Sulla convocazione del Consiglio di Sicurezza all’ONU la Zajarova risponde agli USA

Maria-Zakarova-rispondeLa portavoce russa all’ONU
 
Sulla convocazione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, richiesta dagli USA per discutere della proteste avvenute in Iran, la portavoce russa Maria Zajarova ha voluto rispondere agli USA ricordando le manifestazioni di protesta avvenute di recente negli USA e la reazione delle autorità statunitensi su questi episodi.
La richiesta di convocazione era stata fatta dalla rappresentante USA all’ONU, Nikki Haley la quale ha annunciato l’intenzione di Washington di convocare il CSNU per discutere delle attuali manifestazioni in Iran e per amplificare “la voce del popolo iraniano”.
La Zajarova da parte sua non ha tardato a commentare la decisione statunitense:
“Non c’è dubbio che la delegazione americana avrà qualche cosa da raccontare al mondo. Nikki Haley ad esempio potrebbe condividere l’esperienza statunitense nella repressione delle manifestazioni di protesta”, ha scritto la Zajarova sulla sua pagina FB.
“Gli statunitensi ptrebbero raccontare “, ha proseguito la Zajarova, “come hanno proceduto agli arresti di massa e la soppressione del movimento “Occupa Wall Street” o sulla repressione delle proteste contro la polizia nella località di Ferguson nel 2014″.
Proteste in Iran
 
L’ondata di disordini e di  proteste si sono verificati negli ultimi giorni in Iran a partire dal 28 Dicembre. I manifestanti reclamavano miglioramenti economici ed hanno protestato per la risalita dei prezzi.
Le proteste erano iniziate a Mashad e si sono poi estese in altre città inclusa Teheran ed hanno dato luogo a molti arresti ed alcune vittime.
Le autorità iraniane hanno denunciato la presenza di agitatori e terroristi venuti dall’estero per fomentare i disordini ed il caos nel paese.
Fonte: Sputnik Mundo Gen 03, 2018

Cia e Mossad dietro la rivolta in Iran? Lo scenario di oggi era già stato descritto con 6 mesi di anticipo dalla rivista Usa Politico

protestsiranCi sono anche la Cia e il Mossad israeliano a soffiare sul fuoco della rivolta in Iran? L’accusa è stata rilanciata dal Teheran Times, in un’intervista che il quotidiano in lingua inglese ha condotto con il columnist Stephen Lendman, un giornalista-ricercatore americano, di origine ebraica, molto noto per le sue battaglie libertarie. Tra le altre cose, anche i due leader della teocrazia persiana, la Guida Suprema Ali Khamenei e il Presidente Rohuani, pur da fronti sostanzialmente diversi, hanno scaricato sui “nemici esterni” la responsabilità di sostenere la ribellione. Se non proprio di averla addirittura progettata a tavolino. Per la verità, il sospetto (o la quasi certezza, a farla corta) è venuta agli analisti di mezzo mondo.
Anche perché, come ha subito registrato la nostra “Gazzetta”, Trump e i suoi collaboratori mostrano di avere la lingua lunga. Qualche tempo fa avrebbero sussurrato di volere “un cambio di regime” nel Paese degli ayatollah. L’azzardosa strategia, che comunque cavalca problemi sociali e politici reali dell’Iran, farebbe parte di un “pacchetto” di intese raggiunte sottobanco dalla Casa Bianca e dal leader israeliano Netanyahu. Nel mazzo ci sarebbe anche la sparata su “Gerusalemme capitale”, che ha sollevato un vespaio di polemiche e ha allargato il solco tra la diplomazia europea e la “foreign policy” dell’attuale Amministrazione Usa. Trump, in sostanza, starebbe premendo sull’acceleratore per gettare lo scompiglio in casa del nemico numero uno di Israele.
 
Lo spiffero è vecchio, ma è tornato a circolare proprio in questi giorni nei Palazzi che contano. E lo scenario che, guarda tu, si sta verificando oggi, era stato già anticipato in un articolo rivelatore pubblicato alla fine di giugno in uno dei più prestigiosi siti di analisi americana (“Politico”). Dunque, gli Stati Uniti pensano a un cambio di regime a Teheran, che metta in un angolo l’attuale teocrazia e lasci il campo a un governo che abbia meno mire espansionistiche nel Golfo Persico. Con grande gioia, soprattutto, dell’Arabia Saudita e di tutto il blocco sunnita. Israele, da parte sua, ha il chiodo fisso del Golan. E, per la proprietà transitiva, di Hezbollah e dei suoi grandi sponsor sciiti. Gli ayatollah.
 
Dentro l’Amministrazione Trump si starebbero confrontando due linee: una (che pare vincente) sparata contro i politici col turbante; l’altra, forse minoritaria, molto più prudente, che ricorda il fallimento del colpo di Stato sponsorizzato nel 1953 dalla Cia. Forse fu proprio in base a questo “undicesimo comandamento” (“ogni rivoluzione fallita provoca una restaurazione ancora più forte”) che Obama, nel 2013, alle Nazioni Unite, proclamò solennemente il principio della non interferenza Usa negli affari interni di Teheran. Ora, invece, a sentire Lendman, i “trumpiani” avrebbero già cotto, mangiato e digerito la prudenza del mai tanto compianto Barack, contribuendo a fare esplodere un’altra devastante crisi di cui proprio non si sentiva il bisogno, in un’area già tranquilla di suo come un nido di calabroni.
 
Ne chiede conto e ragione anche Putin, che si è sentito con Netanyahu e ha concordato un incontro a breve per parlare di Medio Oriente. E di Iran. La questione-chiave è che l’algoritmo della catastrofe è dietro l’angolo. Quando Obama decise di raggiungere un’intesa di massima con gli ayatollah lo fece a ragion veduta: i suoi advisor gli dissero che era fondamentale mettere un freno al dilagare del terrorismo di matrice sunnita. E poi, aggiunse qualcuno, una tattica di reciproca neutralizzazione tra il blocco saudita e quello sciita avrebbe potuto garantire se non la pace, almeno un proficuo “status quo”.
 
Adesso, la scuola geostrategica che si porta appresso Trump ha rigirato la frittata, alimentando il polverone che già gravitava su tutto il Medio Oriente. E se tre indizi fanno una prova, come diceva Agatha Christie, allora il “twitter” postato da Trump solleva una marea di sospetti: “Il popolo iraniano sta finalmente combattendo contro il suo brutale e corrotto regime. Tutti i dollari che Obama ha dato stupidamente a questi governanti sono stati spesi in armi e terrorismo o sono finiti nelle loro tasche. La gente non ha cibo, non ha diritti umani e l’inflazione è alle stelle. Gli Stati Uniti osservano”. Oppure organizzano?
 
di Piero Orteca – Remocontro  Notizia del: 03/01/2018

Iran: un’altra “rivoluzione colorata” in arrivo?

riv colorata iranovviamente se protestassimo in Occidente per il carovita, tipo in Europa per ogni memorandum o finanziaria lacrime e sangue o stangata, sicuramente tutti sosterrebbero i manifestanti invitando i governi a dimettersi giusto?

I neo-con, i media statunitensi a loro vicini e il presidente degli Stati Uniti stanno chiedendo agli americani di stare con il “popolo iraniano” e con i “manifestanti” nella loro “lotta per la libertà”.
Il motivo per cui questa storia suona incredibilmente familiare è perché abbiamo visto la stessa scena in Egitto, in Libia e in Siria, e anche nella stessa Iran alla fine degli anni 2000. Le proteste che diventano violente, una successiva repressione violenta o riportata come tale, e il peso della propaganda americana contro il governo bersaglio; sono tutte ripetizioni della “Primavera araba”. Null’altro che lo schema di rivoluzione/destabilizzazione usato dall’Occidente in paesi di tutto il mondo per decenni, in particolare negli ultimi venti anni.
CHE COSA VOGLIONO I MANIFESTANTI?
Le presunte richieste dei manifestanti sembrano abbastanza ragionevoli e legittime. Fino a questo momento, i media occidentali hanno riferito che l’argomento principale dei dimostranti si concentra sulle preoccupazioni economiche, cioè sul calo degli standard di vita; sulla disoccupazione; e sull’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. Tuttavia, giunti oggi al terzo giorno di proteste, i media occidentali hanno iniziato a riferire che i manifestanti chiedono la fine della dittatura religiosa e delle politiche sia dell’Ayatollah Khamenei che del presidente Rouhani. Secondo alcuni articoli, le manifestanti donne sono arrivate al punto di gridare “morte a Khamenei” e hanno versato il loro hijab per costruire bandiere di fortuna. Altri dicono che i manifestanti sono concentrati sulla corruzione del governo.
Tuttavia, bisogna farsi delle domande. La prima domanda è “queste proteste nascono spontaneamente in Iran?”. Non si sa ancora. L’Iran è certamente una dittatura religiosa e molti iraniani vogliono la libertà dal dominio religioso. Va comunque ricordato che gli Stati Uniti e Israele hanno dichiarato apertamente il desiderio di vedere l’influenza iraniana infranta e, recentemente, nel 2009, gli Stati Uniti hanno tentato di progettare una rivoluzione colorata nel paese. I primi tre giorni del Movimento Verde in Iran assomigliavano molto ai primi tre giorni di questo movimento in corso.
Chiaramente le preoccupazioni economiche sono un grosso problema in Iran: un paese la cui economia ha sofferto per anni sotto le sanzioni occidentali e incapace di capitalizzare la Banca Nazionale. La disoccupazione ufficiale in Iran è di circa il 12%, ma è probabile che il tasso reale sia molto più alto. Nonostante l’abolizione di alcune sanzioni, non vi è quasi crescita economica nel paese: un altro risultato delle politiche economiche e commerciali neoliberiste. Tuttavia, vale la pena notare che Khamenei è stato anche critico nei confronti della scarsa economia e della gestione delle questioni economiche da parte del governo, nonostante sia al centro delle proteste.
 
Queste richieste non suonano irragionevoli, comunque le si veda. Tuttavia, le proteste religiose arrivano in un momento molto strano. L’Iran ha recentemente liberalizzato le sue leggi in materia di copricapi femminili, quindi perché protestare ora contro le leggi religiose?
Inoltre, un’attenzione particolare deve essere rivolta al concetto di “corruzione del governo”: un segno distintivo delle rivoluzioni colorate. Ci sono anche dubbi sugli slogan che vengono cantati dai manifestanti. In primo luogo, i manifestanti chiedono che l’Ayatollah e il presidente si dimettano. In altre parole, chiedono il cambio di regime. Questo è esattamente ciò che anche gli Stati Uniti, il GCC, la NATO e Israele vogliono che accada.
In secondo luogo, numerosi manifestanti stanno urlando “Lasciate stare la Palestina” e “Non per Gaza, non per il Libano, darei la mia vita (solo) per l’Iran”. Ancora una volta, i manifestanti stanno reiterando richieste di politica estera identiche a quelle volute da gli Stati Uniti, la NATO, il GCC e Israele. Tutto questo in una protesta che dovrebbe riguardare le preoccupazioni economiche.
Moon of Alabama, in un articolo intitolato “Iran – Regime Change Agents Hijack Economic Protests”, scrive:
 
“Le proteste contro le politiche economiche neoliberiste del governo Rohani in Iran sono giustificate. La disoccupazione ufficiale in Iran è superiore al 12% e non vi è quasi alcuna crescita economica. Le persone nelle strade non sono le uniche a non essere soddisfatte di questo. Il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, che ha ripetutamente criticato il record economico del governo, ha detto oggi che la nazione sta lottando contro “prezzi elevati, inflazione e recessione” e ha chiesto ai funzionari di risolvere i problemi con determinazione. Giovedì e oggi gli slogan di alcuni manifestanti hanno trasformato la richiesta di aiuti economici in un appello per il cambio di regime.
Oggi, venerdì, il giorno di riposo settimanale in Iran, diverse altre proteste si sono svolte in altre città. Secondo la Reuters circa 300 dimostranti si sono radunati a Kermanshah dopo quello che Fars ha definito “una chiamata all’anti-rivoluzione” e hanno gridato “i prigionieri politici dovrebbero essere liberati” e “Libertà o morte”, mentre distruggono alcune proprietà pubbliche. I filmati, che non è stato possibile verificare, hanno mostrato proteste in altre città, tra cui Sari e Rasht nel nord, Qom a sud di Teheran e Hamadan a ovest.
 
Mohsen Nasj Hamadani, vicecapo della sicurezza nella provincia di Teheran, ha detto che circa 50 persone si sono radunate in una piazza di Teheran e la maggior parte ha lasciato dopo essere stata interrogata dalla polizia; ma alcuni che hanno rifiutato sono stati “temporaneamente detenuti”, ha riferito l’agenzia di stampa ILNA.
Alcune di queste proteste hanno vere ragioni economiche ma vengono dirottate da altri interessi: nella città centrale di Isfahan, un residente ha detto che dei manifestanti si sono uniti a una manifestazione tenutasi dagli operai delle fabbriche. “Gli slogan sono passati rapidamente dall’economia a quelli contro (il presidente Hassan) Rouhani e il leader supremo (Ayatollah Ali Khamenei)”, ha detto il testimone al telefono. Le proteste puramente politiche sono rare in Iran […] ma le dimostrazioni sono spesso tenute dai lavoratori per i licenziamenti o il mancato pagamento degli stipendi, e le persone che detengono depositi in istituti finanziari non regolamentati e in bancarotta.
Alamolhoda, il rappresentante dell’Ayatollah Khamenei nel nord-est di Mashhad, ha detto che alcune persone hanno approfittato delle proteste di giovedì contro l’aumento dei prezzi per recitare slogan contro il ruolo dell’Iran nei conflitti regionali. “Alcune persone erano venute per esprimere le loro richieste, ma improvvisamente, in una folla di centinaia, un piccolo gruppo che non superava i 50 gridava slogan devianti e orrendi come “Lascia andare la Palestina”,”Non Gaza, non il Libano, io do la mia vita (solo) per l’Iran”, ha detto Alamolhoda.
 
IL SUPPORTO DEI NEOCONSERVATORI
 
E’ interessante notare come il Presidente degli Stati Uniti abbia immediatamente dato il suo supporto alle proteste, incoraggiando gli americani a schierarsi con i manifestanti e le loro richieste. Questo supporto proviene da un uomo che vede raramente una protesta che non sia diretta contro di lui. Nel frattempo, gli organi Neo-Con come FOX News continuano a chiedere agli americani di sostenere i coraggiosi “combattenti per la libertà” in Iran. Quando i neo-con richiedono sostegno alle proteste, è giusto mostrarsi scettici.
È anche importante mettere in discussione quanto siano popolari queste proteste. Mentre i principali media occidentali e varie organizzazioni terroristiche sostengono la presenza di migliaia per ogni manifestazione, i video e le immagini mostrano in tutto un centinaio di manifestanti. Le proteste sono iniziate solo un mese dopo che la Casa Bianca e Tel Aviv si sono incontrati per discutere di una strategia sull’Iran.
 
“Una delegazione guidata dal Consigliere per la sicurezza nazionale di Israele si è incontrata con alti funzionari americani alla Casa Bianca all’inizio di questo mese per una discussione congiunta sulla strategia per contrastare l’aggressione dell’Iran in Medio Oriente”, ha scritto l’agenzia Haaretz.
 
AXIOS fornisce qualche dettaglio sulla riunione: “Gli Stati Uniti e Israele tengono d’occhio i diversi sviluppi nella regione e specialmente quelli che sono collegati all’Iran. Abbiamo raggiunto una comprensione della strategia e della politica necessaria per contrastare l’Iran. Le nostre intese riguardano la strategia generale, ma anche obiettivi concreti, modalità d’azione e mezzi che devono essere utilizzati per ottenere tali obiettivi”.
Questa apparente rivoluzione colorata potrebbe essere il risultato di quell’incontro USA / Israele?L’idea che una rivoluzione colorata possa essere tentata in Iran non è una fantasia. Sarebbe una ripetizione della storia. Ricordate, nel 2009 già si tentò di lanciare la cosiddetta “Rivoluzione verde”, ma fu repressa duramente dal governo iraniano.
 
IL “SENTIERO VERSO LA PERSIA”
 
Il piano per un attacco occidentale/israeliano contro l’Iran, insieme al teatro di presunte tensioni israelo-americane che porteranno a un attacco e a una guerra totale, è in corso da un po’ di tempo. Ad esempio, nel 2009, la Brookings Institution, un’importante società bancaria e militare-industriale, ha pubblicato un rapporto dal titolo “Which Path To Persia? Options For A New American Strategy For Iran”, in cui gli autori hanno delineato un piano che non lascia dubbi sul desiderio finale dei governi e delle istituzioni occidentali.
Il piano prevede la descrizione di un certo numero di modi in cui l’oligarchia occidentale sarebbe in grado di distruggere l’Iran, compresa l’invasione e l’occupazione militare. Tuttavia, il rapporto tenta di delineare una serie di metodi che potrebbero essere implementati prima che l’invasione militare diretta si mostri necessaria, incluso fomentare la destabilizzazione all’interno dell’Iran attraverso l’apparato proteste, disordini violenti, terrorismo per procura e “attacchi aerei limitati” condotti da Stati Uniti, Israele o entrambi.
 
Come recita il rapporto:
“Poiché il regime iraniano è ampiamente avversato da molti iraniani, il metodo più ovvio e accettabile per decretarne la fine sarebbe aiutare a promuovere una rivoluzione popolare sulla falsariga delle “rivoluzioni di velluto” che hanno rovesciato molti governi comunisti nell’Europa orientale a partire dal 1989. Per molti sostenitori del cambiamento di regime, sembra evidente che gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiare il popolo iraniano a prendere il potere nel proprio nome e che questo sarebbe il metodo più legittimo per cambiare il regime. Dopo tutto, quale iraniano o straniero potrebbe rifiutarsi di aiutare il popolo iraniano a soddisfare i propri desideri?
 
Inoltre, la storia dell’Iran sembrerebbe suggerire che un tale evento sia plausibile. Durante il Movimento costituzionale del 1906, durante la fine degli anni ’30, probabilmente durante gli anni ’50, e ancora durante la Rivoluzione iraniana del 1978, coalizioni di intellettuali, studenti, contadini, mercanti bazar, marxisti, costituzionalisti e religiosi si mobilitarono contro un regime impopolare. Sia nel 1906 che nel 1978, i rivoluzionari ottennero il sostegno di gran parte della popolazione e, così facendo, prevalerono. Questa è la ragione per cui il popolo iraniano ha bisogno di credere che un’altra rivoluzione sia fattibile.
 
Ovviamente le rivoluzioni popolari sono eventi incredibilmente complessi e rari. C’è poco consenso accademico su ciò che provoca una rivoluzione popolare, o anche le condizioni che le facilitano. Anche i fattori spesso associati alle rivoluzioni, come la sconfitta militare, l’abbandono delle forze armate, le crisi economiche e le divisioni all’interno dell’élite sono stati eventi regolari in tutto il mondo e nel corso della storia, ma solo pochissime volte hanno portato a una rivoluzione popolare. Di conseguenza, tutta la letteratura sul modo migliore per promuovere una rivoluzione popolare -in Iran o altrove- è altamente speculativa. Tuttavia, è l’unica opzione politica che offre la possibilità che gli Stati Uniti possano eliminare tutti i problemi che affronta a causa dell’Iran, farlo a un costo accettabile, e farlo in un modo che sia accettabile per il popolo iraniano e la maggior parte del resto del mondo.”
 
CONCLUSIONI
Anche se la situazione in Iran è appena iniziata, sembra che sia in corso un’altra “rivoluzione colorata”. Mentre molte delle richieste sono legittime, tutti i segnali puntano verso il complotto occidentale nel tentativo di spezzare l’Iran. Distruggere l’Iran distruggerebbe anche Hezbollah, indebolirebbe la Siria e la Russia, e rinforzerebbe Israele. Se ciò riuscirà o meno dipenderà dalla capacità dell’Iran di schiacciare la rivolta. Se si può imparare qualcosa dalla rivoluzione del 2009, è che l’Iran si muoverà rapidamente e distruggerà le proteste con il pugno di ferro. Tuttavia, se le proteste che si svolgono oggi in Iran sono davvero una rivoluzione colorata e se l’Occidente ne è coinvolto, il “Sentiero verso la Persia” vedrà probabilmente un’escalation di attività, violenza e, in definitiva, uno scontro anche diretto con l’esercito americano.
 
(da Global Research – traduzione di Federico Bezzi) 2 gennaio 2018

Italia: Sistema politico/mediatico strizza l’occhio al terrorismo venezuelano

clownLa stampa italiana, unico abbeveratoio di fugaci politici più adusi alle smorfie degli studi televisivi che alla serietà della professione scelta, si dibatte tra lo show, il ghigno e l’umorismo involontario. Sempre sulla pelle della verità -o del verosimile- e della tragedia di popoli e paesi lontani. Si tratti della Siria o più recentemente del Venezuela.
 
Maestri nell’arte dell’ambiguità e della tergiversazione, ora sono approdati all’aperto fiancheggiamento semantico del terrorismo.
 
E’ difficile capirli: se un’auto investe dei pedoni a Parigi è guidato da un terrorista; se a Caracas il pilota-pirata di un elicottero apre il fuoco, sarebbe un’altra cosa. E’ l’incomprensibilità del nuovo bizantinismo “occidentale” che sta minando la credibilità dei media e dei governi.
 
Vedere per credere. Brillante la necroscopia della logica  operata dal Corriere  (qui); oppure l’insuperabile Stampa (qui) che dice “tranquilli ragazzi, è un atto simbolico, non è morto nessuno…” Elicottero, bombe, mitragliate, erano di plastica? E i magistrati in piena sessione erano ologrammi? Del Fatto è meglio tacere.
L’ambiguo personaggio che ha lanciato granate di frammentazione e alcune sventagliate di mitragliatrice, non contro un pollaio -ma sulla Corte Suprema del Venezuela- non viene dipinto con i foschi colori qualora avesse attaccato la Corte Costituzionale  o il Consiglio superiore della Magistratura di Roma. O di Londra, Berlino, per tacere della Corte Suprema degli Stati Uniti (loro vera patria elettiva).
Si rendono conto che questo bipolare “relativismo” è un’arma a doppio filo? Indirettamente, stanno propalando che quel che è lecito a Caracas potrebbe esserlo anche a Firenze. Quel che scrivono le majors dei quotidiani della penisola è raccapricciante, trasudano un’ammirazione neppure velata per un fallimentare “eroe della cronaca” che ha ottenuto un’effimera notorietà. Gli “inviati” stanziali avranno almeno ascoltato il video del pilota dove si autodefinisce “guerrero de dios”? Dichiarazione di fede oppure una concessione ai format di moda in Medioriente?
La solerzia di codesti scrivani ricorda quella di certi avvocati d’ufficio nell’improvvisare alibi di corta durata. E’ noto che la belligeranza degli Stati Uniti terminerà solo quando si impadroneranno dei giacimenti dell’oriente venezuelano. Perchè il sistema mediatico-politico deve assecondarli anche in questa avventura criminosa? L’Europa, l’Italia, che ci guadagneranno?

La Cina smantella le operazioni della CIA

The-Great-Hack-WebIl New York Times conferma che tra il 2010 e il 2012 la Cina ha smantellato un’operazione spionistica della CIA in Cina, imprigionando e giustiziando varie spie.
Il New York Times, basandosi su 10 agenti della CIA, afferma che tra il 2010 e il 2012 la Cina ha smantellato l’intera operazione della CIA in Cina, arrestando ed eliminando 20 spie. Sembra che in un caso i cinesi giustiziassero una delle spie catturate nel cortile di un edificio pubblico davanti ai colleghi con cui lavorava, per avvertirli dei rischi dello spionaggio per la CIA. Sembra che sia stata la peggiore disfatta che la CIA abbia subito dalla fine della guerra fredda e finora gli agenti sono divisi sulle cause, con alcuni che accusano una talpa (i loro sospetti puntano su un individuo che ora vivrebbe in un Paese asiatico) mentre altri accusano la gestione dei responsabili della CIA a Pechino. Indipendentemente dal fatto che l’episodio causi recriminazioni nella comunità d’intelligence degli Stati Uniti ancora oggi, e mettendo da parte la questione di come la Cina abbia scoperto e distrutto questa rete spionistica, vi sono numerosi spunti da questo episodio.
Il primo è che, sebbene il New York Times affermi che nel 2013 la Cina avrebbe perduto la capacità d’individuare le spie statunitensi, la sconfitta sembra così devastante che è improbabile che l’operazione della CIA in Cina sia stata riportata ai livelli di prima del 2010.
Il secondo è che, anche se i cinesi hanno agito decisamente e spietatamente per distruggere la rete della CIA, hanno agito anche discretamente. Contrariamente a quanto si sa della vicenda e del totale silenzio della Cina, vi è l’enorme sconcerto negli Stati Uniti sui cosiddetti “illegali russi”, arrestati dall’FBI nello stesso periodo.
Contrariamente a certe rivendicazioni, gli “illegali” non erano spie ma agenti che l’intelligence russa cercò d’insediare negli Stati Uniti per sostenere future operazioni di spionaggio. Poiché nessuno di loro era effettivamente una spia, le accuse furono relativamente minori e furono tutti subito deportati in Russia, venendo scambiati con vere spie statunitensi che la Russia aveva arrestato. Malgrado nessuno degli “illegali” fosse una spia, la vicenda dominò l’informazione per diversi giorni con una delle arrestate, Anna Chapman, corriere dell’intelligence non ‘illegale’, diventata star dei media notturni. Il contrasto tra la pubblicità degli Stati Uniti sullo smascheramento di questa rete e il silenzio della Cina sui passi assai più drastici presi nello stesso periodo, eliminando ciò che era chiaramente una rete spionistica, colpisce. Bisogna chiedersi se la pubblicità straordinaria che gli Stati Uniti diedero allo smascheramento dei “illegali” russi fosse una forma di compensazione psicologica per l’enorme sconfitta in Cina.
Il terzo punto segue il secondo, uno dei motivi per cui i cinesi, e anche gli USA, mantennero segreto questo affare fu evitare l’enorme danno che avrebbero subito le relazioni tra Stati Uniti e Cina se ciò diveniva pubblico. È facile vedere come la rivelazione della portata dello spionaggio statunitense in Cina sarebbe stato uno shock per il popolo cinese e la sua leadership ovviamente decise di non avvelenare ulteriormente le relazioni della Cina con gli Stati Uniti pubblicizzando la cosa.
 
Il quarto punto è che malgrado la preoccupazione cinese, la dimensione dell’operazione spionistica statunitense in Cina e la feroce reazione alla scoperta dimostrano che i due Paesi, per quanti convenevoli si scambino, sono rivali e avversari, non “partner” o amici.
 
Il quinto punto è che i cinesi reagiscono chiaramente molto più spietatamente alla scoperta di spie dei russi. Nei lunghi anni della guerra fredda tra USA e URSS, e dalla fine della guerra fredda tra Stati Uniti e Russia, si sviluppò una serie chiara di regole. Le spie che lavorano per un Paese, quando catturate dall’altro Paese, salvo circostanze estreme, non venivano più giustiziate, anche se al momento nell’URSS vi era ancora la pena di morte. Invece si trovavano in carcere fino ad essere scambiate. Chiaramente non è così tra Stati Uniti e Cina.
 
Il sesto punto è che questo episodio evidenzia ancora una volta l’importanza dello spionaggio, cioè dell’”intelligence umana” nel gioco dell’intelligence. Con tutta l’ampia macchina dell’intelligence elettronico di cui sentiamo così tanto parlare, la spiccata vecchia tradizione ha ancora un suo posto, e gli Stati Uniti, insieme alle altre grandi potenze, non fanno eccezione.
 
Il settimo e ultimo punto è che la fuga su questa storia al New York Times viene ufficialmente sancita, presumibilmente dal nuovo capo della CIA Mike Pompeo, e ci si deve chiedere perché. Può darsi che lui e Trump abbiano deciso di evidenziare la grande sconfitta dell’intelligence che gli Stati Uniti subirono durante l’amministrazione Obama, inviando un messaggio a chi orchestra l’affare Russiagate? Se è così, la fuga di questa storia potrebbe essere il primo passo del contrattacco del presidente Trump, con forse altre rivelazioni come questa.
 
Anna Chapman
Alexander Mercouris, The Duran 21/5/2017
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

La ‘Coalizione anti -ISIS’ guidata dagli USA batte un nuovo record: 1216 civili uccisi a marzo, tra Siria e Iraq

usa vittime collateraliLa sedicente coalizione anti ISIS, guidata dagli USA, a marzo, ha battuto il record di 1216 civili uccisi in Iraq e la Siria, al cifra più alta da quando ha iniziato le operazioni quasi 3 anni fa.
La stima appare in un rapporto pubblicato, ieri, preparato dall’organizzazione Airwars, che monitora la performance della coalizione nella sua lotta contro il gruppo terroristico Daesh-ISIS. Il rapporto considera una forchetta di civili uccisi dalla coalizione nella cifra compresa tra 477 e 1216 persone, che rappresentano una perdita scioccante con un aumento di vittime innocenti rispetto al mese di febbraio, dove sono stati calcolati in 110 infortuni i morti tra la popolazione.
Si può ricordare inoltre, che il 17 marzo scorso, la coalizione guidata dagli Stati Uniti ha ucciso almeno 200 civili negli attacchi su al-Jadida, nella parte occidentale della città di Mosul, nel nord dell’Iraq.

La Cina: “Non permetteremo di attaccare la Corea del Nord”

corea_nord_tra_russia_cina_usa_dettaglioLa Cina afferma che non permetterà agli Stati Uniti di attaccare la Corea del Nord e chiede una soluzione moderata e pacifica della crisi nordcoreana.
Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, lo ha detto Venerdì,  secondo l’elaborato riguardo alle linee rosse della penisola coreana, Pechino non permetterà a Washington di intraprendere una guerra contro la Corea del Nord.
Tali dichiarazioni forti di Wang,  ha fatto eco nei media cinesi e americani, si sono dette a margine della riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) a cui ha partecipato il diplomatico.
 
Si riporta l’agenzia di stampa cinese  Xinhua , il capo della diplomazia del gigante asiatico ha invitato la comunità internazionale ad impegnarsi per la denuclearizzazione della penisola coreana e attuare pienamente le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite su Pyongyang.
 
Il ministro degli Esteri cinese ha detto a questo proposito che la denuclearizzazione è un presupposto fondamentale per la pace e la stabilità di lungo termine nella penisola e “quello che dobbiamo raggiungere per salvaguardare il regime internazionale di non proliferazione nucleare“.
 
Il ministro ha pure comunicato la preoccupazione del suo governo per quanto riguarda l’aumento delle tensioni nella penisola coreana, che causano le preoccupazioni internazionali e ha avvertito di un possibile confronto nella zona.
 
Se la questione della penisola, non viene posta sotto un controllo efficace porterà ad eventi imprevisti ed è probabile che la situazione di una svolta drastica possa andare di male in peggio e fuori controllo“, ha avvertito, ed evidenziato l’importanza della via del dialogo e la negoziazione.
L’uso della forza non risolverà le differenze ma può  portare a disastri più grandi“, ha detto Wang, aggiungendo  “ l’unico strada, sono il dialogo e la negoziazione  che rappresentano  l’opzione ragionevole per tutte le parti“.
Infine, Wang ha sottolineato il ruolo della Cina, nel voler portare a migliori prospettive e condizioni la situazione della Corea del Nord  ha inoltre espresso la volontà di Pechino di continuare a lavorare con tutte le parti per raggiungere una soluzione pacifica della crisi.
Wang ha osservato, dì essere andato negli Stati Uniti dopo che gli USA hanno iniziato Mercoledì la distribuzione in Corea del Sud del loro controverso  sistema terminale della zona di Difesa High Altitude (THAAD, per il suo acronimo in inglese), che, tra le altre cose, ha peggiorato e alzato la tensione nella penisola coreana.
Lunedì, il presidente cinese Xi Jinping ha chiamato il suo omologo statunitense, Donald Trump, inducendolo alla moderazione prima che le tensioni con Pyongyang, che registrino aumenti incontrollabili , visto che la Casa Bianca ha ordinato per inviare la portaerei nucleare USS Carl Vinson e la sua flotta di attacco, e il sottomarino nucleare USS Michigan, in acque coreane.
Nonostante le ripetute richieste, agli alleati ideologici – Pechino e Pyongyang non attraversano un buon periodo nelle loro relazioni. Recentemente, la Corea del Nord ha accusato la Cina di dare retta alle pressioni degli Stati Uniti , che potrebbero portare a “conseguenze catastrofiche“.
02/05/2017 HISPAN Tv Sa Defenza

Medici svedesi: Abbiamo necessità di prendere le distanze dalla NATO, se vogliamo evitare la guerra

nato expansionDa Leif Elinder, Anders Romelsjö e Martin Gelin
Per la prima volta pubblicato sul “Göteborgsposten” in lingua Svedese, tradotto da Siv O’Neall. – Titolo in Svedese: “Vi måste fjärma oss partire Nato om vi vill slippa krig”
Il rischio di una guerra nucleare non è mai stato maggiore come adesso e questo è in buona parte causato del riarmo della NATO e dei paesi europei confinanti con la Russia. Tuttavia, questi paesi saranno destinati ad essere un obiettivo privilegiato nel caso in cui Putin decida di reagire con un attacco di primo colpo. Così scrivono tre medici svedesi in un articolo comparso su “Göteborgsposten ” il Venerdì 12 agosto.
 
Durante la crisi dei missili di Cuba, il presidente Kennedy discusse con i suoi consiglieri le varie opzioni disponibili. Una di questa comprendeva un attacco limitato su basi missilistiche sovietiche. Mosca avrebbe dovuto accettare una tale risposta, piuttosto che reagire in un modo che avrebbe comportato la distruzione di entrambi i paesi, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica.
Durante gli anni dal 1950 nel 1980 fu vigente una dottrina di strategia militare e di politica di sicurezza nazionale conosciuta come MAD (mutua distruzione assicurata). MAD significa che, se una grande potenza attacca per prima , sarà sempre possibile reagire con rappresaglie da parte della nazione attaccata . La capacità di reagire veniva considerata come un sufficiente deterrente .
La relativa sicurezza che la dottrina MAD aveva creato, attualmente non esiste più. Gli Stati Uniti e la Russia ora si accusano reciprocamente ed apertamente di costituire una “minaccia esistenziale“. L’equilibrio militare-strategico sta diventando sempre più diseguale.
Il riarmo nucleare degli Stati Uniti e l’accerchiamento della Russia da parte della NATO hanno creato una situazione nel mondo altamente insicura e pericolosa. Diventa più difficile resistere ai vantaggi derivanti dall’idea di poter assestare il “primo colpo” . Con il sostegno della NATO, la Romania e la Polonia stanno ora installando un nuovo sistema missilistico americano “difesa” automatica, denominato “Aegis Ashore”.
Il presidente Putin ha messo in guardia i due paesi che, in caso di un conflitto militare, essi adesso sono diventati gli obiettivi primari. La preoccupazione della Russia per la possibilità di subire un primo attacco disarmante, sembra essere genuina. Se la preoccupazione è fondata, non possiamo saperlo. Ciò che è fondamentale per la nostra sicurezza, sono i pensieri reali ed i progetti attuali di ogni superpotenza.
Il rischio non è mai stato più grande
L’ex Segretario alla Difesa americano William Perry ha avvertito che il rischio di una guerra nucleare ora è più forte che mai. Le ragioni sono, tra l’altro, le seguenti:
La rottura dell’accordo ,intervenuto dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica (1990), di non procedere ad espandere la NATO. Il numero di paesi della NATO da allora è aumentato da 13 a 28.
 
-L’Intervento illegale della NATO in Jugoslavia (1999) con la secessione del Kosovo.
 
-La cessazione del trattato ABM (trattato anti missili balistici) nel 2001.
 
-La creazione di basi antimissile in Romania e Polonia (vedi sopra) – basi che possono essere   facilmente riprogrammate per servire per i robot di attacco.
Il potenziamento del sistema di armi nucleari degli Stati Uniti ad un costo di un trilione (12 zeri) di dollari.
-Il colpo di stato illegale appoggiato dagli Stati Uniti (2014) in Ucraina.
 
-La superiorità della NATO , militare strategica, in termini di capacità di colpire per primi.
La demonizzazione di Putin, tra cui i paragonio con Hitler. (Affermazioni tipo: “Hitler non è qualcuno con cui si può negoziare – ma qualcuno che deve essere eliminato”).
Gli analisti indipendenti per la sicurezza americani, come i VIPS ( Veteran Intelligence Professionals for Sanity ), considerano i giochi di guerra della NATO svoltisi nella zona dei confini della Russia, come estremamente provocatori e pericolosi. Sempre di più vi sono politici europei che prendono pubblicamente le distanze dalle politiche aggressive della NATO – come il primo ministro greco Tsipras, il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier e il presidente francese François Hollande.
Effetti opposti
La NATO è forte a livello globale. Rispetto alla Russia, la NATO spende dieci volte più risorse per gli armamenti. Molti paesi assumono che diventare un membro della NATO fornisce loro una protezione. Ma quando c’è un equilibrio militare asimmetrico, la logica conseguenza sarà l’opposto. Nel caso di una attacco degli Stati Uniti / NATO, dalle basi confinanti con la Russia, i capi militari russi non avrebbero il tempo di reagire.
La Russia ha messo in chiaro che una tale situazione non sarà tollerata. Pertanto, la Russia applica attualmente una dottrina nucleare che permette un attacco nucleare con restrizioni ( “Il concetto di De-escalation”). La logica di questa dottrina è che, con un primo attacco limitato, il bombardamento renderebbe una continuazione della guerra meno probabile. Con il non combattere , gli Stati Uniti eviterebbero il rischio di una estensione del conflitto al proprio territorio. Sarebbe disposto un presidente americano a devastare il proprio paese al fine di effettuare una ritorsione contro un attacco russo sulle basi in Europa?
 
La situazione militare-strategica è quindi estremamente instabile. I paesi confinanti con la Russia che hanno permesso l’installazione di basi NATO corrono un rischio sempre maggiore di diventare obiettivi primari. L’esito delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti non porterà alcun sollievo – qualunque sarà il risultato.
Cause ed effetti
Quando i politici occidentali non fanno distinzione tra “causa ed effetto”, provocazione e reazione, le conseguenze possono essere devastanti. La Russia deve ora affrontare tre scelte, in termini di trattare con la NATO:
1)-Rinunciare, e accettando il ruolo di un vassallo americano;
2)-Rimanere in attesa che la NATO colpisca per prima e quindi essere neutralizzata;
3)- Colpire per primi con le armi nucleari tattiche contro le basi missilistiche europee, che costituiscono una minaccia diretta, e aspettarsi che gli Stati Uniti di non reagiscano, rischiando un contro-attacco sul proprio territorio.
(Donald Trump ha già lasciato intendere che gli Stati Uniti non saranno incondizionatamente obbligati a reagire militarmente per proteggere i propri alleati della NATO.)
Il presidente Putin ha indicato che è il terzo scenario militare quello che la Russia sta valutando. L’unica domanda è quando. Il perdente, in qualsiasi caso, sarà l’Europa.
Il riavvicinamento della Svezia alla NATO ha aumentato il rischio per il nostro paese si trovi in fase di progettazione di una guerra. Pertanto, è particolarmente importante per la Svezia e per altri paesi europei di sostenere tutte le iniziative volte alla distensione ed al disarmo – e quindi creare una opinione pubblica che prenda le distanze dalla NATO.
 
I medici attivi nel movimento per la pace – Leif Elinder, Anders Romelsjö, Martin Geli
Fonte: Information Clearing House Traduzione: Luciano Lago

Escalation USA contro la Corea del Nord – Tutta una “Bufala”

Bufala-sullarmadaFalse notizie sulla Corea
 
È solo distrazione di massa. Buttate la televisione giù dalla finestra!
Siamo ancora tutti sconvolti dal livello di leggerezza e di cinismo con cui, la scorsa settimana, i media hanno fatto stringere il culo al mondo intero, che si è sentito qualcosa di duro poggiato dietro.
Non siamo ancora in guerra con la Corea del Nord, anche perché la grande flotilla americana che tutti avevano detto che stava all’ancora al largo della Corea del Nord, si trovava, in realtà, lontana 3500 miglia.
Non è stato un errore del navigatore. Era solo una fiction che serviva per distrarre e per lasciare tutti, disperati e incollati alla televisione.
C’è qualche scusa per questo?
Come spiega la CNN :
“Mentre la Casa Bianca parlava dell’invio di una “armada” navale verso la penisola coreana, le navi in questione stavano andando nella direzione opposta, per partecipare a esercitazioni militari nell’Oceano Indiano, a circa 3.500 miglia di distanza.
Un addetto dell’amministrazione ha ufficialmente ammesso che c’è stata una miscommunication tra Pentagono e Casa Bianca nel riferire che la portaerei non stava facendo rotta verso il Mare del Giappone, conosciuto anche come il Mare Orientale, e che non stava andando a dare nessuna dimostrazione di forza alla Corea del Nord.
L’addetto dell’amministrazione ha detto che responsabile del frainteso è stata una mancanza di follow-up con i comandanti che sovrintendono ai movimenti della portaerei USS Carl Vinson”.
FERMI. RESTIAMO TUTTI FERMI.
Si trattava di una portaerei, mica di un appuntamento dal dentista! Come si può “miscommunicate- sbagliare” e non capire se una portaerei sta in un posto, se non ci sta o se andrà da quella parte o da un’altra parte?
L’abbiamo già detto e lo ripetiamo: STANNO GIOCANDO con NOI. La “Minaccia della Corea del Nord” è solo una distrazione, una messa in scena teatrale, tremendamente costosa.
Guardate, hanno anche dato a Mike Pence uno di quegli stupidi giubbotti con le maniche staccabili che si è messo quando era minacciato dalla Corea del Nord, perché navigava su una barca dalle parti dell’Indonesia:
E’ già abbastanza questo. NO ? Apr 20, 2017  Fonte : Russia-insider.com

Più pericoloso della NSA ? L’imponente agenzia di spionaggio di cui non avete sentito parlare

Uffici-della-NGAQuartier Generale della National Geospatial-Intelligence Agency
Se tu sei uno degli innumerevoli americani sconvolti dalle rivelazioni apprese dall’ex contractor della National Security Agency (NSA) Edward Snowden, la sola idea che là fuori ci possa essere ancora un’altra agenzia – forse altrettanto potente e molto più intrusiva – dovrebbe far venire la pelle d’oca.
Foreign Policy (1) riporta come la National Geospatial-Intelligence Agency, o NGA, sia un’oscura agenzia di spionagggio su cui l’ex presidente Barack Obama si è arrovellato sin dal 2009. Ma siccome il presidente ha aumentato la sua passione per la guerra coi droni, cercando un modo per poterne iniziare qualcuna senza dover ottenere la debita autorizzazione del congresso (2), anche la NGA è diventata sempre più importante. Attualmente ci si aspetta che il presidente Trump esplori ulteriormente le opportunità offerte da questa rete di sorveglianza da miliardi di dollari.
Come la Central Intelligence Agency (CIA) e la NSA, la NGA è un’agenzia di intelligence, ma funge anche come istituzione di supporto al combattimento sotto il comando del dipartimento della difesa (U.S. Department of Defense, DOD).
Il quartier generale dell’NGA è più imponente di quello della CIA; nel 2011, al completamento dell’opera, è costato 1,4 miliardi di dollari. Nel 2016 l’NGA ha acquistato ulteriori 99 acri a St. Louis per edificare delle strutture supplementari costate ai contribuenti un extra di $ 1,75 miliardi di dollari.
Nel godersi il budget aggiuntivo che Obama gli ha fornito, la NGA è diventato uno dei servizi segreti più oscuri proprio perché si basa sull’operatività dei droni. In quanto organo di governo che ha un solo compito – analizzare le immagini e i video catturati dai droni in Medio Oriente – la NGA è molto potente.
Allora, perché non ne abbiamo sentito parlare prima?
NGA Ingresso
L’ agenzia ombra che tutto vede
Prima dell’insediamento di Trump, l’obbiettivo dell’NGA era solo il Medio Oriente o qualsiasi cosa i satelliti spia inquadrassero intorno al globo.
Per quanto ne sappia la maggior parte di noi, l’agenzia ha evitato di puntare le sue telecamere ad alta risoluzione sugli Stati Uniti. E questo potrebbe essere il motivo per cui la NGA è stata in grado di rimanere per la maggior parte dei casi fuori dagli scandali.
Ma con Trump le cose potrebbero diventare molto peggiori, come se spiare un’infinità di gente all’estero non bastasse. Di recente, ad esempio, ha dato alla CIA (3) il potere di condurre una guerra segreta tramite droni nascondendo importanti informazioni su tali operazioni semplicemente permettendo all’agenzia di svolgere missioni senza prima chiederne l’autorizzazione al Pentagono.
Ora, Trump potrebbe anche decidere di fare lo stesso con la NGA, nella speranza di aumentare la “sicurezza nazionale” puntando tutte le telecamere dell’agenzia sull’America.
Dal momento che il presidente spera di ottenere maggiori risorse per la Difesa (4), molti si chiedono se i droni verranno utilizzati (5) anche in patria, soprattutto considerando che ha già dichiarato (6) di volersi avvalere di agenzie come la NSA nel suo desiderio di colpire i “terroristi”.
Nulla indica che (7) che voglia allentare la stato di sorveglianza. La Casa Bianca ha espresso (8) il suo desiderio di rinnovare i poteri di spionaggio dell’era Obama anche per controbattere i critici che negano la veridicità delle dichiarazioni del presidente sulle intercettazioni delle sue conversazioni assieme a quelle di cittadini stranieri sotto sorveglianza nel 2016 (8).
Un rapporto parziale (9) redatto dal Pentagono a marzo 2016 rivela che i droni sono già stati utilizzati a livello nazionale in circa una ventina di occasioni, tra il 2006 e il 2015. Anche se alcune di queste operazioni riguardavano calamità naturali, operazioni della Guardia Nazionale e missioni di soccorso e recupero (10), c’è anche il riferimento alla revisione di un articolo di legge sull’Air Force. In questo, Dawn M. K. Zoldi ha scritto che la tecnologia progettata per spiare obiettivi all’estero potrebbe presto essere utilizzata anche contro i cittadini americani.
 
Droni USA per sorveglianza e bombardamenti
 
“Man mano che queste guerre si esauriranno – spiega il report – quelle risorse diverranno disponibili come supporto ad altri comandi combattenti (COCOM) o altre agenzie degli Stati Uniti, e la voglia di usarle anche in ambiente domestico per raccogliere immagini in volo continuerà a crescere.”
Fino al 2015, la sorveglianza era talmente blanda che le funzionalità offerte dai sistemi aerei senza pilota del DOD non venivano prese in considerazione da nessuna agenzia. Senza leggi che specifichino le regole che queste agenzie del governo federale dovrebbero seguire, per chi controlla sarebbe difficile seguire il loro comportamento. Ma sarebbe meglio se ci fosse un’agenzia o un ramo dello stesso Governo che supervisionasse ciò che il governo stesso sta facendo?
 
La risposta in breve è no (11).
L’NGA ha un precedente e Trump probabilmente ne vuole sapere di più
Con il crescente timore che Trump voglia a riorganizzare la NGA, vengono alla luce storie di dipartimenti nazionali di polizia che utilizzano i droni per spiare la gente del posto.
Alcuni casi molto pubblicizzati hanno coinvolto Baltimora (12) e Compton (13), dove la polizia locale ha usufruito della tecnologia di sorveglianza aerea senza che sia stato emesso un mandato d’arresto o la richiesta di una autorizzazione alle autorità locali o statali.
 
Con dei precedenti alle spalle, il Presidente potrebbe innescare una nuova lotta nel suo continuo sforzo di combattere una guerra contro un immaginario, inesistente nemico (14). Dopo tutto non è estraneo agli scandali e probabilmente non verrebbe preso neanche un po’ da rimorsi qualora decidesse di installare le telecamere ad alta definizione del paese verso i suoi cittadini.
Quello che potrebbe aiutare a porre fine ai suoi piani potrebbe essere esattamente ciò che a suo tempo ha contribuito a bloccare i tentativi del Presidente George W. Bush di creare dei satelliti spia (15) per uso interno. Nel 2007, il Dipartimento della Sicurezza Nazionale istituì un’agenzia conosciuta come la National Application Office con l’obiettivo di realizzare delle postazioni di controllo per lo spionaggio satellitare sopra l’America. Fortunatamente il Congresso intervenne e tagliò i fondi dell’agenzia.
Ma con degli americani che raramente mostrano interesse (16) per le importanti violazioni della privacy o perfino per i diritti umani fondamentali (17) sia qui che all’estero, è facile credere che questa potente agenzia di spionaggio possa ottenere carta bianca per fare ciò che vuole qualora Trump si accorga di averne il potere. Dopo tutto chi farà pressione sul Congresso per fermarlo?
Alice Salles via TheAntiMedia.org, Fonte: www.zerohedge.com Traduzione  a cura di ALE.OLIVI Apr 18, 2017