Orrori nella Rep.Centrafricana: violenza, stupri e torture

L’onu oltre a preparare l’aggressione alla Siria si vuole occupare anche di questo o si affida alla Kyenge per portare tutti in Italia come soluzione?

Pubblicato da ImolaOggi ESTERI,

NEWSset 21, 2013
Centrafricana21 set. – C’e’ un rigurgito di violenza nella Repubblica Centrafricana, ancora non stabilizzata dopo il colpo di Stato che, a marzo, ha deposto il presidente, Francois Bozize: lo denunciano una serie di agenzie, tra cui il Comitato internazionale della Croce Rossa (Icrc), che parla di stupri, villaggi bruciati, abusi e torture sempre piu’ diffusi.
“Il deterioramento della situazione nella Repubblica Centrafricana e le conseguenze umanitarie per la popolazione sono profondamente inquietanti”, si legge in un comunicato dell’Icrc. Gli scontri delle ultime settimane tra gruppi armati non identificati ed ex combattenti Seleka sono i piu’ sanguinosi da quando, a marzo, la coalizione di ribelli ha destituito Bozize, che governava dal colpo di Stato del 2003. Dopo che si e’ installato ufficialmente come capo di Stato, il leader di Seleka, Michel Djotodia, ha ufficialmente disciolto l’alleanza ribelle, ma questo non ha evitato le violenze.
Non solo: “Focolai di morbillo sono segnalati quasi ovunque nel Paese e almeno il 60 per cento delle scuole sono ancora chiuse a causa delle violenze e della mancanza di insegnanti”, denuncia la portavoce dell’Unicef, Marixie Mercado. E’ in aumento anche il reclutamento di bambini soldato e al momento si ritiene che siano 3.500 i ragazzi legati ai gruppi armati (erano un paio di migliaia a dicembre). Nella citta’ di Bouca, nella zona centrale del Paese, la Croce Rossa ha trovato interi quartieri deserti: almeno 20mila persone erano fuggite nella boscaglia, o a casa di parenti o in luoghi di culto. Non e’ chiaro quante persone siano rimaste uccise nell’ultima ondata di violenze, ma secondo l’Icrc in una settimana a Bouca “i volontari della Croce Rossa Centrafricana hanno raccolto le spoglie di almeno una trentina di persone, identificate e poi sepolte”.
Secondo l’Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr), quattro giorni di pesanti scontri dentro e vicino le citta’ di Bossembele e Bossango hanno costretto migliaia di persone alla fuga; e da dicembre quasi 300mila persone sono state costrette a lasciare le proprie case o a fuggire nei Paesi vicini. Il portavoce dell’Unhcr, Adrian Edwards, ha aggiunto che il personale dell’agenzia ha raccolto testimonianze di abusi molteplici, tra cui stupri e torture, da entrambe le parti; e la storia di cinque bambini che si erano nascosti nelle boscaglie durante la stagione delle piogge e devono essere morti di stenti, freddo e malaria.
http://www.imolaoggi.it/2013/09/21/orrori-nella-rep-centrafricana-violenza-stupri-e-torture/

L’ISLANDA NON VUOLE PIU’ L’EUROPA, CHIUSI I NEGOZIATI CON L’UE

gli islandesi sono xenofobi. Così stabilisce il pensiero dominante politically correct che si avvale degli squadroni della digos per reprimere opinioni definite “razziste”. Chi è contro l’europa è populista, quindi eversivo e guerrafondaio (la tesi di certi quotidiani, come dimenticare visto che lo ripetono fino alla paranoia, è che senza l’europa unita ogni nazione si farebbe la guerra in continuazione, un modo umanitario per giustificare e spianare la strada al totalitarismo dei banchieri). O forse gli islandesi hanno capito la reale natura dell’europa e NON TEMONO di rifiutarla?

Il governo islandese sospende a tempo indeterminato le trattative per l’ingresso del paese nell’Unione europea. Lo stop ai colloqui di adesione ed un generale rifiuto delle politiche di austerità europee sono state il cavallo di battaglia della coalizione vincitrice durante la campagna elettorale e la promessa agli elettori e’ stata mantenuta.

Islanda no Ue
A partire dal 12 settembre i negoziati per l’ingresso dell’isola all’interno della Ue sono ufficialmente sospesi a tempo indeterminato
L’Islanda e l’Europa si allontanano. Non geograficamente, s’intende: l’isoletta spersa nel mare del Nord resta sempre lì, a circa 1500 chilometri dalla Gran Bretagna. Ma politicamente, quello sì. Dall’interno dell’Althingi, il parlamento islandese, Bragi Sveinsson, ministro degli Esteri della coalizione di centro-destra al governo da aprile, ha messo un freno alla procedura di adesione dell’Isola all’Unione europea.
A partire dal 12 settembre i negoziati per l’ingresso dell’isola all’interno della Ue sono ufficialmente sospesi a tempo indeterminato. Lo stop ai colloqui di adesione ed un generale rifiuto delle politiche di austerità europee erano stato il cavallo di battaglia dei vincitori durante la campagna elettorale e la promessa agli elettori è stata mantenuta.
I negoziati non erano mai stati facili: c’erano alcune questioni spinose sulle quali l’isola avrebbe dovuto fare delle concessioni economiche a Bruxelles. L’Europa chiedeva all’Islanda di aderire alle normative europee relativamente a 30 punti, fra cui figuravano la libera circolazione di capitali, la politica economica e monetaria, le politiche di pesca e di sviluppo agricolo e rurale. Tutti punti su cui gli islandesi non sono più disposti a negoziare. Non dopo la crisi e le rivolte.
E poi c’era la denuncia pendente alla Corte di giustizia Ue per la bancarotta del 2008. E la questione del debito Icesave, per la quale l’Ue si era schierata a spada tratta a fianco di Inghilterra ed Olanda nel pretendere che il debito contratto dalla Landsbanki, banca privata ripubblicizzata in seguito alla crisi, venisse socializzato e gravasse sulle spalle dell’intera popolazione isolana.
La vittoria della coalizione di centro-destra alle ultime elezioni è passata anche, soprattutto, per la diffidenza degli islandesi nei confronti dell’Unione.
Quella sovranità popolare che gli isolani si sono ripresi di fatto dopo la crisi, con le proteste prolungate che hanno portato alla caduta del governo nel 2009 ed il rifiuto di socializzare un debito ingiusto contratto da banche private, non verrà certo ceduta di nuovo in favore di Bruxelles.
Certo, è strano che a prendere questo genere di decisioni siano gli stessi partiti – e in parte gli stessi soggetti – che condussero il paese sull’orlo del baratro nel 2008. Ed il rischio che la questione europea venga strumentalizzata c’è. Ad esempio rischia di passare inosservato il fatto che, a distanza di quasi un anno, la nuovacostituzione partecipata, simbolo stesso della “nuova Islanda”, approvata con un referendum dal popolo islandese nell’ottobre 2012, non abbia ancora passato il vaglio dell’Althingi. “Quale sarà il suo destino?”, si chiedono in molti; riuscirà mai ad entrare in vigore?
Tuttavia la decisione di sospendere i negoziati per entrare a far parte dell’Unione non può non essere condivisa. Nell’ottica degli islandesi, entrare in Europa rappresenterebbe una nuova fuga del potere e della sovranità verso l’alto, verso luoghi distanti chilometri e chilometri di oceano. Una fuga che gli islandesi non vogliono permettere.
 
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Elections news RWANDA

EODE / International Elections Monitoring / RWANDA : VICTOIRE DU FPR DE KAGAME

 Luc MICHEL pour EODE Press Office /

avec AFP – EODE Zone Africa / 2013 09 19 /

http://www.facebook.com/EODE.monitoring

http://www.eode.org/category/eode-international-elections-monitoring/international-elections-survey/

https://www.facebook.com/EODE.africa

 

Rwanda: large avance du FPR de Kagame aux législatives de ce 16 septembre 2013 … Le Front patriotique rwandais (FPR), le parti du président Paul Kagame au pouvoir depuis près de vingt ans, a remporté une victoire écrasante et sans surprise aux législatives. Selon des résultats de la Commission électorale, la coalition au pouvoir obtient 76% des bulletins déjà dépouillés.

Le FPR – au pouvoir depuis la fin du génocide au Rwanda en 1994 – et les quatre partis qui lui sont alliés, recueillent 3.395.962 voix sur 4.462.917 bulletins dépouillés pour 5.953.531 d’inscrits, selon le président de la Commission nationale électorale (NEC) Kalisa Mbanda.

 SELON CES RESULTATS :

 

* le Parti social-démocrate (PSD) et le Parti libéral, deux petites formations alliées du FPR, remportent respectivement 13% et 9,38% des voix.

* Un autre parti, le PS-Imberakuri, arrive en troisième position avec un faible score de 0,56%, suivi des quatre petits candidats indépendants, tous sous les 0,5%.

* Seuls le FPR et ses alliés du PSD et du PL comptaient des députés dans la législature écoulée. Eux seuls dépassent à nouveau le seuil des 5% exigés pour être représenté à la Chambre et se partageront les 53 des 80 sièges attribués lundi au suffrage universel direct.

* Mardi, 24 femmes devaient être désignées par des collèges ou conseils nationaux et locaux. Et mercredi deux jeunes et un handicapé seront choisis par leurs représentants respectifs. Officiellement non partisans, mais traditionnellement réputés favorables au pouvoir en raison de leur mode d’élection, ces élus au suffrage indirect devraient venir consolider l’écrasante majorité du FPR à la Chambre.

 Seuls les résultats de la diaspora, traditionnellement favorable au FPR, selon le président de la Commission électorale, sont susceptibles de modifier les chiffres à la marge.

Aucun pourcentage n’était disponible dans l’immédiat sur la participation. Mais elle devrait être dans la lignée de celle des législatives de 2008 (98%) et de la présidentielle de 2010 (97%), qui avait vu la réélection du président Kagame avec 93% des voix.

 Le PSD et le PL, tous deux présents au gouvernement, sont accusés par certains observateurs occidentaux de « n’être que des formations satellites, servant de faire-valoir au FPR et à légitimer un multipartisme de façade ». Ces deux partis avaient dès avant la clôture du scrutin assuré qu’ils reconnaîtraient les résultats quels qu’ils soient.

 KAGAME : “AUCUNE RAISON QUE LE FPR NE GAGNE PAS”

 Le PS-Imberakuri, un temps parti d’opposition virulente, dont l’ex-président Bernard Ntaganda est emprisonné depuis 2010 pour atteinte à la sûreté de l’Etat et “divisionisme”, est lui soupçonné d’avoir été phagocyté par des partisans du FPR.

“Parmi les divers partis en lice, aucun n’est un parti d’opposition dans le vrai sens du terme, du fait qu’ils ne critiquent pas le FPR et sa politique”, avait expliqué lundi à l’AFP Carine Tertsakian de Human Rights Watch (HRW).

 

Les résultats de 2013 sont largement similaires à ceux des législatives de 2008. Le FPR avait recueilli 78,7% des voix, contre 13,12 au PSD et 7,5% au PL.

Ils sont également conformes aux prévisions des analystes, qui s’attendaient à un scrutin sans surprise, devant déboucher sur une très large victoire du FPR, très puissant et omniprésent à tous les échelons de la société rwandaise.

 

“Je ne vois pas de raison pour que le FPR ne gagne pas, et même avec un écart important”, avait lui-même déclaré le président Kagame, lundi après avoir voté. “Au vu de ce que le FPR a fait pour le pays, il n’y a aucune raison de penser que FPR ne gagnera pas”.

 KAGAME, OMBRE ET LUMIERE

 Côté lumière, le président Kagame est largement crédité de la spectaculaire transformation du pays depuis 20 ans avec une incontestable réussite économique et la forte éradication de la corruption.

Dévasté et traumatisé lorsque les rebelles du FPR prirent le pouvoir en 1994, mettant fin à un génocide qui venait de faire environ 800.000 morts essentiellement dans la minorité tutsi, le Rwanda a enregistré ces dernières années la croissance la plus forte d’Afrique de l’Est.

 Mais détracteurs du régime et observateurs dénoncent un monopartisme de fait – bien que onze partis soient enregistrés officiellement – et l’absence de liberté d’expression.

M. Kagame a lundi balayé ses critiques: “Vous avez des yeux? Servez-vous en pour voir ce qu’il se passe tout autour” a-t-il lancé à la presse, en référence au vote en cours.

 Côté ombre, les critiques visent la démocratie de façade, mais aussi et surtout la politique extérieure du régime Kagame et ses interventions chez ses voisins. Et particulièrement le rôle du Rwanda dans la crise congolaise.

 Ainsi le journaliste Charles Onana (*) met en cause à la fois l’interventionnisme déstabilisateur du Rwanda dans la région des Grands Lacs et singulièrement au Congo (RDC), mais aussi son rôle comme agent des multinationales : « Kagame mène une guerre économique au Congo. Aujourd’hui, on a la démonstration de cette assertion. Depuis longtemps, les gens avaient sous-estimé le rôle du Rwanda comme un sous-traitant des multinationales. Le Rwanda de Kagame est devenu l’avocat de la recolonisation de l’Afrique » …

 Luc MICHEL

Pour EODE Press Office

 http://www.eode.org/eode-international-elections-monitoring-rwanda-victoire-du-fpr-de-kagame/

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 (*) Lire : Karel HUYBRECHTS & Luc MICHEL pour EODE Think Tank, GEOPOLITIQUE & IDEOLOGIES / L’UE MISE EN CAUSE : « EUROPE, CRIMES ET CENSURE AU CONGO »,

sur http://www.eode.org/eode-think-tank-geopolitique-ideologies-lue-mise-en-cause-europe-crimes-et-censure-au-congo/

Beppe Grillo – Equitalia deve chiudere !

Vorrei intervenire sulla notizia di oggi, la più importante, quella su Equitalia. Cinque funzionari di Equitalia sono finiti sul registro degli indagati con l’accusa di corruzione: avrebbero truccato le carte in favore di imprenditori amici indebitati con il Fisco o con l’Inps in cambio della promessa di tangenti.

E’ una delle nostre battaglie: Equitalia va abolita. E’ indirettamente la responsabile della chiusura di centinaia se non migliaia di aziende in Italia. E’ un carrozzone da 8.000 dipendenti che elargisce 500 milioni di stipendi, ha perdite cumulate per 40 milioni.

E’ un surrogato dell’Agenzia delle Entrate ed è una Spa. La Spa deve fare utili. L’Agenzia delle Entrate che deve controllare e verificare le tasse dei cittadini non deve fare utili! Io voglio un rapporto sincero e onesto con l’Agenzia delle Entrate, che mi dica quanto devo pagare. Lo pago e poi non mi deve più rompere i coglioni.

Adesso anche il redditometro: mi arriva una letterina: “si presenti il giorno … alle ore …” Ma andate a fare in culo! Io non mi presento da nessuna parte.

Io ho la mia vita, i miei soldi sono i miei, se pago le tasse che mi dice l’Agenzia delle Entrate poi non mi dovete più rompere.

Io sono preoccupato di dove vanno a finire i miei soldi quando son nelle vostre mani, non il contrario.

Equitalia va abolita. Non abbiamo più tempo. Questa gente ci sta facendo perdere tempo, sta rubando il tempo dei cittadini. Avevano 5 milioni di euro e invece di investirli in cultura li hanno dati alla fondazione presieduta dalla Melandri.

Vedi :

http://www.beppegrillo.it/2013/09/5_milioni_di_eu.html

Sono una bestia, una belva. Non abbiamo più tempo. Dobbiamo mandarli a casa tutti. Tutti. E la prima da mandare a casa è Equitalia. Si ritorni a un rapporto corretto con il fisco. Un rapporto con la mia Agenzia delle Entrate del mio comune che mi dice quanto devo pagare, il mio imponibile e ti pago. Dopo non mi rompete più i coglioni. Per cortesia.

Ora ve lo dico così, poi vi vengo a cercare. Uno per uno. Lo sapete che lo faccio!

http://www.beppegrillo.it/2013/09/equitalia_deve.html

Obama l’allucinato

 Postato il Giovedì, 19 settembre  DI PEPE ESCOBAR

rt.com
Immaginate l’incontro tra il presidente americano Barack Obama ed il presidente iraniano Hassan Rouhani di martedì prossimo, il 24 settembre, nelle retrovie dell’Assemblea Generale dell’ONU a New York. No, non è un’allucinazione.

Si tratterebbe di un primo cauto passo per cercare di fare breccia nell’impenetrabile Muro di Sfiducia che Washington e Teheran tengono in piedi da 34 anni. Ciò è diventato possibile in seguito all’ammissione da parte di Obama nel corso di un’intervista (1) dell’esistenza di uno scambio di lettere tra lui e Rouhani.

La strada percorsa da quando l’ex presidente Jimmy Carter incontrò lo Scià di Iran Reza Pahlavi nel 1977 è stata inevitabilmente lunga, tortuosa e odiosa. Il tempismo è perfetto. Anche se si tratta solo di un’occasione per una fotografia inscenata in un oscuro corridoio dell’ONU, nella quale entrambe le parti potrebbe plausibilmente negarsi, i falchi di Teheran, ma soprattutto di Washington, hanno lavorato per anni per evitare quest’incontro. Non è un caso che la Casa Bianca ha preventivamente negato qualsiasi possibile incontro (2).

Tecnicamente, Rouhani ha già fermato la guerra, dal momento che Teheran ha lavorato a stretto contatto con Damasco e Mosca, ideando una soluzione per l’impasse delle armi chimiche siriane. Rouhani è in modalità “alti interessi diplomatici”. La scorsa settimana, ha incontrato sia il presidente russo Vladimir Putin che il presidente cinese Xi Jinping ai margini del vertice annuale dell’Organizzazione di Shangai per la Cooperazione (SCO) in Kirghizistan. Non hanno discusso solo della questione nucleare, ma anche di un comune progresso strategico.

Il gioco di Obama

L’intervista a Obama, registrata prima che il tentativo di accordo a Ginevra tra il Segretario di Stato John Kerry ed il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov avesse successo, offre una prospettiva sul gioco di Obama.

Per la prima volta Obama ha ammesso che l’Iran dovrebbe partecipare a risolvere la situazione in Siria se viene riconosciuto “che ciò che sta accadendo è un disastro che non colpisce solo i siriani, ma che sta destabilizzando l’intera regione”. Di fatto, Teheran sta cercando di farlo capire a Washington da mesi, addirittura avvertendo del fatto che i “ribelli” avevano accesso alle armi chimiche.

In seguito, tuttavia, Obama è ritornato al solito vecchio messaggio: “Credo che gli iraniani capiscano che la questione del nucleare è per noi un problema decisamente maggiore rispetto alla questione delle armi chimiche, che la minaccia che un Iran nucleare costituisce per Israele è molto più vicina ai nostri interessi vitali. Che una corsa all’armamento nucleare è qualcosa che potrebbe destabilizzare profondamente la regione”.

Come se Obama fosse il pupazzo ventriloquo di Tel Aviv.

Neanche a farlo apposta, una minaccia non poteva che essere più esplicita: “Il mio sospetto è che gli iraniani concludano che dato che non abbiamo colpito non colpiremo neanche l’Iran”.

Consideratelo un altro caso di schizofrenia politica. Eppure, Obama sembra lasciare la porta della diplomazia mezza aperta: “Sapete, i negoziati con gli iraniani sono sempre difficili. Non credo che questo nuovo presidente faciliterà subito le cose. Ma sapete, io credo che … se si combinano una minaccia credibile di forza con un impegno diplomatico rigoroso, allora si può davvero trovare un accordo”.

La Casa Bianca è stata molto più sfacciata, rubandosi il merito di Mosca per l’accordo Kerry-Lavrov – quando di fatto sono state le negoziazioni tra Mosca, Teheran e Damasco a salvare la presidenza di Obama dal disastro assoluto.

Obama ha avuto la faccia tosta di dichiarare di aver agito secondo un piano degli USA usando Mosca per neutralizzare le armi chimiche siriane e poi aprire la strada verso la transizione politica in Siria. Inoltre, l’attuale confusione circa la natura della risoluzione ONU che dovrà regolare lo smantellamento delle armi chimiche di Damasco già rivela che Washington, Londra e Parigi stanno facendo tutto quanto in loro potere per disfarsi dell’accordo di Ginevra ancora prima della sua implementazione.

La Cina e la Russia non accetteranno mai che il dossier siriano cada sotto il Capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, in una cornice stile Iraq. La verifica e l’implementazione vanno bene, ma non l’imposizione di “disposizioni” (come in una guerra) sotto il Capitolo 7 da parte del Consiglio di Sicurezza in caso di inadempienza della Siria.
“L’inadempienza” varia da un attacco dei “ribelli” contro gli ispettori fino a inscenare un’operatività sotto falsa bandiera per coinvolgere il governo.

Per una visione d’insieme  

Ecco l’Obama ingannevole in azione: “Questa non è la guerra fredda. Non è una gara tra gli Stati Uniti e la Russia. Intendo dire che se la Russia vuole esercitare una qualche influenza nella Siria post-Assad, ciò non colpisce i nostri interessi”.

Di fatto, questo suona molto post-guerra fredda – anche se molti nella capitale conservano ancora quella mentalità.

Non c’è bisogno di un saggio freudiano o lacaniano per esaminare quanto Obama sia irritato da Putin che gioca agli scacchi geopolitici elevando la posta – mentre Obama gioca a dama da solo e perde: prima il caso Snowden; poi Mosca che salva Obama dalla sua stessa “linea rossa” con una lesta mossa diplomatica; infine, Putin scrive un editoriale sul New York Times, spazzando via l’eccezionalismo americano, visione abbracciata praticamente da tutto il mondo industrializzato.

Nella sua intervista Obama ci ha tenuto a sottolineare che lui e Putin non hanno niente in comune quando si tratta di valori e di politica. Ha riconosciuto “l’importanza del ruolo” di Putin nell’assumersi “la responsabilità di punire … il suo cliente, il regime Assad”.

Eppure, tradendo di nuovo la sua considerazione limitata della guerra fredda, ha dovuto invocare l’incapace lettore di schede e fautore dei “combattenti per la libertà”, l’ex presidente Ronald Reagan: “Beh, sapete, Ronald Reagan ha detto: Fidati ma verifica. Credo che questa sia sempre stata l’esperienza dei presidenti americani al momento di interagire con i leader sovietici, prima, e russi, oggi”.

La visione d’insieme, tuttavia, sembra essere immensamente più complessa della riduzione di Obama. Può essere sintetizzata in 4 punti chiave:

•    Putin e le sue strategie eurasiatiche NON mirano all’integrazione della Russia nel sistema unipolare a guida anglosassone;

•    Quello che Putin – e anche il presidente Xi Jinping e gli altri leader dei BRICS, insieme all’Indonesia, l’Argentina e l’Iran – vuole è un ordine internazionale multipolare regolato dal diritto e senza l’egemonia statunitense;

•    Ecco perché la Siria è davvero una linea rossa per Russia, Cina e Iran;

•    Il che ci porta alla grande visione d’insieme: per Mosca e Pechino – oltre che per altri attori chiave del mondo in via di sviluppo – ciò che conta è cambiare, lentamente ma certamente, l’attuale ordine mondiale. Una cosa alla volta.

Un esempio grafico (3) di questo processo sono stati gli incontri al vertice SCO della scorsa settimana tra Putin, Xi e Rouhani. Ho analizzato alcune delle implicazioni politiche, economiche e commerciali – che vanno dalla nuova Via della Seta fino alla Rete Asiatica di Sicurezza Energetica. Nessuno vorrà ammetterlo apertamente, ma non è affatto certo che il trio abbia analizzato il vero significato dello scambio di lettere tra Rouhani e Obama.

Nel suo ottimismo, Obama si sta anche impegnando per dare lì impressione che Washington stia mettendo Mosca contro Teheran – ma non è così. Russia, Cina e Iran stanno tessendo una relazione strategica molto complessa e questo va ben oltre la questione siriana e quella nucleare iraniana.

Dopo il ruolo svolto nel caso Snowden e ora nella questione delle armi chimiche siriane, è convinzione sempre maggiore della vera “comunità internazionale” – non la finzione invocata da Washington – che la Russia è tornata ad essere una grande potenza. La scacchiera si apre a miriadi di possibilità.

Mosca sta per aumentare la sua già notevole influenza sul flusso di energia verso l’Europa occidentale. Sulla scia di una richiesta internazionale sempre maggiore dal petrolio al gas naturale, la Russia aumenterà la sua influenza sulla distribuzione e sulla vendita del gas naturale nel Mediterraneo orientale.

Inoltre, aumenterà la sua influenza come fornitore principale di armi di prima classe, da sofisticati sistemi missilistici fino a caccia stealth come il Sukhoi T-50.

Non permetterà ai jihadisti radunati in Siria di spostarsi di 900 km e sconvolgere ancora una volta il Caucaso.

Anche se deve competere con la Cina per le risorse energetiche dell’Asia centrale, sta lavorando ad una situazione win-win in cui entrambi i Paesi trarranno i benefici di maggiori accordi commerciali ed energetici.

Questa analisi può apparire confusa, ma tocca tutti i punti cruciali. L’attuale movimento delle placche tettoniche della geopolitica è tutto basato sull’allontanamento, lento ma certo, dal petrodollaro, con conseguenze enormi.

La zona toccata da gasdotti, ovviamente, gioca un ruolo centrale – da quello tra Iran e Pakistan (contro Washington e ora con una possibile estensione alla Cina) fino alla proposta del gasdotto da 10 miliardi di dollari tra Iran, Iraq e Siria (che oltrepassa il Qatar e la Turchia, non a caso entrambi inclini ad un cambiamento di regime in Siria).

Attenti ai guastafeste

E questo ci riporta all’Iran. Ci sono attori che faranno di tutto per impedire un dialogo significativo tra Teheran e Washington: Israele e le petro-monarchie del Golfo, specialmente l’Arabia Saudita. Per Israele, Teheran è la perfetta “minaccia esistenziale” architettata e usata come tattica diversiva dal vero problema: il regime di apartheid imposto sui palestinesi occupati.

Per la dinastia, Teheran è la perfetta “minaccia esistenziale” sotto forma di sciiti “apostati”, che si dà il caso governino uno Stato molto più sofisticato di regno intollerante, wahabita, neo-barbarico e petrolifero.

Come se non bastasse, lo scaltro Bandar Bush, pieno di soldi, non smetterà di giocare la carta del settarismo e di armare fino alla morte diverse fazioni “ribelli”, inclusi jihadisti esperti in Siria.

Entrambe le lobby – Israele e la dinastia Saud – sono estremamente influenti su Washington e sanno benissimo che l’eccezionalismo americano è ossessionato dalla “credibilità”. Quindi, non smetteranno di gonfiare il pallone della “credibilità”. La questione è se, dopo aver frantumato la “credibilità” con il fiasco della “linea rossa”, lo zigzagante Obama raccoglierà il coraggio diplomatico per iniziare veramente a buttare giù il Muro della Sfiducia.

Una cosa è certa: non è pensabile che possa mettere da parte il suo ego da scolaretto e chiedere l’aiuto di Putin.

Pepe Escobar
Fonte: http://rt.com
Link: http://rt.com/op-edge/obama-iran-meeting-syria-dossier-972/
17.09.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALEO

1) http://www.youtube.com/watch?v=e9dnWrC13jg
2) http://www.presstv.com/detail/324341.html
3) http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MID-04-130913.html
4) http://news.goldseek.com/GoldenJackass/1377892800.php

“IL MONDO SI RIBELLERA’ AI BANCHIERI “.
Data: Giovedì, 19 settembre
 DI J.S.KIM

Intervista a Karen Hudes, avvocato ed economista. Ex consulente senior per la Banca mondiale, con la quale ha lavorato per circa 20 anni

Recentemente, la coraggiosa Karen Hudes è stata così gentile da concedere una stimolante intervista sulla Banca Mondiale, spiegando come la pensa, dove siamo e dove stiamo andando con questa crisi monetaria mondiale e con la guerra valutaria.

Come me, che lo dico già da quasi un decennio, Mrs. Hudes fa eco alle mie parole sulla necessità di cambiare le nostre banconote in oro e argento fisico, e parla della incredibile criminalità bancaria mondiale e delle loro frodi, quando afferma: “Non dovete credere alle nostre parole, ma dovete solo guardare a quello che possiamo dimostrare”
Mentre io per dieci anni consigliavo di convertire appena possibile la carta moneta, che si stava svalutando, in oro fisico e argento, nello stesso periodo, c’è stato un aumento del prezzo dell’oro del 460% e dell’argento del 500% rispetto al dollaro, così come c’è stata una massiccia inflazione, a volte fino al 100% su alcuni generi di prima necessità come il pane in Argentina e le cipolle in India.
Diventa sempre più chiara la convenienza a scambiare la carta-moneta con lingotti d’oro e d’argento, se poi ci mettiamo anche la recente caduta libera delle valute dei mercati emergenti, come la Rupia, e il recente risultato di 5 a ZERO Federal Deposit Insurance Corporation ( FDIC ) contro una legge sull’assicurazione dei depositi esteri presso le banche USA. Solo questo dovrebbe bastare a far capire che per salvare il proprio capitale, durante queste continue guerre valutarie, profondamente immorali, architettate dai banchieri centrali, bisogna convertire i soldi di carta in oro e argento fisico. In realtà, abbiamo già scritto sulle guerre delle valute emergenti già più di 3 anni fa, nell’ articolo “Per la serie del Poker Mondiale, ci giochiamo tutto il debito sovrano”.

Malgrado il recente consolidamento del prezzo di oro e argento, dopo qualche settimana in cui il prezzo era salito molto rapidamente e le nostre recenti previsioni di una debolezza a breve termine ( cosa che sta avvenendo proprio al momento giusto), appena terminato questo periodo di assestamento, oro e argento riprenderanno la loro corsa verso il rialzo dei prezzi.

Ecco alcuni passi-chiave della prima parte dell’intervista con Mrs. Hudes :

•    Parlando della “porta girevole” sempre aperta per i banchieri-criminali di tutto il mondo :

“Le banche sono tutte interconnesse … c’è un grande conglomerato delle stesse persone… che migrano in gruppi di consiglieri e passano da una banca all’altra.”

•    Parlando dei motivi per cui molti sono ancora ignari delle azioni criminali di queste masse di banchieri :

“I banchieri si sono comprati tutti i mezzi di comunicazione per tenere la gente all’oscuro di quello che fanno … Queste banche centrali non sono altro che truffatori. Non hanno nessun diritto di possedere mezzi di comunicazione né di ingannare la cittadinanza …. “Non dovete credere alle nostre parole, ma dovete solo guardare a quello che possiamo dimostrare”. Questi gruppi privati hanno preso il potere senza averne diritto e lo hanno fatto in gran segreto … Qualcuno che lavorava alla Banca Mondiale si è accorto che i soldi stavano andando nella direzione sbagliata, ha fatto le somme e i conti non tornavano: E’ stato licenziato”.

•    Ma questi banchieri centrali sono preoccupati che i loro infami crimini contro l’umanità stanno venendo alla ribalta nella coscienza di tutti ?

“Abbiamo licenziato tanti banchieri centrali, ma molti altri stanno prendendo coscienza delle loro responsabilità … Un sacco di questi [ banchieri ] comincia a capire che per loro ci sarà una resa dei conti”, perché sempre più cittadini del mondo si stanno accorgando di quello che sono stati davvero i banchieri fino ad oggi, e non sono affatto contenti di quello che stanno scoprendo sul settore bancario.

•    Perché sempre più persone stanno abbandonando la moneta di carta e si orientano verso l’uso di moneta solida per mantenere il valore della loro ricchezza :

“La carta non ha nessun valore intrinseco, lo ha solo se la gente vuole darle un certo valore.
Le valute fiat adesso sono sotto assedio e c’è poco tempo per prepararci a forme alternative di denaro. Se continueremo permanente a rifuggiarci nell’oro, il commercio internazionale si fermerà semplicemente e avremo una depressione mondiale che farà impallidire quella degli anni 1930 mentre quella del 2008 ci sembrerà uno scherzo” .

( Nota del redattore: Non è ironia ma la gente non capisce che Warren Buffet, quello che ha sempre detto che l’oro non ha nessun valore intrinseco, adesso dice che il rialzo dei prezzi dell’oro è un trabocchetto delle banche, mentre il suo braccio destro, Charlie Munger, qualche anno fa dichiarò deliberatamente e con l’inganno che “L’oro è una grande cosa da nascondere sotto i vestiti, come facevano gli ebrei di Vienna nel 1939, ma le persone civili non si comprano l’oro”, assicurandosi in questo modo che tutti i servi della sua multinazionale Berkeshire Hathaway non avrebbero più comprato un grammo di oro fisico, mentre i banchieri continuavano a svalutare precipitosamente tutte le valute fiat con le guerre valutarie che avevano provocato. )

•     Come sono riusciti gli USA a mantenere la propria egemonia sulle organizzazioni bancarie mondiali ?

“Operando nel buio, comprando i media. I cittadini americani stanno scoprendo quello che hanno fatto [ i banchieri degli Stati Uniti ] nel loro nome, e non ne sono felici affatto”.

Inoltre, Mrs. Hudes ha dichiarato che i paesi BRIC si stanno allontanando sempre più dal sistema bancario occidentale di controllo bancario, utilizzando per il loro sistema la differenza netta tra importazioni e esportazioni e decidendo di farla pagare in oro e non in valute fiat, e aggiunge: “di solito quando c’è un passaggio di potere tra paesi, il modo in cui si risolve questo passaggio è una guerra. Ma questo si può fare anche in tempi di pace, se si mettono d’accordo tutte le parti in causa”. Se un cartello bancario occidentale cerca di far valere il peso della propria ricchezza, distruggendo la funzione politica in tutti i paesi del mondo, questa si può definire, in pratica, guerra.

In conclusione, Mrs. Hudes dice che c’è un sacco di gente che lavora nella Banca Mondiale che è ormai disincantata da questo sistema e che sta aiutando a smascherare le malefatte dei maggiori banchieri del mondo. E c’è anche tanta gente che conoscendo questi misfatti, sta cominciando a rifiutare il sistema Central Banking, come concetto, perché solo adesso comincia a comprendere pienamente l’effetto negativo e duraturo che ha avuto con le sue politiche sulle loro vite.

Infine, ecco il link con le denunce presentate da Karen Hudes contro le attività criminali dei banchieri globali.

La seconda parte di questa intervista seguirà la prossima settimana, quando Mrs. Hudes rivelerà che c’è qualcuno nella Forze Armate USA che sta prendendo le distanze dalle guerre-condotte-dai-banchieri e dai politici che fanno lobby per sostenere queste guerre inutili. Poi, nella parte 2, si parlerà anche su quello che ha fatto la Germania per vendicarsi contro gli Stati Uniti per il rifiuto dei banchieri centrali di restituire le loro300 tonnellate d’oro.

J.S. Kim è fondatore e Amministratore Delegato di SmartKnowledgeU, istituto di ricerca e consulenza fieramente indipendente, con focus su strategie di investimento intelligenti e dinamiche con la finalità di evitare la distruzione e l’alienazione di ricchezza e delle guerre valutarie delle banche centrali. @smartknowledgeu

Fonte: http://www.zerohedge.com
Link: http://www.zerohedge.com/contributed/2013-09-11/smartknowledgeu-exclusive-interview-world-bank-whistleblower-karen-hudes-worl
11.09.2013

Traduzione per ComeDonChisciotte.org a cura di Bosque Primario

Fuori dal carcere Paolo e Forgi

http://www.infoaut.org/index.php/blog/no-tavabenicomuni/item/9018-fuori-dal-carcere-paolo-e-forgi

Da: InfoAut.org

forgi_paolo_uscita_carcereFuori dal carcere Forgi e Paolo, rinchiusi da 21 giorni alle Vallette, in seguito al loro arresto mentre si recavano all’iniziativa notav prevista all’interno della settimana di campeggio universitario. Il tribunale del riesame di Torino, dopo l’udienza di ieri, ha disposto per loro i domiciliari nelle rispettive residenze senza restrizioni. I due giovani notav sono da poco usciti dal carcere di Torino e hanno poche ore di tempo per raggiungere le loro abitazioni, a San Mauro Torinese l’uno e a Bergamo l’altro.

Nella giornata di ieri, durante l’udienza del riesame, il pm aveva portato avanti l’impianto accusatorio sostenendo la micidialità dei petardi sequestrati nella macchina su cui erano Forgi e Paolo attraverso una perizia dei consulenti della Procura di Torino. I giudici hanno pertanto disposto nuove misure cautelari nei confronti dei due giovani ma hanno confermato la validità della tesi della Procura che persiste nella costruzione di figure fantomatiche, richiamando alla memoria la parola terrorismo e trovando cavilli specifici che riescano a tenere in piedi la macchina criminalizzatrice di cui Procura e affini si servono per incriminare con ogni mezzo i notav.

Sapere che Paolo e Forgi saranno a casa tra qualche ora è sicuramente una bella notizia, ma significativa è l’irriducibilità della Procura che continua a delineare i suoi lati più ignobili e persistenti nel tentativo di fermare la lotta notav.

Anche per gli atri notav sono cadute le misure cautelari applicate a luglio.

Liberi tutti/e!

Perino: “Stiamo pensando di denunciare la magistratura per stalking

http://www.infoaut.org/index.php/blog/no-tavabenicomuni/item/9011-perino-%E2%80%9Cstiamo-pensando-di-denunciare-la-magistratura-per-stalking

n-ALBERTO-PERINO-large570Manipolazioni, accanimenti giudiziari e mistificazioni sono ormai all’ordine del giorno contro il Movimento Notav: petardi e fuochi d’artificio diventano materiale esplodente, la resistenza popolare di una comunità in lotta contro un’opera inutile viene definita “terrorista”, persino riportare quanto pubblicato dal Cipe, se fatto da un notav, diventa motivo di deuncia da parte della magistratura.

Nell’intervista qui sotto riportata, Alberto Perino del Movimento Notav, partendo da sue alcune considerazioni fatte tramite un suo video ed “erroneamente” riportate dal sito Huffington Post, ci descrive come un clima “incattivito e gonfiato da media e giornalisti” sia diventato strumento per criminalizzare un’intera valle che da 23 anni si oppone con determinazione al Tav.


da Huff Post – Fabio Lepore – “Ma quale minaccia? Quello che ho detto è l’esatto contrario diquanto avete scritto nell’articolo di domenica“. Alberto Perino, uno dei più noti esponenti del Movimento No Tav, contattato dall’HuffPost, vuole fare chiarezza sulle posizioni espresse nel post e nel video pubblicati sul sito di Beppe Grillo. “Il mio intervento è l’espressione della preoccupazione che nutro nei confronti dell’escalation di azioni da parte della Magistratura torinese contro il Movimento No Tav. Non ho detto che avremmo fatto, ma che avremmo subito un autunno caldo, un settembre di fuoco. E tra il fare e il subire c’è una certa differenza. La situazione si è talmente incattivita che stiamo valutando, assieme al nostro team di legali, di denunciare la Magistratura per stalking. Perché di questo si tratta; non è più una situazione normale”.

Una denuncia per stalking nei confronti della Magistratura?
Nelle azioni dei magistrati nei nostri confronti non c’è più una motivazione. Riteniamo che sia un accanimento che va al di là di ogni senso giudiziario. Le faccio subito un esempio: il fatto che abbiano denunciato Mario Cavargna, il presidente di Pro Natura Piemonte, perché ha pubblicato quello che ha scritto il Cipe nella delibera di autorizzazione del cantiere della Maddalena. Il Cipe aveva scritto che c’era il rischio di frana. Bene, Mario Cavargna è stato denunciato per procurato allarme. Ma siamo impazziti? Non ha neanche scritto considerazioni sue: ha riportato dei documenti ufficiali redatti dal Cipe. E lo ha fatto come rappresentante di un’associazione ambientalista. Le associazioni ambientaliste non hanno più diritto di dire che possono esserci dei problemi? Veramente è fuori dal mondo una cosa del genere.

La sua è una preoccupazione condivisa anche da altri attivisti e simpatizzanti. Sono in molti a ripetere, con lei, “mala tempora currunt” e a chiedere che la tensione si stemperi.
C’è un clima incattivito. Se le cose fossero normali, ci sarebbe un normale gioco delle parti. Qui invece si ripetono cattiverie gratuite e atteggiamenti incredibili. Le porto un altro esempio. Tre ragazzi sono stati messi agli arresti domiciliari con l’accusa di aver aggredito una giornalista di Repubblica al termine di una manifestazione. Se si fosse qualificata subito come giornalista nessuno avrebbe avuto niente da dire. Lei invece ha cercato di farsi passare per una manifestante, ma quando i ragazzi hanno capito che non era così (non sapeva neanche distinguere me da un altro storico esponente No Tav, Guido Fissore) le hanno chiesto di vedere cosa stava scrivendo sul suo telefono, pensando fosse della Polizia. Lei comunque dice di essere stata aggredita. E la Magistratura cosa fa? Li arresta. Un provvedimento tanto duro non si prende di solito neanche quando, per un’aggressione, c’è gente che finisce all’ospedale. Non è un clima normale, insomma. Come non è normale che, nel momento in cui questi ragazzi agli arresti domiciliari hanno chiesto di poter andare al lavoro, non viene loro concesso perché potrebbero reiterare il reato. Ma come potrebbero mai reiterarlo? Siamo a un punto di follia incredibile. E tutto questo viene gonfiato dai media e dai giornali.

Ma gli incendi alle attrezzature delle imprese che lavorano al cantiere? Come giustificarli?
Abbiamo fatto due assemblee popolari e nel corso di queste riunioni pubbliche i partecipanti hanno riconosciuto e detto che il sabotaggio, se non colpisce le persone (o meglio, se non colpisce alcun essere vivente), è una pratica assolutamente legittima e non violenta. Sono 23 anni che ci opponiamo a quest’opera. Abbiamo fatto di tutto: marce, digiuni, raccolte firme. Abbiamo fatto tutto quello che di “tranquillo” si poteva fare. Nessuno ci ha dato retta, ma siamo ancora convinti che il Tav è un gigantesco spreco di denaro pubblico, a beneficio esclusivo dei partiti e della mafia. E i proponenti dell’opera non hanno mai accettato un confronto pubblico – e sottolineo pubblico – sulla sua utilità. I nostri sindaci non vengono ascoltati, la Comunità montana neanche, nell’Osservatorio possono entrare soltanto i Comuni che accettano l’opera e che al massimo discutono di compensazioni e come fare qualche miglioria, ammesso che si possa fare. La gente della valle da 23 anni dice “di qui non passerete mai”.

Avete voluto ignorarci? Avete voluto far finta che non esistiamo? Che siamo meno di una colonia? Allora, a questo punto mettiamo in campo altre tecniche di lotta. Nelle due assemblee popolari di cui parlavo, la gente all’unanimità (nessuno si è espresso in modo contrario; e l’ultima assemblea popolare era trasmessa in streaming), ha deciso che l’ultima strada che ci rimaneva era quella del sabotaggio non violento. E non, come sta cercando di dire qualcuno, un tentativo di rovesciare lo Stato oppure un tentativo eversivo nei confronti dello Stato. È un tentativo di fermare un’opera, una grande opera, assolutamente inutile, devastante per le finanze pubbliche e per il territorio. Questo è il nostro obiettivo e il nostro problema. Poi non sappiamo se in questo momento siano stati i No Tav a fare questi assalti o se è stato qualcun altro: nessuno ufficialmente ha rivendicato i sabotaggi, tanto meno il Movimento.

Il fatto però che ci siano stati degli imprenditori, che sono stati portati sul palmo di mano dai media, senza che si andassero a informare su chi erano questi imprenditori, questo lo ritengo grave. Sarebbe bastato fare qualche visura per controllare lo stato di queste imprese. Senza contare che aziende come l’Italcoge, la Geomont e la Martina sono citate nell’informativa che rappresenta l’ossatura principale dell’operazione Minotauro contro le infiltrazioni della ‘ndrangheta in Piemonte. Adesso, improvvisamente, queste persone diventano degli eroi da citare come poveri imprenditori presi di mira dai No Tav? Qui stiamo veramente stravolgendo tutto.

Come proseguirà la protesta, adesso che la talpa sta iniziando a scavare il tunnel geognostico?
Non è vero. Non ha iniziato proprio niente. È ancora lì ferma, a due metri di distanza dal buco. Questa notizia è un’altra trovata propagandistica. Basta andare a vedere il cantiere. La talpa inizierà a bucare quando avrà attorno a sé tutti i giornalisti, per dare uno spettacolo mediatico tipo il raddrizzamento della Concordia. Raschierà i 50 cm che hanno creato loro all’inizio del tunnel, proprio per far vedere alla gente come lavora. E ci saranno tv, giornali, blog… Non sappiamo ancora come proseguirà la protesta. Stasera ad esempio abbiamo il coordinamento dei comitati, discuteremo la situazione che si è venuta a creare e potremmo anche prendere decisioni in merito. Anche perché non è accettabile una situazione in cui tutti ci stanno dando contro, mentendo in modo spudorato. Il tiro al piccione sui No Tav deve finire.

 da notav.info

Grecia. L’inarrestabile crollo dei salari

bella l’Europa, ci sta davvero rendendo tutti eguali….

“Molti giovani che ci mandano il loro curriculum per un posto di lavoro sono molto qualificati. Provo vergogna a leggerli, soprattutto quando si sa che tra queste centinaia di candidati dovremo sceglierne uno solo”. Le confessioni del responsabile del personale di una grande impresa, che ha voluto mantenere l’anonimato, sono sintomatiche.

Non è l’unico a trovarsi in questa situazione. Un giovane laureato del Politecnico di Atene, titolare di un dottorato di ricerca e che ha insegnato per qualche mese in una scuola tecnica, fa la stessa constatazione: “Il mio stipendio era talmente basso che spesso per risparmiare mangiavo in mensa insieme agli studenti”.

Queste due testimonianze proiettano un’immagine molto cruda della realtà dell’attuale mercato del lavoro. Da un lato ci sono dei curriculum molto qualificati, dall’altro una disoccupazione cronica e stipendi molto bassi [il tasso di disoccupazione era del 27,9 per cento nel giugno 2013 rispetto al 24,6 per cento di un anno prima. Particolarmente colpiti sono i giovani e le donne]. Ormai si pensa con nostalgia alla “generazione 700 euro” [nome dato ai giovani laureati all’inizio della crisi nel 2007], visto che gli stipendi attuali sono in genere inferiori (e di molto) ai 700 euro netti.

In realtà oggi possiamo parlare di diverse “generazioni 700 euro”. Non si tratta solo di giovani laureati, ma anche di chi ha 40 0 50 anni e ha perso il proprio lavoro. Queste persone, quando riescono a trovarne un altro, non possono sperare di chiedere più di 700 euro.

In molti casi di primo impiego per un posto non qualificato lo stipendio scende a 300-400 euro
Quattrocento euro in nero. Per ogni annuncio di lavoro c’è un diluvio di curriculum. “Quando viene pubblicato un annuncio si ricevono fino a 600 curriculum in una settimana. Un terzo è inviato da giovani molto qualificati, laureati che conoscono almeno due lingue straniere. Ma a concorrere per lo stesso posto ci sono anche persone più anziane, teoricamente meno qualificate ma che hanno una grande esperienza e competenza. È difficile scegliere”, spiega il responsabile del personale di una società. Ma per ogni neoassunto lo stipendio lordo è di 600 euro. Una somma insufficiente per soddisfare le esigenze di base e del tutto inadeguata al livello di studi. In molti casi di primo impiego per un posto non qualificato lo stipendio scende a 300-400 euro.

Quattrocento euro in nero è quello che guadagnava l’inverno scorso Kostantinos Sp., 27 anni, per otto ore di lavoro in uno studio legale. Laureato in diritto e con un master in Germania, ha avuto grande difficoltà a trovare questo lavoro. “Il contributo sociale è di 150 euro al mese e spendevo 45 euro di abbonamento per i trasporti pubblici. Che cosa mi rimane per vivere? Conosco giovani avvocati che lavorano senza contare le ore, e rimangono in ufficio fino a mezzanotte per guadagnare 600 o 800 euro al mese. Guadagnano meno di un operaio non specializzato. Purtroppo lo statuto di dipendente non è stato riconosciuto per i giovani avvocati”.
Solo complimenti
“Quando mando dei curriculum ricevo spesso delle risposte molto positive: ‘Un curriculum incredibile, un dottorato, delle pubblicazioni, complimenti’. Ma nessuna proposta di lavoro”, dice P. K., 30 anni, laureato in ingegneria elettronica al Politecnico. Ha lavorato l’anno scorso come insegnante alla Scuola di alti studi tecnici e poi al secondo semestre ha avuto un part time alla Scuola tecnica di Chalkida [a nord di Atene]. Il suo stipendio? Rispettivamente 700 e 300 euro. “È impossibile vivere, soprattutto per noi tecnici che abbiamo un’assicurazione più cara. La maggior parte dei miei colleghi è già andata all’estero”.

Georgia, 36 anni, è laureata all’Università agricola, ha un master del Politecnico e conosce perfettamente tre lingue straniere. La sua dichiarazione dei redditi indica un introito di 5mila euro l’anno. “Ed è vero”, afferma la donna, “perché per essere pagata devo fatturare, ho le prove. Ma come posso vivere con un reddito del genere?”

I posti di lavoro sono scomparsi, gli stipendi continuano a diminuire
I posti di lavoro sono scomparsi, gli stipendi continuano a diminuire. Il risultato è che “qualche anno fa guadagnavo fra 1.200 e 1.400 euro al mese, mentre negli ultimi anni il mio stipendio è sceso a 800 euro. Visti i miei studi e tenuto conto della tecnologia che utilizzo dovrei essere pagata molto di più, ma dove trovare questi soldi?”

Purtroppo la realtà dello stipendio minimo non riguarda solo i giovani ma anche un numero maggiore di persone più anziane. P. S., che ha lavorato per diversi anni nel campo della stampa, guadagnava circa 1.500 euro al mese. Dopo essere stato licenziato è rimasto un anno e mezzo disoccupato. Oggi ha trovato un lavoro a 650 euro lordi.

I Kathimerini ( http://www.presseurop.eu/it/content/source-profile/798-i-kathimerini ) Atene

Fonte: www.presseurop.eu
Link http://www.presseurop.eu/it/content/article/4158181-l-inarrestabile-crollo-dei-salari
19.09.2013

Traduzione di Andrea De Ritis

Cinque bugie inventate per orientare il rapporto dell’ONU sull’attacco con armi chimiche in Siria

di Tony Cartalucci – 18/09/2013

 Fonte: aurorasito

 Come previsto giorni prima che la relazione sulle armi chimiche siriane delle Nazioni Unite fosse pubblicata, l’occidente ha iniziato a manipolarne i risultati per sostenere la propria vacillante storia riguardante i presunti attacchi con armi chimiche del 21 agosto 2013, a Damasco orientale, Siria. L’obiettivo, naturalmente, è continuare a demonizzare il governo siriano e contemporaneamente sabotare il recente accordo siriano-russo per far controllare e disarmare le scorte di armi chimiche della Siria da parte di osservatori indipendenti.

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Una raffica di titoli sospetti ha tentato di collegare, nella mente dei lettori disattenti, la “conferma” delle Nazioni Unite sull’uso in Siria di armi chimiche e le pretese occidentali che sia stata opera del governo siriano. Inoltre, i governi statunitense, inglese e francese hanno rapidamente stilato una lista di balle volte a fare presentare il rapporto delle Nazioni Unite come favorevole alle loro accuse infondate contro il governo siriano. L’articolo della BBC, “Stati Uniti e Gran Bretagna indicano che il rapporto delle Nazioni Unite ‘incolpa la Siria’“, ancora una volta afferma inequivocabilmente ciò: “Il rapporto delle Nazioni Unite non attribuisce la colpa dell’attacco, non facendo parte del suo mandato”. Tuttavia ciò non ha impedito al ministro degli Esteri inglese William Hague dal sostenere: “Dalla ricchezza di dettagli tecnici nella relazione, anche sulla portata dell’attacco, la coerenza dei risultati dei test dei campioni nei laboratori indipendenti, le dichiarazioni dei testimoni e le informazioni sulle munizioni utilizzate e le loro traiettorie, è del tutto evidente che il regime siriano sia l’unico che avrebbe potuto esserne responsabile”. E l’ambasciatrice statunitense all’ONU Samantha Power ha dichiarato: “I dettagli tecnici del rapporto delle Nazioni Unite evidenziano che solo il regime avrebbe effettuato questo attacco con armi chimiche su grande scala”. Il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius avrebbe detto: “Quando si guardano i risultati con attenzione, le quantità di gas tossico utilizzate, la complessità delle miscele, la natura e la traiettoria dei vettori, non c’è alcun dubbio sull’origine dell’attacco”. Il Washington Post è andato oltre, e forse stupidamente, ha dato una spiegazione dettagliata di ogni montatura che l’occidente usa per strumentalizzare l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite. In un articolo intitolato “Il rapporto delle Nazioni Unite sulle armi chimiche è abbastanza schiacciante per Assad“, dove 5 punti vengono usati per motivare perché il rapporto delle Nazioni Unite “accusi” il governo siriano.

 Le 5 bugie

Bugia n°1. Le armi chimiche, consegnate assieme alle munizioni, non sono state utilizzate dai ribelli: questa affermazione fa anche riferimento al “Syria watcher” Eliot Higgins, noto come “Brown Moses“, osservatore, seduto in una poltrona nel Regno Unito, della crisi siriana, che documenta le armi utilizzate nel conflitto sul suo blog. Mentre Higgins spiega che questi razzi, che hanno un calibro particolarmente grande (140 millimetri e 330 millimetri), non sono stati visti (da lui) nelle mani dei terroristi che operano all’interno e lungo i confini della Siria, vecchi suoi post mostrano razzi simili, ma più piccoli, certamente in costruzione e in azione nelle mani dei militanti. Il Washington Post sostiene che in qualche modo questi razzi più grandi richiedano una “tecnologia” cui i militanti non hanno accesso. Questo è decisamente falso. Un razzo viene lanciato da un semplice tubo, ed ai terroristi basterebbe la semplice tecnologia aggiuntiva per i razzi più grandi, quale un camion per montare il tutto. Per un fronte armato che schiera carri armati rubati, trovare un camion su cui montare tubi di metallo di grandi dimensioni sembrerebbe un compito piuttosto elementare, soprattutto se per effettuare un attacco simulato tale da giustificare l’intervento straniero e salvarne la vacillante offensiva.

Bugia n°2. Il sarin è stato lanciato da una zona controllata dal regime. Il Washington Post sostiene che: “La relazione conclude che i proiettili provenivano da nord-ovest del quartiere mirato. Quella zona era ed è controllata da forze del regime siriano ed è terribilmente vicina a una base militare siriana. Se i proiettili fossero stati sparati dai ribelli, probabilmente sarebbero giunti da sud-est, in mano ai ribelli”. Ciò che il Washington Post non cita sono i “limiti” che la stessa squadra dell’ONU ha indicato sulla credibilità delle proprie scoperte, a pagina 18 del rapporto (22 del .pdf), le Nazioni Unite dichiarano: “Il tempo necessario per condurre un’indagine dettagliata su entrambe le posizioni, nonché prelevare campioni, era molto limitato. I siti sono stati visitati da altri individui, sia prima che durante l’inchiesta. Frammenti e altre possibili prove sono stati chiaramente manipolati e spostati prima dell’arrivo della squadra investigativa”. Va inoltre notato che i militanti ancora controllano la zona dopo il presunto attacco e fino all’inchiesta del personale dell’ONU. La manomissione o l’inserimento di prove sarebbero stati effettuati da amici dell’”opposizione”, e sicuramente il governo siriano non punterebbe dei razzi in direzioni che potrebbero implicarlo.

Bugia n°3. L’analisi chimica suggerisce che il sarin probabilmente era parte di un rifornimento controllato, il Washington Post afferma: “Gli investigatori delle Nazioni Unite hanno analizzato 30 campioni, trovando che contenevano non solo sarin, ma anche “prodotti chimici rilevanti, come stabilizzatori.” Questo suggerisce che le armi chimiche sono state prese da un deposito controllato, dove avrebbero potuto essere trasformate per l’impiego da parte di truppe addestrate al loro uso. Solo, per effettuare un attacco sarebbe anche necessario utilizzare agenti chimici stabilizzati e personale addestrato al loro uso”. Dai depositi saccheggiati in Libia, alle armi chimiche segretamente trasferite da Stati Uniti, Regno Unito o Israele, attraverso l’Arabia Saudita o il Qatar, non vi è scarsità di fonti possibili. Per quanto riguarda i “ribelli” privi del necessario addestramento nell’usare armi chimiche, la politica degli Stati Uniti ha fatto in modo che non solo ricevessero l’addestramento necessario, ma aziende della difesa occidentali, specializzate nella guerra chimica, avrebbero affiancato i militanti in Siria. La CNN ha riferito, nel suo articolo del 2012 “Fonti: gli USA addestrano i ribelli siriani nella sicurezza delle armi chimiche“, che: “Gli Stati Uniti e alcuni alleati europei usano aziende della difesa private per addestrare i ribelli siriani su come proteggere le scorte di armi chimiche in Siria, hanno detto alla CNN un alto funzionario degli Stati Uniti e diversi diplomatici di alto livello. L’addestramento, che si svolge in Giordania e in Turchia, comprende come monitorare e proteggere le scorte, e gestire siti e materiali bellici, secondo le fonti. Alcuni contractor sono in Siria per collaborare con i ribelli nel monitorare alcuni dei siti, secondo uno dei funzionari”.

Bugia n°4. Caratteri cirillici sui proiettili, il Washington Post afferma: “Lettere russe sui proiettili di artiglieria suggeriscono fortemente che siano di fabbricazione russa. La Russia è un importante fornitore di armi del governo siriano, naturalmente, ma non al punto di rifornire direttamente o indirettamente di armi i ribelli”. La logica del Washington Post non vale una cicca. I terroristi che operano in Siria possiedono fucili e perfino carri armati di origine russa, rubati o acquisiti attraverso una vasta rete di trafficanti di armi costruita dalla NATO e dai suoi alleati regionali, per perpetuare il conflitto. Inoltre, inscenando gli attacchi, i terroristi e i loro sostenitori occidentali, in particolare gli attacchi la cui ricaduta dovrebbe suscitare un profondo cambiamento geopolitico a favore dell’occidente, avrebbero speso del tempo per far sembrare che l’attacco fosse opera del governo della Siria. L’uso di armi chimiche da parte di militanti contro una posizione di altri militanti, costituirebbe un attacco sotto “falsa bandiera” e ovviamente ciò richiederebbe una sorta di segno o prova incriminante sulle armi usate nel bombardamento.

Bugia n°5. Le osservazioni del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla relazione, il Washington Post ammette l’esiguità di questo ultimo punto, affermando: “Questo è forse il caso più circostanziale di tutti, ma è difficile ignorare il chiaro sottinteso della conferenza del Segretario Generale Ban Ki-moon nel discutere il rapporto...” Il Washington Post, e gli interessi che guidano il suo comitato di redazione, non riuscivano nemmeno a produrre cinque argomentazioni ragionevolmente convincenti sul perché il rapporto delle Nazioni Unite implichi, in qualche modo, il governo siriano, così mettendo in dubbio le affermazioni relative alla “ricchezza di dettagli tecnici” che accuserebbe il Presidente Bashar al-Assad. Il rapporto delle Nazioni Unite conferma che sono state utilizzate armi chimiche, un punto che non è contestato dalle parti in conflitto, né prima nè dopo che l’inchiesta delle Nazioni Unite avesse inizio. Ciò che l’occidente cerca di fare ora è sfruttare la propria narrativa della relazione e, ancora una volta, creare una giustificazione infondata per continuare la guerra contro la Siria, sia come elemento di una politica estera ufficiale che coperta.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

 

Tante altre notizie su www.ariannaeditrice.it

Usa vietano sorvolo Maduro su Porto Rico

Stop anche a visti. Venezuela non esclude ‘misure diplomatiche’
20 settembre,

Usa vietano sorvolo Maduro su Porto Rico (ANSA) – CARACAS, 20 SET – Gli Stati Uniti hanno rifiutato al presidente venezuelano Nicolas Maduro il permesso di sorvolare il territorio di Porto Rico in occasione del suo viaggio in Cina, previsto per domani.Maduro lo ha definito un atto “grave” e ha minacciato “misure diplomatiche”. Gli Usa, a suo dire, avrebbero anche negato i visti ad una delegazione venezuelana all’ Onu. Dura presa di posizione del presidente della Bolivia Evo Morales, per cui la decisione di Washington rappresenta un ”delitto di lesa umanità”.
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2013/09/20/Usa-vietano-sorvolo-Maduro-Porto-Rico_9329797.html

SIRIA: IL VELENO NELLA CODA. IL RAPPORTO DEGLI ISPETTORI ONU SUL GAS A GHOUTA

Data: Giovedì, 19 settembre

 DI FRANCESCO SANTOIANNI
francescosantoianni.it

E che volete di più? Il Rapporto dell’ONU parla chiaro: hanno trovato il Sarin. E pure i missili con caratteri cirillici. E pure la traiettoria dei missili suggerisce il punto di lancio: una postazione di Assad. Quindi, il colpevole (anche se questo Rapporto per “statuto” non poteva indicarlo) è l’infame Assad che, nella “immane strage di Goutha”, ha ucciso centinaia e centinaia di persone. A proposito, dove stanno i loro corpi? Beh, quelli gli Ispettori dell’ONU non li hanno trovati. Anzi, non li hanno nemmeno cercati. Nonostante la, certamente disinteressata, collaborazione dei “ribelli” che li aiutavano nell’indagine sul campo.

Una indagine sbalorditiva questa dell’ONU. Che si direbbe volutamente sciatta, ambigua, fatta per prendere tempo. E permettere agli aggressori della Siria (dopo la loro debacle diplomatica) di tenere in caldo l’opinione pubblica, per quando (Rambouillet insegna) sarà chiesto al governo di Damasco –magari con qualche inaspettata clausola al programma di dismissione delle armi chimiche – di mettere la testa nel capestro. E scatenare la guerra.
Ma diamo una scorsa al Rapporto ONU reso pubblico il 16 settembre. Su quali fonti si basa? L’elenco è lungo: “testimoni”, (chi? presentati da chi?), “immagini” (quali? riprese da chi?), “video” (quali?, ripresi da chi?) “audio” (quali?, registrati da chi?) “cartelle cliniche” (compilate da chi?)… Il Rapporto non rivela le fonti; assicurando, comunque, che il tutto è stato depositato in qualche archivio delle Nazioni Unite. Con queste premesse, non potendo analizzare alcuna documentazione acquisita dalla Commissione di indagine, non resta che affidarsi al racconto degli Ispettori ONU.

“Il 26 agosto, la missione ha visitato Moadamiyah di West Ghouta per due ore. Il 28-29 agosto la missione ha visitato Zamalka e Ein Tarma di East Ghouta per un tempo totale di cinque ore e mezzo. Nonostante i limiti di tempo imposti, e ripetute minacce di danni, tra cui un attacco al convoglio da un cecchino non identificato il 26 agosto, la missione è stata comunque in grado di raccogliere una notevole quantità di informazioni e di raccogliere la quantità necessaria di campioni.” (Paragrafo 18, pag. 3). “Notevole quantità di informazioni” raccolte in sette ore e mezza. Anche con le interviste ai nove infermieri, sette medici curanti, e 28 testimoni oculari (pag. 16)? Speriamo di no, perché se così fosse, ci sarebbe da dubitare del valore di queste interviste.

Tra l’altro, oltre all’attendibilità delle testimonianze raccolte, la stessa accuratezza delle indagini in generale (caratterizzate da una solerzia che è possibile osservare qui, qui e qui) meriterebbe una valutazione. Il punto 6 (pag. 2) del Rapporto riferisce che “la missione ha visitato Moadamiyah il 26 agosto 2013 e Ein Tarma e Zamalka il 28-29 agosto. Durante le sue visite in loco, la Missione delle Nazioni Unite ha condotto le seguenti attività: interviste con i sopravvissuti e altri testimoni; documentazione delle munizioni e dei loro sub – componenti; prelievo di campioni ambientali per analisi successive; valutazione dei sintomi di sopravvissuti; raccolta dei capelli, urina e sangue campioni per successive analisi.” Ma di quante persone era composta la squadra degli Ispettori ONU per potere svolgere tutte queste funzioni in sette ore e mezza? Il Rapporto non lo dice ma crediamo non dovessero essere poi tante, considerato che entravano tutte in sei autovetture partite da Damasco. Altrettanto importante, poi, è un’altra domanda: chi aveva organizzato le verifiche sul terreno degli Ispettori? Chi diceva ad essi dove andare a cercare, dove guardare, quali campioni raccogliere, quali testimoni sentire? Il Rapporto (Appendice 3, pag. 10) lo spiega: “Un leader delle forze di opposizione locali – che è stato ritenuto preminente nella zona da visitare – è stato identificato e ha chiesto di prendere la ‘custodia’ della missione. Punto di contatto all’interno dell’opposizione, è stato utilizzato per garantire la sicurezza e il movimento della missione, per facilitare l’accesso ai casi/testimoni più critici da intervistare (…) dando così modo alla missione di concentrarsi sulle sue attività principali.”

Un ottimo punto di partenza per garantire l’affidabilità dell’inchiesta!

Ma occupiamoci del Sarin, che alcuni laboratori – assicura il Rapporto – hanno rintracciato sia nel sangue e nelle urine di alcuni sopravissuti e sia in campioni di terreno e oggetti vari nell’area di Ghouta. Intanto una premessa. Il Sarin uccide con dosi infinitesimali (DL 50 i.p. per la cavia di 0,4 mg/Kg): una microgocciolina sulla pelle e via. Questo significa che nei sopravvissuti devono essere rintracciate dosi ancora più piccole. I pochi studi non coperti da segreto militare attestano che la valutazione del basso livello d’attività delle pseudocolinesterasi circolanti eritrocitarie (nei globuli rossi) può fornire una qualche indicazione sulla presenza di Sarin solo a condizione che questa analisi venga fatta tempestivamente.

Ovviamente non sappiamo se i laboratori utilizzati dall’ONU abbiano usato una qualche tecnica diagnostica solo da essi conosciuta; ma ci domandiamo perché mai, invece di ineffabili analisi su campioni di urine e sangue, prelevati dopo almeno una settimana dalla presunta esposizione, l’indagine non sia stata effettuata sui corpi (ed eventualmente, anche sui vestiti) delle persone uccise da Sarin, nei quali – essendo assente lo smaltimento metabolico – le tracce di Sarin avrebbero potuto essere evidenti.

Una domanda senza risposta, in quanto i protocolli di analisi (Appendice 2, pag. 8 del Rapporto) sono segreti e restano pure secretati in qualche cassaforte dell’ONU i dati delle analisi. In mancanza di questi, non resta che affidarsi alla buona fede dei membri della Commissione dell’ONU e dei suoi collaboratori. Stessa rassegnazione per quanto riguarda il Sarin che sarebbe stato rintracciato su campioni di terra indicati agli Ispettori dell’ONU dai, certamente obbiettivi e scrupolosi, capi di ribelli che li accompagnavano.

Ancora più sospetta è la pretesa degli Ispettori di identificare il Sarin dai sintomi dei sopravvissuti; sintomi, si badi bene, che il Rapporto non specifica se fossero ancora presenti al momento dell’anamnesi o se fossero solo rievocati dai sopravvissuti. Ma quali sintomi? Il Rapporto delle Nazioni Unite elenca (a pag. 13) i sintomi che si manifestano nei sopravvissuti da attacchi da Sarin: difficoltà respiratorie, visione sfocata, irritazioni negli occhi, miosi, perdita di conoscenza, convulsioni, vomito. Tutti tranne uno, riportato in qualsiasi manuale di Difesa civile o pubblicazione scientifica: la perdita di controllo dell’intestino e della vescica e, quindi, fuoriuscita incontrollata di feci e di urina. Senza questo ultimo sintomo, (dettato dalla inibizione dell’enzima colinesterasi, che idrolizza il neurotrasmettitore acetilcolina) e assolutamente assente nei 36 sopravissuti esaminati dagli Ispettori dell’ONU il quadro clinico può essere fatto risalire a qualsiasi gas. Non a caso, questo sintomo risulta assente nei pur numerosissimi video prodotti dai “ribelli” che pretenderebbero di documentare vittime di gas Sarin.

E pure un altro sintomo – tipico del Sarin – risultava assente in questi video: la miosi e cioè il restringimento della pupilla. Fino a qualche giorno fa, quando un video diffuso dalla CNN mostrò – finalmente! – al mondo la famosa miosi. Sarin? No, inoculazione di un collirio a base di Pilocarpina, (comunemente utilizzato per il controllo del glaucoma). Fosse stato Sarin, l’occhio e la palpebra, con lo scompaginamento del sistema nervoso indotto dal gas, non avrebbero potuto avere quei movimenti registrati nel video. Movimenti che, ovviamente, non si possono cogliere nella foto che troneggia a pag. 14 del Rapporto. E l’eventuale video di questa “prova” resta secretato in qualche cassaforte dell’ONU. Non ci resta, perciò, da chiederci come mai questo “classico” sintomo dell’esposizione a gas organofosforici, quale il Sarin, sia presente (pag. 13 del Rapporto) soltanto nel 14 per cento dei “sopravvissuti” analizzati dagli Ispettori dell’ONU.

Poi c’è la faccenda dei missili. Missili. Non già proiettili di artiglieria caricati di gas come quelli usati dai “ribelli” e da essi propagandato in questo video. Missili. Che devono, necessariamente essere lanciati o da apposite postazioni lanciamissili (che, pare, i “ribelli”, non abbiano ancora) o da aerei. Missili con incise lettere in alfabeto cirillico (diligentemente fotografate a pag. 19 del Rapporto). Missili di Assad, quindi. Missili, come abbiamo visto, fatti ritrovare agli Ispettori dell’ONU dai “ribelli”.

La faccenda dei missili, quindi, potrebbe chiudersi qui. Se non fosse per la curiosità di scoprire cosa ci abbiano ricamato sopra gli Ispettori dell’ONU. Cinque pagine (da 18 a 23) nelle quali, utilizzando reperti e presunte tracce di crateri di impatto, si pretende di dimostrare l’azimut e la traiettoria di alcuni missili. Cinque pagine che si direbbero messe lì a rimpolpare una relazione desolatamente carente se non fosse per annotazioni (pag. 22) davvero gustose: “Durante il tempo trascorso in questi luoghi, alcuni individui sono arrivati portandoci altre munizioni”. La Relazione, saggiamente, fa notare nella frase successiva, che questo potrebbe essere un eventuale tentativo di inquinare le prove. Peccato che non si sia chiesta anche come facessero i volenterosi collaboratori a maneggiare missili già carichi di Sarin continuando a restare vivi. E, visto che c’erano, gli Ispettori potevano pure domandare ai ribelli, che li hanno immortalati nei loro video diffusi in Rete, come facevano a restare vivi i “soccorritori” che trasportavano a braccia le “vittime da Sarin”.

Un’altra perla quando la Relazione (punto 22, pg. 4) pretende di attestare la volontà di compiere una colossale strage con missili e gas sfruttando la particolare ora dell’attacco. “La mattina del 21 agosto mostra un calo di temperatura tra le 02,00 e le 05, 00 del mattino; questo significa che l’aria non si muove dal basso verso l’alto, ma piuttosto il contrario. In caso di attacco chimico tali condizioni meteorologiche massimizzano il potenziale impatto del gas che, essendo più pesante dell’aria, può rimanere vicino al suolo e penetrare in livelli più bassi di edifici e costruzioni dove molte persone erano alla ricerca di un riparo.”

D’accordo, per il calo di temperatura che, comunque, si manifesta in tutti i giorni dell’anno. Di meno, sull’efficacia di un attacco con i gas di notte, quando le persone sono in parte protette dalle mura domestiche. Per niente, sulla scelta di uccidere persone che si andrebbero a rifugiare ai piani bassi e in cantina, anche perché non si vede proprio – con un gas inodore e immediatamente paralizzante quale il Sarin – come avrebbero potuto allarmarsi e avere il tempo di rifugiarsi ai piani bassi e in cantina. Ma, visto che si insiste tanto sulle questioni atmosferiche, forse sarebbe stato il caso citare, nella Relazione, anche i venti che spiravano, da giorni, nella zona di Goutha e che, oltre a ridurre l’efficacia del gas, lo avrebbero indirizzato nel centro di Damasco. Roccaforte dell’infame Assad.

Concludiamo rispondendo ad una argomentazione che sta serpeggiando sui media mainstream, per venire incontro ai tanti che già si stanno lamentando per la vacuità dei contenuti del Rapporto dell’ONU. E cioè, che questa indagine sarebbe stata caratterizzata da superficialità e approssimazione per colpa del regine di Assad che, fino alla fine, avrebbe ostacolato l’ingresso degli Ispettori dell’ONU nell’area di Ghouta per permettere ai suoi sgherri di far sparire le prove. Non è così. Ispettori dell’ONU stavano già in Siria, invitati dal governo di Assad, per investigare su tutta una serie di attacchi chimici effettuati, con ogni evidenza, dai “ribelli”. E quando la notizia della “immane strage di Ghouta”, certificata da un davvero incauto comunicato di Médecins sans frontières (“355 morti, 3600 ricoverati”) ha fatto il giro del mondo, il governo di Damasco non ha esitato un secondo a chiedere agli ispettori dell’ONU di andare a Ghouta. A Ghouta, dove, con ogni evidenza, un ridotto numero di persone è rimasto ucciso, non già da un attacco con missili al Sarin, ma da gas sprigionatosi da un tunnel nel quale i “ribelli” costruivano i loro artigianali ordigni chimici. E questa verità è attestata – non già da autorevoli Rapporti ufficiali che rimandano a “documentazioni” destinate a restare segrete – ma dalle già decine e decine di interviste a viso aperto, video, foto, analisi e articoli che chiunque può leggere sul web (ad esempio, su questo sito).

Se, invece, qualcuno, vuole continuare a schiumare di rabbia contro la “diplomazia” e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU” che impediscono di dare la giusta lezione a quella canaglia di Assad (anzi “Gas-add”, come già suggeriscono innumerevoli pagine Facebook) non ha che da credere al Rapporto dell’ONU e pregustarsi la prossima guerra.

Francesco Santoianni
Fonte: www.francescosantoianni.it
Link: http://www.francescosantoianni.it/wordpress/?p=1048
19.09.2013