Il capolavoro partitocratico di “Re Giorgio I”

Marco Bagozzi

Non è difficile comprendere la felicità che ha accolto la rielezione di Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica. Giornali e partiti, oltre alla cosiddetta “società civile” (che raccoglie solo le voci favorevoli al “politicamente corretto”, mentre le voci critiche non solo non sono degne della “società” ma nemmeno della “civiltà”, e francamente ne andiamo orgogliosi!), hanno commentato con entusiasmo la rielezione dell’anziano (88 anni) Presidente. Come è detto è facile capire il giubilo della nostra classe politica: con il suo spiccato “interventismo” ben oltre le classiche prerogative di un Presidente (tanto da meritarsi l’appellativo di “Re Giorgio” e la definizione di “primo presidente presidenzialista” o addirittura di “monarca” ) ha di fatto garantito la verginità all’intera classe politica italiana scaricando su se stesso e sui sicari del “governo tecnico” la (pessima) gestione della crisi economica e della politica estera italiana. D’altronde Napolitano ha potuto gestire queste situazioni praticamente senza porsi il problema della legittimità delle sue scelte visto che la pubblicistica della figura presidenziale è tradizionalmente esente da critiche. Il Presidente della Repubblica, figura costituzionalmente di garanzia, assurge al ruolo super partes di garante delle procedure e difficilmente entra direttamente nell’agone politico, se non per la certificazione della vittoria elettorale dell’una o dell’altra parte, soprattutto nell’epoca del bipolarismo. E la buona pubblicistica rientra in questa logica. Scombinando però le carte in gioco Napolitano ha avuto la possibilità di muoversi come fattore attivo (o quantomeno più attivo dei suoi predecessori) nelle scelte politiche garantendosi l’immunità dei critici. Così facendo ha garantito al (suo) sistema di ibernarsi per circa 2 anni, di scaricare sui burocrati europeisti (consapevoli di fungere da esecutori degli ordini “polvere e sangue” dell’Europa bancaria, ma talmente privi di sentimento di non farsene un problema, anzi) le scelte (eterodirette) impopolari e di ritornare “belli e simpatici” alla nuova tornata elettorale, ripresentando le stesse facce e gli stessi aguzzini di qualche anno prima. Invece di mettere la politica di fronte alle proprie responsabilità, Napolitano, non ha mandato il paese alle urne nel 2011 e ha salvato tutto e tutti, tranne il “paese reale”, quello che paga queste sciagurate scelte, ovviamente.

Napolitano ha salvato il PD, che messo di fronte alle responsabilità, già nel 2011, si sarebbe sfaldato forse in maniera più fragorosa e comica (il grande partito delle primarie…) rispetto alla resa dei conti interna di questi giorni. Ha permesso a Berlusconi e alla sua appendice personale, il PDL, di poter contare qualcosa nell’arena politica, visto che nel 2011 sarebbe affondato di fronte al voto popolare. Ha permesso ai potentati filo-UE di godere del governo più europeista e liberista possibile, supino esecutore degli ordini dell’Europa bancaria, con misure anti-nazionali e anti-popolari. Ha garantito, con il supporto (o sotto l’ordine, cambia poco) dell’Ambasciatore Thorne, il posizionamento nel campo atlantico del nostro paese, quando ha preso una posizione “forzuta” contro il leader libico Gheddafi, nonostante l’allora presidente del Consiglio preferisse una scelta diplomatica (anche per rispettare le clausole del Trattato di Bengasi del 2008…ricordate la telefonata di Berlusconi a Gheddafi nei primi giorni della rivolta antigovernativa?), prima del cambio di campo repentino (sotto minaccia esterna o a causa del consiglio famigliare?).

Inoltre, nel post-elezioni, ha bruciato la “contestazione” che si canalizzava nel voto grillino, mettendo il Movimento 5 Stelle di fronte alla possibilità dell’alleanza con il PD. Che poi, Grillo e il suo Movimento si siano sempre espressi contro alleanze e contro la partitocrazia, e che il PD di Bersani abbia rifiutato una simile proposta nei confronti del PDL, cambia poco. Grillo si è messo contro la possibilità di “salvare l’Italia” facendo un governo con Bersani (mammamia!) e quindi è nel torto. È il male. Il Corriere della Sera ha così sentenziato!

Ora invece si prospetta un governo “tecnico mascherato” con politici e tecnici in una sorta di orgia di potere partito-tecnocratico, che in quanto “governo di transizione”, “governo di necessità”, “governo di scopo” o peggio “governo salva-Italia” garantirà l’ennesimo periodo di ibernazione della politica, di immunità da critiche e di esecuzione degli ordini del potere imperialista e bancario dell’Unione Europea.

Un capolavoro. Senza dubbio. Un vero e proprio capolavoro di cinismo. Machiavelli sarebbe fiero di Re Giorgio Napolitano I. Missione compiuta: salvato il soldato potere!

Qualcuno, però obietta: c’erano alternative? Si, assolutamente! Innanzitutto un politico di più basso profilo e con scarsa legittimazione (ad esempio Marini) avrebbe garantito al ruolo di Presidente di rientrare nelle prerogative costituzionali, eliminando l’eccezione normativa, e avrebbe messo la classe politica di fronte al proprio fallimento e quindi avrebbe accelerato il cambio di classe dirigente che per questo paese sembra l’unica strada percorribile. Creando finalmente quello shock che avrebbe garantito una prospettiva reale di cambiamento (rivoluzionario) sia nel campo sociale che in quello geopolitico.

Oggi in molti si meravigliano che il Parlamento ha applaudito il Presidente che apparentemente ha duramente criticato i politici che siedono nel parlamento stesso. Sembra un’incongruenza. Ma così non è: senza questo Presidente in molti non sarebbero lì. Gli applausi sono di riconoscenza, di gratitudine. Non sono applausi che accettano quelle critiche.

http://www.statopotenza.eu/7008/il-capolavoro-partitocratico-di-re-giorgio-i

 

Il capolavoro partitocratico di “Re Giorgio I”ultima modifica: 2013-04-25T23:58:00+02:00da davi-luciano
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