Chi ha vinto e chi ha perso

26 FEBBRAIO, 2013 – 12:10 | DA MONIA BENINI su Teste libere

C’è un vincitore certo, al di là di ogni opinione. Parlano le cifre. E’ un partito che ha 11.634.803 consensi: il non voto. Oltre 11 milioni e mezzo di aventi diritto non sono andati a votare a queste elezioni.

In una repubblica basata sulla democrazia rappresentativa, l’attribuzione dei seggi che risponda esattamente all’indicazione dell’elettorato (ovvero un proporzionale puro, l’unico che non tradisce o manipola la volontà dei cittadini) – dati alla mano – prevederebbe l’assegnazione di un seggio alla Camera ogni 74.455 elettori. Pertanto, una semplice operazione aritmetica ci dimostra che ben 156 seggi non dovrebbero proprio essere assegnati. Questo significa l’astensione oggi in Italia. Ma sappiamo come funziona la porcata elettorale italiana, con premi di maggioranza e soglie di sbarramento varie. Così l’opinione di un elettore su 4 sarà violentata e attribuita ‘in premio’ alla coalizione vincitrice. Per governare meglio, dicono. Perché con un sistema maggioritario con sbarramento, ci hanno spiegato a suo tempo, si eviterà il proliferare di liste e listine.

Infatti. Alla Camera erano candidate 47 liste diverse, alcune raccolte in coalizione, per la bellezza di ben 32 premier in lizza. Siamo riusciti a battere il record delle elezioni politiche della Grecia… Almeno si avesse il buon senso di dire che il premio di maggioranza e lo sbarramento non servono né per la governabilità, né per diminuire il numero di partiti presenti alla competizione elettorale. Servono solo a ingrassare la pancia di chi arriva primo, falsando di fatto l’esito delle urne.

C’è poi una seconda vittoria. Netta e di sorprendenti dimensioni. Quella del Movimento 5 Stelle: 8.688.545 elettori, il primo partito italiano alla Camera dei Deputati. Un M5S che ha seguito il consiglio giunto da Piero Fassino nel 2009: “ Il PD non è un taxi su cui chiunque può salire. Grillo si faccia un suo partito, vada alle elezioni e vediamo quanti voti prede.” Detto, fatto.

Per il resto, il panorama presenta delle non vittorie, se non proprio delle sonore sconfitte. A partire da Monti, primo ministro uscente da un governo tecnico sostenuto da PD, UDC, FLI (e PDL sino a novembre 2012), che è riuscito a raccogliere poco più di 2 milioni e 800 mila voti. A nulla vale dunque la dichiarazione post voto di Monti: “Sono soddisfatto, siamo partiti da zero”. Certo che se un Presidente del Consiglio uscente parte da 0…cosa si dovrebbe dire per quella galassia di liste, movimenti e piccoli gruppi che, comunque decisi a fare la propria esperienza elettorale, si sono presentati dovendo raccogliere le firme da soli, senza alcun sostegno e spesso fra mille ostacoli e avversioni dei partiti tradizionali?

E a proposito di Monti, nella sua coalizione ci sono due drastiche sconfitte: la quasi scomparsa di FLI (Fini) con meno di 160 mila voti raccolti a livello nazionale (e la scomparsa dal Parlamento) e la sonora batosta dell’UDC di Casini che, da oltre 2 milioni di elettori nel 2008, scende a poco più di 600 mila, con una perdita netta di quasi un milione e mezzo di voti. Per restare a Monti, il percorso che traccia su La Stampa difficilmente può dare adito a confusione: «Va assicurato un governo al Paese – scandisce il Professore -, ma non un governo qualunque, un governo che faccia andare il Paese». Verrebbe da chiedere ‘dove?’, ma la risposta l’aveva già fornita il colosso bancario Goldman Sachs nel settembre 2012, sostenendo la positività di un governo PD che porti avanti la linea montiana.

Veniamo dunque al Partito Democratico, al quale l’Italia giusta è riuscita a togliere la bellezza di quasi 3 milioni e mezzo di voti rispetto al 2008. E l’aspettata ciambella, ovvero un risultato elettorale che garantisse la governabilità stabile con l’accordo Bersani-Monti, non è riuscita con il buco. Il ‘botto’ del Movimento 5 Stelle ha scompaginato le carte e lascia l’asse delle banche alle prese con una bella frittata per i prossimi mesi.

Confrontare i risultati dell’IDV e della sinistra è meno agile, a causa delle frammentazioni e ricomposizioni elettorali che sono intercorse da cinque anni a questa parte. Anche a voler essere generosi, aggregando i risultati delle compagini, oggi SEL di Vendola insieme a Ingroia, porta a casa oltre 852 mila voti in meno dell’Arcobaleno e IDV nel 2008. Un dato però salta subito all’occhio, ed è quello dell’Italia dei Valori di Di Pietro che cinque anni fa da sola raccoglieva più di un milione e mezzo di voti, ovvero il doppio di quanto non abbia ricevuto ora Ingroia con la sua (mancata) Rivoluzione Civile, nonostante o a causa del fatto che la compagine racchiudeva non solo IDV, ma anche Rifondazione Comunista, i Comunisti Italiani e i Verdi di Bonelli. Forze spazzate via dal parlamento e ormai di ridottissimo peso politico nel panorama nazionale.

Ma anche sull’altro versante geo-elettorale, le sconfitte sono brucianti, al di là di ogni possibile dichiarazione. Parlano i numeri. Il PDL di Berlusconi, pur rimontando rispetto a una situazione di totale sbandamento e frammentazione del partito di 3 o 4 mesi fa, perde oltre 6 milioni di voti (6.297.343). Stessa sorte per una Lega Nord, inizialmente rinforzatasi con la sua opposizione al governo Monti, ma poi dilaniata dagli scandali e dai conflitti interni: oggi ne rimane meno della metà, con una perdita di oltre 1 milione e 600 mila voti.

Curioso anche il risultato di due partiti alleati di Berlusconi: la Destra e Fratelli d’Italia. Alla disfatta del primo (Storace raccoglie appena un quarto dei voti rispetto al 2008), corrispondono praticamente i voti della Meloni: sommando il risultato delle due forze oggi, si ottiene una cifra davvero simile al consenso de La Destra cinque anni fa, anche se questo non dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che vi sia un’identità di elettorato.

Valutare il risultato di Fare per Fermare il Declino di Giannino (che ha raccolto poco meno di 400 mila voti a livello nazionale) è un po’… strano, dal momento che le ‘attenzioni’ del collega di partito, Zingales, nel momento clou della campagna elettorale sono apparse molto ‘spintanee’.

Urticante è poi considerare il peso dei Radicali, tanto presenti con la Bonino nei gruppi di potere elitario, che in Italia però fanno incetta di… meno di 65 mila voti. Così come è sgradito commentare il risultato marginalissimo di Io Amo l’Italia di Magdi Allam: poco più di 40 mila voti, ma sempre troppi a mio avviso per una forza che all’articolo 19 del proprio programma viola palesemente l’articolo 3 della Costituzione Italiana, per inseguire oltrettutto un nemico artificiale costruito da interessi che risiedono fuori dall’Italia.

Un’ultimissima considerazione sul Partito Comunista dei Lavoratori di Ferrando, su Forza Nuova e sul Partito Liberale: tutte queste forze hanno perso voti (dai meno 20 mila di FN, ai meno 76 mila del PLI, sino ai meno 118 mila del PCL). A nulla sono valsi dunque gli sforzi di puntare su un tema, su un argomento per far breccia. Oggi la gravità della situazione richiede risposte a tutto tondo.

La fotografia che esce da questa competizione elettorale è dunque ritoccata in partenza da due elementi: la non considerazione del primo partito italiano, ovvero il ‘non voto’, e la ripartizione dei seggi in base alla ‘legge porcata’ che penalizza la forza che ha ottenuto il maggior consenso (il M5S) e paradossalmente premia un partito che ha perso quasi 3 milioni e mezzo di voti rispetto alle ultime politiche. E probabilmente non sarà l’unica porcata alla quale assisteremo nei prossimi giorni…

N.B: L’analisi dei dati si basa sui risultati del voto alla Camera dei Deputati e non tiene conto dell’esito del voto estero, già manipolato in partenza dall’esclusione al voto ad esempio degli studenti Erasmus

Chi ha vinto e chi ha persoultima modifica: 2013-02-26T15:26:00+01:00da davi-luciano
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