Siria, le prove inesistenti

LUNEDÌ 09 SETTEMBRE 2013
di Michele ParisLe sempre più inconsistenti basi su cui si fondano le accuse degli Stati Uniti contro il regime siriano di avere utilizzato armi chimiche in un attacco contro i “ribelli” il 21 agosto scorso nei pressi di Damasco, sono state ulteriormente screditate nella giornata di lunedì dalle dichiarazioni dell’insegnate belga Pierre Piccinin, compagno di prigionia per cinque mesi del reporter della Stampa, Domenico Quirico, nel paese mediorientale.

Poco prima dell’arrivo di quest’ultimo in Procura a Roma, Piccinin ha rilasciato un’intervista alla radio belga RTL nella quale, oltre a raccontare alcuni episodi del loro sequestro nelle mani degli integralisti islamici che compongono gran parte dell’opposizione al regime appoggiata dall’Occidente, ha sostenuto di essere certo del fatto che non siano state le forze di Bashar al-Assad ad avere fatto ricorso “al gas sarin o a un altro gas nella periferia di Damasco”.

Piccinin afferma di averne la certezza, dal momento che lui e Quirico hanno avuto modo di ascoltare direttamente una conversazione dei ribelli su questo argomento. La testimonianza dello storico belga appare estremamente rilevante, dal momento che egli, così come l’inviato della stampa, aveva manifestato un entusiasmo iniziale per i “ribelli” siriani. Piccinin ha evitato di fornire ulteriori dettagli in attesa degli interrogatori della Procura ma ha definito la sua presa di posizione sull’innocenza di Assad come “un dovere morale”.

Dopo essere venuti a conoscenza delle responsabilità dei “ribelli” nei fatti di Ghouta, serviti a Washington per scatenare una campagna propagandistica volta a legittimare un intervento armato in Siria, il 31 agosto Piccinin e Quirico hanno appreso dei piani di guerra dell’amministrazione Obama. I due, perciò, avevano “la testa in fiamme”, perché “prigionieri laggiù con questa informazione [dell’innocenza del regime] senza la possibilità di diffonderla”.

Le dichiarazioni di Piccinin non devono essere state particolarmente gradite dal direttore della Stampa, Mario Calabresi, né dallo stesso Quirico, il quale è successivamente intervenuto cercando di gettare acqua sul fuoco pur confermando le parole del compagno di prigionia. Il giornalista del quotidiano torinese ha ribadito di avere ascoltato la conversazione sull’attacco con armi chimiche nella quale si diceva chiaramente come l’operazione fosse stata condotta dai “ribelli come provocazione per indurre l’Occidente a intervenire militarmente”. Allo stesso tempo, Quirico ha affermato di non avere elementi per giudicare o appurare la veridicità di quanto ascoltato, aggiungendo che sarebbe “folle dire che io sappia che non è stato Assad a usare i gas”.

Se gli scrupoli di Quirico appaiono legittimi, la sua testimonianza diretta rimane un elemento di estrema rilevanza, soprattutto alla luce delle “prove” presentate dagli Stati Uniti e dai loro alleati a sostegno della tesi opposta e che consistono, tra l’altro, in filmati realizzati dai “ribelli” e in dubbie intercettazioni telefoniche frutto degli sforzi dell’intelligence israeliana.

La liberazione di Quirico e Piccinin è stata poi commentata dai vertici del cosiddetto Esercito Libero della Siria (ELS) che ha scaricato le responsabilità del rapimento sul Fronte al-Nusra, una delle principali formazioni integraliste affiliata ad al-Qaeda che compongono la galassia dell’opposizione anti-Assad. Il portavoce dell’ELS, secondo il quale anche il gesuita sostenitore del regime Paolo Dall’Oglio sarebbe nelle mani di al-Nusra, ha poi cercato di confondere le idee all’opinione pubblica internazionale, sostenendo che questo gruppo fondamentalista sarebbe “estraneo alla rivoluzione”, in quanto “più vicino al regime che alle opposizioni che combattono Assad”.

I tentativi di ripulire la propria immagine da parte dell’ELS sono però quanto meno patetici, visto che questa organizzazione screditata opera a fianco dei raggruppamenti affiliati al terrorismo internazionale sunnita, di fatto sfruttati anche dall’Occidente, dalla Turchia e dalle monarchie assolute del Golfo Persico come avanguardia nella lotta per la rimozione di Assad.

In maniera ancora più assurda e nel tentativo disperato di occultare quella che appare come una vera e propria alleanza tra, da una parte, i “ribelli” secolari e l’Occidente e, dall’altra, guerriglieri gravitanti nell’orbita di al-Qaeda, il portavoce dell’ELS ha infine sostenuto che padre Dall’Oglio sarebbe stato catturato “per assecondare una richiesta da parte di Damasco finalizzata a screditare la rivoluzione”.

Ciò che appare inesorabilmente screditata, in realtà, non è solo la stessa presunta “rivoluzione” in corso in Siria ma anche e sempre più la pretesa degli Stati Uniti sia di essere in possesso di prove certe della responsabilità di Assad nell’attacco con armi chimiche a Ghouta sia di volere condurre un’operazione militare contro la Siria di portata limitata.

Sulla base delle false accuse denunciate anche da Pierre Piccinin, infatti, l’amministrazione Obama sta cercando un’autorizzazione formale del Congresso di Washington per portare a termine un’aggressione militare a tutto campo che ben poco ha a che vedere con l’uso di armi chimiche e che mira invece a provocare un cambio di regime a Damasco.

Come ha confermato un articolo pubblicato domenica dal Los Angeles Times, il Pentagono starebbe ultimando i preparativi per uno sforzo bellico di ampia portata, con bombardamenti previsti per un periodo di tempo più lungo rispetto a quanto affermato pubblicamente dal governo statunitense.

A parlare al quotidiano californiano sono stati anonimi ufficiali dell’esercito, secondo i quali la Casa Bianca avrebbe inoltre chiesto al Dipartimento della Difesa di “espandere la lista degli obiettivi da colpire”, oltre ai 50 inizialmente selezionati.

I piani del Pentagono confermano l’imminenza di una guerra dalle conseguenze rovinose e con un numero elevatissimo di vittime. In particolare, la forza di fuoco americana si baserebbe sull’uso di missili Tomahawk lanciati da cinque navi da guerra già posizionate nel Mediterraneo e su possibili incursioni di aerei militari. Lo scopo della guerra, in definitiva, risulta essere quello di “degradare” le possibilità di difesa del regime di Damasco, in preparazione di ulteriori iniziative tutt’altro che da escludere come l’imposizione di una no-fly zone o, addirittura, un’invasione con truppe di terra.

Secondo i media americani, la decisione di utilizzare maggiore forza rispetto ai piani originari servirebbe ad assicurare agli USA l’effettiva distruzione dei bersagli eventualmente mancati nella prima fase delle operazioni e a punire possibili ritorsioni da parte delle forze regolari siriane. In altre parole, la più che legittima difesa di Assad contro un’aggressione criminale verrebbe utilizzata da Washington per infliggere una nuova e ancora più dura punizione all’esercito e alla popolazione della Siria.

Assieme al procedere della macchina della propaganda americana continuano in ogni caso ad emergere anche le contraddizioni di un’operazione che viola ogni norma del diritto internazionale. Se il governo americano nel fine settimana ha diffuso una serie di filmati di dubbia autenticità che mostrano alcune vittime delle armi chimiche a Ghouta senza provare minimamente chi siano i responsabili dell’accaduto, gli stessi vertici dell’amministrazione Obama hanno nuovamente dovuto ammettere di non avere alcuna certezza circa la colpevolezza di Assad.

In un blitz nei talk show trasmessi dalle principali reti televisive USA nella giornata di domenica, ad esempio, il capo di gabinetto della Casa Bianca, Denis McDonough, ha riconosciuto che il suo governo non dispone di “prove irrefutabili che vadano al di là di ogni ragionevole dubbio” sui fatti di Ghouta.

Anche all’interno della comunità dell’intelligence a stelle e strisce, d’altra parte, non sembra esserci stata alcuna unanimità di giudizio sull’attacco del 21 agosto con gas sarin o altri agenti chimici letali. La versione propagandata dalla Casa Bianca e dagli uomini di Obama alla stampa e nelle varie audizioni al Congresso nei giorni scorsi, come ha rivelato un’indagine del giornalista americano Gareth Porter uscita lunedì sul sito web dell’agenzia di stampa IPS News, non è infatti basata sulla effettiva valutazione dei servizi segreti ma riflette piuttosto una decisione presa in maniera unilaterale dall’amministrazione democratica.

In sostanza, scrive Porter, “la Casa Bianca ha selezionato quegli elementi delle analisi dell’intelligence che supportavano i piani dell’amministrazione di colpire militarmente il governo siriano e ha escluso invece quelli andavano contro questi stessi piani”.

L’amministrazione Obama, in definitiva, aveva da tempo programmato un’aggressione contro la Siria in attesa di un’occasione propizia, come lo è stato appunto il presunto attacco con armi chimiche a Ghouta con ogni probabilità opera dei “ribelli” stessi, in seguito alla quale ha presentato una propria valutazione basata sulla manipolazione degli stessi rapporti delle agenzie di intelligence americane.

Ancora più delle manovre che portarono all’invasione e alla devastazione dell’Iraq nel 2003, dunque, un’amministrazione Obama sempre più isolata e screditata sta procedendo in maniera spedita verso un’altra guerra criminale dalle conseguenze incalcolabili esclusivamente sulla base di menzogne e prove senza fondamento, così da abbattere un regime sgradito ed espandere la propria influenza nella regione mediorientale.
http://www.altrenotizie.org/esteri/5653-siria-le-prove-inesistenti.html

Liberation omette le frasi di Piccinin sul sarin

Liberation omette le frasi di Piccinin sul sarin    
Di seguito l’ articolo di Liberation, omette le frasi di Piccinin sull’ uso di sarin da parte dei ribelli.

Un lettore l’ ha fatto notare, io ho messo un commento in italiano non scrivendo correttamente in francese.

il commento di un lettore:

sidonia
9 Septembre 2013 à 14:46

http://www.rtl.be/info/belgique/faitsdivers/1031019/le-belge-pierre-piccinin-libere-en-syrie-temoigne–ce-n-est-pas-le-gouvernement-de-bachar-al-assad-qui-a-utilise-le-gaz-sarin

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=62884

A fuoco i camion per il Tav

Da “Il Fatto”

VAL DI SUSA

A fuoco i camion per il Tav “Atto doloso, senza dubbio”

di Cosimo Caridi    Torino

  Tra domenica e lunedì l’ennesimo rogo ha illuminato la notte della Valsusa. A farne le spese 8 mezzi da cantiere della Itinera, ex Imprebeton di proprietàdel gruppo Gavio. Tra i principali appalti della Itinera c’è la fornitura al cantiere d’alta velocità della Maddalena di Chiomonte.   Sono già undici gli incendi divampati, dall’inizio dei lavori nel 2011, tra fornitori e il cantiere stesso. L’ultimo, il 30 agosto, era avvenuto alla Geomont Fondazioni Speciali di Bussoleno. Rivendicato, solo qualche giorno più tardi, dalla componente anarchica del movimento No-Tav. Il cementificio Itinera di Salbertrand si trova accanto al-l’autostrada Torino-Bardonecchia, a qualche minuto dal cantiere di Chiomonte. Pochi i dipendenti che ieri erano allo stabilimento; uno, in forma anonima, decide di raccontare cosa è avvenuto: “Sono una persona del posto e non voglio espormi, perché ho paura di subire delle ritorsioni da parte di persone legate al movimento NoTav”. Non ha dubbi, l’incendio è stato appiccato ad arte. “Difficile immaginare un corto circuito: la sera stacchiamo sempre gli impianti e la corrente. Secondo noi il danno è doloso. Già in passato abbiamo ricevuto minacce e due mezzi sono stati danneggiati, quindi supponiamo che siano tutti episodi collegati”.   Attorno alla mezzanotte la prima telefonata di segnalazione parte dalla Sitaf (azienda gestore dell’autostrada), si vedono fiamme provenire dal parcheggio degli automezzi. “Quando siamo arrivati – continua il dipendente – 4 betoniere e 4 camion bruciavano. Da una prima stima il danno è di 800 mila euro, ma non siamo ancora entrati nell’officina, dove c’era un secondo incendio”. I carabinieri di Susa hanno già acquisito le registrazioni delle telecamere a circuito chiuso. Sembra però che non ci siano immagini del rogo o di eventuali infrazioni, infatti non è sorvegliato l’intero perimetro del cementificio. Mentre a Salbertrand bruciavano i camion, al-l’imbocco della valle, a Torino, Maurizio Lupi, ministro alle infrastrutture, interveniva alla festa del Pd. Fuori dai cancelli il servizio d’ordine impediva l’accesso a una cinquantina di No-Tav .“I violenti in Valsusa vannoisolati – spiega il ministro -, bisogna tagliargli l’erba sotto i piedi”.   NELLA LETTURA POLITICA il movimento è diviso in due parti: quella minoritaria e violenta, che in questo momento ha preso il sopravvento, e la maggioranza silenziosa che ha sempre sfilato pacificamente e che guarda all’evolversi dei fatti cullata dalle parole dei “cattivi maestri”. Prima Gianni Vattimo, il filosofo torinese, che derubrica le accuse di terrorismo ed eversione avanzate dalla Procura di Torino. Più eclatanti le affermazioni dello scrittore Erri De Luca (“il Tav va sabotato”) e che ha anche dichiarato di aver preso parte ai sabotaggi “bloccando l’autostrada”. Ieri è arrivato anche Ascanio Celestini, che considera “il sabotaggio poca cosa confronto a un buco nella montagna”.   Più confusa la posizione dei referenti politici dei NoTav. A febbraio la Valsusa votò in massa per M5s. Il primo eletto al senato fu Marco Scibona, un valligiano di Bussoleno, città di riferimento per gli autonomi della valle. “Anche io, dentro le istituzioni – spiega Scibona – faccio dei piccoli sabotaggi. Inserisco dei granelli di sabbia per far saltare gli ingranaggi della lobby SiTav”. In Valsusa però, sembrano contare di più i mezzi bruciati, che le richieste di accesso agli atti. “Potrei condannare la violenza se fossi sicuro che venga dai NoTav, ma per adesso non ci sono prove. Sembra che qualsiasi cosa avvenga sia da imputare al movimento. Tutti possono fare due scritte sul muro o mandare una mail di rivendicazione”.   RIMANGONO I CONTORNI scuri di un’opera pensata troppi anni fa, molto costosa e che, per il traffico attuale, risulta sovradimensionata. Il movimento e la Valsusa sono diventati un problema di ordine pubblico, sui quali la magistratura ha iniziato a far sentire il suo peso. Ora i valligiani dovranno scegliere come portare avanti le loro ragioni, mantenendo quel profilo di nonviolenza che li ha distinti negli ultimi 20 anni.

BINARIO Il nuovo collegamento della linea ferroviaria tra Italia e Francia

Elections news BELGIQUE

# EODE / International Elections Monitoring / BELGIQUE : VERS LES ELECTIONS GENERALES DE MAI 2014

 Luc MICHEL pour EODE Press Office /

avec Belga – La République d’Europe / 2013 09 09 /

http://www.facebook.com/EODE.monitoring

http://www.eode.org/category/eode-international-elections-monitoring/international-elections-survey/

 La Belgique en voie de confédéralisation entre dans la grande ligne droite des élections générales de mai 2014 : Européennes (comme toute l’UE), législatives et régionales.

 Elections dominée par la question du nationalisme flamand et le score des partis républicains flamands : la N-VA de Bart de Wever, hégémonique en Flandre (entre 30 et 40%), mais aussi les radicaux du Vlaams Belang (entre 10 et 12%).

 Ensemble les deux formations représentent quasi un électeur flamand sur deux. Et la dernière « réforme de l’état » belge, qui vient de se faire dans la douleur, a été conclue en tenant ces deux formations hors du débat. Et ceci bien que la N-VA fasse partie de la majorité gouvernementale de la Région flamande (60% de la population). En Belgique aujourd’hui, état fédéralisé depuis 1970 et en voie de confédéralisation, les parlements régionaux sont les plus importants.

 La N-VA ambitionne de faire tomber le PS – parti du premier ministre, le francophone Di Rupo – de son piédestal. Et entend déboucher de suite sur un état belge résiduel et confédéralisé. De Wever l’affirme : « pas de gouvernement avec la N-VA sans assurance confédérale »

 Les sondages donnent une N-VA grande gagnante (avec un Vlaams Belang maintenu).

Les partis flamands socialiste (sp.a) et libéral (Open Vld) ne recueillent que 8% des intentions de vote…

 UN AVENIR OUVERT POUR LES INDEPENDANTISTES FLAMANDS :

LES FLAMANDS DE 16 ANS PRÉFÈRENT LA N-VA ET LE CD&V

 

Mais surtout, une majorité de jeunes Flamands âgés de 16 ans voteraient, s’ils en avaient le droit, en faveur de la N-VA ou du CD&V, révèle une étude réalisée par le centre de politologie de l’Université de Louvain (KU Leuven) dont les résultats sont publiés ce 4 septembre par les journaux ‘Gazet van Antwerpen’ et ‘Belang van Limburg’.

 

* Selon cette étude, le parti nationaliste flamand N-VA obtiendrait 31,51% des suffrages auprès des garçons et 25,08% auprès des filles.

 

* Le CD&V enregistre en revanche davantage d’intention de vote auprès des filles âgées de 16 ans (28,42%) que des garçons (22,6%). Formation démocrate-chrétienne – c’est le parti de Herman Van Rompuy, président de l’UE -, qui a dominé la vie politique belgo-flamande depuis 1945, le CD&V (V pour Vlaanderen) a viré formation confédéraliste. Et a notamment été associée à la N-VA dans un cartel électoral.

 * Les partis socialiste (sp.a) et libéral (Open Vld) ne recueillent que 8% des intentions de vote, derrière les écologistes de Groen (13% chez les garçons et 20% chez les filles).

 * Le Vlaams Belang (respectivement 13 et 8%), classé à part par les chercheurs, soucieux de ne pas alourdir le tableau, doit évidemment être ajouté à la majorité pro-flamande.

 Les chercheurs ont interrogé entre février et juin derniers près de 3.300 Flamands âgés de 16 ans fréquentant plus de soixante écoles.

 Selon les chercheurs louvanistes, « la popularité de ces deux partis auprès des jeunes est notamment due à leurs deux chefs de file, le président de la N-VA, Bart De Wever, et le ministre-président Kris Peeters, ainsi qu’à l’influence exercée par leurs parents ».

 L’étude révèle encore que « les jeunes ne voteraient pas seulement à droite mais ont aussi des préoccupations sociales de la même veine, comme l’indiquent leurs opinions à propos de la criminalité et des indemnités de chômage ». Mais les chercheurs ont en revanche « décelé que les jeunes attachent beaucoup d’importance à l’égalité et à la solidarité ».

 Bref l’avenir est ouvert pour les formations indépendantistes flamandes. Avant et après les élections de mai 2014 …

 LM / EODE Press Office

 http://www.eode.org/eode-international-elections-monitoring-belgique-vers-les-elections-generales-de-mai-2014/

La posizione Cinese sulla Siria: Tutte le spiegazioni.

La Cina gioca sulla pelle della Siria?

06.09.2013

 

FONTE

Tradotto e Riadattato da Fractions Of Reality

 La Cina ha sempre bloccato i tentativi occidentali di contrabbandare alle forze anti-siriane, raggirando la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Il rappresentante del paese al vertice dei “Big Venti” di San Pietroburgo ha di nuovo messo in guardia gli Stati Uniti contro un intervento militare in Siria. Pechino ha le sue potenti argomentazioni a sostegno di Bashar al-Assad ma preferisce tacere.

 “L’azione militare (in Siria) avrà un impatto negativo sull’economia mondiale, in particolare del prezzo del petrolio” – ha detto il vice ministro delle finanze Zhu Guang (Zhu Guangyao) in una conferenza stampa a margine del vertice del G20. La posizione della Cina sul conflitto siriano risente della mancanza di copertura mediatica nei media internazionali. Il motivo è presto spiegato: la nazione è guidata dal principio di Deng Xiaoping ovvero di “agire con cautela e abilmente mantenere un basso profilo.” Con questa arte, la leadership cinese ha raggiunto grandi traguardi. Tuttavia, alcune posso essere comunque tratte.

 La posizione ufficiale cinese annunciata il 5 settembre, tramite il portavoce del ministero degli Esteri Qin Gang recitava “Ulteriori decisioni verso la Siria devono essere approvate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Questo è uno dei principi fondamentali del diritto internazionale che disciplinano le relazioni internazionali, pertanto si richiedono che vengano attuati i colloqui politici in Siria, considerandoli come l’unica via d’uscita alla situazione tragica del paese”. Inoltre ha chiesto di attendere i risultati delle indagini  dei rappresentanti delle Nazioni Unite, dell’attacco chimico il 21 agosto.

 Le posizioni di Cina e Russia sono la stessa cosa – ha detto un funzionario cinese – ma non a causa della particolare solidarietà o simpatia per il governo di Bashar al-Assad o delle relazioni economiche con la Siria. Il motivo è molto semplice: nella Repubblica popolare cinese vi è una provincia dello Xinjiang che è popolata da quasi 20 milioni di persone, per lo più di etnia Uiguri. La loro religione è Musulmana e “al Qaeda” ha già incoraggiato la popolazione a prendere parte ad una “guerra santa” contro gli infedeli.

 Il rappresentante di “Al-Qaeda”, Abu Yahya al-Libi, ha chiamato gli Uiguri “musulmani” degli “oppressi” e ha sottolineato che la Cina minaccia la loro identità. Secondo il capo locale del governo del popolo, Nur Bekri, “nella regione autonoma uigura dello Xinjiang della Cina opera un gruppo estremista nel Turkestan orientale”, che auspica la creazione di uno stato musulmano nel territorio della Cina. “Da questo possiamo concludere che – eventuali Jihadisti che guadagnino territorio e credito in Medio Oriente – siano per la Cina dei problemi aggiuntivi da affrontare i patria”.

 In secondo istanza, si deve rilevare che il concetto di “cambiamento di regime” non entra nella testa dei dirigenti cinesi, che non vogliono sperimentare condizioni analoghe. Il più terribile incubo cinese è improvvisamente diventato un “paranoia globale”.

 Le tattiche dell’Occidente, di Israele e dell’Arabia Saudita legate alla “balcanizzazione” araba (la sovranità degli Stati, la loro divisione lungo linee guida di tipo etniche, religiose e di clan) è considerato una minaccia dalla CinaLa paura è che questi stati vogliano avvicinarsi sempre più al continente asiatico e il suo territorio utilizzando questi metodi per destabilizzare anche quella parte del mondo. La Cina ha formalmente sostenuto, così come la Russia, l’operazione in Libia ed era furioso quando un piano per un corridoio aereo finì con un bombardamento ed massacro. La conseguenza disastrosa per la Cina fu la perdita del proprio investimento nel paese. Secondo i media cinesi, 75 aziende cinesi lavoravano in Libia.

 Il numero totale di dipendenti in Libia fino al 2011 era di 36.000 persone e l’importo totale dei contratti stipulati era più di 18, 8 miliardi di dollari, oltr a più di 50 progetti di costruzione avviati. Ora il numero di personale cinese in Libia è di appena un migliaio di persone e tutti i progetti sono stati congelati. La Cina non vuole ripetere quegli errori. Da qui la terza ragione per sostenere il governo siriano.

 La Cina pur senza grandi investimenti in Siria, ha un’eccellente relazione con l’Iran – il principale alleato di Assad. La leadership cinese è ben consapevole che nel caso di un attacco alla Siria – un eventuale attacco contro l’Iran sarebbe meno probabile. L’Iran però è il principale partner commerciale di Pechino. Il petrolio iraniano per il 20 per cento viene esportato verso i cinesi. Gli analisti cinesi hanno più volte espresso l’opinione che la Cina, come l’India, siano infastidite dalle sanzioni che sono state imposte sulle esportazioni di petrolio dell’Iran. Il motivo dell’irritazione ha a che fare con il palese favore all’Arabia saudita, che senza la concorrenza dell’Iran ha le strade aperte per un continuo dominio di sulle esportazioni mondiali di petrolio a prezzi però più alti.

 L’Istituto di Washington per la Politica del Vicino Oriente ha scritto in uno dei suoi rapporti: “E ‘tempo per noi di essere saggi in questo gioco pericoloso. Dal punto di vista di Pechino, l’Iran è un importante partner strategico”.Negli ultimi due decenni, i cinesi hanno costruito rifugi in Iran, ponti, dighe, gallerie, ferrovie , strade, oleodotti, centrali elettriche, così come la metropolitana di Teheran.

 La Cina non vuole vedere il loro paese cadere a pezzi sotto la pressione dei jihadisti. La Cina ha compiuto impressionanti vittorie nella lotta contro la povertà, la sua economia è in costante crescita. La Cina ha investito molto nei paesi arabiMa è cosciente che potrebbe perdere tutte se volesse asseconda le ambizioni imperialiste degli USA e delle sue azioni sconsiderate in Siria. Il Sito “Military Review”, riferendosi a fonti confidenziale ha detto Venerdì che dentro al canale di Suez sono state viste transitare navi Cinesi da guerra tra cui la Jinggangshan.

http://fractionsofreality.blogspot.it/2013/09/la-posizione-cinese-sulla-siria-tutte.html

 

La nuova mentalità anglosassone degli italiani: il Forum Ambrosetti

Proprio mentre impartiscono lezioni di democrazia al mondo intero, gli oligarchi travestiti da benefattori dell’umanità, sbarrano le porte ai comuni mortali per il The European House-Ambrosetti svoltosi anche quest’anno nella Villa d’Este di Cernobbio, sul lago di Como.

di Sebastiano Caputo · 9 settembre 2013

 Proprio mentre impartiscono lezioni di democrazia al mondo intero, gli oligarchi travestiti da benefattori dell’umanità, sbarrano le porte ai comuni mortali per il The European House-Ambrosetti svoltosi anche quest’anno nella Villa d’Este di Cernobbio, sul lago di Como. Al tradizionale Forum economico internazionale, sotto la guida del premier italiano Enrico Letta, si è parlato di finanza e di mercati, di strategie e di possibili scenari politici nazionali ed internazionali. Il “meeting” ideato da Alfredo Ambrosetti nel 1965 è solo uno dei tanti circoli elitisti, a porte chiuse, “strettamente riservati” ai destinatari, Presidenti e Amministratori Delegati dei principali gruppi imprenditoriali, che con la democrazia e le sue istituzioni “del popolo per il popolo elette dal popolo” – delle quali gli stessi partecipanti si dicono portatori ed esportatori – c’entrano ben poco.

 Alfredo Ambrosetti, uomo vicino al mondo anglosassone, ha avuto prima dei lunghi periodi di specializzazione post-universitaria e stage presso Università americane ed importanti aziende degli Stati Uniti e del Canada (Standard Oil N.J., ora Exxon; IBM; General Motors; Ford; Eastman Kodak; Olin Mathieson Chemicals Corp.; Metropolitan Life Insurance Co.; Hydro-Electric Power of Ontario; ecc.), poi dopo una lunga esperienza Oltreoceano ha fondato “The European House-Ambrosetti”, (l’organizzazione riprende infatti il nome dal think tank più influente dell’Inghilterra, lo “Chatham House”) ed infine, è divenuto membro dell’International Board of Governorsdel PeresCenter for Peace (organizzazione non governativa situata fondata nel 1996 dall’attuale presidente israeliano Shimon Peres).

 Nella storia recente del Forum Ambrosetti si possono intravedere nella lista dei partecipanti, i nomi delle stesse persone che si riciclano – o scelgono tra di loro – anno dopo anno a capo delle Università, delle banche d’affari, dei governi, dei settori strategici italiani, europei e mondiali. Raffaele Bonanni, Ferruccio De Bortoli, Enrico Letta, Mario Monti, Emma Marcegaglia, Tommaso Padoa Schioppa, Gianni Riotta, Giorgio Napolitano, Romano Prodi, Gianroberto Casaleggio, Camillo Ruini, per citare alcuni degli italiani. E ancora, Christine Lagarde, Jean Claude Trichet, Peter Sutherland (presidente British Petroleum e Goldman Sachs), Shimon Peres. Riunioni che si svolgono secondo la celebre “Chatham House Rule”, vale a dire in base alla regola che “i partecipanti possono liberamente divulgare le informazioni ricevute senza rilevare l’identità né l’eventuale affiliazione di chi le ha fornite, né degli altri partecipanti”. Campioni della democrazia, una democrazia insegnata dalla manualistica sulla base della trasparenza, ma che in realtà è fondata su una logica opposta alla rappresentazione politica dei cittadini. Ognuno è quindi portatore dei suoi interessi in un’aula dove tutti portano i propri interessi, nella massima segretezza. Il potere ha cambiato volto, o meglio è senza volto. Finita la politica dei Congressi, delle manifestazioni, del sacrificio, del volontariato, dell’elevazione culturale degli elettori, dei grandi dibattiti in quell’aula “sorda e grigia” che è il Parlamento. La Modernità offre solo mediocri personaggi, perfetti funzionari, silenziosi burocrati e ancora “tecnici”, “saggi”, “professori”. Il Parlamento è oramai un dettaglio delle democrazie del terzo millennio (vedi la percentuale delle assenze). A che serve votare?

http://www.lintellettualedissidente.it/il-potere-senza-volto-il-forum-ambrosetti/

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Il Letta-pensiero: “privatizzare gli utili; socializzare le perdite”

Dopo Monti anche Letta avanza “privatizzazioni”; errare sarà pure umano ma perseverare…

di Guido Rossi · 9 settembre 2013 

 La notizia – come normale che sia – viene passata con una incredibile nonchalance, come se fosse ovvio, consueto, giusto persino. Già tirate in ballo dal governo Monti, ritornano con svizzera precisione nelle promesse del Premier Letta: le privatizzazioni. “L’Italia è un paese affidabile in cui investire”, queste infatti le parole che a luglio sottolineò il presidente del consiglio a Londra.

 Si inquadri la situazione: l’Italia ha un debito pubblico importante – che sì va tenuto sotto controllo, ma non è così preoccupante come vogliono farci credere -, una crescita con la retromarcia e le ragnatele nelle casse.

 Soluzione già adottata: tassare pure l’aria. Ma non basta. Allora il governo va nell’archivio “azioni da compiere”, ed aprendo il file dal fascicolo “casi estremi” procede alla solita, ancor più inutile, se non proprio pericolosa…

 …Soluzione da ri-adottare: privatizzare i beni pubblici (tradotto: vendere a prezzi ridicoli i gioielli di famiglia per pagare i buffi). Si veda che il “tesoretto” italiano consta di partecipazioni azionarie in società non quotate (tra le quali ferrovie dello stato, anas, poste italiane, sace – assicurazioni alle imprese-) ed in società quotate (come ad esempio Eni, Enel, Finmeccanica..), per un totale di 140 miliardi di euro.

 Più di 350 miliardi sarebbero invece sotto forma di beni immobili. L’idea del governo è di dismettere almeno 200 di questi 500 miliardi, così da destinarli alla diminuzione del debito.

 L’operazione si fa più difficoltosa però per la necessità di riqualificare o cambiare destinazione d’uso degli immobili in questione, tant’è che si è parlato della creazione di una società-veicolo ad hoc a cui affidare l’ardua impresa. Manco a dirlo le quote della società sarebbero poi acquistate da grossi investitori, che come sempre – ma si era capito – sono fondazioni assicurative, istituti creditizi e banche.

Tutto ciò rievoca singolarmente la vicenda dei mutui subprime. Con uno sforzo mnemonico si può ricordare come le banche nel 2007, in piena crisi di liquidità, per pagare l’enorme buco creato dai titoli tossici, cominciarono a vendere i loro titoli ancora buoni, ma –oops- nemmeno questi erano sufficienti a coprire il gigantesco debito. E poi? Il resto è storia nota.

 Perciò, puta caso riuscissimo a vendere le nostre chicche (rigorosamente all’estero), difficilmente riusciremmo a coprire tutti i debiti del caso. Foss’anche possibile il palesarsi di una tale, miracolosa possibilità, l’interrogativo s’ha da ripetere… e poi?

 Questa promessa, che Letta vuole mantenere già in autunno, è demagogia pura. L’Italia è in crisi? Voi cittadini italiani avete già pianto “lacrime e sangue”? non vi preoccupate, anche lo stato fa la sua parte, e dismette del suo (leggi: del tuo, ossia di tutti gli italiani). Senza contare che ciò è quanto mai diseducativo, nel caso si volesse intravedere il messaggio subliminale, che vorrebbe invitare i cittadini affogati dalle tasse a (s)vendere al più presto i beni in loro possesso, così da liberarsi finalmente del pesante fardello.

Va detto. dilemma atavico quello di nazionalizzare piuttosto che privatizzare. Non si può affidare tutto alla gestione dello Stato, perché non ha i mezzi sufficienti; ma cedere a mani private i nostri beni e servizi fondamentali è anch’essa follia, poiché gli investitori – soprattutto se banche, ancor più se straniere – non hanno interesse circa l’efficienza del servizio offerto, ma esclusivamente nel trarre il maggior beneficio possibile. Esempio? Si pensi agli scarsi servizi, ai prezzi rincarati e scarsissima propensione a prestiti delle nostre – una volta nazionali – banche. Così pure ai prezzi gonfiati delle autostrade, o ai guai seguiti alle liberalizzazioni selvagge per taxi, pompe di benzina e via ancora.

 Senza contare che questo ben di Dio demaniale potrebbe invece essere utilizzato – non vendendolo- per risolvere molti dei problemi che affliggono l’Italia. Magari offrendo taluni immobili agli italiani in emergenza abitativa, oppure dando terreni in gestione ai precari, od anche far fronte al problema delle carceri. Ma non si vuol parlare di fantascienza.

 Perché dunque privatizzare è un errore? Perché non serve a nulla, non coprendo nemmeno tutto il debito, il quale è dipendente – da ricordare anche questo – dal mercato, che decide dei tassi dei nostri titoli. Un mercato che non solo lucra sul nostro benessere come sul fallimento, ma che altro non aspetta se non banchettare sulla nostra carcassa, e comprarci per un tozzo di pane. “Povera Patria” canta sempre Battiato.

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