-pace-cos%E2%80%99e-e-perche-si-contrappone-alla-pratica-corrente ).

Dalla Siria ai NO TAV lo stile è lo stesso: uno schema manicheo amico/nemico, colpevole/innocente; giusto/sbagliato. Il mondo in bianco e nero, senza sfumature, demonizzando l’avversario.

Assad, e prima di lui Saddam Hussein, è il nuovo Hitler. Lo si ritiene colpevole dell’uso di armi chimiche (che pure possiede, come altri paesi, da Israele agli USA che ne hanno fatto ampio uso in Vietnam), senza aspettare prove concrete e senza procedere a una eventuale incriminazione alla Corte Penale Internazionale.

Qualcosa di analogo succede per il movimento NO TAV. Le accuse di “terrorismo” sono grottesche, come ha diligentemente argomentato sul piano giuridico Livio Pepino (http://www.notav.info/top/la-guerra-preventiva/). Ma è un problema più vasto. Noam Chomsky sostiene che negli USA si intende per “terrorismo quello che gli altri fanno a noi”, non quello che “noi facciamo agli altri”. C’è un terrorismo dall’alto (degli stati) e uno dal basso. Entrambi da condannare, se si cercano metodi di lotta e soluzioni che si ispirino alla cultura della nonviolenza.

In ogni situazione concreta di conflitto e di lotta, dal movimento Occupy alle cosiddette “Primavere Arabe”, dalla guerra in Siria ai NO TAV/NO MUOS/NO F35, e via NOdicendo, si ripropone e si riapre il dibattito su violenza e nonviolenza, su quali siano i rapporti tra mezzi e fini, su quali siano i mezzi autenticamente nonviolenti e le strategie coerenti con una concezione nonviolenta della politica e più in generale dell’ “imparare a vivere insieme” in questo mondo.

A questo proposito, pochi hanno letto con attenzione e conoscono le 198 tecniche elencate da Gene Sharp nel suo fondamentale lavoro “Politica dell’azione nonviolenta”, che risale ormai a più di quarant’anni fa (ed. it. in 3 voll. pubblicata da EGA, Torino 1985-1997; l’elenco è riportato in:palabre.altervista.org/fare/198.shtml?). Tra queste tecniche rientra sicuramente il boicottaggio, uilizzato sia da Gandhi durante le lotte in India, sia nelle lotte conro l’apartheid e per i diritti civili negli USA (Martin Luther King), in Sudafrica (Nelson Mandela) e in Israele.

E il sabotaggio? La risposta è più sfumata, perché dipende dal significato preciso che si dà a questo termine e dal modo con cui è impostata l’azione. Sono azioni di sabotaggio quelle compiute dal movimento antinucleare “plowshare” fondato dai fratelli Berrigan negli USA e attivo tuttora? Entrare in una base nucleare, tagliando le recinzioni o scavalcandole, come fecero i movimenti femminili antinucleari a Greenham Commons o gli attivisti italiani a Comiso, e a Niscemi (NO MUOS), distruggendo, anche solo simbolicamente, apparecchiature militari destinate allo sterminio nucleare, come ha fatto anche Turi Vaccaro nella base olandese di Eindohoven, rientra o meno nelle tecniche di azione nonviolenta?

Nel rispondere a questo interrogativo, occorre precisare che queste forme di boicottaggio, sabotaggio, azioni dirette nonviolente vengono compiute a “viso aperto” e gli attivisti non fuggono, ma si lasciano arrestare, per fare anche del momento processuale una occasione di protesta, propaganda, informazione, denuncia. E’ la nonviolenza del forte, del coraggioso, di chi è disposto a pagare di persona per una causa che ritiene particolarmente importante.

Come si può ben capire, altra cosa sono le azioni di distruzione e sabotaggio avvenute ultimamente in Val di Susa, attribuite frettolosamente, quasi sempre senza prove e senza che le indagini si siano concluse, al movimento NO TAV nel suo insieme, con lo scopo di delegittimarlo. Ma di questo parla ampiamente e meglio Livio Pepino nei suoi articoli (“La suggestione del ‘terrorista’, Il Manifesto, 20 settembre 2013).

La lotta nonviolenta è una operazione strategica, che mira a coinvolgere settori sempre più ampi dell’opinione pubblica, per riequilibrare i rapporti di potere e innescare quello che Gene Sharp chiama “ju-jitsu politico”. E’ il “potere dei senza potere” di cui parlava Vaclav Havel, che ha permesso di operare la più grande transuizione nel sistema di relazioni internazionali, culminata nel 1989 nell’Europa dell’Est, senza sparare un solo colpo di fucile.

Per far questo e ottenere risultati concreti e duraturi occorre operare con intelligenza, evitando derive verso forme di azioni facilmente classificabili, a torto o a ragione, come violente, che rischiano di delegittimare, agli occhi di molti, i movimenti. Sono cose ben note alle forze di polizia e ai militari, che si trovano molto più a loro agio di fronte a lotte violente che di fronte a lotte nonviolente. La violenza è “pane per i loro denti” e quando non c’è cercano di crearla con infiltrati, provocatori, violenze gratuite sui manifestanti (vedi il lancio di lacrimogeni CS e non solo).

E’ probabile che ufficali di polizia e dell’esercito abbiano letto con molta attenzione i manuali di lotta nonviolenta. Forse conoscono i lavori di Gene Sharp molto meglio di quanto non li conoscano gli attivisti. E per questo troppe volte le lotte dei movimenti di base non hanno successo.

La nonviolenza si impara, ma occorre anche studiare e sperimentare.

Br e NoTav, Rodotà: “Io cattivo maestro? Alfano non sa leggere”

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/09/24/br-e-no-tav-rodota-io-cattivo-maestro-alfano-non-sa-leggere/245908/

 

“Chi mi ha definito un ‘cattivo maestro’ non sa nemmeno leggere le parole”. E’ la replica lapidaria di Stefano Rodotà alle dichiarazioni del vicepremier Angelino Alfano, che aveva criticato alcune affermazioni del giurista su Br e No Tav. “Io ho fatto  professione di condanna della violenza per tutta la mia vita – prosegue Rodotà – anche con responsabilità istituzionali. Ho sempre detto che la democrazia non è compatibile con gli atti di violenza. Sono stato per tre legislature deputato in Calabria e ho visto molti camion bruciati di ditte che lavoravano e davano fastidio alla mafia. Quando siamo di fronte alla violenza dobbiamo essere molto attenti”  di Tommaso Rodano

 

24 settembre 2013

Identificato l’assassino del commerciante 79enne sgozzato, e’ fuggito in Egitto

la vittima è iraniana. Il suo assassino è anche straniero. Ma ai media non interessa, se l’aggressore fosse stato italiano la vita della vittima e l’omicidio sarebbe stato “grave” perché frutto di razzismo. Questo, secondo il pensiero politically correct non è un omicidio degno di nota.

Pubblicato da ImolaOggi

 set 25, 2013

egitto

Milano, 25 set. – Era stato identificato poche ore dopo l’omicidio l’uomo che il 12 settembre scorso ha ucciso Parvis Gorzjian, il venditore di tappeti iraniano 78enne ritrovato morto nel suo negozio di Piazza Tripoli Si tratta di Mohamed Attia Rafat, un 27enne egiziano con precedenti per droga e furto.

 Commerciante iraniano 79enne rapinato e sgozzato

 L’uomo e’ riuscito a fuggire al Cairo nelle poche ore tra il delitto, commesso nella tarda mattinata, e il ritrovamento del cadavere, che e’ stato rinvenuto dal figlio della vittima solo in serata. I carabinieri guidati dal tenente colonnello Alessio Carparelli hanno individuato le impronte digitali di Rafat sul luogo dell’omicidio e le hanno confrontate con quelle rilevate nella sartoria poco distante, in cui l’egiziano lavorava. Secondo gli inquirenti il movente dell’omicidio andrebbe rintracciato in una rapina finita male.

Il colpevole ha portato via con se’ il cellulare e il portafoglio della vittima. Tra Egitto e Italia e’ in vigore un accordo bilaterale per l’estradizione e le autorita’ stanno procedendo attraverso l’Interpol per rintracciare l’omicida, ma le turbolente condizioni politiche dell’Egitto di questi mesi rendono piu’ difficile la cattura.

 http://www.imolaoggi.it/2013/09/25/identificato-lassassino-del-commerciante-79enne-sgozzato-e-fuggito-in-egitto/

Il TAV porta un primo ponte

http://www.alinews.it/2013/09/24/87102/tav-la-prima-opera-di-compensazione-potrebbe-essere-un-ponte/

Il rendering del progetto

Il rendering del progetto

(Alinews.it) – Torino, 24 set – Era una delle opere di compensazione Tav a carico della Provincia, anche se è proprio una di quelle opere che in valle si attendevano addirittura dal 2000, quando l’alluvione aveva mostrato tutta la fragilità del nodo idraulico di Susa. Così è finalmente pronta la progettazione di un nuovo ponte sulla Dora molto atteso per ristabilire la connessione tra le due parti di Susa, dopo che nel 2000 quello precedente è stato demolito in seguito all’alluvione perché costituiva di fatto un vero e proprio tappo idraulico: sarà ricostruito più alto e adeguato, con un impalcato a piastra in cemento armato precompresso, con travi parete ad altezza variabile, realizzato su un’unica campata lunga 28 metri, con una carreggiata per il traffico larga m. 6,5 e composta da due corsie di 2,75 m e due marciapiedi laterali di 1,5 m. E’ il cosiddetto “ponte degli alpini” di Susa, il cui progetto esecutivo è stato esaminato ed approvato questa mattina a Palazzo Cisterna, durante la seduta della Giunta provinciale.
“Siamo pronti per l’appalto e la consegna lavori – spiega il presidente della Provincia di Torino Antonio Saitta – per un’opera che costerà alle nostre casse 1 milione e 250mila euro. Siamo però ancora in attesa che dal Ministero delle infrastrutture arrivi l’autorizzazione, promessa dal ministro Angelino Alfano a Torino, ad escludere la realizzazione del ponte dal patto di stabilità. A quel punto, il cantiere partirà immediatamente”.
L’esclusione dai vincoli del patto di stabilità era stata garantita per una serie di infrastrutture ed interventi connessi alla realizzazione della linea ferroviaria Torino-Lione.
“Entro il 15 ottobre – aggiunge Saitta – la Provincia di Torino approverà anche le progettazioni di tutte le altre opere connesse di nostra competenza che valgono oltre 2 milioni di euro: cito fra tutte la manutenzione straordinaria della scuola superiore Itis Ferrari dove verrà anche riaperto l’auditorium, il nuovo ponte sul torrente Cenischia per un valore di 900mila euro che andrà a sostituire un ponte oggi inadeguato e ancora opere di viabilità per la messa in sicurezza delle strade statali 24 e 25 oltre ad interventi contro il dissesto idrogeologico”.

Avete smesso di vergognarvi.

Compensazioni TAV? 
Un ponte abbattuto nell’anno 2000 in un paese normale lo avrebbero sistemato 13 anni fa, così come sarebbero state messe a norma gli istituti scolastici.

L’Arabia Saudita minaccia una giornalista statunitense per un reportage “non gradito”sulla Siria

Posted By Luciano Lago On 24 settembre 2013

Prince Bandar bin Sultan, Secretary-General of Saudi Arabia’s National Security Council shakes hands with Russia’s Prime Minister Vladimir Putin as they meet in Moscow [1]

di Luciano Lago

La giornalista statunitense, Dale Gavlak, che ha lavorato per circa venti anni come corrispondente dell’Associated Press in Medio Oriente, ha ricevuto minacce da parte dell’Arabia Saudita di porre fine alla sua carriera per aver pubblicato un reportage che dimostra come siano stati i terroristi in Siria i responsabili dell’attacco chimico lanciato nella località di Guta nello scorso 21 Agosto.

Il direttore editoriale della Mint PressNews, Mnar Muhawesh, ha riferito che la giornalista ha ricevuto minacce 48 ore dopo la pubblicazione di un articolo, lo scorso 29 di Agosto, nel suo sito internet nel quale spiegava che i miliziani, oppositori del regime di Assad, avevano ammesso, davanti alla stessa giornalista ed al giornalista giordano Yahia Ababneh, che loro (i ribelli) erano gli autori dell’attacco.

Secondo Gavlak, le minacce provenivano da una terza parte che opera per conto del capo dell’Intelligence  saudita, Bandar bin Sultan, come riferito da informazioni ben accreditate.

http://www.infowars.com/rebels-admit-responsibility-for-chemical-weapons-attack/ [2]

L’articolo apparso su Mint Press News, con sede nel Minnesota, riportava che le interviste con medici, residenti, attivisti antigovernativi e le loro famiglie a Guta sostenevano che i terroristi hanno ricevuto le armi chimiche dall’Arabia Saudita e più in concreto da Bandar.

http://www.mintpressnews.com/witnesses-of-gas-attack-say-saudis-supplied-rebels-with-chemical-weapons/168135/ [3]

La giornalista Gavlak ,che è stata sospesa dall’Associated Press a seguito di tale articolo, ha riferito che la Mint Press News aveva commesso un errore nell’includere il suo nome come autore dell’articolo, visto che Ababneh era stato l’unico reporter nella storia e lei lo aveva soltanto aiutato a tradurre il suo articolo in inglese.

Tuttavia in una dichiarazione pubblicata durante il fine settimana la Mint Press ha riferito di  “comprendere che Gavlak era sottoposta ad una crescente pressione” e che la sua carriera poteva finire a causa dell’articolo ma che la giornalista in effetti aveva realizzato l’inchiesta  ed aveva scritto il reportage insieme con Ababneh.

“Siamo consapevoli della tremenda pressione a cui sono sottoposti Dale ed altri giornalisti a seguito di questa storia  e siamo noi stessi sottoposti alla stessa pressione di quelli che vogliono screditarla. Tuttavia non siamo intenzionati a soccombere sotto questa pressione perché Mint Press possiede una notevole etica giornalistica”. Riferisce la dichiarazione.

“Abbiamo la più alta stima e simpatia di Dale Gavlak e comprendiamo le pressioni che sta subendo per eliminare il suo nome dall’articolo, ma questo non sarebbe onesto e, in questo modo, come già detto, non siamo disposti a farlo “ conclude la dichiarazione.

Questa vicenda dimostra fino a che punto arrivino i servizi di “intelligence” dei paesi coinvolti nella sporca guerra in Siria nel voler manipolare le informazioni e trasmettere notizie di comodo per occultare le vere responsabilità del conflitto e nascondere la “provocazione” inscenata dai ribelli  (con la complicità dei servizi sauditi) per determinare un intervento militare degli USA e dei suoi alleati.

Inutile sottolineare come quasi nessuno dei giornali occidentali abbia riportato l’intervista della brava reporter e la notizia che avrebbe avuto il merito di rivelare i veri responsabili dell’attacco con armi chimiche in Siria e smascherare il falso pretesto dell’aggressione americana.

Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, le guerre scatenate dai “portatori di democrazia” si basano su una massiccia campagna di disinformazione e manipolazione delle notizie che trovano la complicità della maggior parte dei giornalisti venduti al sistema ma, in mezzo a questi, si trova sempre qualcuno che dissente ed ha il coraggio di riferire la verità. Questo sta avvenendo e questo ci da ancora qualche speranza che la verità non soccomba del tutto.

http://www.stampalibera.com/?p=66766

traduzione dell’articolo in questione qui

http://dadietroilsipario.blogspot.it/2013/09/i-ribelli-jihadisti-ammettono-le-armi.html

Il Corridoio 5 e l’Alta Velocità che non esiste

http://www.notav.info/post/il-corridoio-5-e-lalta-velocita-che-non-esiste/

Un viaggio-inchiesta nel deserto europeo del Tav: ‘Binario Morto’ di Luca Rastello e Andrea De Benedetti.da: http://www.valigiablu.it/tav-binario-morto/

 

binariomorto-1
Il tempismo è stato quantomeno formidabile. Il 20 settembre il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza ha deciso «l’invio di ulteriori 200 unità [soldati dell’esercito, nda] per le esigenze di sicurezza del cantiere Tav in Val di Susa», che si vanno così ad aggiungere ai 215 militari già impiegati nella difesa dell’area.
Nella stessa giornata, un documento firmato (e soprattutto scopiazzato) da Alfredo Davanzo e Vincenzo Sisi – in carcere dal 2007 con l’accusa di far parte del Partito comunista politico-militare (PCPM) – ha cominciato a circolare su Internet ed è stato ampiamente ripreso dalla stampa nazionale. I due (che non sono delle famigerate “Nuove BR”) esortavano il movimento No Tav a «compiere un altro salto in avanti, politico organizzativo, assumendone anche le conseguenze, o arretrare».
Angelino Alfano, Ministro dell’Interno, non si è lasciato sfuggire l’occasione di fare il duro: «Lo Stato fa lo Stato e la Tav si farà. Delinquenti e bombaroli si rassegnino. Con l’invio in Val di Susa di altri 200 militari rafforziamo i contingenti che proteggeranno l’avvio dei lavori della “talpa”», ossia l’enorme fresa che dovrà scavare il tunnel geognostico/esplorativo – e non quello dove passerà il Tav – di Chiomonte. Negli ultimi mesi, l’attenzione mediatica e giudiziaria sulla Val di Susa è stata particolarmente intensa. A fine luglio, la procura di Torino ha disposto perquisizioni in svariate abitazioni e ha contestato a dodici attivisti No Tav un’accusa pesantissima in relazione all’assalto al cantiere del 10 luglio 2013: attentato per finalità terroristiche ed eversione. Una serie di attentati (più di dieci, tutti attribuiti senza alcuna esitazione al movimento No Tav) a diverse imprese che lavorano nel cantiere hanno rafforzato a dismisura la narrativa della Valle come palestra ideale per terroristi e sabotatori eversivi. Come hanno scritto Lirio Abate e Tommaso Cerno su l’Espresso, i magistrati guidati da Gian Carlo Caselli sono convinti che «il tunnel dell’Alta velocità in Val di Susa sia ormai diventato solo un pretesto» che serve «a mettere in scena azioni, che i pm definiscono “micidiali”, che riportano alla mente gli anni di piombo».
Il cantiere della Clarea, inoltre, sarebbe «diventato il palazzo d’inverno che autonomi e anarchici insurrezionalisti devono conquistare» a tutti i costi. Un editoriale su La Stampa dello scorso 12 settembre si è spinto ancora più in là. In Val di Susa, afferma Cesare Martinetti, II terrorismo c’è già. In una forma inedita, tra l’intimidazione ambientale di stampo mafioso e il cecchinaggio individuale di marca pre-brigatista, tra la opprimente Corleone di Riina e i caldissimi picchetti delle fabbriche nei primi Anni Settanta. Nei confronti delle cose (cantieri, macchine e macchinari, forze di polizia) si esercita con azioni militari. Nei confronti delle persone (che lavorano nel o intorno al cantiere) con minacce continue e ossessive. […] C’è insomma un antistato che esercita forme di controllo del territorio e si propone di cambiare il corso delle cose con un insieme di azioni che sono oggettivamente eversive. Il movimento No Tav – che ha ammesso di essere ricorso a «sabotaggi popolari» – ha respinto con sdegno sia l’accostamento ai “brigatisti” in carcere che le accuse di terrorismo, parlando di «ultimi colpi di coda» della lobby pro-Tav. Ma del resto, come ha twittato l’ultrà Sì Tav del PD Stefano Esposito, «la talpa scava il resto è noia».
Già. La risoluzione mostrata da Alfano, Esposito e molti altri relega però in secondo (o anche terzo, quarto) piano una domanda tanto semplice quanto fondamentale: dal momento che il Tav in Val di Susa rientra nella tratta Lisbona-Kiev (il famigerato Corridoio 5), a che punto è il progetto negli altri paesi europei? Due giornalisti, Luca Rastello e Andrea De Benedetti, sono andati a vedere di persona lo stato dei lavori e hanno pubblicato il resoconto del loro viaggio nel saggio Binario Morto. Il sottotitolo è piuttosto esplicito: «alla scoperta del Corridoio 5 e dell’alta velocità che non c’è» – e che potrebbe non esserci nemmeno in futuro. L’assunto del progetto ormai ventennale, scrivono i due, «è sostanzialmente falso», poiché «la sostenibilità del progetto si regge su previsioni a lunghissimo termine e già ampiamente disattese a causa della crisi in atto dal 2008». Il percorso originario del Corridoio 5. La prima tappa degli autori è Lisbona, la capitale dell’“estremo occidente” d’Europa da cui il Tav non partirà mai. Il 21 marzo 2012 il governo portoghese ha ufficialmente annunciato la rinuncia al progetto: il Paese, piegato dalla crisi e dalle politiche di austerità della Troika, non ha un centesimo da investire nell’alta velocità. Il Portogallo, insomma, «non ha la forza, il denaro e neppure la convinzione strategica per posare circa trecento chilometri di binari tra Lisbona e il confine con la Spagna». Dopo il forfait portoghese, la Commissione Europea ha deciso di far partire il Corridoio 5 da Algeciras, città vicino a Gibilterra nel sud-ovest della Spagna. Ma anche qui ci sono enormi problemi, e una scarsissima volontà del governo spagnolo di completare l’opera. Nel 2012, infatti, il ministero delle Infrastrutture ha destinato al tratto Algeciras-Bobadilla ben 500mila euro, «pari allo 0,02 per cento circa del costo totale previsto dell’opera (un miliardo e mezzo), mentre il resto del “Corridoio mediterraneo” spagnolo, dal confine francese fino al cuore dell’Andalusia, sarà finanziato con oltre un miliardo e trecentomila euro e altrettanto sarà destinato all’Ave [treno ad alta velocità spagnolo, nda] per la Galizia». A questo ritmo, notano gli autori, «il primo treno per Kiev dovrà aspettare ancora qualche secolo prima di cominciare a sferragliare, inflazione permettendo». Il tratto tra Algeciras e Ronda, come dice un funzionario intervistato dagli autori, «non solo non avrà una linea esclusivamente dedicata all’alta velocità»; questa linea «non verrà neppure raddoppiata»: rimarrà infatti un unico binario «su cui viaggeranno promiscuamente merci e passeggeri», a una velocità massima di 160 chilometri all’ora. In tutto ciò, il Corridoio mediterraneo che dovrebbe partire da Algeciras – previsto nel lontano 1987 all’interno del Plan de transporte ferroviario – è allo stato attuale un patchwork di segmenti ora a un binario ora a due, ora a scartamento iberico ora a scartamento europeo, ora elettrificati a 3 kilovolt ora a 25, ora ad alta velocità ora a velocità medio-bassa, ora destinato esclusivamente al traffico passeggeri ora a uso promiscuo. Insomma, un «mosaico in cui è impossibile scorgere le tracce di un progetto coerente e compiuto e in cui, al contrario, si ravvisano chiari i segni di una sistematica e inesausta improvvisazione strategica». La situazione non migliora neppure una volta arrivati in Francia. Il 5 novembre del 2012 la Corte dei Conti francese ha presentato al governo un documento in cui rileva come i costi siano incredibilmente aumentati rispetto al progetto iniziale: «dai 12 miliardi previsti a 26 miliardi di euro». Nel frattempo, anche i costi per il «programma di studio e i lavori preliminari» sono triplicati. Il 17 ottobre 2012, poco prima del rapporto della Corte dei Conti, si era insediata una commissione di politici esperti in materia voluta dal ministro dei trasporti Frédéric Cuvillier. Il 27 giugno 2013 la commissione ha presentato il proprio rapporto finale, intitolato Mobilitè 21 – Pour un schéma national de mobilité durable. Tra le linee ad alta velocità in costruzione, la commissione salva solo la Bordeux-Tolosa; per tutte le altre – compresa la Torino-Lione – se ne riparla dopo il 2030-2040. La priorità si dovrà dunque dare «ai nodi e alle infrastrutture per il trasporto dei pendolari nelle grandi aree urbane» e all’«ammodernamento e manutenzione straordinaria» delle linee già esistenti. Niente linee nuove, insomma. Nonostante il rapporto della commissione, il governo francese alla fine di agosto ha approvato un decreto con cui dichiarava di «pubblica utilità» alcuni lavori per l’accesso al cantiere della Lione-Torino. Tuttavia, secondo il quotidiano Les Echos, «il primo colpo di piccone non è per domani», e la decisione del governo non fa altro che «assicurare la continuità giuridica del progetto», su cui gravano anche serie questioni intorno al finanziamento dell’opera. In parole povere, come ha scritto la rivista specializzata Ville, Rail et Transports, «da anni si fa quello che bisogna fare per fare in modo che il progetto non muoia, e niente perché viva». Con buona pace di chi dice che in Francia «è già iniziato tutto» e che non c’è il minimo problema. La “talpa”. Arrivando al confine tra Francia e Italia, gli autori ricordano «la cosa più curiosa e forse importante»: la scelta a favore di una linea ad alta velocità è «prerogativa pura» di Francia e Italia. L’Unione Europea «non mette alcun vincolo di velocità o modalità progettuali su questa tratta, ma impone semplicemente il rispetto delle cosiddette “specifiche tecniche di interoperabilità” (ad esempio sagome, alimentazioni e sistemi di segnalamento)». Tutti i finanziamenti per la rete di infrastrutture viarie prevista dall’Unione, infatti, non «implicano alcuna opzione a favore dell’alta velocità o dell’alta capacità». Alcuni Paesi, come l’Ungheria e la Spagna, preferiscono investire questi finanziamenti nella realizzazione di strade e autostrade. Perché dunque tutto questo accanimento su una linea, la Lione-Torino, che secondo l’Osservatorio omonimo produrrà i primi benefici solo nel 2073 e che si fonda su previsioni (di traffico, merci, ecc.) clamorosamente smentite negli ultimi anni? La risposta la fornisce un ingegnere, membro del gruppo di lavoro costituito della Regione Piemonte per «valutare l’impatto ambientale del Tav e definire il parere della Regione sull’opera»: In breve, non è necessaria l’opera. Sono necessari i soldi che derivano da cantieri e progetti, e che non possono essere spostati da un capitolo all’altro. Il Tav è un “Momendol” economico. Come le Olimpiadi. Diciamo che grazie ai lavori olimpici imprese e località che erano allo stremo hanno trovato prospettive di sopravvivenza per almeno cinque anni. Le cose non migliorano nemmeno scendendo in pianura e arrivando fino al Veneto. Il 21 settembre 2013 il Corriere del Veneto ha riportato una notizia tragicomica: da Roma è arrivato l’ok alla Tav sbagliata. La Regione Veneto e Friuli Venezia Giulia non hanno mai inviato il nuovo progetto della ferrovia alta velocità/alta capacità Venezia-Trieste, che prevede un semplice «efficientamento della linea esistente, sfruttata non oltre il 40%» e costa poco più di 800 milioni di euro. Il piano ufficiale – il cosiddetto “tracciato litoraneo” che lambisce la costa – è osteggiato da «gran parte dei comuni attraversati, dalle amministrazioni provinciali e dalle categorie produttive» per vari motivi, tra cui l’impatto ambientale e i costi insostenibili (più di 7 miliardi di euro) dell’opera. Insomma, «le uniche carte che esistono, in sostanza, le sta studiando il ministero ma sono quelle di un progetto che nessuno vuole». La «ferita mortale» al Corridoio 5 arriva però al confine tra Trieste e la Slovenia, dove dal 2011 non passa più nessun treno. Un documento programmatico del governo sloveno, pubblicato 2 anni da Il Piccolo, «clamorosamente esclude sia il tratto sloveno della Triste-Divaccia sia il collegamento tra i porti di Capodistria e di Trieste». Tra i collegamenti viari citati da Lubiana (solo tre) figura anzitutto la nuova linea tra Capodistria e Divaccia, e non si fa alcuna menzione del Tav. Quindi, per farla breve, in Slovenia il Corridoio 5 è una chimera. Di più: a causa di ripicche e micragnose lotte politiche tra le regioni del Nordest italiano e il governo sloveno, Trieste rischia di essere tagliata «fuori dalle grandi rotte europee dei traffici». Anche l’Ungheria, penultima tappa degli autori, non è particolarmente interessata alla linea Tav. Anzi. Un portavoce del ministero dei Trasporti ungherese, citato nel libro, lo dice chiaro e tondo: «La nostra priorità non è la ferrovia: i finanziamenti dell’Unione Europea per Ten-T non sono specificamente riservati alle ferrovie, ma a infrastrutture per le comunicazioni, e le nostre scelte prioritarie di investimento vanno alle autostrade». E quel che è chiaro, ribadiscono Rastello e De Benedetti, è che «neppure nel prossimo capitolo di spesa, dopo il 2020, l’Ungheria si batterà per qualcosa che assomigli al vecchio Corridoio 5». All’ultima fermata del viaggio, l’Ucraina, i due giornalisti finalmente scoprono che il Tav per Kiev c’è già. Si fa per dire: la velocità del collegamento tra Leopoli e Kiev è infatti di 108,2 chilometri all’ora – non esattamente un record, per un tratto che si presuppone veloce. Chiosano infatti gli autori: «l’alta velocità qui ha tutta l’aria di essere nient’altro che un nuovo marchio appiccicato su quel che c’è». Eppure la traversata Lisbona-Kiev era partita con ben altre premesse: «aspettavamo di trovare binari gremiti, convogli zeppi, cantieri crepitanti. Tutto perfettamente apparecchiato per accogliere l’arrivo dell’ospite senza il quale la festa non poteva avere inizio: il Tav». E invece, il Corridoio 5 rimane un «corridoio deserto», con lunghissimi tratti in cui non c’è «nemmeno uno scheletro o un ectoplasma di rotaia», o semplicemente un’anima pia in grado di spiegare «per quale ragione l’Italia deve lasciar andare, se va bene, 3 miliardi e mezzo di euro […] in un tunnel». Più che il tanto decantato «progresso», dal racconto dei due autori emerge la «megalomania» di un sogno-progetto partorito nell’epoca industriale e infranto dal collasso rovinoso di quell’epoca. Ma soprattutto emerge un’Europa senza identità né visione comune del futuro che annette pezzi di sé stessa tramite una ferrovia che interessa a pochi, e a quei pochi interessa non per la sua portata globale ma per le ricadute a brevissimo termine sull’economia locale.
In un’intervista all’Espresso, il commissario straordinario della Torino-Lione Mario Virano ha dichiarato – riferendosi agli «antagonisti» e alle «frange violente» del movimento No Tav – che «l’idea è stata di trasformare il cantiere in un simbolo nazionale», un simbolo «esportato fuori dalla valle». Ecco: il saggio di Rastello e De Benedetti capovolge del tutto questa retorica, e dimostra come il cantiere di Chiomonte sia diventato un «feticcio» molto più per quelli che vogliono fare l’opera che per quelli che vogliono fermarla.http://www.valigiablu.it/tav-binario-morto/

“Jihad del sesso”, ragazze tunisine in Siria per conforto sessuale ai ribelli

Pubblicato da ImolaOggiESTERI, NEWSset 20, 2013

ministro dell’Interno tunisino, Lofti ben Jeddou
20 set. – Centinaia di ragazze tunisine vengono inviate in Siria per la ‘jihad del sesso’, offrire cioe’ conforto sessuali ai ribelli islamici al fronte, e spesso tornano in patria incinte. Lo ha denunciato il ministro dell’Interno tunisino, Lofti ben Jeddou. “Hanno rapporti sessuali anche con 20, 30, 100 militanti”, ha riferito parlando all’Assemblea costituente nazionale.
La ‘jihad del sesso’ e’ considerata una forma di guerra santa legittima da alcune frange salafite che incoraggiano le donne ad avere rapporti con i militanti islamici. Ben Jeddou ha ricordato che da marzo il governo ha vietato a 6.000 giovani tunisini l’ingresso in Siria e ha arrestato 86 persone sospettate di aver organizzato “reti” per la ‘jihad del sesso’.
Secondo i media locali sono migliaia i tunisini che negli ultimi 15 anni sono partiti per la jihad verso l’Afghanistan, l’Iraq e la Siria, spesso passando per la Turchia o la Libia.
Le ragazze vengono reclutate dai salafiti nelle zone piu’ povere della Tunisia, quelle rurali o popolari, e inviate in Siria. Da queste unioni nascono figli che resteranno illegittimi perché nati fuori dal matrimonio e che non verranno mai riconosciuti dai padri. Che, sempre, saranno bollati con una ‘X’.
La nuova forma del Jihad sessuale non è altro che una prostituzione ”legittimata” degli estremisti religiosi in nome della ”guerra santa”, come fa notare la stampa tunisina. ”Queste ragazze vengono per la maggior parte da quartieri popolari delle periferie delle grandi citta’ o vengono reclutate da associazioni pseudo caritatevoli o cosidette religiose islamiche per soddisfare le pulsioni sessuali dei jihadisti in Siria”, scrive il sito tunisino ‘Kapitalis’, che si interroga su come le autorita’ debbano relazionarsi rispetto ai figli nati da queste unioni.
‘‘Il numero delle tunisine e delle somale inviate in Siria è impressionante”, denuncia l’avvocato Badis Koubakji, presidente dell’associazione di soccorso ai tunisini all’estero, citato da ‘Assabah News’.
http://www.imolaoggi.it/2013/09/20/jihad-del-sesso-ragazze-tunisine-in-siria-per-conforto-sessuale-ai-ribelli/

Boldrini: “Basta spot con la mamma che serve la famiglia a tavola”

Michelangelo Schettino
Questi sono i veri problemi della sinistra e di tutto il governo italiano ,che potrebbero, anche essere accettati se le famiglie italiane avrebbero tutti cosa mangiare a tavola . Chiudo dicendo alla Boldrini che molte famiglie non hanno nessun problema a chi deve servire il pranzo a tavola ,in quanto è già da molti anni che non la preparano più perché non hanno cosa metterci per causa della vostra politica affarista che state impoverendo noi e arricchendovi voi .

video al link
Boldrini: ”Basta spot con la mamma che serve la famiglia a tavola”
Pubblicato da ImolaOggiNEWS, POLITICAset 24, 2013

24 SETT – Intervenendo al convegno su ‘Donne e media’, al Senato, la presidente della Camera Laura Boldrini critica gli stereotipi pubblicitari che, dice, ”in altri Paesi europei ben difficilmente arriverebbero sullo schermo”
http://www.imolaoggi.it/2013/09/24/boldrini-basta-spot-con-la-mamma-che-serve-la-famiglia-a-tavola/

SENATORI USA CONTRO BANCHE RUSSE

ma tu guarda……le banche FILANTROPICHE DIRITTO UMANISTE ce l’hanno con il cattivo assad perché li spende male i suoi soldi….
Pensa un pò cosa dovrebbero dire allora dei 4mila MILIARDI e mezzo che han preso le banche europee dalla BCE usati per gli assett e risputando austerità per i popoli che quei salvataggi così hanno pagato

 DI VALENTIN KATASONOV
strategic-culture.org

Qualche tempo fa Washington era impaziente di cominciare una guerra contro la Siria con la scusa che Damasco fosse il mandante dell’attacco condotto con armi chimiche contro i civili . Ora sono apparsi fatti inconfutabili che dimostrano quanto quelle accuse fossero false. Così la Casa Bianca ha rallentato il ritmo.
Subito dopo un gruppo di senatori americani ha scritto una lettera in cui chiedeva di prendere azioni punitive nei confronti di certe banche russe probabilmente coinvolte in operazioni di cooperazione con il regime di Assad.

Quelli che hanno scritto la lettera sono chiaramente gente rimasta frustrata per la sconfitta diplomatica di Washington, subita da Mosca , quando è stato impedito un intervento occidentale contro la Siria.

Un gruppo bipartisan di quattro senatori ha chiesto al segretario al Tesoro Jack Lew, di imporre delle sanzioni alle banche russe che hanno aiutato il regime di Bashar al-Assad in Siria.
I Senatori Kelly Ayotte (New Hampshire), Richard Blumenthal (Connecticut), John Cornyn (Texas), e Jeanne Shaheen (New Hampshire) hanno chiesto a Lew di impedire che quelle banche russe facciano ancora affari negli Stati Uniti. Questo quanto scrivono i senatori :

«Le banche russe appoggiano la violazione alle sanzioni internazionali, consentendo alla Siria di pagare le spese per importare prodotti e per incassare i pagamenti per le esportazioni effettuate » – « Questo sostegno allevia molto il regime di Assad dall’onere finanziario imposto con le sanzioni e gli permette di poter continuare a fare acquisti militari e a pagare l’esercito, quindi a continuare la guerra in Siria … E’ ora più importante che mai che si individuino subito quali sono le istituzioni finanziarie che hanno tratto profitto, violando le sanzioni economiche imposte al regime siriano» .

Gli autori della lettera vogliono che le banche siano tagliate fuori dal circuito finanziario degli Stati Uniti. Come ha affermato il senatore Richard Blumenthal « Noi possiamo congelare i loro beni . Siamo in grado di impedirgli di fare affari negli Stati Uniti , di impedire ai loro dipendenti di venire negli USA e, concretamente, di fare veramente molto male, finanziariamente, ai russi » . Un portavoce del Dipartimento del Tesoro USA ha detto di non poter commentare la lettera dei senatori, ma ha difeso tutte le azioni che l’amministrazione Obama ha adottato per schiacciare il governo di Assad. Tutti gli istituti di credito russi menzionati nella lettera agiscono sotto il diretto controllo del governo : la VEB è una banca statale al 100% e lo Stato russo possiede anche i pacchetti di controllo di VTB e di Gazprombank. Questo significa che la lettera dei senatori è una chiamata diretta alla guerra economica contro la Russia … e come dice l’esperienza del passato, l’escalation per arrivare alla guerra, in Occidente, prima si espande progressivamente sul sistema finanziario del paese caduto in disgrazia, poi arriva alla sua banca centrale . Non stiamo parlando di una guerra economica perché, informalmente, questo tipo di guerra contro la Russia è già stato combattuto per tanto tempo.
Il punto vero è che i senatori, nella lettera, scrivono una spudorata bugia, nello stesso identico modo in cui Barack Obama ha mentito sull’uso delle armi chimiche fatto a Damasco .
I senatori stanno mentendo sul fatto che le banche russe abbiano violato il regime di sanzioni che avrebbero imposto le Nazioni Unite …

Veramente solo in casi molto rari, l’ONU ha preso la decisione di imporre sanzioni economiche ad un paese . E’ stato fatto solo 14 volte negli ultimi 60 anni. Le sanzioni imposte contro il Sud Africa sono il caso più noto e più eclatante. E’ vero che, con l’appoggio dei suoi alleati e vassalli, Washington ha cercato di spingere, attraverso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’approvazione di una risoluzione che imponesse sanzioni contro la Siria, ma l’iniziativa è stata bloccata da Russia e Cina nell’estate del 2012. E’ vero che l’ONU abbia adottato risoluzioni sulla Siria , ma solo volte alla gestione pacifica della crisi , senza nessuna sanzione economica . Quindi il motivo che ha spinto i senatori a scrivere la lettera sta solo nella loro immaginazione, o meglio rimane un loro pio desiderio.
Per dirla più semplicemente, è una bugia .

Per USA & UE l’imposizione di sanzioni economiche contro la Siria è un fatto compiuto . Le sanzioni contro la Siria furono imposte nel lontano 11 maggio 2004 dall’ex presidente USA George Bush Jr. che accusò Damasco di essere coinvolta in attività terroristiche e in programmi volti ad accrescere le capacità delle armi di distruzione di massa e del potenziale missilistico, nonché a minare gli sforzi degli Stati Uniti per stabilizzare e riportare l’ordine in Iraq . In particolare, l’ordine esecutivo del Presidente (USA) prevedeva il divieto per gli Stati Uniti di esportare e di importare dalla Siria qualsiasi tipo di merci (tranne medicinali e alimentari ) che, per essere comprate o vendute a livello internazionale, dovessero passare sotto il controllo statale.
Di volta in volta la Casa Bianca ha prolungato e rimodellato le sanzioni, ma non ha mai annullato completamente le misure punitive.
Il regime di sanzioni contro la Siria è diventato molto più duro dall’autunno del 2011, pochi mesi dopo l’inizio delle attività terroristiche per spodestare Bashar Assad dal potere. Questa volta le sanzioni arrivarono anche al sistema bancario-finanziario del paese .

Parlando dell’Unione europea , le sanzioni contro la Siria sono state imposte nel maggio 2013, dureranno fino al 1° giugno 2014 e comprendono una lunga lista di divieti di esportazione – importazione, in particolare sul petrolio, sulle limitazioni degli investimenti, sulle attività finanziarie e sui trasporti .

La reazione delle banche russe alla lettera scritta dai senatori è stata sconcertante . La VEB ha dichiarato in una sua comunicazione scritta che, a parte il ruolo che la banca svolge come servicing per il debito siriano con la Russia, « non intrattiene nessun rapporto commerciale con la Banca Centrale Siriana, né con il suo governo, né con società controllate dallo stesso ». La banca ha aggiunto anche di essere pienamente in linea con le sanzioni imposte contro la Siria dall’ Unione Europea e dalle Nazioni Unite.
Una risposta ufficiale delle banche deve lasciare sorpresi, perché le banche dovrebbero cercare di dimostrare la propria innocenza ?

In primo luogo , l’ONU non ha mai imposto sanzioni contro la Siria.

In secondo luogo , la Russia non è una colonia USA e non è membro della UE, per cui le decisioni prese da Washington o da Bruxelles sulla Siria non possono incidere in nessun modo sulla Russia …

Da tempo i signori di Washington e di Bruxelles cercano di far rispettare le loro risoluzioni, direttive , leggi e altri atti come se questi avessero vigore extraterritoriale, nel senso che vorrebbero che fossero vincolanti per tutti gli stati del pianeta, senza nessuna esclusione .

I tentativi degli Stati Uniti e di Bruxelles di far rispettare anche alle banche russe le sanzioni imposte da Washington contro la Siria, sono una grave violazione del Diritto Internazionale ed una sfacciata ingerenza negli affari interni della Russia , che è uno stato sovrano .

Ci sono delle regole comuni da rispettare nel Diritto Internazionale, una di queste regole è il principio di non ingerenza negli affari interni di altri Stati. Tutte le banche autorizzate ad operare in suolo russo svolgono le loro attività in conformità a quanto previsto dalla Costituzione della Federazione Russa .

Come ho già accennato , l’aggressione di Washington contro la Siria ha in ultima analisi, come destinazione la Russia, Damasco è solo un altro bersaglio su questa strada.
La lettera dei senatori può essere considerata come una proposta per iniziare una guerra diretta contro la Russia.
Finora il problema era stato solo un guerra economica .

Valentin Katasonov
Fonte: http://www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2013/09/23/us-senators-versus-russian-banks.html
23.09.2013
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=12367&mode=&order=0&thold=0