Pensioni d’oro, ci vorrebbe un decreto d’esproprio

Luca Telese

 Il governo usi il rigore draconiano che la riforma Fornero ha imposto a milioni di italiani

Scusate, oggi vorrei essere per nulla garantista, e tendenzialmente irrispettoso dei cosiddetti “diritti acquisiti”: se non altro perché nel caso delle pensioni d’oro, non sono diritti, e quindi non possono diventare acquisiti. Confesso che sono uno di quelli che è rimasto allibito nello scoprire che i centomila «super-pensionati» italiani costano al nostro sistema ben 13 miliardi di euro all’anno, come una mezza finanziaria. Credo che la risposta che il sottosegretario al Welfare, Carlo Dell’Aringa, ha dato in commissione Lavoro della Camera a un’interrogazione della pidiellina Deborah Bergamini, non sia quindi una notizia normale, ma che resterà nelle nostre coscienze una data spartiacque, un punto di non ritorno, l’antefatto – se non si interviene – di una futura guerra previdenziale.

 

Forse non tutti sanno che da anni il sito dell’Inps non fornisce previsioni di rateo per la generazione dei sub-quarantenni. E forse sapete anche che – secondo tutti gli studi – l’aspettativa tendenziale per chi è nato negli anni Settanta è quella di lavorare il doppio della generazione dei padri, per ottenere una rendita previdenziale che sia pari alla metà. È ovvio quindi che in questa forma di nuova segregazione generazionale, i 91 mila 337,18 euro lordi mensili percepiti da Mauro Sentinelli, ex manager e ingegnere elettronico della Telecom (3.008 euro al giorno!) non dovrebbero suonare come una notizia di colore, ma come la dichiarazione di guerra a un mondo che non esiste più. Sentinelli non è ovviamente colpevole di nessun crimine, sul piano personale, ma lui e quelli che sono nella sua posizione, dovrebbero essere immediatamente oggetto di un decreto di esproprio, che riporti tutte le loro retribuzioni al parametro contributivo, con lo stesso rigore draconiano che la riforma Fornero ha imposto a milioni di italiani: ottengano la rivalutazione di quello che hanno pagato di contributi, e non una lira di più.

 

Tra vent’anni – infatti – quando avremo i primi casi di barbonismo, suicidio, o affidamento ai servizi sociali, per milioni di ex precari che davanti a loro non hanno altra via della pensione minima sociale, ci chiederemo come sia stato possibile che il secondo pensionato più ricco d’Italia (anonimo) prendesse 66.436,88 euro al mese, mentre al terzo posto con circa 51.781 euro, ci fosse Mauro Gambaro, ex direttore generale di Interbanca e dell’Inter (oggi advisor specializzato nel corporate finance e presidente del cda di Mittel management). Ci sono poi Alberto De Petris, ex di Infostrada e Telecom, che porta a casa circa 51 mila euro, Germano Fanelli, fondatore della Octotelematics (che nel 2010, bontà sua accumulava dieci incarichi differenti. Dal quinto al decimo posto della classica si resta intorno alla modica cifra di 40 mila euro, esattamente da 47.934,61 a 41.707,54 euro.

 

In questo ambito dovrebbero ritrovarsi anche manager come Vito Gamberale, amministratore delegato di F2i, oppure Alberto Giordano, ex Cassa di Roma e Federico Imbert, ex JP Morgan. Il problema che rende tutto ancora più grottesco è che molti di questi manager continuano a percepire emolumenti di diverso tipo che spesso si sommano alla pensione erogata. Un’altra follia. «Questi numeri – ha commentato la Bergamini, che ha ammesso di non aver neanche immaginato che la risposta alla sua interrogazione potesse scoperchiare questo abisso – dimostrano tutta la portata distorsiva di quel criterio retributivo dal quale ci stiamo fortunatamente allontanando grazie alle riforme pensionistiche degli ultimi anni. Benché gli interventi in materia siano particolarmente delicati, anche sul fronte della costituzionalità, e avendo cura di evitare qualsiasi colpevolizzazione verso i beneficiari di questi trattamenti, (che li hanno maturati secondo le regole vigenti) è evidente – conclude la deputata del Pdl – che il tema coinvolge una questione di equità e di coesione sociale». Vero, verissimo. Questa non è una lista di proscrizione che riguarda i singoli, ma la denuncia di una stortura che in tempi di rigore diventa inaccettabile.

 

La domanda che pongo è questa: se si può riscrivere la Costituzione per rivedere la forma di governo dello Stato, se si può abolire una Camera o istituire un sistema Presidenziale, perché non si può introdurre una volta per tutte – e a grande maggioranza – un criterio di feroce rigore, che imponga l’uguaglianza previdenziale e contributiva tra i cittadini? Anche perché, ragionando con gli occhi di domani, con le risorse e la morale di cui disporremo domani, quello che oggi appare grave, domani sarà socialmente insostenibile. Se c’è una cosa a cancellare con un urgenza dunque, sono i porcellum: a partire da quello previdenziale.

 Twitter: @lucatelese

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Pensioni d’oro, ci vorrebbe un decreto d’esproprioultima modifica: 2013-08-14T10:38:31+02:00da davi-luciano
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