IL MODELLO CIPRO: UN CASO STUDIO CHE PUO’ ESSERE REPLICATO IN FU TURO

Sono quasi certo che il modello Cipro farà scuola. Fra qualche tempo sui manuali più autorevoli di economia e finanza saranno dedicati interi capitoli sul modo molto inusuale e sbrigativo con cui i ministri delle finanze dell’eurozona hanno risolto la crisi bancaria dell’isola cipriota, stravolgendo in pratica tutto ciò che prima sapevamo e davamo per scontato sulla gestione dei flussi finanziari. L’accordo trovato in extremis domenica notte, salutato con entusiasmo da tutti i mezzi della propaganda come il salvataggio di Cipro, presenta notevoli punti oscuri che avranno sicuramente pesanti ripercussioni in futuro sulla tenuta dell’intera area euro. Innanzitutto perché non si tratta assolutamente di un accordo, ma di un diktat, di un ricatto o meglio, usando la terminologia edulcorata dei tecnocrati europei: un memorandum d’intesa (MoUMemorandum of Understanding). Il parlamento di Cipro stava infatti lavorando ad una sua proposta di ristrutturazione interna del sistema bancario, che è stata bruscamente ignorata per fare posto alle imposizioni dei tecnocrati. Un eventuale rifiuto del MoU (che in ogni caso deve essere ancora ratificato dal parlamento cipriota) avrebbe comportato il default di Cipro e la successiva uscita dall’eurozona, dato che il governatore della BCE Mario Draghi aveva minacciato di interrompere l’erogazione di liquidità alle banche cipriote prevista dal programma di emergenza ELA (Emergency Liquidity Assistance)

Il MoU come sappiamo è uno strumento obbligatorio e coercitivo associato a tutti gli aiuti forniti dal Meccanismo Europeo di Stabilità: per avere qualsiasi forma di sostegno finanziario, sia al settore pubblico che al settore bancario, il governo del paese in questione deve accettare una serie di condizionalità che possono cambiare da paese a paese, e in base al prestigio e all’importanza strategica della sua economia. A giugno scorso, per esempio, la Spagna ha ottenuto un piano di aiuto da €100 miliardi per ricapitalizzare buona parte delle sue banche fallite, senza controfirmare alcun memorandum d’intesa o garantire ulteriori riforme strutturali. Ma la Spagna non è Cipro e il suo peso specifico all’interno dei palazzi che contano non è di certo paragonabile a quello della piccola isola mediterranea: questo modo di agire sarà sicuramente vincente per la creazione di quello spirito europeo dei popoli (il Sogno!) con cui ci riempiono tanto la testa i tromboni della demagogia europeista. Per un abitante di Cipro sapere che lui è un cittadino europeo di serie B rispetto ad uno spagnolo sarà certamente gratificante, motivo di orgoglio e di vicinanza nei confronti degli altri popoli del continente più disastrato del mondo. In quanto poi a condizionalità imposte da Bruxelles, noi italiani siamo invece i più furbi, perché i nostri precedenti governi (Berlusconi e Monti) le hanno già accettate (ricordate la lettera della BCE dell’agosto del 2011? Non può quella missiva strettamente riservata considerarsi l’antesignana di tutti i successivi MoU?), senza ricevere in cambio alcun sostegno finanziario. Sarebbe troppo umiliante per noi italiani essere accomunati a greci o ciprioti o irlandesi. Altro atteggiamento questo per sentirsi più vicini e solidali nella stessa sorte.

 E fin qui ci siamo limitati a parlare delle questioni di forma, ma andiamo adesso alla sostanza del MoU, cercando di capire punto per punto cosa può rappresentare e quali scenari può aprire in futuro. Ovviamente partiremo dal modo alquanto bizzarro in cui è stato strutturato il salvataggio delle due principali banche dell’isola (Bank of Cyprus e Laiki Bank), analizzando bene la sequenza dei passaggi:

1)La Laiki Bank verrà fatta fallire con notevoli perdite per azionisti, titolari di obbligazioni e depositi non garantiti superiori a €100.000 (si parla attualmente di un taglio del 40%, ma siamo ancora nella fase delle stime provvisorie)

Se, come abbiamo già detto, per azionisti e titolari di obbligazioni la perdita può essere giustificata perché si tratta di veri e propri investimenti che mantengono un fondo di rischio, non si capisce invece come sia possibile considerare investimento un semplice deposito presso una banca. Il titolare di un deposito ha solo chiesto un servizio di custodia ad un banca per cui paga delle commissioni e in caso di deposito vincolato o di risparmio riceve degli interessi in base alle clausole pattuite (per esempio il tempo di preavviso per il prelievo o il periodo minimo di mantenimento). Il depositante è a tutti gli effetti un cliente della banca e non un investitore. La manfrina di considerare dei ricchi paperoni coloro che hanno un deposito superiore a €100.000 è solo qualunquismo della peggiore specie, perché una famiglia di semplici impiegati o di pensionati abituati a risparmiare può arrivare a simili cifre nel giro di una decina d’anni (basta evitare spese inutili e mettere da parte poco meno di €1000 al mese). Anche perché sappiamo bene che per fare una vera patrimoniale e tassare la ricchezza non si possono solo conteggiare i beni finanziari, ma bisogna anche includere quelli reali e gli immobili. Io posso pure avere un deposito superiore a €100.000 ma non possedere una casa perché non ho voluto o potuto stipulare un contratto di mutuo. E sarei quindi un nababbo, del tutto equiparabile a chi ha ville di lusso, yacht, macchine sportive? Inoltre non è un mistero che i veri ricchi mantengono pochi soldi sui conti correnti e preferiscono utilizzare le carte di credito con vari livelli di plafond per le proprie spese, impegnando il resto delle risorse in investimenti fruttiferi.

Per assimilare i risparmiatori, i clienti, ai veri responsabili della cattiva gestione di una banca, al pari dei dirigenti, degli organi di vigilanza o degli stessi investitori che non hanno valutato accuratamente il rischio, ci vuole davvero faccia tosta. Cosa che a quanto pare non manca ai tecnocrati europei. Solo per fare un esempio, immaginiamo di trovarci in un negozio di scarpe insieme ad altri clienti, ai commessi, al titolare. All’improvviso arriva il messo del tribunale che consegna al titolare l’ingiunzione di fallimento. Normalmente cosa accade? Si fa una svendita promozionale, si mettono all’asta i locali e si rimborsano quota parte i vari creditori (senza entrare nel merito delle società a responsabilità limitata o di capitali). Nel caso cipriota invece è come se il titolare avesse abbassato le saracinesche del negozio, sequestrato i clienti e chiesto ad ognuno di loro di mostrargli quanti contanti custodiscono in portafoglio: quelli che hanno meno di €100 euro possono andare via (anche se appena fuori hanno posteggiato una Ferrari!), mentre quelli che hanno più di €100 euro devono pagare una penale del 40%, non si capisce a che titolo, se non estorsione o rapina

E gli oligarchi russi, per quanto possano stare antipatici a qualcuno, sono pur sempre dei clienti uguali agli altri, che frequentavano quelle banche da anni, senza che nessuno avesse mai alzato un dito o gridato allo scandalo. Anzi erano gli stessi tecnocrati o analisti finanziari ad osannare il modello di sviluppo di Cipro come un esempio da seguire, perché attirava parecchi investimenti esteri. Solo oggi si sono accorti che gli investimenti esteri non vengono dati gratuitamente ma sono sempre dei debiti privati che quando superano una certa soglia o non possono essere remunerati adeguatamente minacciano l’equilibrio dell’intero sistema paese. Alla faccia dei nostri indecenti sindacalisti o sinistrorsi vari che ancora oggi implorano l’arrivo dei capitali e degli investimenti esteri come soluzione a tutti i problemi dell’Italia. 

2)Una volta accertato il fallimento la Laiki Bank verrà suddivisa in una bad bank e in una good bank. Nella bad bank verranno trasferite tutte le attività deprezzate o fuori mercato, dai cui proventi di vendita (quando realizzabili), insieme a parte del fondo di salvataggio da €10 miliardi, si spera poi di rimborsare azionisti, obbligazionisti e depositanti taglieggiati. Una volta conclusa la procedura di fallimento, la bad bank verrà eliminata.

3)La good bank (con le attività ancora buone e i depositi garantiti inferiori a €100.000, che non sono stati toccati) verrà trasferita invece presso la Bank of Cyprus. Per rimettere però a posto i bilanci della BoC, anche gli azionisti, gli obbligazionisti e i titolari dei depositi non garantiti superiori a €100.000 subiranno delle perdite che oscillano fra il 30%-40%. Inoltre i depositi non garantiti verranno congelati fino a quando non saranno concluse le operazioni di ricapitalizzazione della banca.

4)Per raggiungere un rapporto di capitalizzazione del 9% (rispetto alle attività ricalcolate per il rischio, come previsto dagli Accordi di Basilea III) parte dei depositi non garantiti verrà convertita in modo forzoso in azioni della banca. Uno che solo il giorno prima era un semplice cliente viene in pratica obbligato con una pistola puntata alla tempia a diventare un socio di una banca gestita da criminali, faccendieri, briganti. Istigazione a delinquere allo stato puro. A termine di legge, questo giochetto si può fare con le obbligazioni strutturate che hanno il vincolo di convertibilità in azioni, ma non con i depositanti. Ecco per quale motivo mi aspetto molti ricorsi in tribunale e class action nei prossimi giorni, settimane, mesi a Cipro.

5)I soldi del piano di aiuti da €10 miliardi non verranno quindi utilizzati per ricapitalizzare le banche, ma serviranno al governo per coprire le prossime perdite delle banche, il cui calvario non è ancora finito (siamo proprio sicuri che alla riapertura degli sportelli, prevista per il prossimo lunedì, i clienti inferociti e spaventati non si presenteranno in massa per chiudere i loro depositi garantiti inferiori a €100.000?) e per gestire i propri fabbisogni fiscali, nonché il rimborso o il rinnovo dei titoli di stato in scadenza, visto che ormai Cipro non può più finanziarsi tramite i “mercati” a causa degli alti rendimenti richiesti.

Le limitazioni al prelievo dei contanti (si parla di un massimale intorno a €100-120 al giorno) e alla circolazione dei capitali verranno applicate per evitare le fughe di liquidità dall’isola, che manderebbero in poco tempo all’aria il delicato piano di ristrutturazione. Il governo, in collaborazione con la banca centrale cipriota, si impegna a mantenere queste restrizioni per tutto il tempo necessario. Il governo cipriota inoltre dovrà seguire pedissequamente il classico programma di austerità fatto di consolidamento fiscale (tagli alla spesa pubblica e tasse), riforme strutturali (licenziamenti nel settore pubblico, che si sommeranno a quelli del settore privato, soprattutto nel comparto bancario alla deriva) e privatizzazioni (il vero boccone prelibato da spolpare dato che sui giacimenti di gas naturale di Cipro avrebbero già da tempo puntato gli occhi cinesi, russi e gli stessi tedeschi). Secondo le ambiziose e quanto mai deliranti previsioni dei tecnocrati europei, il sistema bancario di Cipro dovrebbe allinearsi alla media europea entro il 2018 e il debito pubblico del paese rientrare entro la soglia del 100% (dal 140% circa attuale) entro il 2020.

Come al solito, gli analisti di Bruxelles non considerano la caduta del PIL cipriota che si avrà nei prossimi anni in conseguenza del piano di salvataggio (secondo le ultime stime, visto che gran parte del PIL dell’isola era in qualche modo legato alle attività finanziarie, sia avrà una contrazione superiore al -10% quest’anno, e superiore al -8% nel 2014), che renderà sempre più difficile il raggiungimento degli obiettivi previsti. Inoltre non sono stati minimamente considerati gli effetti geopolitici che si avranno in futuro, dato che la Russia ha mostrato parecchio fastidio dal metodo adottato che penalizza soprattutto i grandi magnati russi, avvantaggiando invece le solite banche europee che avevano investito in titoli di stato cipriota e non subiranno alcuna decurtazione del valore nominale (in pratica, come già sperimentato con la Grecia, la maggior parte dei €10 miliardi di aiuti serviranno appunto a rimborsare i grandi possessori di titoli di stato cipriota, mentre poco o nulla si fermerà sull’isola per favorire una qualche forma di politica economica espansiva, indispensabile per sperare nella ripresa). Considerando che la Russia rifornisce di gas e petrolio quasi tutti i paesi dell’eurozona, non valutare gli effetti collaterali di un possibile ostruzionismo russo potrebbe essere una mossa molto azzardata.

Ma l’intera operazione cipriota presenta notevoli criticità non solo per il modo unico e speriamo irripetibile con cui sono state ricapitalizzate le banche, ma anche perché in maniera molto palese e sprezzante l’eurozona ha mostrato al mondo tutti i limiti della sua fragilissima costruzione bizantina. La pretesa del mercato unico e della libera circolazione dei beni e dei capitali è fallita perché si fondava sul principio che l’estrema deregolamentazione avrebbe consentito un raggiungimento di una qualsiasi condizione di equilibrio per via naturale e spontanea. Una credenza dogmatica che ormai è stata smentita più volte dai fatti e dalle evidenze sperimentali e gli stessi economisti del FMI giudicano stantia, verificando dati alla mano che laddove sono state applicate restrizioni e controlli ai movimenti dei capitali, il sistema finanziario interno è stato di gran lunga più sostenibile, stabile, equilibrato. Ma c’è un altro fattore che è emerso in tutta la sua evidenza nel caso Cipro: la mancanza di una banca centrale. Sappiamo che la nascita delle banche centrali è stata spesso necessaria per evitare le crisi di panico, le corse agli sportelli e fornire una garanzia di supporto all’intero sistema bancario e indirettamente a tutti i depositanti.

Siccome nell’eurozona non esiste una vera banca centrale che faccia da prestatore di ultima istanza (non solo per il settore pubblico, ma anche per quello privato, come vedremo dopo), questi pericoli sono e saranno sempre incombenti. Come si può notare dal grafico sotto, i finanziamenti concessi dalla BCE alle banche cipriote dal 2008 ad oggi sono molto ridotti e circoscritti, limitandosi in pratica alla sola fornitura di liquidità operativa prevista dal programma di emergenza ELA. Nulla in confronto ai fiumi di liquidità forniti per esempio alle banche spagnole e italiane. In una simile occasione di dissesto finanziario ci saremmo aspettati un intervento più massiccio della BCE, che invece non c’è stato perché osteggiato dai soliti tedeschi, che non solo considerano scorretto qualsiasi finanziamento diretto ai governi nazionali ma anche il sostegno eccessivo alle banche private, persino quelle sull’orlo del fallimento. Per un’ovvia ragione: la BCE è la loro banca, una costola della Bundesbank, che non può rischiare di esporsi più di tanto nelle operazioni di rifinanziamento e deve centellinare la distribuzione dell’euro-marco in giro per l’Europa per mantenerne inalterato nel tempo il potere di acquisto e apprezzato il valore di cambio. Al contrario di ciò che accade nel resto del mondo, in Europa i salvataggi delle banche devono avvenire a spese dei contribuenti (il meccanismo MES), gravare sui bilanci pubblici o come abbiamo scoperto da poco a Cipro, essere sostenuti dagli stessi clienti. Tutto fuorché l’utilizzo di una banca centrale. Cosa che come potete immaginare ha fatto sussultare gli analisti di quei paesi (Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Australia) dove esiste una “normale” banca centrale.

 Infine un altro principio è stato velatamente o sfacciatamente ripreso nel caso cipriota: le banche possono utilizzare qualsiasi mezzo o strumento per salvarsi, non esistono limiti a riguardo. Qualsiasi innovazione in questo campo, come più volte ribadito dal presidente olandese dell’eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, è sempre gradita. E soprattutto, avendo il modello di Cipro rappresentato un precedente, tale bizzarra strategia di salvataggio può essere replicata in futuro in altri paesi, perché ognuno deve farsi carico di una parte di rischio che affrontano gli eroici banchieri per investire i capitali nel turbolento oceano della finanza mondiale. Anche qualora questa soglia di rischio si spingesse fino all’azzardo morale. Banche e società civile ormai sono due entità praticamente inscindibili e noi tutti dobbiamo sentirci coinvolti nelle alterne fortune in cui navigano le nostre banche nazionali. I diritti umani o quella cosa ottocentesca chiamata Carta Costituzionale sono poco cosa rispetto ad un bilancio in salute di una banca o alle plusvalenze degli azionisti. Avere dei bravi e intraprendenti banchieri è molto più importante per il benessere collettivo che allevare buoni e onesti politici o men che meno statisti che abbiano una visione più allargata e lungimirante dei problemi complessi da affrontare. Se poi come a Cipro, o in Grecia, o nella stessa Italia non hai né l’uno né l’altro, il tuo paese è spacciato e prima o dopo affonderà. Diventando una colonia di chi invece può contare su banchieri e politici affiatati, compatti, coesi, intenzionati a difendere in tutti i modi i propri interessi nazionali (la Germania vi ricorda nulla?)

Se queste sono le premesse, i principi e gli scenari verso cui si sta dirigendo a grandi passi l’eurozona, i tecnocrati (politici e banchieri inclusi) non si devono stupire se presto o tardi nascerà una forte opposizione organizzata di resistenza civile e democratica in tutto il continente. Dalla Spagna, alla Francia, alla Germania, passando dall’Italia per arrivare fino a Cipro. Se solo la stampa e l’opinione pubblica in generale riuscisse a svincolarsi dalla sudditanza e dall’asfissiante oppressione della tecnocrazia si riuscirebbe in breve tempo a coalizzare tutti i movimenti di protesta che rifiutano categoricamente questa minacciosa impostazione totalitaria ed oligarchica dell’eurozona. Movimenti e idee che per il momento sono costretti a muoversi nell’ombra e in clandestinità, ma che cominciano a suscitare sempre più interesse nei partiti più euroscettici o nel popolo vessato ed umiliato. A tal proposito, mi pare degna di nota questa presa di posizione del giornalista cipriota Emmanuel Lioudakis del quotidiano O Phileleftheros (Il Liberale), pubblicata sul sito Presseurop. Se queste voci disperse cominceranno ad unirsi sotto un’unica bandiera democratica europea saranno dolori per i tecnocrati, visto che i loro veri nemici siamo proprio noi. 

IL CALVARIO E’ COMINCIATO

Di Emmanuel Lioudakis

Traduzione di Andrea De Ritis

Oggi sento più che mai il bisogno di scrivere qualche riga per esprimere quello che provo, per cercare di mettere insieme i pezzi della dignità di questo popolo, distrutto dall’imposizione da parte dei nostri partner dell’Unione europea (Ue) di misure inammissibili. Oggi migliaia di persone si sono svegliate e invece di pensare ai loro problemi quotidiani hanno provato un immenso vuoto. Sì, perché il loro paese, Cipro, non esiste più. La nostra isola è scomparsa qualche settimana prima di Pasqua, all’inizio della quaresima, con l’abdicazione ai diktat della troika (Fmi, Ue e Bce). Provo un sentimento di disgusto, di vergogna e di delusione. Che cosa è rimasto del nostro orgoglio, della nostra dignità e della nostra forza di opposizione?

In realtà se ci troviamo sull’orlo del precipizio è in gran parte a causa dei nostri sbagli. Siamo responsabili di questa situazione perché abbiamo lasciato la gestione dei nostri affari alla troika e ai tecnocrati dell’Eurogruppo. La distruzione del sistema bancario avrà come conseguenza la scomparsa del nostro Stato. La gente perderà il lavoro e saranno cancellati tutti gli sforzi fatti per avere una vita migliore. Le pensioni, ottenute grazie ai sacrifici di tutta una vita, subiranno la stessa sorte dei depositi bancari e saranno duramente tassate dai nostri “amici” europei. Amici del genere è meglio perderli che trovarli.

E che cosa sarà dei migliaia di lavoratori che perderanno il posto e il cui stipendio è ormai ostaggio dei debiti? La maggior parte di loro riceverà un benservito senza alcun indennizzo. E cosa sarà delle banche? Riapriranno? Quante riusciranno a sopravvivere a questa settimana da incubo? Gli interrogativi sono numerosi e siamo ormai allo stremo, stanchi di aspettare che altri decidano il nostro futuro al nostro posto.

È per questo motivo che attraverso queste righe voglio rivolgermi ai miei connazionali, alla gente comune, e chiedere loro di cercare di risanare il nostro sistema bancario per mandare via la troika e per ridefinire i nostri legami di solidarietà. È adesso che bisogna mostrare il nostro patriottismo, bisogna mostrare che l’anima degli elleni non si sottomette così facilmente ai diktat stranieri. La nostra anima è in fermento e i nostri pugni sono serrati. Stiamo già cercando i responsabili e sono certo che li troveremo.

In questo momento cruciale dobbiamo essere uniti, aiutare il nostro paese e resistere al nemico. Come se fossimo di nuovo in guerra. Perché quella che stiamo vivendo è una guerra, anche se assume altre forme. I nostri connazionali della diaspora potranno aiutarci mettendo mano al portafoglio. Bisogna aiutare il nostro stato a rialzarsi, perché siamo solo all’inizio di una lunga via crucis. Forza e coraggio!

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IL MODELLO CIPRO: UN CASO STUDIO CHE PUO’ ESSERE REPLICATO IN FU TUROultima modifica: 2013-03-28T07:36:00+01:00da davi-luciano
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