Gibilterra, perché Londra e Madrid giocano alla guerra?

23 August 2013

La Ue spedisce gli osservatori

 Roberto Pellegrino

 

Nella colonia inglese, capitale del gioco online, le sigarette costano 2 euro e le tasse sono basse

 

La Rocca di Gibilterra (Marcos Moreno/Afp)

MADRID – Chissà quale sarebbe la reazione di Luigi XIV di Francia, Filippo V di Spagna e la Regina Anna di Gran Bretagna se fossero ancora in vita e leggessero i giornali. Si accorgerebbero con grande stupore che, a distanza di trecento anni esatti,  Gibilterra è ancora una questione spigolosa, scomoda e, apparentemente, irrisolvibile nell’era digitale. Loro che, con il trattato di Utrecht (1713), credevano di portare la pace anche in quel lembo estremo di roccia dove l’Europa termina e il Mediterraneo mischia le sue acque con l’Atlantico.

 Il trattato scriveva la parola fine alla tremenda guerra di successione spagnola che nei precedenti tredici anni aveva coinvolto mezza Europa e, come parte degli accordi, tra i parrucconi del XVIII secolo, Gibilterra veniva ceduta dalla Spagna alla Gran Bretagna che otteneva «la piena e intera proprietà della città e del castello di Gibilterra, unitamente al porto, alle mura, e ai forti circostanti… per sempre, senza eccezioni o impedimenti di sorta», come recita il trattato che non fa nessun riferimento alla sua sovranità e, soprattutto, alle acque, il cui sfruttamento da parte dei pescatori spagnoli, ha riacceso, da quattro settimane, la fiamma della contesa tra Londra e Madrid, con un’escalation di tensione, dispettucci reciproci, gabelle improvvisate, guerra della sabbia, accuse di fascismo, d’imperialismo e ogni genere di manfrina diplomatica.

 Ed è bene ricordare che nel referendum del 1967 il 90% dei gibilterrini votò per rimanere sotto la corona di Elisabetta II, mentre nel 2002,  addirittura il 99,7% dei votanti rigettò la proposta di condivisione della sovranità tra Regno Unito e Spagna.

 Ma a parte i referendum e l’orgoglio di appartenenza, la questione è riesplosa per un’apparente questione di pesce. I pescatori spagnoli della Baia di Algeciras da secoli pescano in quelle acque ricchissime che circondano il Peñon (La Rocca) come la chiamano gli spagnoli, preferendo, per motivi di rancore, il nomignolo al nome giuridico. È il loro unico sostentamento e la principale attività economica della zona. Tre settimane fa, Gibilterra, che è una colonia d’oltremare del Regno Unito, ha ordinato ed eseguito l’istallazione in mare di 70 blocchi di cemento per impedire alle reti dei pescatori spagnoli di operare. Cosa che ha mandato su tutte le furie il Governo spagnolo di Mariano Rajoy che, dopo aver fatto pressione sul presidente della Commissione europea Barroso, ha affidato al ministro degli Esteri José Manuel García-Margallo, la guida di un’invincibile armata di misure contro lo sgarbo della Perfida Albione.

 Prima sono stati più che intensificati, da parte della autorità spagnole, i controlli alla frontiera con la Rocca, fermando ogni auto in transito per lunghe ed estenuanti verifiche producendo tempi di attesa di dieci ore e, così creando una coda abominevole alla dogana tra Avenida Principe de Asturias e Winston Curchill Avenue. Poi, mentre il premier britannico David Cameron strillava con Bruxelles per chiedere un richiamo ufficiale della Ue alla condotta degli ex conquistadores, García-Margallo annunciava una tassa spropositata di transito di 50 euro per tutte le vetture dei gibilterrini in quella che è una delle frontiere “No Schengen” più trafficate d’Europa.

 Le file chilometriche alla frontiera tra Gibilterra e Spagna dopo il giro di vite doganale di Madrid per rappresaglia in seguito allo stop alla pesca (Marcos Moreno/Afp)

 «La Spagna non ha discusso con noi prima di decidere l’introduzione delle tasse al confine. Ci aspettiamo una spiegazione», ha detto il 4 agosto un portavoce di Downing Street, mentre il premier di Gibilterra, Fabian Picardo, paragonava il comportamento della Spagna a quello della Corea del Nord e dei Franchisti. E la spiegazione è arivata: Madrid si è giustificata dicendo che i soldi del dazio sarrebbero andati a rimborsare i pescatori spagnoli lasciati all’asciutto dalle autorià gibilterrine.

 Poi, mentre la Spagna protestava per i blocchi di cemento, accusando Londra di «inquinamento ambientale e distruzione della fauna ittica», Cameron ordinava l’invio a Gibilterra di sette fregate militari e di una portaerei. Non di certo un modo per calmare le acque agitate dei rapporti Londra-Madrid, anche se il Governo britannico si affrettava a sottolineare che il passaggio della sua flotta nel Mediterraneo era parte di un’operazione di manovre militari nel Golfo Persico, già stabilite da mesi e approvate dalle stesse autorità spagnole dell’Andalusia. Così, mentre una fregata della Royal Navy entrava il 21 agosto nella base navale della Rocca, il giorno prima una quarantina di pescherecci spagnoli si erano azzuffati in mare con la guardia costiera di Gibilterra, tentando di forzare il blocco e rivendicando il diritto a pescare in quella zona. Non proprio una battaglia degna di Lord Nelson, ma tafferugli per varie ore con i nervi tesissimi, urla, qualche lieve scontro tra scafi e gommoni e, per fortuna, nessun ferito. Ma la tensione è ormai alta, dopo quest’ultimo episodio e l’Unione europea ha deciso ora di mandare una missione di osservatori.

 Tuttavia, non è solo una questione di pesce. Non solo di orgoglio e rigurgiti imperialisti di due Paesi con una gloriosa storia di conquiste. Gibilterra è per il fisco spagnolo una spina nel fianco. È un luogo di fruttuosi e malcelati contrabbandi grazie alla presenza del mare e a un regime fiscale estremamente favorevole; c’è molta ricchezza negli scarsi sette chilometri quadrati della colonia che deriva dal commercio con gli spagnoli che raggiungono quella zona franca attratti da prezzi imbattibili. E, soprattutto, Gibilterra è un piccolo paradiso off-shore, inserito nella black list della Ue, con oltre 30 mila aziende straniere registrate che eludono le tasse di Spagna e d’Europa: Gibilterra impone un regime fiscale tra il 5 e il 10%, contro il 45% di Madrid. Le autorità della colonia parlano di “appena” 18 mila aziende, gli spagnoli di 80 mila, ma il numero è in forte ascesa. E questo, benché dal 2009, esista, grazie all’ex premier Zapatero, un accordo per l’interscambio di dati fiscali tra i paesi Ue che, però, Madrid non ha mai applicato.

 Così, mentre si alimentava una fitta corrispondenza diplomatica a suon di “note verbali” tra Londra e Madrid, il ministro dell’Ambiente spagnolo, Arias Cañete, ha accusato il Peñon di «terrorismo ambientale» con la pericolosa pratica di stoccare il greggio da distribuire sulle petroliere ferme in mare aperto, dimenticandosi, forse, che tale operazione, molto pericolosa, molto inquinante e molto fruttuosa per Gibilterra,  è consentita dall’esecutivo spagnolo in Galizia, a dispetto delle proteste degli ambientalisti.

 Ma oltre al pesce, alle petroliere, al regime off-shore, Gibilterra è la sede principe delle società mondiali di scommesseonline che qui hanno i server e che per un decennio hanno usufruito di una speciale tassazione (all’1% sotto i 500 mila euro di fatturato), poi modificata da Londra, su pressione della Ue e della necessità di maggiori introiti nell’erario britannico, al 15% e con l’obblido del  pagamento da parte dello scommettitore nel suo reale Paese di residenza.

 E non è finita qui, perché Gibilterra è una terra feconda per la criminalità organizzataspagnola verso la quale, come accusa la magistratura spagnola, il Peñon usa la mano molto leggera, mentre aumentano contrabbando, riciclaggio e fondi neri. Basti pensare che ogni anno la Rocca importa più di 150 milioni di stecche di sigarette, non di certo tutte a uso personale dei gibilterrini che, se così fosse, sarebbero i più robusti tabagisti al mondo e con una percentuale ridicola di tumori. La verità è che quasi 800 mila stecche sono state sequestrate l’anno scorso alla dogana mentre si tentava di buttarle nel mercato spagnolo che trae grossi profitti: dai 2 euro del costo a pacchetto di Gibilterra si rivendono al mercato nero a 4,5 euro. E, infine, va considerato l’aspetto mediatico della vicenda, perché ogni riaccendersi della belligeranza è un ottimo diversivo per i grattacapi interni di Rajoy invischiato nelle bustarelle del caso Barcenas, tanto che a Madrid gira la seguente battuta: «Se El Mundo (quotidiano primo accusatore del premier, ndr) insiste con i suoi articoli, Rajoy invaderà Gibilterra».

http://www.linkiesta.it/gibilterra-gibraltar?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

 

Gibilterra, perché Londra e Madrid giocano alla guerra?ultima modifica: 2013-08-25T22:48:00+02:00da davi-luciano
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