“Smemoranda”. Quando Re Giorgio era euroscettico

sapeva già dal 78 cosa l’euro comportasse

di: Ernesto Ferrante

 Stanno provando a buttarci fuori dalle edicole non solo per la nostra poca “correttezza” politica ma anche perché abbiamo una memoria ancora in piena forma che suona come una bestemmia nel bel mezzo di una messa in questo paesello brulicante di smemorati e spergiuri.

A costo di rimetterci fino all’ultima penna, lasciamo agli altri il posto nei trenini umanoidi, tutti lingue bavose e piume d’oca rosee, alla volta dei palazzi e scegliamo ancora una volta di incarnare la rabbia della parte viva e sana del popolo italiano, mollando uno schiaffo all’ipocrisia degli occupanti delle seggiole dorate.

Ai canti di giubilo a gettone delle scimmiette del potere a cottimo, contrapponiamo l’urlo della nostra anima in cui, per dirla alla Renzo Novatore, come in un tempio sacrilego, “le campane del peccato e del crimine, voluttuose e perverse, risuonano di rivolta e disperazione”. Proponiamo pertanto ai nostri lettori degli estratti dell’intervento dell’allora deputato del PCI Giorgio Napolitano in occasione dell’ingresso dell’Italia nel Sistema Monetario Europeo. “La resistenza tedesca a dare garanzie economiche per il riequilibrio interno della Comunità imporrà una linea di rigore a senso unico e di tagli ai salari: servono garanzie per l’economia altrimenti sarà un grave problema”, tuonò il non ancora Re Giorgio.

Correva l’anno 1978 e sui calendari campeggiava il 13 dicembre, quando il migliorista, intervenendo a nome del gruppo comunista, proferì parole dure contro il sistema dal quale sarebbe poi nata la moneta unica, con argomentazioni in gran parte coincidenti con quelle di quanti come noi ritengono l’euro e l’eurocrazia una catena e una schiavitù dalle quali affrancarsi alla svelta per non morire di strangolamento da usura e recessione. Nell’Europa della democrazia formale, l’erosione della sovranità monetaria è avvenuta a colpi di mano dall’alto, senza garanzie e senza consultazioni popolari.

Sei sono state le pugnalate al petto del nostro paese, assestate in ben trentaquattro anni, con il complice silenzio della nostra classe politica: nel 1979 nascita dello Sme, nel luglio 1981 divorzio Banca d’Italia-Tesoro, nel 1990 irrigidimento dello Sme, nel 1992 vincoli di bilancio del Trattato di Maastricht, nel 1998 euro (moneta unica), nel 2012 pareggio di bilancio e Fiscal Compact.

BOX

Così parlò il rieletto Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, oggi euro-rigorista di ferro:

“Ma mi si permetta, onorevoli colleghi, di ripartire dalla posizione assunta da noi di fronte alle indicazioni scaturite questa estate dalla riunione dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione. Guardammo allora con interesse ai propositi di rilancio del processo di integrazione e di maggiore solidarietà, per far fronte ad una crisi di portata mondiale, per accelerare lo sviluppo delle economie europee, combattere la disoccupazione e, insieme, ridurre l’inflazione. Ponemmo in questo senso il problema delle condizioni in cui l’euro avrebbe potuto nascere come strumento valido e vitale, al quale l’Italia avrebbe potuto aderire fin dall’inizio. Quello delle garanzie da conseguire affinché l’euro possa avere successo, favorire un sostanziale riequilibrio all’interno dell’Unione europea (e non sortire un effetto contrario), è un rilevante problema politico.

Le esigenze poste da parte italiana non riflettevano solo il nostro interesse nazionale: la preoccupazione espressa dai nostri negoziatori fu innanzitutto quella di dar vita a un sistema realistico e duraturo, in quanto – cito parole e concetti del ministro del tesoro e del governatore della Banca d’Italia: “Un suo insuccesso comporterebbe gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema monetario internazionale e sulle possibilità di avanzamento della costruzione economica europea”.

Ma dal vertice è venuta solo la conferma di una sostanziale resistenza dei Paesi più forti, della Germania, e in particolare della banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi e sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle economie di paesi della Comunità. E’ così venuto alla luce un equivoco di fondo: se cioè il nuovo sistema debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, o debba servire a garantire il Paese più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania, spingendosi un Paese come l’Italia alla deflazione.

Queste valutazioni sono a noi apparse tali da giustificare pienamente una scelta che si limitasse ad una dichiarazione di principio favorevole e che escludesse l’entrata dal primo gennaio nell’euro, tanto più in presenza di una analoga decisione della Gran Bretagna, con tutto ciò che questa decisione comportava e comporta.

Perché non si sono ascoltate abbastanza nei giorni scorsi queste voci e si è giunti ad una decisione precipitata ed arrischiata?

No, onorevoli colleghi, noi siamo dinanzi a una risoluzione che assume le caratteristiche ristrette di una unione monetaria, le cui caratteristiche rischiano per lo più di creare gravi problemi ai Paesi più deboli che entrino a farne parte. Naturalmente non sottovalutiamo l’importanza degli sforzi rivolti a creare un’area di stabilità monetaria. Ma se è vero che le frequenti fluttuazioni dei cambi costituiscono una causa di instabilità, è vero anche che esse sono il riflesso di squilibri profondi all’interno dei singoli Paesi.

La verità è che forse – come si è scritto fuori d’Italia – si è finito per mettere il “carro” di un accordo monetario davanti ai “buoi” di un accordo per le economie.

Onorevoli colleghi, in quest’aula si è parlato (vi si è riferito poco fa anche il collega Cicchitto) delle sollecitazioni e delle assicurazioni pervenuteci da governi amici. Queste sollecitazioni confermano l’esistenza di un reale e forte interesse degli altri Paesi membri della Comunità ad avere l’Italia al più presto presente nell’euro. Si sarebbe, dunque, potuto far leva su questo interesse, non dando adesione immediata, per portare avanti un serio negoziato. Ma se ci si vuole, onorevoli colleghi, confrontare con i problemi di fondo, i problemi delle politiche economiche, bisogna sbarazzarsi di ogni residuo di europeismo retorico e di maniera. Si è giunti a sostenere che “l’Italia non dovesse scegliere in questi giorni se appartenere o meno all’euro, ma se recidere” – dico recidere – “o meno i suoi legami con i Paesi dell’Europa occidentale, sul terreno economico e sul terreno politico”. Ma questa è una tesi che non trova alcun riscontro obi ettivo, che non poggia su alcun argomento razionale e si colloca, invece, nel quadro di una drammatizzazione gratuita ed esasperata della scelta che era davanti tal nostro Paese.

Se oggi, comunque, tra i fautori dell’ingresso immediato circolasse il calcolo di far leva su gravi difficoltà che possono derivare dalla disciplina del nuovo meccanismo di cambio europeo per porre la sinistra ed il movimento operaio – eludendo la difficile strada della ricerca del consenso – dinanzi ad una sostanziale distorsione della linea ispiratrice del programma concordato tra le forze dell’attuale maggioranza, dinanzi alla proposta di una politica di deflazione e di rigore a senso unico, diciamo subito che si tratta di un calcolo irresponsabile e velleitario, non meno di quelli che hanno spinto determinate componenti della democrazia cristiana a premere per l’ingresso immediato dell’Italia nello SME in funzione di meschine manovre anticomuniste, destinate a sgonfiarsi rapidamente ma non senza aver prodotto il danno di una irresponsabile mescolanza tra fatti di corrente e di partito e scelte altamente impegnative, sul piano internazionale e sul piano interno, per il nostro paese.

Noi attendiamo, onorevoli colleghi, le risposte del Governo – dando già ora ed essendo pronti a dare il nostro contributo costruttivo – sui problemi aperti acutamente e posti con forza dal movimento sindacale per Napoli, la Calabria ed il Mezzogiorno, problemi ormai non più prorogabili, sui temi di una politica di seria lotta all’inflazione ed alla disoccupazione”.

Fonte: http://www.camera.it/_dati/leg07/lavori/stenografici/sed0383/sed0383.pdf

 23 Aprile 2013

http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=20519

 

“Smemoranda”. Quando Re Giorgio era euroscetticoultima modifica: 2013-04-25T23:58:00+02:00da davi-luciano
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