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Ma i miliardi di soldi spesi sono tutti veri – di Antonio Crispino

Dovrebbe esistere. Nei sogni dei calabresi da più di 60 anni. Sulle cartine geografiche dell’Automobil Club è riportata dagli anni ’80 in poi. Ma non c’è. Niente. Nemmeno una goccia d’acqua.

E’ la diga del Mèlito, nel catanzarese, la più grande del Mezzogiorno, una delle più estese d’ Europa. Avrebbe dovuto dar vita al lago Azzurro. I numeri sulla carta parlano da soli: 15 milioni di metri cubi di materiale, 108 metri di altezza massima per uno sviluppo a corona di 1,5 km e la capacità di ingabbiare 108 milioni di metri cubi d’acqua. Tutto attorno era stato previsto un piano di sviluppo turistico ma anche il potenziamento della rete di irrigazione agricola in 50 comuni, due province (Vibo Valentia e Catanzaro).

La Cassa del Mezzogiorno finanzia l’opera nel 1983 con 503 miliardi di vecchie lire. Ad accorgersi per primi della diga fantasma, fu negli anni ’80 una coppia di turisti tedeschi che intendeva fare canoa sul lago. Dopo ore a girare a vuoto, qualcuno gli dovette spiegare che il lago che vedevano sulla mappa esisteva solo sulla carta. E da allora non è cambiato quasi niente. Mentre le cartine geografiche già stampano ovunque il lago Azzurro, l’opera resta ferma per una serie di contenziosi con le ditte appaltatrici. All’improvviso, infatti, Italstrade e poi Astaldi si rendono conto che l’opera si trova in una zona altamente sismica, una delle spalle della diga rischia di crollare sotto il peso dell’acqua. Nel frattempo vengono spesi 25 milioni di euro per espropriare tutto un paese e 112 ettari di terreno. 200 nuclei familiari vengono allontanati dalla frazione Canne del comune di Fossato Serralta. Secondo i progetti dovrebbe essere inabissata.

Sul cantiere non troviamo né custodi né operai ma solo un grande sperpero di denaro: dagli automezzi abbandonati sino alle case degli operai in completo stato di degrado.Facciamo un giro all’interno. Invece delle ruspe e delle gru in azione ci sono le mucche a pascolare. Tutto abusivo. Macchinari da milioni di euro ormai fuori uso sono parcheggiati sul cantiere. Entriamo nelle case dove alloggiavano gli operai, ormai devastate. Ci sono ancora i mobili e qualche suppellettile di quando questa era considerata una sorta di terra promessa e brulicava di lavoratori. Ad occuparsi di tutta la gestione della diga sul Melito è il Consorzio di bonifica che si trova in un lussuoso palazzo al centro di Catanzaro.

I giornali locali sono pieni di annunci di fine lavori da parte del presidente Grazioso Manno ma, dopo la rescissione del contratto con Astaldi, nemmeno l’affidamento a una terza ditta,la Safab , va a buon fine. Arrivano informative di infiltrazioni della ndrangheta nell’appalto e viene rescisso anch’esso. Trecento operai perdono il posto di lavoro. In 40 anni si riescono a realizzare solo opere minori (il 10% dell’opera). Paradossalmente, proprio mentre si licenziano gli operai e i cantieri sono chiusi, il Consorzio decide di assumere nove persone. «Sono frutto di clientelismi e trasversalismi politici» ci dice Giuseppe Valentino della CGIL. Il sindacato denuncia, ela Procura mette sotto inchiesta il presidente Manno per abuso di ufficio. Ma non resteranno l’unico caso di assunzioni a dir poco strane. Lo stesso Manno “eredita” la poltrona di presidente dal padre Francesco. «Nulla di strano – ci dice il direttore dell’area amministrativa Silvestro Giacoppo -. Se gli agricoltori intendono confermare a chi ha ben operato, in continuità, un altro componente che fa parte della stessa famiglia, non me ne preoccuperei».

Del resto lui, come il direttore dell’ufficio tecnico e tanti altri, sono stati assunti per chiamata diretta del presidente Manno, di cosa bisognerebbe preoccuparsi? Tra amici e parenti, il rappresentante della Cgil ci segnala anche l’assunzione della figlia dell’attuale direttore del consorzio Flavio Talarico, Emanuela. «Mia figlia non è mai stata assunta al Consorzio, è disoccupata di lungo corso» si difende Talarico. Eppure, andando a chiedere tra i vecchi dipendenti licenziati per far posto ai nuovi assunti, si scopre che Emanuela non è mai stata assunta dal Consorzio direttamente, ma da un ente, il Sidical, nel 2005 e 2006, che si trova nell’Urbi (Unione regionale delle Bonifiche) la cui sede è proprio nel Consorzio di Bonifica. «La ricordiamo tutti – dice un’ex dipendente -. La mattina arrivavano insieme e andavano via insieme». Oggi l’opera è bloccata. Il Ministero dei Lavori Pubblici per paura di altri sprechi e contenziosi con le ditte, l’ultima costata ben 35 milioni di euro a favore di Astaldi, prima ha commissariato l’opera e poi ha bloccato il resto dei soldi facendo finire tutta l’opera faraonica in un tunnel senza sbocchi. «Quando si è iniziato a parlare della diga mia mamma aveva 7 anni. Ora è morta, all’età di 88 anni, e la diga non si è ancora vista» chiosa uno dei residenti che pur avendo intascato i soldi dell’esproprio, visti i continui intoppi del progetto, invece di andare via è ritornato abusivamente nella propria casa senza che nessuno gli dicesse niente. Ormai da vent’anni.

Antonio Crispino6 marzo 2013 (modifica il 7 marzo 2013)

 

Corriere.maxi-diga-che-esiste-solo-carteultima modifica: 2013-03-07T18:42:00+01:00da davi-luciano
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