Giappone: Fukushima fuori uso, la nazione minacciata dall’interruzione della corrente

Giovedì, 19 Settembre 2013 09:10

TOKYO (IRIB) – Una lettera del governo giapponese indirizzata agli Stati Uniti spiega che la nazione asiatica e’ alla vigilia di un collasso elettrico senza precedenti.

Dopo l’uscita dalla rete della centrale di Fukushima, ora la terza grande economia del mondo potrebbe avere a che fare con lunghe interruzioni di energia elettrica. Il gas di riserva per produrre elettricità in più, spiega il governo di Tokyo, basta solo per due, al massimo tre settimane. Agli Usa vengono chiesti rifornimenti di combustibile per poter fare fronte al problema.

http://italian.irib.ir/featured/item/131798-giappone-fukushima-fuori-uso,-la-nazione-minacciata-dall-interruzione-della-corrente

Padova: si uccide dopo aver comunicato ai dipendenti la chiusura dell’azienda

17 Settembre 2013
di ALTRE FONTI

PADOVA – Tragedia della crisi oggi nel padovano, a Piove di Sacco: l’imprenditore 57enne Maurizio Bertin, titolare della 3B di Sant’Angelo, si è ucciso oggi pomeriggio legandosi un cavo elettrico al collo nella sede della sua azienda.

Poco prima di compiere il gesto, prima della pausa pranzo, aveva riunito i dipendenti annunciando di essere costretto a chiudere a causa della mancanza di lavoro e delle troppe imposte da pagare.

L’uomo era titolare di un’azienda che produce ruote per biciclette. Il suo corpo senza vita è stato ritrovato intorno alle 14, appeso ad un ramo di un albero del giardino. Inutili i tentativi di rianimarlo dei medici del 118.

www.gazzettino.it

IL DESTINO CHE ATTENDE L’ITALIA

di Paolo Cardenà – Mentre stanno andando in onda, a reti unificate,  le celebrazioni per i successi riportati  all’Isola del Giglio, dove la Costa Concordia è stata fatta riemergere dai fondali marini, con tutto il rispetto dovuto alle vittime di quella grande tragedia, c’è un’altra  grande nave che sta andando letteralmente a fondo: è ‘Italia.

E in questo caso,  siatene certi, i danni saranno benmaggiori.

Nelle settimane scorse abbiamo assistito alproliferare di fantasie, secondo le quali la crisi sarebbe ormai alle spalle. Aparte il fatto che questi deliri  sembrano smentiti anche dai numeri chele varie istituzioni internazionale hanno diffuso nei giorni scorsi, secondo leindiscrezioni che si apprendono dalla stampa, sembrerebbe che il DEF, diprossima pubblicazione, indichi, per il 2014,  un rapporto DEBITO/PIL al132.20%

 Al riguardo, facciamo alcune semplici considerazioni.

 1) La strada è segnata e il cammino è scritto. Nel senso che stiamo marciando speditamente verso uno scenario di tipo greco per quel che riguarda il debito pubblico; e verso uno scenario di tipo cipriota per quel che riguarda la gestione delle crisi bancarie che, prima o poi, è molto probabile che si verificheranno.

 2) Ricondurre la traiettoria del debito verso un percorso di sostenibilità è assai difficile (se non impossibile), poiché, questo, si sta alimentando in maniera inerziale. Soprattutto in assenza di crescita robusta e di lungo periodo, che  rischia di appare solamente nel libro dei sogni.

 3) Il punto 2) è tanto più vero se si considera che, eccettuati gli ultimi 5 anni -nei quali l’Italia ha collezionato numeri degni di un vero e proprio disastro tipico di un bombardamento bellico-, nei precedenti 10 anni o forse più, nonostante condizioni macroeconomiche estremamente favorevoli a livello planetario e credito in abbondanza senza precedenti, l’Italia è cresciuta molto meno rispetto ai partner europei. Di certo non in sintonia con le proprie necessità e con l’ampiezza del debito pubblico, cresciuto, dal 2000 in poi, di oltre 700 miliardi di euro ( di cui 170 nell’ultimo anno e mezzo). E’  chiaro che al disastro di questa performance, non si è contrapposta una crescita adeguata del PIL, tale da comprimere il rapporto debito/PIL,confinandolo  entro livelli meno allarmanti di quelli attuali. Infatti, se analizzassimo l’intero periodo, potremmo osservare che, eccezion fatta per gli anni 2004 e 2007 – nei quali il rapporto è stato di circa il 103%- in tutti gli altri è stato ben superiore, con l’esplosione avvenuta dall’anno 2008, fino a giungere agli attuali livelli che lo indicano al 130%. Inutile argomentare sul fatto  che,  l’esplosione del debito e conseguentemente del rapporto rispetto al PIL, è dovuta alla crisi in atto. E’ evidente.

 4) Compreso il punto 3), giova segnalare che, nel periodo considerato (ossia dal 2000 fino al 2008 e anche oltre) la base produttiva del paese, la vera generatrice di ricchezza, era molto più solida, vigorosa e dinamica rispetto a quanto lo sia allo stato attuale. La disoccupazione, per quanto alta, non è si mai attestata ai livelli allarmanti di oggi; peraltro con probabile tendenza ad un ulteriore peggioramento. I redditi reali erano ben più alti di quelli attuali e, conseguentemente, anche la capacita di spesa dei cittadini era ben più alta. Maggiori spese equivalgono  a un maggior PIL. Quindi, a parità di aliquote, anche maggiori entrate per lo stato. Le imprese producevano e macinavano utili. Il settore immobiliare, proprio grazie all’espansione creditizia di quel periodo, era anch’esso in espansione  e era in forte crescita. Per non dimenticare poi che, la pressione fiscale, benché comunque alta, non aveva mai raggiunto i livelli attuali che oltrepassano di molto ogni limite tollerabile. Livelli come quelli attuali rendono inutile produrre e imprendere. Potremmo agevolmente definire quegli anni, un periodo di vacche grasse. Nulla a che vedere con la stato attuale  delle cose, e con ciò che ci attende nei prossimi mesi o anni.

 5) Chiarito il punto 4) emerge che l’Italia, negli ultimi anni, ha perso una parte significativa del tessuto produttivo che, come noto, oltre ad essere generatore di ricchezza, è anche generatore di benessere sociale. Questo, prima di poter essere ricostituito -cosa che comunque avviene in anni e non in mesi-necessita quantomeno di condizioni migliori, e comunque esige la rimozione di tutte quelle criticità strutturali che ne hanno determinato la scomparsa. E qui la lista è tanto lunga al punto che si potrebbe andare avanti per giorni. Tutto ciò è stato reiteratamente discusso in questo sito.

 6) Pensare che l’Italia, in queste condizioni, senza che alcuna riforma concreta sia stata compiuta, possa agganciare qualche astratta   ripresa che si dovesse presentare,  e che possa farlo creando le condizioni per riassorbire in tempi solleciti qualche milione di disoccupati in più rispetto a quel periodo di vacche grasse, generando così le condizioni per una nuova fase virtuosa e di benessere, è semplicemente delirante, oltre che criminale. E’ delirante per i motivi chiariti nei punti precedenti e in numerosi articoli ospitati in questo sito. E’ criminale perché tende ad offrire , ad un numero elevato di persone che cercano lavoro e che ballano quotidianamente con la povertà, l’illusione che tra qualche mese potranno essere riassorbite nel mondo del lavoro. Così non sarà.

  7) Cosa accadrà? Difficile dirlo. Ma alla stato attuale, lo scenario più plausibile è che, con ogni probabilità, l’Italia, con tutto ciò che ne deriverebbe, dovrà fare ricorso al fondo salva stati che,congiuntamente alla BCE, acquisterà i titoli di stato. Magari, è oltre tutto probabile che l’Italia accompagnerà la richiesta di aiuti con qualche patrimoniale in grande stile che, verosimilmente, si abbatterà sui soliti noti.

  L’intervento della BCE e del fondo salva stati presupporrà un’ulteriore cessione di sovranità nazionale,mentre l’intervento della Troika imporrà misure di austerity ancor più invasive, e distruttive. In altre parole, assisteremo alla più grande rapina della storia umana, poiché le ricchezze di ogni individuo, nelle diverse forme possedute, o diminuiranno di valore (nel caso di immobili o di altri asset), o saranno destinate ad essere confiscate, nelle forme più fantasiose possibili,transitando nelle casse delle stato per poi finire in quelle dei creditori: banche, istituzioni finanziarie.

 8) L’impoverimento sarò generalizzato e verrà aggravato da una desertificazione impetuosa del tessuto industriale che indurrà un numero crescente di individui, soprattutto giovani, a cercare sopravvivenza altrove. Meno individui che lavorano in Italia, significa minori redditi spesi in loco e quindi ulteriore crollo di domanda interna, ulteriore contrazione del PIL e ulteriore crollo delle entrate tributarie. Conseguentemente diventerà impossibile sostenere la spesa pensionistica, la spesa sociale, e più in generale la spesa statale.

 9) A quel punto, quando saranno rimaste ceneri e macerie, i governanti diranno che l’Italia è in bancarotta.

 FINE

 ECCO COME IL FISCO DISTRUGGE LE IMPRESE

VOLETE APRIRE UN’IMPRESA IN ITALIA? SIETE FOTTUTI IN PARTENZA

L’ITALIA E’ IN BANCAROTTA

LA TRILOGIA DELLA PATRIMONIALE

 Pubblicato daPaolo Cardenà

http://www.vincitorievinti.com/2013/09/il-destino-che-attende-litalia.html

No Tav: gli infiltrati del caos

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/no-tav-gli-infiltrati-del-caos/2215382

di Lirio Abbate e Tommaso Cerno

Un centinaio di insurrezionalisti a cui non interessa nulla della protesta ambientale si sono trasferiti in Val Susa per farne un laboratorio di guerriglia e azioni eversive. Da esportare poi nelle città. La procura di Torino indaga

(19 settembre 2013) La ‘pericolosità’ e la ‘micidialità’ di gruppi eversivi, di anarchici insurrezionalisti e autonomisti che ormai si sono infiltrati nella rivolta in Val di Susa fa sospettare a inquirenti e investigatori una escalation di violenza che potrebbe diffondersi in altre zone del Paese. E le inchieste avviate dalla procura di Torino lo stanno dimostrando.

‘L’Espresso’ in edicola da venerdì 20 settembre svela i retroscena di queste nuove brigate No Tav.

I magistrati di Torino, guidati da Gian Carlo Caselli hanno arrestato e indagato fino adesso un centinaio di persone e nelle ultime settimane hanno alzato il tiro procedendo per «attentato per finalità terroristiche e di eversione».

Con la convinzione di inquirenti e investigatori che, dopo indagini, controlli, intercettazioni, il tunnel dell’Alta velocità in Val di Susa sia ormai diventato un pretesto. E serva a mettere in scena azioni “micidiali” che riportano alla mente gli anni di piombo.

Così come scrivono nei provvedimenti di arresto, che sommati sono ormai quasi un centinaio. Tra loro sono finiti in carcere figli di magistrati e politici locali.

La valle alle porte di Torino sembra essere diventata un laboratorio di guerriglia urbana. Quasi una palestra nella quale alcuni ‘professionisti della violenza’ agiscono indisturbati. Mentre il popolo No Tav continua la sua battaglia silenziosa, senza tuttavia prendere le distanze dai gruppi ‘anarchici’. Gente che sale in valle da mezza Italia, in gran parte da Milano, Trieste, Bologna, Firenze, ma anche dalla Calabria e dalla Sicilia. Altri dall’estero e non solo dall’Europa: Spagna, Francia, Russia, ma anche Brasile.

Non si tratta di ipotesi ma verifiche della Digos che ha identificato decine di anarchici. Dal 2011 sono stati emessi 104 fogli di via, mentre una trentina solo in questo anno, in gran parte provenienti da paesi europei, che la polizia ha accompagnato alla frontiera perché considerati violenti e indesiderati.

Si trovavano in Val di Susa come se partecipassero a un corso di formazione. Uniti da un progetto: usare quel cantiere del Tav, divenuto simbolo di una lotta, come obiettivo per sperimentare la guerriglia urbana da spostare in altre zone del Paese.

I magistrati sono i primi a fare una distinzione: una cosa è il movimento No Tav che porta avanti una protesta di stampo ambientalista, altra cosa i No Tav di ultima generazione.

Da quanto emerge dalle inchieste e dalle intercettazioni, non rimane molto di quel vecchio ideale ambientalista. Nei blitz violenti e negli attacchi alle forze dell’ordine che presidiano il cantiere investigatori e magistrati vedono dell’altro. Emerge dalle inchieste coordinate da Caselli, dall’aggiunto Sandro Ausiello e dai pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo.

Il cantiere della Clarea è diventato il palazzo d’inverno che autonomi e anarchici insurrezionalisti devono conquistare «come obiettivo politico da raggiungere per poter poi crescere e maturare e dilagare con questi metodi di lotta sperimentati in valle».

Un salto di qualità, forse non del tutto ancora pianificato, ma nell’aria. Possibile, ipotizzabile. Per questo motivo si teme il dilagare di questi episodi in altre città. E anche per questo motivo la procura di Torino ha avviato indagini collegate e scambi di informazioni con altri uffici inquirenti, come quello della procura di Milano.

Intercettazioni e indagini sul campo svelano retroscena di ‘micidialità’ che se messi in pratica in altre zone del Paese potrebbero sconvolgere la vita democratica.

L’inchiesta completa è su ‘l’Espresso’ in edicola da venerdì 20 settembre

L`Egitto verso i non allineati

ah ecco perché per le sinistre sioniste filobanchieri sono contro l’esercito egiziano dipinto dai media come il solito carnefice dei santi fratelli musulmani che ammazzano i cristiani

Il Cairo rifiuta il prestito Fmi e guarda ai Brics

Lorenzo Moore    

Nell’attuale governo provvisorio de Il Cairo, imposto due mesi fa dal generale Abdul Fatah Khalil as-Sisi dopo la deposizione del presidente Morsi, leader dei Fratelli Musulmani, e il conseguente bagno di sangue, sta emergendo una linea di avvicinamento ai Paesi non allineati del blocco dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Una deviazione inattesa dalle diplomazie occidentali, già patrocinatrici della “primavera” che aveva determinato il crollo del presidente Mubarak,e che in un certo senso “rivoluziona” sia le virtuali alleanze con Riad e le altre monarchie del Golfo e sia i recenti collegamenti con Ankara.Tutto si è iniziato con la recente decisione egiziana di rifiutare un nuovo prestito da parte del Fmi e dalla contemporanea dichiarazione, da parte del ministro degli Esteri Nabil Fahmy su un Egitto vittima di un “complotto internazionale” la cui mano armata sarebbero gli “atti di terrorismo” che si verificano in queste settimane all’interno del territorio nazionale “amplificati dai media internazionali” (un’accusa esplicita contro la catena televisiva qatariota al Jazeera e indiretta alla nordamericana Cnn).Sta di fatto che vari sono stati in questi ultimi tempi i segnali di un “riallineamento dell’Egitto” verso i BRICS e al di fuori del cerchio di alleanze con l’Occidente (Stati Uniti in primis), con l’Arabia saudita e con gli Stati del Golfo.Lunedì 16 settembre, peraltro, lo stesso Nabil Fahmy, nel corso di una visita ufficiale in Russia, ha dichiarato in un’intervista a Moscow News e a Ria Novosti che “l’Egitto apprezza il sostegno russo alle istanze del popolo egiziano” e ha annunciato lo “sviluppo” di proficue relazioni bilaterali di cooperazione e interessi comuni”. Non solo, ma Nabil Fahmy ha dichiarato che il Cairo “apprezza l’iniziativa diplomatica russa sulle armi chimiche in Siria” e si augura che il suo successo possa “tutelare la regione del Medio Oriente da una minaccia di divisione” che invece provocherebbe una soluzione militare.Un’inversione di tendenza, nella politica regionale, a tutto tondo. Sull’Egitto guidato da Morsi, infatti, sia il Qatar che le monarchie arabe alleate degli angloamericani, avevano rivolto le loro pressanti attenzioni per far schierare il Cairo nel fronte di aggressione contro la Siria. Una strategia di sostegno alla Fratellanza Musulmana iniziata dal Qatar fin dal 2008, con l’accensione delle micce di destabilizzazione (dette “Primavere arabe”), in Turchia, Siria, Libano, Palestina, Libia e nello stesso Egitto. Sotto la presidenza Morsi, inoltre, era stata coltivata una spirale di tensione contro l’Etiopia, accusata di attentare alle risorse idriche egiziane con la costruzione di una diga sul Nilo Azzurro per la produzione di energia elettrica.In questo evidente inizio di riallineamento dell’Egitto su un fronte non allineato, con un ritorno agli equilibri fino ai primissimi anni Settanta, non è inoltre un caso che giochino anche sostanziosi interessi finanziari.Nei mesi appena precedenti il rovesciamento della presidenza Morsi, l’Egitto aveva ricevuto aiuti per 5 miliardi di dollari dall’Arabia saudita (1 a fondo perduto, 2 con depositi nella sua Banca centrale e 2 con la fornitura di gas e petrolio), per 4 miliardi di dollari dal Kuwait (1 a fondo perduto, 2 in depositi e 1 in forniture petrolifere), 3 miliardi di dollari dagli Emirati Arabi Uniti (1 a fondo perduto e 2 in depositi). Inoltre il Cairo aveva negoziato 1,3 miliardi di dollari di aiuti dagli Usa (comprensivi della fornitura di 20 cacciabombardieri F-16).La rinuncia all’ulteriore prestito del Fmi – annunciata ufficialmente dal ministro egiziano delle finanze – viene messa dagli analisti del Vicino Oriente in stretta correlazione con la decisione del gruppo non allineato dei Brics (presa a latere del recente G20 a San Pietroburgo) di capitalizzare la propria Banca per lo Sviluppo con 100 miliardi di dollari e di dare seguito a breve ad operazioni di finanziamento ai Paesi emergenti (Egitto, così, incluso).E’ questa l’altra faccia dello stato di tensione che percorre la politica internazionale e che, facendo perno sulla necessità occidentale (atlantica) di destabilizzare e dividere quello che il nostro più vicino oriente, ha fortunatamente fatto emergere forze di radicale contrasto tra i Paesi non allineati, Iran compreso. Nell’attuale governo provvisorio de Il Cairo, imposto due mesi fa dal generale Abdul Fatah Khalil as-Sisi dopo la deposizione del presidente Morsi, leader dei Fratelli Musulmani, e il conseguente bagno di sangue, sta emergendo una linea di avvicinamento ai Paesi non allineati del blocco dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Una deviazione inattesa dalle diplomazie occidentali, già patrocinatrici della “primavera” che aveva determinato il crollo del presidente Mubarak,e che in un certo senso “rivoluziona” sia le virtuali alleanze con Riad e le altre monarchie del Golfo e sia i recenti collegamenti con Ankara.
Tutto si è iniziato con la recente decisione egiziana di rifiutare un nuovo prestito da parte del Fmi e dalla contemporanea dichiarazione, da parte del ministro degli Esteri Nabil Fahmy su un Egitto vittima di un “complotto internazionale” la cui mano armata sarebbero gli “atti di terrorismo” che si verificano in queste settimane all’interno del territorio nazionale “amplificati dai media internazionali” (un’accusa esplicita contro la catena televisiva qatariota al Jazeera e indiretta alla nordamericana Cnn).
Sta di fatto che vari sono stati in questi ultimi tempi i segnali di un “riallineamento dell’Egitto” verso i BRICS e al di fuori del cerchio di alleanze con l’Occidente (Stati Uniti in primis), con l’Arabia saudita e con gli Stati del Golfo.
Lunedì 16 settembre, peraltro, lo stesso Nabil Fahmy, nel corso di una visita ufficiale in Russia, ha dichiarato in un’intervista a Moscow News e a Ria Novosti che “l’Egitto apprezza il sostegno russo alle istanze del popolo egiziano” e ha annunciato lo “sviluppo” di proficue relazioni bilaterali di cooperazione e interessi comuni”. Non solo, ma Nabil Fahmy ha dichiarato che il Cairo “apprezza l’iniziativa diplomatica russa sulle armi chimiche in Siria” e si augura che il suo successo possa “tutelare la regione del Medio Oriente da una minaccia di divisione” che invece provocherebbe una soluzione militare.
Un’inversione di tendenza, nella politica regionale, a tutto tondo. Sull’Egitto guidato da Morsi, infatti, sia il Qatar che le monarchie arabe alleate degli angloamericani, avevano rivolto le loro pressanti attenzioni per far schierare il Cairo nel fronte di aggressione contro la Siria. Una strategia di sostegno alla Fratellanza Musulmana iniziata dal Qatar fin dal 2008, con l’accensione delle micce di destabilizzazione (dette “Primavere arabe”), in Turchia, Siria, Libano, Palestina, Libia e nello stesso Egitto. Sotto la presidenza Morsi, inoltre, era stata coltivata una spirale di tensione contro l’Etiopia, accusata di attentare alle risorse idriche egiziane con la costruzione di una diga sul Nilo Azzurro per la produzione di energia elettrica.
In questo evidente inizio di riallineamento dell’Egitto su un fronte non allineato, con un ritorno agli equilibri fino ai primissimi anni Settanta, non è inoltre un caso che giochino anche sostanziosi interessi finanziari.
Nei mesi appena precedenti il rovesciamento della presidenza Morsi, l’Egitto aveva ricevuto aiuti per 5 miliardi di dollari dall’Arabia saudita (1 a fondo perduto, 2 con depositi nella sua Banca centrale e 2 con la fornitura di gas e petrolio), per 4 miliardi di dollari dal Kuwait (1 a fondo perduto, 2 in depositi e 1 in forniture petrolifere), 3 miliardi di dollari dagli Emirati Arabi Uniti (1 a fondo perduto e 2 in depositi). Inoltre il Cairo aveva negoziato 1,3 miliardi di dollari di aiuti dagli Usa (comprensivi della fornitura di 20 cacciabombardieri F-16).
La rinuncia all’ulteriore prestito del Fmi – annunciata ufficialmente dal ministro egiziano delle finanze – viene messa dagli analisti del Vicino Oriente in stretta correlazione con la decisione del gruppo non allineato dei Brics (presa a latere del recente G20 a San Pietroburgo) di capitalizzare la propria Banca per lo Sviluppo con 100 miliardi di dollari e di dare seguito a breve ad operazioni di finanziamento ai Paesi emergenti (Egitto, così, incluso).
E’ questa l’altra faccia dello stato di tensione che percorre la politica internazionale e che, facendo perno sulla necessità occidentale (atlantica) di destabilizzare e dividere quello che il nostro più vicino oriente, ha fortunatamente fatto emergere forze di radicale contrasto tra i Paesi non allineati, Iran compreso.

17 Settembre 2013http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=22399


 

Inseguono i ladri di gioielli, ma vengono presi a mazzate

Tutta la via accorre per il rumore della finestra infranta per rubare nell’appartamento Due vicini fotografano i malviventi: gettati a terra e colpiti per strappare il telefono con le immagini
furti inseguimenti

di Lino Fontana

Poteva finire peggio il tentativo di alcuni cittadini di bloccare dei ladri che avevano appena rubato alcuni preziosi in un’abitazione di Bonferraro, il paese veronese confinante con Castel d’Ario.
I banditi, quando si sono visti circondati dagli abitanti del quartiere, per scappare non hanno esitato a menar fendenti con mazze da baseball contro gli inseguitori che, fortunatamente, hanno subìto ferite non troppo gravi.
Il grave episodio è accaduto sabato sera verso le 21.30 nel quartiere tra via Colombo e via Vespucci ed è durato poco più di una decina di minuti.
«Mi sono affacciata al balcone – racconta un’inquilina che abita nel palazzo di fronte alla casa che era stata saccheggiata dalla banda – quando ho sentito un forte boato. In quel momento ho notato quattro giovani che, usciti da una finestra al piano superiore della casa svaligiata, sono saliti sul tetto del garage sottostante avviandosi con calma verso un’auto di grossa cilindrata con a bordo un altro uomo che li attendeva».
I ladri, mentre i proprietari non erano in casa, erano entrati nell’appartamento forzando una finestra al piano terra di una casa a schiera dopo aver sfondato il vetro con una mazza; da qui lo scoppio udito dagli abitanti del quartiere che, sentendo anche l’allarme acustico che era scattato, sono scesi in strada.
«Quando abbiamo visto i ladri dirigersi verso una Bmw 530 – racconta S.B. uno dei giovani coraggiosi che, assieme ad altri due abitanti, ha affrontato i malviventi faccia a faccia – mi sono avvicinato all’auto per fotografarli con il cellulare. A quel punto chi era alla guida ha ordinato ai suoi compagni, che dall’accento sembravano provenire dall’Est Europa, di scendere per portarmi via il cellulare».
Infatti in quattro hanno inseguito S.B. fino all’interno di un cortile dove si era rifugiato, gettandolo a terra e, colpendolo con le mazze da baseball, gli hanno tolto il cellulare. «Quando ho visto l’aggressione – racconta G.R., l’altro giovane coraggioso – sono intervenuto riuscendo a liberare S.B. ma mi sono preso una mazzata in testa».
Durante le colluttazioni i ladri hanno perso una radio ricetrasmittente, usata per tenersi in contatto, che è stata consegnata ai carabinieri di Nogara arrivati poco dopo. Alla fine i coraggiosi cittadini sono rimasti contusi tanto che G. R. ha dovuto essere medicato al pronto soccorso di Mantova per le ferite riportate al capo e alla faccia. Meno gravi invece quelle di S.B. che non ha avuto necessità di ricorrere alle cure mediche. Su quanto accaduto è stata presentata denuncia ai carabinieri di Nogara che ora stanno indagando.
http://gazzettadimantova.gelocal.it/cronaca/2013/09/16/news/inseguono-i-ladri-di-gioielli-ma-vengono-presi-a-mazzate-1.7753914


 

LA CULTURA DEL MENGA.

Posted By Gianni Tirelli On 11 settembre 2013
Quella che oggi è definita “la cultura”, non ha niente a che vedere con la libertà, la conoscenza, e con quella consapevolezza di sé e delle cose, capace di darci il polso della situazione così da intervenire sui nostri comportamenti e atteggiamenti. E’ una menzogna del Sistema Potere, ripetuta così tante volte da averla trasfigurata nel tempo in verità assoluta. Il branco di allocchi si adegua e ne fa baluardo, trattandola come bene primario, e “condizione senza la quale” nessun individuo potrà mai liberarsi da quel presunto stato di ignoranza e letargia intellettuale che, a oggi, gli preclude ogni vera capacità di giudizio critico. Nei fatti poi, non esiste nulla di più omologante, inconcludente e improduttivo ..
Se oggi la cultura producesse reali vantaggi alla collettività, di fatto non esisterebbe – come del resto la politica e le privatizzazioni, che se fossero di qualche utilità sociale, sarebbero vietate.

Immaginare per un solo istante che al Sistema Bestia stia a cuore il nostro livello di istruzione, per meglio comprendere i meccanismi perversi attraverso i quali ha reciso ogni nostro personalismo, slancio creativo e sussulto rivoluzionario, non solo è una bieca contraffazione della realtà, ma è una tale fesseria, che ci da la misura del livello di condizionamento mentale dentro il quale siamo precipitati. Tutto si è ridotto ad arido apprendimento, informazione, a sterile e fastidioso chiacchiericcio – una condizione di totale subalternità al Sistema Potere, dove, gli schiavi si sono convinti di essere uomini liberi e così potere decidere delle proprie scelte.
Alfabetizzazione e omologazione procedono allo stesso passo, e sono le due facce di una stessa medaglia. Spingono gli individui a uniformarsi alle tendenze dell’idea dominante – un’opera di plagio senza precedenti, che in pochi decenni ha scardinato ogni preesistente regola, e costretto l’individuo a tradire la sua vera natura, per sottomettersi all’egemonia del Sistema e alle seducenti sirene del consumismo.
Quanti giovani, oggi, hanno buttato il loro prezioso tempo, chini sui banchi di scuola, dentro atenei caotici, fra master, stages e improbabili specializzazioni? Quanti hanno rinunciato a vivere per rincorrere il mito di una laurea svuotata di ogni significato e intenzione, per coronare l’ambizione dei loro padri? Quante energie e sudati risparmi è costato tutto questo? Meglio sarebbe stato per loro zappare un campo, coltivare patate – raccogliere i frutti della fatica, dando alla propria esistenza, un senso, una dignità e una vera libertà.
Che futuro avranno mai questi ragazzi, quando oggi il Sistema li ha derubati dalla capacità di volare da soli e liberi, incatenandoli all’illusione di una libertà dalle ali spezzate?
Il mito dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione obbligatoria, sdoganato dal Sistema come riscatto da una condizione di ignoranza, accesso alla società civile, e come presupposto per un lavoro dignitoso (mortificando così il lavoro della terra, vera conoscenza, tradizioni, principi e valori) è dunque miseramente defunto.

 http://www.stampalibera.com/?p=66342

UE, Monti va a prostrarsi e si scusa con Rehn: “da Gasparri parole incivili”

burocrati ottusi? CHi quelli della troika? Ma se sono di una generosità da far invidia al Dalai Lama…..

Posted By Redazione On 18 settembre 2013
Pubblicato da ImolaOggi

17 set. – Mario Monti ha telefonato questo pomeriggio a Olli Rehn, Vice Presidente della Commissione Europea, per esprimergli rispetto e solidarieta’, a nome di Scelta Civica e suo personale, per le “espressioni incivili di cui e’ stato oggetto da parte di alti esponenti del PdL in occasione della sua visita di lavoro a Roma”.
Gasparri contro Rhen e la UE: “Burocrati ottusi che uccidono i popoli” [4]
Il senatore Monti ha manifestato al Vice Presidente Rehn particolare rammarico per le “parole inqualificabili, in se’ e in quanto pronunciate da un Vice Presidente del Senato, del senatore Maurizio Gasparri”.

Il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri ha duramente criticato il commissario europeo Olli Rehn che oggi ha criticato l’abolizione dell’Imu. “E’ ora di finirla con i caporali di giornata come questo Olli Rehn, un signor nessuno che viene in Italia a fare il supervisore.
Rifletta piuttosto sui disastri che gente come lui ha causato distruggendo l’Europa”, ha dichiarato.

“Burocrati ottusi che uccidono i popoli e fanno morire il Continente sotto la concorrenza sleale cinese e a causa di politiche economiche fallimentari”, ha chiesto. “Questo Rehn e’ persona sgradita. Prenda l’aereo e torni a casa e paghi tutte le tasse che vuole”, ha attaccato l’esponente del Pdl. “In Italia sulla prima casa l’Imu non c’e’ piu’ e non sara’ questo figuro a rimetterla”, ha concluso.
http://www.stampalibera.com/?p=66626


 

TUNNEL DI FIRENZE, RETATA PER CORRUZIONE NEGLI APPALTI TAV

MA LE DONNE IN POLITICA, SOPRATTUTTO QUELLE DEL PD NON ERANO TANTO DIVERSE DAGLI UOMINI? L’EGUAGLIANZA SIGNIFICA PARI OPPORTUNITA’ DI FRODARE I CITTADINI CONTRIBUENTI?

 18/09/2013

 Da: “Il Fatto”

  L’EX GOVERNATORE UMBRO AI DOMICILIARI PER ESSERE A “CA P O ” DI UNA ASSOCIAZIONE A DELINQUERE: DA PRESIDENTE DI ITALFERR HA AGITO ANCHE CONTRO LA SOCIETÀ PUBBLICA

 di Davide Vecchi

   Parlo io con Anna (Finocchiaro) non preoccuparti”, “ora deve chiamarla Pier Luigi” (Bersani). La dalemiana Maria Rita Lorenzetti, 13 anni da parlamentare e due mandati da governatore dell’Umbria nonché membro della direzione nazionale del Pd, nominata presidente di Italferr, usava le amicizie politiche e la società pubblica del gruppo Ferrovie dello Stato per trarne “vantaggio personale”, “del marito” e della sua “squadra”. A scapito della stessa Italferr.

  Lo scrive il gip di Firenze, Angelo Antonio Pezzuti, nell’ordinanza di arresto emessa ieri a carico di Lorenzetti e altre dieci persone con le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e abuso d’ufficio nel-l’appalto per l’attraversamento di Firenze della Tav.   AI DOMICILIARI con Lorenzetti sono finiti Gualtiero (detto Walter) Bellomo membro della commissione Via del ministero dell’Ambiente; Furio Saraceno presidente di Nodavia; Valerio Lombardi tecnico di Italferr; Alessandro Coletta consulente e all’epoca dei fatti membro del-l’Autorità di vigilanza sugli Appalti pubblici; Aristodemo Busillo della società Seli di Roma, che gestisce la grande fresa sotterranea “Monna Lisa” per realizzare il tunnel Tav sotto Firenze. Una “squadra”, la definisce il Gip, ben collaudata e “più volte richiamata da Lorenzetti che riporta a un articolato sistema corruttivo”.

  Il sistema era semplice. E ben collaudato. “Lorenzetti – scrive il gip fiorentino – svolgeva la propria attività nell’interesse e a vantaggio della controparte Novadia e Coopsette, da cui poi pretendeva favori per il marito, e mettendo a disposizione le proprie conoscenze personali, i propri contatti politici e una vasta rete di contatti grazie ai quali era in grado di promettere utilità ai pubblici ufficiali avvicinati”. Ed era Lorenzetti che faceva in modo, secondo la ricostruzione degli inquirenti, “grazie a modifiche normative e accomodanti disposizioni delle pubbliche amministrazioni a copertura dell’operato” della squadra, “la gestione degli scarti della fresa (per scavare il tunnel sotto Firenze, ndr)” (..) venisse “fatta in deroga alla disciplina sui rifiuti”. Inoltre a lei spettava “risolvere positivamente le problematiche insorte, anche penali, relative alla scadenza dell’autorizzazione paesaggistica dell’opera”; “ottenere il massimo riconoscimento possibile delle riserve contrattuali poste dagli appaltatori (Nodavia e le società subappaltatrici, ndr) per una maggiorazione delle spettanze economiche di centinaia di milioni di euro aggiuntivi rispetto al prezzo di aggiudicazione”, “ottenendo i favori e la disponibilità di pubblici funzionari coinvolti nel-l’associazione” a delinquere.

 

Che l’obiettivo sia far approvare il decreto per la gestione della collina Santa Barbara (dove stoccare i rifiuti), ottenere l’autorizzazione paesaggistica, aiutare il marito Domenico Pasquale (“inserito negli appalti posi-terremoto in Emilia Romagna”), raccomandare gli amici o far nominare qualcuno in posti chiave, il metodo usato – ricostruisce il gip – è sempre lo stesso: “La ricerca di contatti affidabili”.   Lorenzetti si muove anche a Bruxelles. Al telefono con Grillo la presidentessa garantisce che neanche alla Ue ci saranno problemi. “I nostri uffici Bruxelles consigliano di attendere con fiducia senza forzare… (inc.) … ovviamente Bruxelles… adesso io … ecco un’altra cosa… eh… ho risentito… questi nostri uffici di Bruxelles… (…) … che consigliano… eh… di… di… non… cioè di non scapizzare come dire… casomai di utilizzare visto che lì il parlamento è chiuso… (…) … di utilizzare gli eurodeputati che com… che sono nella commissione Ambiente e Territorio… (…) … in questo caso… o… Vittorio Prodi…”.   LA RICERCA di appoggi si rivolge persino al Consiglio di Stato.

  Quando Valeria Lombardi apprende che il presidente di sezione di tale organo deve cambiare, invita, nel corso della telefonata del 18 aprile 2013, Lorenzetti a informarsi sul nuovo arrivato. Lei si riserva di chiedere ad Anna Finocchiaro qualcosa: “Adesso guarda sto andando al Senato perché devo andare a prendere un caffè con Anna… sento se lei conosce… lo conosce… se ha notizie da dove provenga… chi sia insomma”. E coinvolge Finocchiaro anche in occasione del decreto del Fare che dovrebbe azzerare i cda delle controllate pubbliche. L’ex presidente di Palazzo Madama è più volte coinvolta da Lorenzetti. Il 27 luglio 2012 si accorda con Bellomo: “Io sto andando al Senato (…) io fra 5 minuti ci sono (…) ci vediamo lì da Anna… insomma via!”.

 LO SPONSOR IN SICILIA   Bellomo:“Di’ a Bersani di rispondere al messaggio di Anna Finocchiaro. Oltre all’assessore Cocilovo potresti avere un altro assessore amico”

 USIAMO VITTORIO PRODI   L’ex deputata Pd:“A Bruxelles dobbiamo usare i nostri che sono in commissione Ambiente e territorio, in questo caso Vittorio”

 Presidente dell’Italferr, ex parlamentare e governatore dell’Umbria, Maria Rita Lorenzetti LaPresse

    Il politico che si fa manager

 Il triangolo magico di Lorenzetti: lo Stato, le Coop, gli amici potenti

 di Giorgio Meletti

   È il 3 dicembre 2012. Maria Rita Lorenzetti scrive al presunto complice Valerio Lombardi un sms: “Sabato sera sono stata a cena da Vissani per il suo compleanno e c’era Moretti che ha detto a D’Alema che io ero la sua pres preferita e ha chiesto a Massimo di darci una mano per la gara in Brasile”. C’è tutto il mondo dell’ex governatrice dell’Umbria in quel messaggio. L’amicizia con il cuoco più famoso dell’Umbria segnala il radicamento locale. Moretti è Mauro, numero uno delle Fs, che nel 2010 l’ha presa alla presidenza di Italferr, la controllata che sovrintende ai progetti. D’Alema è il riferimento politico di entrambi, a sua volta amico per la pelle di Vissani.   TUTTO SI TIENE e tutto si confonde. La Seconda Repubblica riesce a dare colore politico a un cuoco, e nello stesso tempo rende intercambiabili i ruoli nelle istituzioni pubbliche, nelle società statali e negli affari, e a rendere il controllore amico del controllato, la guardia complice del ladro.   La parola chiave è “competenza”. Lorenzetti, 60 anni, militante comunista da sempre, a 22 anni era già assessore nella natia Foligno, a 31 sindaco, a 35 deputata. È rimasta a Montecitorio per quattro legislature, dal 1987 al 2000, negli ultimi anni come presidente della commissione Lavori pubblici, proprio quando c’era da impostare la ricostruzione dell’Umbria dopo il terremoto, e quando il sottosegretario ai Lavori pubblici era un altro dalemiano di ferro, Antonio Bargone, oggi presidente della Sat, la nuova autostrada tirrenica (un altro politico che si fece manager).   Nel 2000 Lorenzetti diventa governatrice e regna per dieci anni, poi resta a piedi perché è vietato il terzo mandato. E qui la soccorre Moretti, in piena era berlusconiana, ma sappiamo che non è un problema: presidente di Italferr, la società che, come si legge nel sito, “è fortemente impegnata nella progettazione e nella realizzazione di opere compatibili a livello ambientale e con i bisogni e le attese espresse dalla collettività”.   Ci diranno adesso i magistrati di quale collettività si interessasse la presidentessa. Di sicuro c’è una variegata collettività in cui tutti fanno tutto e lei, che dovrebbe difendere ambiente e denaro pubblico, ha lo stesso tono complice anche con inquinatori, appaltatori e pubblici ufficiali infedeli.   “LA SQUADRA”, la chiama lei, ossessivamente, nelle telefonate in cui si compiace dei risultati ottenuti. Come quello di far fuori l’architetto Zita, il dirigente della Regione Toscana che si ostina a considerare rifiuti (da trattare come tali) i materiali di scavo grattati via dalla fresa per il tunnel ferroviario sotto Firenze. Zita è “uno stronzo”, squittisce la signora al telefono. Infatti viene fatto fuori e l’assessore toscana all’Ambiente, Rita Bra-merini, dice ai magistrati che la decisione l’ha imposta il governatore Enrico Rossi, con sua sorpresa, motivandola “in termini generici con la necessità di accelerare le pratiche”.   Se passa l’idea che i materiali di scavo sono rifiuti ci saranno costi aggiuntivi per la società che scava il tunnel, la Coopsette. E la Coopsette è una punta di diamante del mondo delle cooperative cosiddette rosse (ormai solo per il colore dei protettori politici). Ma la Coopsette è anche azionista chiave della Holmo, primo azionista della Finsoe, che controlla la Unipol, che è stata chiamata da Mediobanca a salvare la Fonsai di Salvatore Ligresti. Una trasversalità infinita tra aziende che sanno compensare i propri interessi anche se appartengono a galassie politiche diverse, e trovano sempre nelle istituzioni orecchie attente sia che governi il rosso sia che governi il nero. E così il 17 gennaio 2013, quando scoppia lo scandalo con gli avvisi di garanzia, Lorenzetti telefona al capo Moretti e parla chiaro: “Siccome so come ci si deve comportare in questi casi io domani stesso ti mando fa mia lettera di dimissioni”.

http://davi-luciano.myblog.it/archive/2013/09/17/tunnel-di-firenze-retata-per-corruzione-negli-appalti-tav-56.html

 Ltf ha utilizzato codice antimafia errato

Quello che i politici dicono sul Tav

 Comunicato stampa M5S

”Ltf dovrebbe spiegare perché non si sia mai accorta di avere utilizzato un codice antimafia errato”. Lo sostengono cinque esponenti del M5S, i senatori Marco Scibona ed Alberto Airola, i deputati Laura Castelli ed Ivan Della Valle ed il capogruppo regionale Davide Bono.

”La Ltf inoltre – proseguono i 5stelle – dovrebbe interloquire solo con le istituzioni, nei modi e nei tempi consoni. A quelle stesse istituzioni che più volte hanno richiesto informazioni sulla progettazione. In nome della trasparenza – dicono ancora gli esponenti M5S – abbiamo richiesto più volte di avere l’unitario progetto esecutivo della Torino-Lione. Nulla da fare. Ma non solo a noi mancano di trasparenza: persino alla Presidenza del Consiglio dei Ministri manca agli atti la doverosa comunicazione di redazione del progetto”.

 Torino, 17 settembre 2013


 

Dijlma: Obama? No grazie

che bella cosa la sovranità

MERCOLEDÌ 18 SETTEMBRE 2013
di Fabrizio Casari

Le rivelazioni fornite da Edward Snowden circa l’intesa ed estesa attività di spionaggio degli Stati Uniti a danno tanto dei paesi ritenuti “ostili” come di quelli “amici”, ha procurato un deciso smacco diplomatico per Barak Obama, che si è visto rifiutare con nettezza dal Brasile l’unico incontro fino ad ora programmato nell’agenda di Obama entro la fine del 2013. La data fissata era quella del prossimo 23 Ottobre. Era prevista una visita di Stato, cioè il massimo livello che gli Stati Uniti offrono ai loro ospiti stranieri. Ma Dijlma Roussef, energica ed orgogliosa Presidente del Brasile, ha rifiutato l’invito.

Poteva annullare l’incontro attraverso le sole vie diplomatiche e poteva farlo scegliendo una motivazione qualunque e già la cosa in sé avrebbe destato scalpore, non essendo certo una consuetudine quella di rifiutare una visita di Stato a Washington. Ma Dijlma ha invece scelto di rendere pubblico il gran rifiuto, facendolo accompagnare da un comunicato breve ma durissimo nel quale spiega le ragioni del rifiuto all’invito alla Casa Bianca. “Le pratiche illegali delle intercettazioni delle comunicazioni e dati dei cittadini, aziende e membri del governo brasiliano costituiscono un fatto grave, un attentato alla sovranità nazionale e sono incompatibili con la convivenza democratica tra paesi amici”.

Le rivelazioni di Snowden, pubblicate con particolare evidenza dal The Guardian e, successivamente, dal gigante televisivo brasiliano Rede Globo, dimostrano come la NSA si sia dedicata a spiare soprattutto la presidenza e la principale azienda petrolifera pubblica, la Petrobras, e le rivelazioni erano state oggetto di una presa di posizione durissima sia da parte della Presidente Roussef che del suo predecessore Lula Da Silva. Proprio la scorsa settimana, i due avevano sostenuto un incontro ed entrambi avevano convenuto come fossero indispensabili le scuse formali da parte di Obama.

Il Presidente statunitense, però, non ha ritenuto di pronunciarsi nei termini richiesti dal Brasile e si è limitato ad affidare ad una nota diffusa dalla Casa Bianca la sua “comprensione e dispiacere per le preoccupazioni che le rivelazioni di presunte attività di intelligence degli USA generino in Brasile”. Ma rifiutandosi di assumersi le proprie responsabilità e di indicare le misure che dovrebbe prendere al riguardo, si limita ad annunciare che “cercherà di superare questa fonte di tensioni bilaterali per le vie diplomatiche”. Riguardo il cosa fare e quando, il comunicato della Casa Bianca informa che Obama ha chiesto un’ampia revisione delle attività d’intelligence statunitensi, ma che il processo richiede “tempi lunghi”.

Non poteva bastare e non è bastato. Il Brasile non è disponibile a recitare la parte della zolla d’erba nel “giardino di casa” e fa capire come il rifiuto da parte di Dijlma potrebbe essere solo l’inizio di una fase di rivisitazione dei rapporti politici e commerciali con gli Stati Uniti, benché da Washington si sarebbe fatta trapelare la disponibilità statunitense ad appoggiare la candidatura del Brasile ad un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Disponibilità difficile da credere e comunque tutta da verificare.

Brasilia ritiene però che l’eventuale disponibilità USA, ancorchè dubbia, non andrebbe sopravvalutata, giacchè un seggio gli spetterebbe di diritto non solo vista la sua dimensione ed il rilievo internazionale, ma anche perché sarebbe una posizione dalla quale parlerebbe l’intera comunità latinoamericana. Ed é proprio qui, infatti, che risiede la diffidenza di Washington, che vorrebbe utilizzare il Brasile come contraltare parziale alla Cina ma che teme che dare voce e rappresentanza formale in sede Onu alla nuova America Latina possa rappresentare un boomerang per i suoi disegni imperiali. Inoltre, la diplomazia brasiliana ha una storia di grande rilevanza e prestigio e già in diverse occasioni ha rappresentato un ostacolo ai piani di Washington.

L’ultima fu nel 2010, quando insieme alla Turchia il Brasile riuscì a proporre una via d’uscita diplomatica alla tensione crescente tra Occidente e Teheran sul nucleare iraniano. Gli Usa dovettero fare buon viso a cattiva sorte e Lula vide accrescere il suo prestigio internazionale. Ne seguì un significativo incremento del suo scambio commerciale tra Brasile e Iran, cosa certamente poco gradita a Washington.

Ed ora, una delle conseguenze possibili nell’immediato, almeno sul piano della cooperazione commerciale a fini militari, potrebbe essere la sospensione della commessa per i caccia F16 che Brasilia avrebbe dovuto acquistare dagli Stati Uniti. Che senso avrebbe, affermano a Brasilia, fare affari sul terreno strategico con chi ci spia per controllarci e per procurarsi vantaggi illegittimi nelle trattative commerciali?

L’affaire Snowden, così, rallenta inevitabilmente la marcia di riavvicinamento di Washington verso il Cono Sud dell’America Latina. Nel Vertice delle Americhe del 2009, Obama aveva promesso “un nuovo inizio” ai governi latinoamericani, ma non sembra esserci niente di nuovo nelle sue politiche, che anzi uniscono sinistramente identici metodi per “nemici” e “amici”.

Se per i paesi ostili restano in piedi le vecchie fobìe (come il blocco contro Cuba, rinnovato per un altro anno tre giorni orsono in quanto utile per “gli interessi nazionali” ) per quelli che si vorrebbero “amici” si montano nuove intromissioni tramite le agenzie di spionaggio.

Al punto che persino due amici storici come Messico e Colombia hanno preso posizioni durissime circa le prove che hanno dimostrato come i loro rispettivi governi siano stati spiati dalla NSA. Ma se per la Colombia risultano ipocrite le proteste, viste le basi militari e la sovranità politica da tempo consegnate a Washington e per il Messico di Pena Nieto, ultimo dei burattini del circo di Salinas De Gortari, il rischio è quello che la DEA possa decidere di non chiudere tutti e due gli occhi sul matrimonio tra narcos, forze armate e governo, nel caso del Brasile le cose sono decisamente diverse. La dignità e la sovranità del gigante carioca non sembrano acquistabili con una manciata di parole e qualche commessa industriale.
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