Siria: tentativi di pulizia etnica contro i curdi

di Gianni Sartori – 31/08/2013

 Fonte: Arianna Editrice [scheda fonte]

 

Secondo l’UNHCR è di oltre 40-50mila il “fiume umano” di curdi in fuga dalla Siria verso il Kurdistan come diretta conseguenza degli scontri tra milizie islamiste e combattenti curdi dei Comitati di protezione del popolo curdo (YPG, ala militare del Patiya Yekitiya Democrat, Partito Unione Democratica Curda); la causa primaria sta tuttavia nei rapimenti e nei massacri di civili operati dai gruppi fondamentalisti legati ad Al Qaida: in particolare, Jabhat Al-Nusrah (Fronte Al-Nosra, del cui leader, Mohammed Al-Jawlani, si racconta sia legato all’intelligence turca e alla CIA) e una formazione da qualche tempo molto attiva nel nord della Siria, il cosiddetto ”Emirato islamico in Iraq e Levante” di origine irachena.

 Il conflitto aperto tra curdi e milizie integraliste arabo-sunnite ripreso verso la metà del luglio del corrente anno  aveva conosciuto un’ulteriore accelerazione il 31 luglio 2013 quando più di 200 civili curdi, in gran parte donne e bambini, erano stati presi in ostaggio nei villaggi di Tall Haen e Tall Hassel, nella provincia di Aleppo. Il rapimento di massa era apparso una ritorsione per le recenti sconfitte inflitte all’Emirato islamico in Iraq e Levante dalla resistenza curda nella zona di Ras Al-Ain. Secondo fonti curde “i rapiti provenivano dalle famiglie dei soldati curdi delle brigate che in precedenza facevano parte dell’opposizione dell’Esercito libero siriano e avevano poi disertato per integrarsi nelle forze di autodifesa curde”. Secondo alcuni osservatori, “nel nord della Siria è ormai in corso la prevista campagna di agosto e settembre con cui si tenta di far instaurare una no-fly zone, corridoi umanitari e, infine, l’intervento militare”. A farne le spese, soprattutto i civili curdi. In agosto (2013) il presidente del Kurdistan iracheno, Massud Barzani, aveva invocato un’inchiesta internazionalemettendo in guardia i paesi coinvolti nel conflitto siriano, in particolare la Turchia, che “se cittadini innocenti, donne e bambini curdi, risultassero sotto minaccia di morte e terrorismo, la regione del Kurdistan irachena sarà disposta a difenderli”.

 

Il Kurdistan siriano è composto sostanzialmente da tre enclave attualmente non comunicanti: la regione di Afrin (nord ovest di Aleppo), alcuni territori sotto la città turca di Urfa (Ras Al-Ain, Amude, Hassaké) e Djezireh dove sorge Kameshli, da Damasco considerata “città strategica”.

 In Siria i curdi costituiscono il 10% della popolazione e sono concentrati soprattutto nella regione di Jezireh. Consapevole di non poter combattere contemporaneamente su troppi fronti, all’inizio del 2012 Bachar Al-Assad era corso ai ripari restituendo la nazionalità siriana a quei 60mila curdi che ne erano stati privati nel corso degli anni sessanta, in ritorsione alle loro richieste autonomiste.  Inoltre, in cambio della garanzia di mantenere l’ordine nella regione, l’ufficialmente illegale PYD ha avuto la possibilità di realizzare un’embrionale forma di autonomia.

 Dal luglio 2012, con il tacito accordo del governo di Damasco impegnato a riconquistare le grandi città, i curdi controllano almeno sei centri abitati nella zona di frontiera con la Turchia: Ain Al-Arab (Kobani), Amuda, Afrin, Dirbassyé, Til Temur, Derik. Anche Qamishli, Hassaka, Tirbaspi sono amministrate di fatto dai curdi dove, limitatamente all’interno delle caserme, è ancora presente l’esercito lealista siriano.

 Nel novembre del 2012, quando la recente tregua e il processo di pace erano ancora lontani, un comunicato del PKK accusava “il regime turco di aver aperto un corridoio tra città come Antep, Mardin e Urfa fino ad Aleppo, per far passare gli assassini”: intendeva con ciò, oltre all’immancabile Fronte Al Norsa, anche il  gruppo jihadista Ghourab Al-Cham che aveva ucciso alcuni curdi, compreso il presidente del Consiglio del popolo di Serekaniye e un precedente attacco da parte dell’ESL all’aeroporto della città curdo-cristiana di Qumishlo.

 E continuava: “Lo stato turco fa di tutto perché il conflitto siriano si trasformi in una guerra arabo-curda e noi rivolgiamo un appello a tutte le forze democratiche perché contrastino la sporca collaborazione tra AKP, partito al potere in Turchia, e Al Qaida”. Di seguito si registravano duri combattimenti tra curdi e islamisti -giunti dalla Turchia- nelle città curde di Ras Al-Ain. Mentre il PKK chiamava a raccolta il popolo curdo “per impedire il passaggio dalla Turchia dei gruppi militari”, in un’intervista al canale curdo Ronahi TV, il comandante dello YPG Sipan Hamo si era rivolto all’Esercito libero siriano affinché facesse “chiarezza in merito alla sua posizione nei confronti dei gruppi salafiti in quanto la Turchia si serve di questi gruppi. Noi -concludeva – consideriamo questo attacco come un tentativo di occupazione del Kurdistan occidentale (Kurdistan siriano nda) da parte della Turchia”.

 Nel maggio 2013 il conflitto tra islamisti e curdi era stato innescato dalla katiba jihadista Liwa Al-Tawhidi (legata ai Fratelli musulmani) che aveva occupato il villaggio curdo di Aqaiba allo scopo di impedire agli abitanti di Nubel (un villaggio sciita circondato dai ribelli anti-Assad) di sfuggire all’assedio. Invece i combattenti dell’YPG consentivano agli sfollati di transitare liberamente verso zone più sicure.

 Organizzati in milizie di autodifesa, in luglio i curdi erano riusciti a estromettere dal nord-est della Siria i gruppi legati ad Al-Qaida. Ma il mese successivo, dopo essersi riorganizzati e riforniti di armi, i fondamentalisti tornavano all’attacco. Il 5 agosto 2013 Jabhat Al-Nusrah aveva colpito nel distretto di Tal Abya (governatorato di Raqqa, area curda e ricca di petrolio). Secondo l’agenzia Itar-Tass (che ha diffuso immagini agghiaccianti e intervistato alcuni curdi sfuggiti al massacro) nel corso dell’attacco venivano uccisi circa 400 civili, tra cui donne, anziani e bambini. Le milizie islamiste avrebbero operato come veri e propri squadroni della morte anti-curdi. E’ possibile che l’attacco sia un effetto collaterale della decisione dell’Unione europea (aprile 2013) di “revocare il divieto di importare il petrolio siriano dai territori controllati dai ribelli”. Un modo per finanziare indirettamente l’opposizione, ma senza aver fatto i conti con le conseguenze sulla popolazione curda.

 Per Charles Lister e Jeremy Binnie (analisti della rivista “IHS Jane’Defence Weekly – Terrorism and Insurgency Centre”*, ritenuta fonte autorevole sia da Le Monde che dalla CNN) “ogni grande offensiva nel nord della Siria del 2013 è stata annunciata, guidata e coordinata dagli islamisti”.

 Non di rado conflittuali anche i rapporti tra gli islamisti e l’Esercito libero siriano. In luglio un esponente di ”Emirato islamico in Iraq e Levante”aveva assassinato Abu Bassir, noto dirigente della ribellione contro Assad, sollevando le proteste dell’ESL. Il 10 agosto si sono registrati scontri tra islamisti e ESL per il controllo dei depositi di alcuni zuccherifici nella provincia di Al-Raqqa e nella zona dei giacimenti petroliferi di Deir Al-Zor.

 E’ assai probabile che anche la quasi contemporanea uccisione di Issa Huso sia opera di “Emirato islamico in Iraq e Levante”. Nei mesi scorsi il leader curdo, uno dei fondatori del PYD e incaricato dei rapporti con gli Esteri per conto del Consiglio supremo curdo che riunisce tutte le formazione politiche curde in Siria, aveva criticato duramente le azioni dei fondamentalisti. Secondo altre fonti l’attentato di fine luglio a Kamechliyé, in cui Issa Huso ha perso la vita, potrebbe essere stato realizzato dai servizi segreti siriani per contrastare il recente avvicinamento tra i curdi di Siria e Ankara. Un avvicinamento dovuto alle pressioni del PKK ormai in pieno “processo di pace”.

 Nei primi tempi della ribellione siriana la posizione del PYD era stata di assoluta neutralità (qui vivono sia curdi sunniti che sciiti e alawiti, così come curdi non-islamici) e solo nel marzo 2013 si registrava la rottura con Damasco. Fermo restando che le formazioni curde mantengono la loro sostanziale diffidenza nei confronti degli arabi, indipendentemente dalla loro collocazione pro o contro Assad. Dopo l’uccisione del suo esponente, il PYD aveva chiamato a raccolta le altre formazioni curde per combattere unitariamente contro i fondamentalisti chiedendo “al popolo curdo un passo avanti. Chiunque sia armato deve entrare nelle fila dei Comitati per la tutela del popolo curdo (YPG) e affrontare gli assalti di questi gruppi armati”.

 Si ritiene che scopo del viaggio nel nord della Siria di padre Paolo dall’Oglio, fino a pochi giorni prima nel Kurdistan iracheno, fosse quello di trattare per la liberazione degli ostaggi e impedire l’ulteriore inasprimento del conflitto tra milizie islamiche e combattenti curdi. Il gesuita si era recato a Rakka nel nord-est della Siria, una cittadina sotto il controllo di “Emirato islamico in Iraq e Levante” e della brigata Ahrar Al-Cham. Qui i gruppi islamisti avrebbero operato molte esecuzioni pubbliche di presunti “traditori” ed eliminato anche i membri del Consiglio locale eletto dopo la partenza dell’esercito siriano da Rakka.

 (Gianni Sartori – agosto 2013)

 * nota: la società IHS Jane’ Defence Weekly venne fondata nel 1959 da R. O’Brien come “azienda fornitrice di database di cataloghi di prodotti su microfilm per ingegneri aerospaziali”. Negli anni successivi la sua attività era destinata ad allargarsi ad altri settori: attrezzatura, organizzazioni e geopolitica militare, attività commerciali etc. qualificandosi (per quanto, ca va sans dire, all’interno di una logica capitalista) come fonte autorevole di informazioni su difesa, forze aeree, terrestri e navali, analisi di mercato, notizie finanziarie e commerciali, analisi degli sviluppi militari etc.

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Siria: tentativi di pulizia etnica contro i curdiultima modifica: 2013-09-01T14:34:00+02:00da davi-luciano
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