Fiaccolata anti violenza nel mirino dell’odio rosso

fiaccolata mirino odio rossochi non è di sinistra non è autorizzato a scendere in piazza, pacificamente, nemmeno se è per richiedere sicurezza contro stupri e violenze sulle donne. Insulti e sputi sono quindi lotta antifascista di grande civiltà, sono violenze poltically correct.

Fiaccolata anti violenza nel mirino dell’odio rosso
Insulti, sputi e sassi contro cittadini e polizia. Milano Sicura: “Il Comune condanni il gesto”
È successo di nuovo. A Milano ormai sembra che qualsiasi manifestazione pubblica, come una fiaccolata in memoria di una donna uccisa barbaramente da uno sbandato, possa riaccendere la miccia dello scontro tra fascisti e antifascisti.
 
Così se in consiglio comunale giovedì si è discussa animatamente, tanto da rimandare il voto, la mozione della sinistra radicale che impegnerebbe il Comune a non concedere suolo pubblico, patrocini e contributi di qualunque natura a chi non rispetta i valori antifascisti della Costituzione, sabato durante la fiaccolata organizzata da un comitato di cittadini per ricordare Marilena Negri, la donna di 67 anni uccisa nelle scorse settimane nel parco di Villa Litta, esponenti della sinistra hanno insultato e aggredito cittadini e poliziotti. Il bilancio della manifestazione è di 4 poliziotti feriti con prognosi di 10 giorni. «Domani andrò a sporgere denuncia» dichiara la presidente dl Comitato Milano Sicura Sabrina Geraci «ci siamo spaventate, non ce l’aspettavamo. Era una manifestazione cittadina, con in testa una quarantina di donne tra cui una incinta, per ricordare la donna uccisa a novembre. Mi spiace solo che sia finita così, avrebbe dovuto essere un corteo pacifico».
 
Alla fine del percorso, che da via Ornato a Niguarda si è snodato fino al parco di Villa Litta ad Affori, a quanto raccontano i partecipanti «una quindicina di esponenti del circolo Anpi del Municipio 8», hanno attaccato le forze dell’ordine che scortavano il corteo con cinghie, sassi e guinzagli. «Quando il corteo era in prossimità del parco i contestatori – racconta un agente – hanno cominciato a lanciarsi contro i nostri scudi, a tirare calci, sassi e a colpirci con le cinghie». «Via i fascisti del quartiere» «Bella ciao!» gli slogan e gli inni cantati dai contestatori che avrebbero insultato i manifestanti durante tutto il tragitto. «Non posso che esprimere una dura condanna per questo grave episodio – commenta ancora Sabrina Geraci -. Non ci sono giustificazioni per accogliere una iniziativa apartitica contro la violenza sulle donne con cori antifascisti pur non essendoci alcun simbolo che richiamasse partiti o, tanto meno, ideologie politiche. Ci sono state anche minacce ed aggressioni che hanno imposto un intervento delle forze dell’ordine, che si sono trovati insultati ed aggrediti. Riteniamo doveroso che, oltre a perseguire i responsabili, ci sia una condanna unanime da parte dei vertici dell’amministrazione». «È davvero incredibile quanto successo ieri sera, dove al termine del corteo indetto dal Comitato Milano Sicura alcuni aderenti ai centri sociali hanno assaltato a colpi di cinghiate i poliziotti e i partecipanti al corteo. Nella Milano di Sala succede ormai di tutto», l’amaro commento di Riccardo De Corato, capogruppo di Fdi in Regione.
Marta BraviLun, 18/12/2017 – 08:23

Zizek e Chomsky scaricano l’antifascismo: “Un feticcio”

zizek chomskyZizek e Chomsky contro l’isteria antifascista. La paranoia degli ultimi tempi imposta dall’opinione pubblica liberal sta segnando il dibattito politico, dagli Stati Uniti al Vecchio Continente, Italia compresa.

Dalle polemiche sui monumenti fascisti alla recente manifestazione di Como, anche il nostro Paese è impantanato in una discussione surreale e artificiosa sugli spettri del ventennio e dei suoi eredi. Ma esiste davvero il pericolo di un ritorno del fascismo oppure si tratta di un’isteria montata ad arte? Se i progressisti sono sordi ad ogni tipo di critica mossa da destra, ora sono due importanti intellettuali di riferimento della sinistra mondiale come il filosofo sloveno Slavoj Zizek e il grande linguista americano Noam Chomsky a scaricare gli antifascisti, con due articoli usciti a pochi giorni di distanza sul quotidiano britannico The Independent.

“Antifascismo l’oppio dei popoli”
Per Zizek, il nuovo “oppio dei popoli” di marxiana memoria non è più la religione ma l’antifascismo militante. “Un nuovo spettro sta perseguitando la politica progressista in Europa e negli Stati Uniti, lo spettro del fascismo. Trump negli Stati Uniti, Le Pen in Francia, Orban in Ungheria – sono tutti dipinti come il nuovo male verso il quale dovremmo unire tutte le nostre forza. Ogni minimo dubbio e riserva è immediatamente additato come segnale di collaborazione segreta con il fascismo”, osserva il filosofo marxista. L’antifascismo dunque non è altro che un feticcio agitato in maniera strumentale per incanalare i consensi contro il nemico: “L’immagine demoniaca di una minaccia fascista serve chiaramente come nuovo feticcio politico; feticcio nel senso freudiano del termine, ovvero di un’immagine affascinante la cui funzione è quella di offuscare il vero antagonismo”, afferma il Zizek.

Il filoso Zizek: “Il panico antifascista uccide la speranza

Secondo il filosofo sloveno, infatti, la “figura del fascista” è funzionale “a nascondere le situazioni di stallo alla base della nostra crisi”. Una strategia mirata a compattare il fronte progressista:

“Quando ho richiamato l’attenzione su come parti dell’alt-right stavano mobilitando le questioni della classe lavoratrice trascurate dalla sinistra liberale, sono stato, come previsto, immediatamente accusato di invocare una coalizione tra sinistra radicale e destra fascista, cosa che non ho mai fatto”, rileva il filosofo. La triste prospettiva che ci attende, secondo Zizek, “è quella di un futuro in cui, ogni quattro anni, saremo gettati nel panico, spaventati da una qualche forma di pericolo neofascista, e in questo modo ricattati a esprimere il nostro voto per il candidato civilizzato in elezioni prive di significato. […]

L’ oscenità della situazione è da mozzare il fiato: il capitalismo globale ora si presenta come l’ultima protezione contro il fascismo, e se cerchi di farlo notare sei accusato di complicità. Il panico antifascista di oggi non porta speranza, la uccide”.

Chomsky: “Il fascismo non c’entra nulla con la destra di oggi”
La critica mossa da Naom Chomsky contro gli antifascisti è ugualmente potente. Il professore emerito del Massachusetts Institute of Technology sostiene che il movimento antifascista odierno non può essere paragonato a quelli del passato. Insomma, guai a confondere lo stato attuale dell’alt-right negli Stati Uniti con la crescita del fascismo in Europa all’inizio del XX secolo. “Le differenze sono radicali”, dice Chomsky, “negli anni ’30, i nazisti governavano la Germania, il fascismo si era stato stabilito per anni in Italia e vi erano potenti movimenti fascisti altrove. Oggi ci sono molti sviluppi minacciosi, ma nulla di paragonabile. In particolare, negli Stati Uniti non è certo un caso che la classe lavoratrice si sia avvicinata all’estrema destra”. Per il professore, “gli antifa sono un dono all’estrema destra e alla repressione dello stato americano”.

di Roberto Vivaldelli – 13/12/2017  Fonte: Il Giornale

https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=59896

La situazione è tragica, ma con le scomuniche non ce la caviamo……anzi, facciamo il gioco del nemico

2011berlin_149Tra pochi mesi oltralpe votano per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica Francese.
 
Questo importante avvenimento, per l’intera Europa oltre che per la sola Francia dato il notevole peso politico del governo di Parigi negli assetti europei, avviene in una fase critica; in un momento populista, in una fase di doppio movimento secondo Polanyi.
 
I popoli si stanno ribellando alle proprie élite sociali ed economiche, ai propri governi, alle narrazioni imposte a reti unificate che sono state la cornice ideologica di tutti i discorsi politici da almeno trenta anni in qua e stanno avendo luogo eventi di portata storica eccezionale.
 
Questa eccezionalità è una constatazione dell’entità dei fatti, non un giudizio di merito circa la loro qualità politica.
Purtroppo però la rivolta degli esclusi e degli sfruttati sta drasticamente orientandosi sul lato destro dello spettro politico con ad oggi tre sole eccezioni in Europa:
la Grecia, dove però il governo Tsipras II ha oggettivamente abdicato di fronte al III memorandum della trojka e il paese ridotto allo stremo sta revocando in massa il proprio consenso al governo, secondo i sondaggi
– Il Portogallo governato dalla coalizione del socialista Sousa, che include nella propria maggioranza anche un 18% di seggi parlamentari suddiviso tra rappresentanti del Bloco de Esquerda e della coalizione chiamata CDU composta da Partito Comunista Portoghese e dai Verdi Portoghesi.
 
Un partito di impostazione culturale molto più moderna il primo, tendenzialmente europeista, ma riorientatosi su una strategia più articolata dopo la defezione del governo greco impostata come piano a/piano b; molto vecchio stile i secondi, in compenso portatori di un programma di una chiarezza estrema avendo preso i propri voti sulla parola d’ordine fuori dall’ue, fuori dall’euro, prima possibile.
 
– La Spagna, nella quale Mariano Rajoy è riuscito a reinsediarsi sulla poltrona di capo dell’esecutivo ma in coalizione spuria col Psoe e dove comunque i ceti popolari hanno ritrovato organizzazioni politiche di massa grazie alla nascita e alla crescita di Podemos e al nuovo corso della rinnovata IU guidata da Alberto Garzon Espinosa, tra loro alleati.
Gli esempi in senso contrario sono però più numerosi. Non poco più numerosi.
L’orientamento a destra della protesta ha trovato una plateale dimostrazione con l’elezione di Trump, qualcosa di simile è accaduto nella campagna per il Leave in UK nella quale sono state presenti anche parti di sinistra e di sindacato ( e che ho moralmente supportato. Senza l’ombra di un rimpianto, fossi stato cittadino britannico, avrei a mia volta votato Leave ) ma che ugualmente ha trovato guida in parte del partito conservatore e in Ukip, e questo sta accadendo nelle intenzioni di voto in quasi tutti i paesi europei.
 
I motivi sono numerosi e potremmo enumerarne alcuni, anche se sicuramente essi non sono ancora esaustivi. Tra questi:
 
a) la conversione dei partiti di massa, socialisti e socialdemocratici, ai paradigmi dell’ordoliberismo, del liberoscambismo puro ed alla narrazione ideologica cosmopolita, da sempre alla portata dei soli ceti privilegiati perché per internazionalizzarsi bisogna saper parlare bene le lingue e avere professionalità preziose e ricercate da vendere, insomma prerogativa e qualità elitarie.
Piaccia o meno la larga maggioranza dei popoli è composta da persone per le quali un ben preciso radicamento geografico è necessitato e lo sradicamento, laddove per il capitale è massima espressione della sua forza, è invece per gli individui la più dura manifestazione della loro debolezza: tranne gli appartenenti alle élite che emigrano con soddisfazione per rincorrere le proprie ambizioni, le persone normali lo fanno perché sono costretti da circostanze e problemi soverchianti.
 
Credo si debba essere sempre precisi. L’idea di Stato ultraleggero, che resta completamente fuori dall’economia, della prosperità perseguita attraverso la leggenda del trickle down e del liberoscambismo puro, è un’idea prevalentemente anglosassone che affonda le proprie radici, tra le altre cose, anche nella tradizione giuridica del Common Law e nella prassi che ne discende secondo la quale al privato è tutto permesso tranne ciò che è esplicitamente proibito.
 
Nell’Europa continentale, nella quale la tradizione giuridica del Civil Law discende dal diritto romano è, al contrario, permesso ciò che è normato ed è permesso unicamente nelle forme in cui è normato mentre è proibito il resto.
 
Su questa tradizione si innesta molto meglio il modello dell’ordoliberalismo germanico; un modello di stato iperpresente e ipernormatore, ma nel ruolo esclusivo di guardiano notturno degli interessi di lorsignori.
Non un anglosassone lasciar fare, ma uno stato che fa propri i principi del liberismo e ti perseguita giorno e notte per importeli. Non uno stato leggero e assente quando piuttosto uno stato ipernormativamente assente e sadicamente aguzzino.
 
In pratica un neoliberismo in versione kapò.
 
b) La confusione delle sinistre più radicali, ancora spesso balbettanti dopo otto anni di crisi salvo purtroppo poche lodevoli eccezioni, che:
– per malintesi ideologici,
 
– involuzione culturale dei propri paradigmi ripetuti spesso in maniera astoricizzata e dogmatica,
 
– involuzione delle proprie strutture e dei propri quadri che spesso si sommano a opportunismi politici di pochissimo respiro per ottenere incarichi pubblici,
 
– elezioni e prebende in alleanza con le sinistre social-liberiste di cui sopra o semplice paura di realizzare una lotta di egemonia sui temi critici per timore di essere confuse con le destre,
insistono nel non prendere posizioni chiare e definite né sulla globalizzazione né sulla crisi europea.
c) Smobilitazione della partecipazione popolare non solo nei confronti dei partiti di sinistra ma anche degli apparati sindacali, a causa di un progressivo sgretolamento della credibilità anche di questi ultimi, in particolar modo in Italia.
Tre ore di sciopero per l’approvazione del Jobs Act e manifestazione il sabato? Nulla di nulla durante il governo Monti? Se i ceti popolari sono scappati dal PD e relativi reggicoda sono, spesso, non di meno scappati anche dal sindacato che non lotta quando a massacrare i lavoratori sono i governi amici targati, o retti, dalle maggioranze parlamentari targate PD.
Questo senza nemmeno citare le sconcezze varie assortite a cavallo tra cogestione finanziaria-sindacale dei fondi pensione privati, enti bilaterali, la conversione delle strutture sindacali dal ruolo di rappresentanza e organizzazione del conflitto al modello di mera impresa di fornitura di servizi, come i caaf, che per altro anche l’iscritto paga cari quasi quanto il commercialista pur dopo aver versato mensilmente le proprie quote e potrei continuare facendo l’esempio di abuso all’interno delle stesse strutture sindacali anche di lavoro precario e voucher.
Oramai quando i baroni della trimurti confederale dicono di stare dalla parte dei lavoratori il sentimento del popolo oscilla tra la voglia di mettersi a ridere e quella di tirargli dietro dei sanpietrini, e non senza motivo.
d) Atomizzazione e disintermediazione sociale generalizzata che incentiva la ricerca di salvezze individuali invece che collettive declinate in chiave puramente egoistica.
 
Da questa tragica situazione certamente non usciremo senza ricostruire strutture di rappresentanza democratiche e popolari, tanto politiche quanto sindacali e associazionistiche, che si incarichino di difendere i legittimi interessi degli sfruttati, degli impoveriti e di tutta la gente comune che fa lavori comuni e subisce il non avere potere contrattuale dalla parte del manico.
Lo si dovrà fare declinando le proprie istanze in una chiave democratica, solidaristica, votata alla pace nella gestione delle relazioni estere e inclusiva su basi etnico/culturali.
 
Questi strumenti al momento, purtroppo, non sono a nostra disposizione e vanno ricostruiti praticamente da capo.
Occorre però mettersi in testa che in questa cornice di ribellione dei popoli non argineremo lo sfondamento a destra illudendoci di potergli sbarrare la strada con le scomuniche o con la retorica dei buoni sentimenti.
Il Front National ha ormai assorbito buona parte dei ceti popolari, gli operai, le aree rurali; ha inglobato consistentissima parte di quello che fu l’elettorato del PCF, il simulacro di partito comunista ancora esistente che altro non è capace di fare che reiterare il proprio ruolo ancillare nei confronti del Partito Socialista di Hollande, padre della Loi Travail imposta bypassando il voto parlamentare.
Qualcuno crede forse che stigmatizzando queste persone come rossobruni, fascisti, populisti, rozzi villani, si possa arginare alcunché?
In epoca di spoliticizzazione di massa, sentir gridare al lupo al lupo, smuove soltanto le coscienza di 14 militanti consapevoli ancora in circolazione e a maggior ragione, al povero cristo che non riesce e mettere insieme il pranzo con la cena e convive con la frustrazione di figli almeno diplomati che non riescono a trovare un lavoro e farsi una vita, non gliene frega proprio un cazzo!
Suvvia, questa baggianata della pretesa di arginare i populismi di destra sventolando la spettro del fascismo è semplicemente ridicola, tragicamente ridicola: chi deve mettere insieme il pranzo con la cena e spera che i propri figli non restino disoccupati a vita, non ha tempo da perdere con queste seghe mentali da militanti di una sinistra completamente ripiegata su sé stessa che, per continuare serenamente a non fare i conti coi propri fallimenti, rinuncia a cercare di interpretare un ruolo egemone nella società e si illude di salvarsi la coscienza solo occupandosi della presunta purezza all’interno dei propri residuali ranghi.
 
Riporto le agghiaccianti immagini che mostrano la distribuzione del voto al FN e la distribuzione della disoccupazione sul territorio nazionale.
 
La sovrapponibilità delle due immagini è impressionante e chi crede che da tutto questo ci si possa salvare con quattro scomuniche moralistiche e tre discorsetti sulla purezza ideologica della sinistra valutata in termini astratti, senza prendersi la responsabilità di mettere le mani nella merda e riconquistarsi la fiducia del popolo, è molto semplicemente un ciarlatano.

disoccupazionefrancia

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Ciò tuttavia non significa che si debbano fare concessioni a ciò che è e resta destra radicale, da combattere e contrastare senza se e senza ma.

Dobbiamo maturare la consapevolezza del fatto che l’unico modo per rappresentare i ceti popolari e arginare lo sfondamento a destra è essere metodologicamente seri ed analitici e studiare a fondo un fenomeno che ha portata continentale come premessa indispensabile al non agire a casaccio.

 
Bisogna capire perché, da una parte, anche se ha conquistato consistentissima parte dell’elettorato tradizionalmente di sinistra, il Front National resti un partito radicalmente di destra e insieme capire dall’altra parte del problema quali elementi spingano le persone a votarlo e cosa si dovrebbe trovare il coraggio di proporre per contendere alla destra il campo e far ritrovare ai ceti popolari uno sbocco politico se non immediatamente socialista almeno democratico, non autoritario e non xenofobo.
 
Per farsene un’idea precisa può esserci d’aiuto studiare analiticamente e rigorosamente il documento programmatico che costituisce la piattaforma della campagna presidenziale di Marine Le Pen, di cui il sito Voci dall’Estero ha appena proposto una traduzione.
Purtroppo non conosco il francese quindi farò riferimento a quest’ultima commentando in rosso i 144 punti del programma evidenziando come e perché, a mio giudizio, stiamo parlando di una destra radicale ( che ricicla al proprio interno anche dei fascisti, senza però essere nel proprio insieme un fascismo ) ma evidenziando anche il lato scomodo della questione, ovvero quegli elementi programmatici oggettivamente attraenti per i lavoratori abbandonati allo shock da globalizzazione e alla deflazione provocata dall’eurozona; argomenti non di destra, anzi in molti casi naturalmente includibili in una strategia di sinistra, rispetto ai quali per opportunismo, vendutismo, impreparazione grossolana o ignavia, da troppo tempo le sinistre latitano.
Lo scopo è misurarsi con le contraddizioni storiche oggi sul tavolo e capire quale debba essere il terreno di lotta e gli argomenti di contesa che una compagine popolare e democratica deve affrontare oggi, in Francia come nel resto d’Europa, per tornare a rappresentare i lavoratori e arginare derive autoritarie e/o incivili.
  1. UNA FRANCIA LIBERA
 RESTITUIRE ALLA FRANCIA LA PROPRIA SOVRANITA’ NAZIONALE.
VERSO UN’EUROPA DELLE NAZIONI INDIPENDENTI AL SERVIZIO DEI POPOLI
  1. Ritrovare la nostra libertà e il controllo sul nostro destino restituendo al popolo la sua sovranità (monetaria, legislativa, territoriale, economica). Per questo, intavoleremo una trattativa con i nostri partner europei, che sarà seguita da un referendum sulla nostra appartenenza all’Unione europea. L’obiettivo è arrivare a un progetto europeo rispettoso dell’indipendenza della Francia, delle sovranità nazionali e che serva gli interessi dei popoli.
Questo avrei potuto scriverlo serenamente anche io.
Tipicamente se fai una simile affermazione per i rosè sei già rossobruno, ma per quanto mi riguarda me ne farò serenamente una ragione.
Della sovranità nazionale non faccio una mistica né un fine; per me è uno strumento per il Front National non solo e mostrerò in seguito perché, tuttavia delle parole non si può e non si deve avere paura.
Per me la sovranità nazionale è la premessa dell’autodeterminazione del popolo e lo spazio politico, sociale, giuridico, geografico, entro il quale concretamente la sovranità popolare si può esercitare.
Se qualcuno crede di poter esibire casi storici concreti nei quali un popolo libero, che si governasse democraticamente, ha potuto essere politicamente e giuridicamente sovrano senza avere uno stato sovrano entro il quale esserlo, son curioso di valutare esempi concreti.
In tanti anni che pongo questa domanda nessuno è ancora riuscito a darmi una risposta a meno di non fare riferimento a tribù con stili di vita premoderni…
RIFORME ISTITUZIONALI: RIDARE LA PAROLA AL POPOLO
E STABILIRE UNA DEMOCRAZIA DI VICINANZA.
  1. Indire un referendum di revisione costituzionale e vincolare a referendum popolare tutte le future revisioni della Costituzione. Allargare il campo di applicazione dell’art. 11 della Costituzione.
Giusto il referendum sulla legge fondamentale, critico il passaggio successivo. Dato che l’articolo 11 della Costituzione Francese recita:
 
“Art. 11. Il Presidente della Repubblica, su proposta del Governo durante le sessioni, o su proposta congiunta delle due Assemblee, pubblicata nel Journal officiel, può sottoporre referendum ogni progetto di legge concernente l’organizzazione dei pubblici poteri, comportante l’approvazione di un accordo della Comunità o tendente ad autorizzare la ratifica di un trattato che, senza essere contrario alla Costituzione, potrebbe avere incidenza sul funzionamento delle istituzioni. ”
 
abbiamo qua un brutto esempio di moderno cesarismo o bonapartismo, un ulteriore esempio di accentramento di poteri sulla figura del Presidente della Repubblica, in una assetto istituzionale già fin troppo sbilanciato in tal senso. Un leader forte, ancor più forte di quanto già non lo sia in base alla costituzione del ’58 voluta da De Gaulle che, non dimentichiamolo, fu frutto di un golpe bianco ed era giustificata dalla necessità di fronteggiare la fine del colonialismo, il collasso del sistema politico e il terrorismo dell’OAS fiancheggiato da consistente parte delle forze armate oltre che capeggiato dal generale Salan.
  1. Permettere la rappresentatività di tutti i Francesi, attraverso il sistema elettorale proporzionale. All’Assemblea Nazionale vigerà il sistema proporzionale, con un premio di maggioranza del 30% dei seggi per la lista più votata ed uno sbarramento al 5%.
con un premio di maggioranza del 30% alla lista di maggioranza relativa, un Front National al 27% come lista che sopravanzi anche solo di una frazione percentuali il secondo arrivato prenderebbe il 57% dei seggi.
 
La ratio è sempre il cesarismo/bonapartismo del punto precedente. Palesemente è una truffa autoritaria. Con un premio di maggioranza di tale entità parlare di sistema proporzionale è una truffa bella e buona.
 
4. Abbassare il numero dei deputati a 300 (contro i 577 attuali) e il numero dei senatori a 200 (contro i 348 di attuali).
Ridurre la rappresentatività del popolo nelle istituzioni non è mai popolare, anche se il pessimo livello della classe politica può legittimare tale scelta. Renzi docet.
 
In questo caso il populismo non è interpretato come veicolo di una istanza popolare ma, cavalcando il sentimento antipolitico, di fatto mira a rendere la casta politicante più autoreferenziale.
  1. Creare un vero referendum d’iniziativa popolare, su proposta di almeno 500.000 elettori.
  2. Mantenere solo tre livelli di Amministrazione pubblica in luogo dei sei attuali: Comuni, Dipartimenti e Stato. Questa riforma sarà garanzia di:
  • semplificazione (eliminazione di sovrapposizioni e ripartizione chiara delle competenze);
  • vicinanza (dando più peso agli eletti che i Francesi conoscono, come i sindaci);
  • contenimento dei costi(in particolare sulle indennità degli eletti e i costi di funzionamento). Questo permetterà rapidamente un abbassamento delle imposte locali.
Valorizzare di conseguenza il ruolo e lo status dei sindaci delle piccole e medie comunità.
 
Nulla da ridire.
 
RIPORTARE LA FRANCIA A ESSERE UN PAESE DI LIBERTÀ
  1. Garantire la libertà di espressione e le libertà digitali attraverso la loro iscrizione tra le libertà fondamentali protette dalla Costituzione, ma rafforzando la lotta contro il cyber-jihadismo e la pedo-criminalità. In parallelo, semplificare per coloro che ne sono vittime le procedure per riconoscere la diffamazione o l’ingiuria. Una cosa giusta affiancata dall’ossessione anti-islamica, ci torneremo
  1. Emettere un atto istituzionale a tutela della protezione dei dati personali dei francesi, in particolare attraverso l’obbligo di archiviazione di questi dati su server localizzati in Francia. Ok
  1. Difendere i diritti delle donne: lottare contro l’islamismo che limita le loro libertà fondamentali; mettere in campo un piano nazionale per l’uguaglianza salariale donna/uomo e lottare contro la precarietà professionale e sociale. I datori di lavoro che, anche in Francia, pagano le donne meno, non limitano la loro libertà? La cultura della Chiesa Cattolica anche in Francia non legittima questa pratica? La seconda parte dell’articolo però è una cosa ovvia anche per qualsiasi partito di sinistra.
  1. Assicurare il rispetto della libertà di associazione entro i soli limiti richiesti dall’ordine pubblico e sostenere le piccole strutture associative culturali, sportive umanitarie, sociali, educative ecc., che animano la vita dei nostri territori. Instaurare una vera libertà sindacale attraverso la soppressione del monopolio di rappresentatività e correggere la vita sindacale con un controllo pubblico del finanziamento ai sindacati. Né sindacato unico, né controllato dal governo, pluralismo sindacale, trasparenza di finanziamento. Ok.
  1. Garantire la libertà di istruzione dei propri figli, ma monitorando più strettamente la compatibilità degli insegnamenti dispensati negli istituti privati con i valori della Repubblica. Da sinistra normale sarebbe puntare sul potenziamento dell’istruzione pubblica, ma qua nulla di grave.
  1. UNA FRANCIA SICURA La sicurezza non è di destra, possono esserlo i modi per perseguirla. Anche su questo tema la sinistra dovrebbe uscire dai propri quattro luoghi comuni petalosi in croce. Le persone la sicurezza la vogliono, il problema è dargliela senza ricorrere ai decreti Minniti o al Front National. Ah, comunque, sulla predica di chi inseguirebbe la destra sui suoi temi, piddini e reggicoda devono solo stare zitti dopo le recenti alzate d’ingegno del LORO ministro degli interni, per altro approvate in parlamento col voto e il plauso della Lega. RISTABILIRE L’ORDINE REPUBBLICANO E LO STATO DI DIRITTO DAPPERTUTTO E PER TUTTI
  1. Ristabilire la sicurezza, garantendo la protezione delle libertà individuali. Questo ordine pubblico, oltre alla questione musulmana, sta diventando un po’ un’ossessione…sembra quasi che in fondo in fondo un bello stato di polizia non dispiacerebbe.
  1. Potenziare in modo massiccio le forze dell’ordine: nel personale (piano di reclutamento di 15.000 poliziotti e gendarmi) nei materiali (modernizzazione degli equipaggiamenti, dei commissariati e delle caserme, adattamento delle dotazioni alle nuove minacce), ma anche moralmente e giuridicamente (soprattutto per la presunzione di legittima difesa). Garantire lo status militare dei gendarmi. Quod erat demonstrandum
  1. Focalizzare l’attività di polizia e gendarmeria sulla loro missione di sicurezza pubblica, liberandole da incombenze burocratiche e amministrative. Aridaje…
  1. Mettere in campo un piano di disarmo delle periferie che lo richiedono e ristabilire la presenza dello Stato nelle aree fuori controllo.Sorvegliare i 5. 000 capi delle bande delinquenti e criminali identificate dal ministero dell’Interno. Al fine d’impedirne la ricostituzione, aggiungere alla condanna penale l’ingiunzione civile di allontanamento. Diamogli occupazione, magari non delinquono. Ma abbiamo capito, ormai, il refrain.
  1. Ristabilire i servizi di intelligence locali per lottare contro i traffici criminali. I servizi segreti pure locali? E una webcam dentro ciascun WC no? Premi civici a chi fa la spia? La delazione come valore? Stiamo capendo perché radicalmente di destra? Legge e ordine in modo niente affatto garantista. Un partito con una prospettiva ideale da questurini con manie di grandezza. Abbastanza per parlare di fascismo? Non direi proprio. Ma si tratta ugualmente di una gigantesca schifezza.
 
UNA RISPOSTA PENALE FERMA E RAPIDA
  1. Applicare la tolleranza zero e togliere di mezzo il lassismo giudiziario con l’abrogazione delle leggi penali lassiste (come la legge Toubira), il ripristino delle pene minime e la soppressione della remissione automatica delle pene. Quod erat demonstrandum
  1. Lottare contro la delinquenza minorile responsabilizzando i genitori con la soppressione del versamento degli aiuti sociali ai genitori di minori recidivi in caso di carenza educativa manifesta. Quod erat demonstrandum con patate.
  1. Istituire un ergastolo reale non riducibile per i crimini più gravi. Quod erat demonstrandum con pomodorini.
  1. Creare 40.000 posti supplementari nelle carceri entro 5 anni. Quod erat demonstrandum con pomodorini, capperi e olive.
  1. Ristabilire l’espulsione automatica dei criminali e dei delinquenti stranieri. Stipulare accordi bilaterali che permettano che gli stranieri condannati scontino le loro pene nei paesi d’origine. Quod erat demonstrandum ( comincio a non poterne più )
  1. Riportare sotto il controllo del ministero dell’Interno l’amministrazione penitenziaria e rafforzare la raccolta di informazioni sui detenuti. Quod erat demonstrandum ( è un’ossessione. Ai tordi completamente impolitici, quelli che W anche il FN purché ci levi dalle palle l’UE, magari sta cominciando a venire un dubbio, perché non vorrei dire…..ma un sistema ti questo tipo è gestito in modo non troppo dissimile sul piano della giustizia e della sicurezza pubblica da quei regimi che venivano puntellati e tenuti in piedi dall’OVRA o dalla Stasi. E non sto mettendo fascismo o socialismo reale sullo stesso piano, ma il ‘900 di brutture ne ha mostrate da entrambi i lati, a differenza di altri lo riconosco. Ecco, magari invece di gridare al fascismo al fascismo, il che è palese forzatura, con riferimenti specifici sarebbe meglio parlare di Stato di polizia.
  1. Aumentare l’organico dei magistrati, soprattutto con reclutamento esterno. Al fine di rompere con la cultura del lassismo, sopprimere la Scuola Nazionale di Magistratura e creare una filiera di formazione comune alle carriere giudiziarie (con delle scuole di applicazione). Quod erat demonstrandum one more time. Si consideri in generale che sempre per via di come è nata la costituzione francese del ’58, la Francia in realtà come stato diritto è molto debole. I magistrati dipendono dal governo. Pessima cosa in uno stato di diritto. Il diritto penale francese è già ora estremamente forcaiolo e per niente garantista. Qua si pretende un giro di vite. Sembra quasi Minniti che scavalca a destra la lega sulla gestione dei flussi migratori. Le sinistre minimamente realistiche infatti su questo vanno, giustamente, in senso opposto. Mélenchon ad esempio vuole la VI Repubblica proprio per rimettere mano a questi problemi di impianto costituzionale. Hamon e il PS tacciono, perché una costituzione autoritaria gli serve ad implementare la governance europea come hanno appena fatto con la Loi Travail. La Le Pen invece di autoritarismo ne vuole di più, indipendentemente dai desiderata espressi lungo l’asse Bruxelles-Francoforte-Berlino.
  2. RISTABILIRE FRONTIERE DI PROTEZIONE E FERMARE L’IMMIGRAZIONE INCONTROLLATA
  1. Ristabilire le frontiere nazionali e uscire dallo spazio Schengen (per i lavoratori frontalieri sarà stabilito un permesso speciale che agevoli loro il passaggio). Ricostituire gli effettivi soppressi nelle dogane con il reclutamento di 6.000 agenti durante il quinquennio. Da Schengen uscirei anche io. Ma si tratta di una questione di controllo sulla mobilità di merci, capitali, servizi. Per le persone si possono sempre fare trattati bilaterali tra stati: in Europa si circolava senza passaporto fino al 1914, per dire. Fin qui, quanto espresso nel programma, lo si potrebbe dire anche da sinistra, il problema è il seguito.
  1. Rendere impossibile la regolarizzazione o la naturalizzazione degli stranieri in situazione illegale. Semplificare e automatizzare la loro espulsione. Come si fa a regolarizzarsi se non presentando apposita richiesta, non essendolo in partenza? Ma se non puoi farlo? Cos’è il comma 22 delle Sturmtruppen?Chiunque sia pazzo può chiedere di essere esentato dal servizio militare, ma chi chiede di essere esentato dal servizio militare non è pazzo. Un conto è gestire, anche restrittivamente ( non sono un no-border ) l’immigrazione, un conto è creare paradossi per poter procedere ad espulsioni indiscriminate.
  1. Ridurre l’immigrazione legale a 10.000 unità all’anno. Mettere fine all’automatismo dei ricongiungimenti familiari così come all’acquisizione automatica della nazionalità francese per matrimonio. Eliminare le azioni che fomentano l’immigrazione. Regolamentare l’immigrazione per motivo economico procedendo per quote è una cosa, fissare una quota in termini assoluti non tenendo conto della distinzione in richiedenti asilo, rifugiati, semplici immigrati, potrebbe voler dire sbattere la porta in faccia e esuli per guerra o discriminati politici. Sui ricongiungimenti familiari invece si tratta di una leva per cacciare chi è già qui regolarmente. Vuoi rivedere tua moglie e i tuoi figli? Tornatene a casa tua, negro! ( o musulmano, o muso giallo, o quello che volete voi )
  1. Eliminare lo ius soli: l’acquisizione della nazionalità francese sarà possibile unicamente attraverso la filiazione o la naturalizzazione, le cui condizioni saranno rese inoltre più restrittive. Sopprimere la doppia nazionalità extra-europea. Stessa ratio di cui sopra.

Ritornare allo spirito iniziale del diritto d’asilo che potrà essere accordato solo a fronte di domande depositate presso ambasciate e consolati francesi nei paesi d’origine o nei paesi limitrofi. Se hai la guerra in casa o sei un oppositore di una dittatura e ti stanno cercando, potresti non fare in tempo a presentare scartoffie nel rispetto di una precisa e codificata procedura burocratica. Qua siamo sempre nella logica di Ponzio Pilato: crepa a casa tua e non rompere il cazzo a casa mia, la nostra legge è: ce ne laviamo le mani. Siamo fuori da una logica, pur restrittivamente regolazionista ma umanitariamente accettabile, di gestione dell’immigrazione. Qua siamo in territorio destra radicale, xenofobia di facciata e razzismo di fondo consequenziali alla logica etnoregionalista e alla dottrina del differenzialismo culturale che FN eredita dalla nouvelle droite da De Benoist e dal centro studi Greece in qua: nuovi abiti più presentabili per una attitudine discriminatoria che viene da lontano. Destra radicale, per il fascismo non basta ancora, perché per quello occorre anche una pura concezione organicistica del corpo sociale, il congelamento delle tensioni sociali e di classe e l’abolizione dell’ascensore sociale attraverso un rigidamente normato corporativismo e il partito organizzato in milizia. Non è giustificazionismo, è che le parole hanno un peso, e se realmente fosse fascismo a viso aperto allora bisognerebbe far fronte unito e votare anche Hollande o Fillon ( o in Italia Renzi ) senza troppo storcere il naso, inneggiando alle fantastiche sorti progressive della UE. Ma così non è.

SRADICARE IL TERRORISMO E SPEZZARE LE RETI FONDAMENTALISTE ISLAMICHE

  1. Interdire e sciogliere tutte le organizzazioni legate per loro natura al fondamentalismo islamico. Espellere tutti gli stranieri collegati al fondamentalismo islamico , soprattutto le schede S (schede segnaletiche concernenti la sicurezza dello Stato ndt). Capiamoci, nemmeno io vorrei salafiti, quaedisti o affiliati all’Isis nel mio paese. Ma chi lo è non va in giro con “Isis” tatuato in fronte. O discrimini a priori, o gestisci l’ordine pubblico a posteriori cercando di prevenire ( i servizi segreti servono a questo ). Certo se la Francia smettesse di fare del colonialismo in paesi musulmani e desse un lavoro degno agli immigrati di seconda generazione che son li per via del pregresso colonialismo, tutto sarebbe più semplice. Ma se sei sciovinista un simile dettagliuccio storico tendi a non notarlo.
  1. Chiudere tutte le moschee estremiste recensite dal ministero dell’Interno e vietare il finanziamento straniero dei luoghi di culto e del loro personale. Vietare tutti i finanziamenti pubblici (Stato, collettività territoriali) dei luoghi di culto e delle attività di culto.Chi decide cosa sia “estremista”? Mica scrivono “Isis” sulla facciata. Come sopra. Discriminazione mascherata da sicurezza.
  2. Lottare contro le reti jihadiste: disconoscimento della nazionalità francese, espulsione e interdizione dal territorio per tutti coloro con la doppia cittadinanza legati a una rete jihadista. Applicare l’articolo 441-4 del codice penale sull’intensa col nemico, mettere in detenzione preventiva tutti gli individui di nazionalità francese in collegamento con un’organizzazione straniera che provochino atti ostili o aggressioni contro la Francia e i francesi. Redigere delle liste di queste organizzazioni. Schedare i sospetti è normale in qualsiasi paese. Ma la cittadinanza non si può revocare, un paese può condannare chi delinque, non misconoscerlo. Propaganda de panza.
  1. Ristabilire l’indegnità nazionale per gli individui colpevoli di crimini e delitti legati al terrorismo islamista. E un terrorista francese, invece, è degnamente francese? C’è chi è uomo, se sei musulmano lo sei un po’ di meno. Brutta roba. Certo va detto, lo pensa anche mia suocera. Che vota il PD, ma è bigotta e va a messa tutti i giorni.
  1. Rafforzare i servizi d’informazione interni ed esteri con mezzi e uomini. Creare un’agenzia unica di lotta al terrorismo collegata direttamente al Primo Ministro, incaricata dell’analisi delle minacce e della coordinazione operativa. Aridaje co’ ‘sti sbirri. La sicurezza è pace sociale, stato sociale, benessere; non solo ronde e manganello.III. UNA FRANCIA PROSPERA
  2. UN NUOVO MODELLO PATRIOTTICO A FAVORE DEL LAVORO
  1. Stabilire un piano di reindustrializzazione nel quadro di una cooperazione che associ l’industria e lo Stato-stratega per privilegiare l’economia reale contro la finanza speculativa. Questo dovrebbe dirlo qualsiasi sinistra, da riformista a rivoluzionaria, che si rispetti. Il problema è che se per farlo devi chiedere i soldi in prestito alla BCE e la Germania non vuole concorrenti, stai parlando di niente. Occorre un paese pienamente sovrano per certi propositi, milioni di lavoratori e lavoratrici lo hanno capito, ed è qui che il FN comincia a far polpette della sinistra. ( e ci riesce per colpa della inconsistenza analitica e progettuale della sinistra )
    1. Sostenere le imprese francesi contro la concorrenza internazionale sleale con la creazione di un protezionismo intelligente e il recupero della moneta nazionale adatta alla nostra economia, leva della nostra competitività. Idem come sopra.
    1. Per assicurare la protezione dei consumatori e una concorrenza leale, vietare l’importazione e la vendita di prodotti provenienti dall’estero che non rispettino le norme imposte ai produttori francesi. Parallelamente, sostenere il “Made in France” con un’etichettatura obbligatoria, chiara e trasparente sull’origine di prodotti e alimenti commercializzati in Francia. Idem come sopra. Il commercio, da sinistra, deve essere SEMPRE considerato come condizionato a precisi parametri di carattere politico: se non ci sono frontiere a merci e capitali si è soggetti a subire senza mediazione o possibilità di intervento qualsiasi sorta di dumping sociale, salariale, ambientale, fiscale, importato. Ci si mette in competizione non mediata con chi sfrutta la schiavitù o inquina senza remore, coi paradisi fiscali, senza da un lato alleviare la condizione degli schiavi e lasciando dall’altro lato disintegrare qualsiasi speranza di solidarismo concreto rispetto al proprio modello sociale interno. La gente lo capisce. Solo la sinistra liberoscambista-liberista non ci arriva. E infatti i lavoratori non la votano e fanno pure bene, perché sono i servi sciocchi dei padroni e fanno i cosmopoliti col culo e il posto di lavoro degli altri. Mélenchon, in modo assolutamente corretto, parla infatti nel proprio programma di protezionismo solidale.La gente normale, che fa lavori normali, HA BISOGNO DI POTER VOTARE UN PARTITO PRAGMATICAMENTE NO-GLOBAL PERCHÉ RISPONDE AI PROPRIO LEGITTIMI INTERESSI. SE QUESTO BISOGNO LO LASCIAMO INTERPRETARE ALLE DESTRE, NON POSSIAMO POI LAMENTARCI SE NEL LORO PROGRAMMA CI AGGIUNGONO ANCHE TUTTO CIO’ CHE LE CARATTERIZZA COME DESTRE!
    1. Instaurare un vero patriottismo economico liberandosi dei vincoli europei e riservando gli acquisti per la pubblica amministrazione alle imprese francesi se lo scarto fra i prezzi è ragionevole. Riservare una parte delle commesse pubbliche alle PMI. Idem con patate, dovremmo dirlo noi.
    1. Sopprimere sul nostro territorio la direttiva “distaccamento dei lavoratori” che qui ha creato una concorrenza sleale inammissibile. Instaurare una tassa addizionale sull’assunzione di lavoratori stranieri al fine di assicurare effettivamente la precedenza ai lavoratori francesi. Dopo un po’ di sinistra ecco la spruzzata di destra. Regolare i flussi migratori, nel rispetto delle porte spalancate per i rifugiati, è una cosa sulla quale la sinistra deve rimuovere i propri petalosi tabù moralistici; tassare di più o di meno a secondo di dove è nato un regolare lavoratore è invece incivile e irricevibile.
    1. Assicurare la protezione dei fattori strategici e trainanti attraverso un controllo degli investimenti stranieri che attentano agli interessi nazionali grazie a un’Autorità di Sicurezza Economica. Creare sotto la tutela della Cassa dei depositi e delle Consegne un fondo sovrano con la doppia missione di proteggere le imprese dai fondi avvoltoio o dalle Opa ostili e di acquisire partecipazioni in settori trainanti. Questo non dovrebbe dirlo la sinistra, dovrebbe GRIDARLO!
    1. Creare un segretariato di Stato dedicato ai cambiamenti economici collegato al ministero delle Finanze al fine di anticipare le evoluzioni delle forme di lavoro legate alle nuove tecnologie (uberizzazione, robotizzazione, economia di condivisione). In collaborazione con i settori interessati, stabilire una nuova regolamentazione, per preservare una concorrenza leale. A questo dovrebbe servire il CNEL, e dovremmo dirlo noi.
    1. Promuovere l’innovazione in Francia, impedendo per dieci anni, se ci sono state sovvenzioni pubbliche, che la società sia ceduta a una società straniera. Promuovere i settori strategici della ricerca e della innovazione, aumentando la deducibilità fiscale delle donazioni. Aumentare del 30% il budget pubblico della ricerca (per portarlo all’1%del PIL). Idem.
  1. 42 Creazione di un Ministero del Mare e dei Territori d’Oltremare per valorizzare la vocazione marittima della Francia e sviluppare un ampio piano d’investimenti per l’economia del nostro ‘oro blu’. 43 Riordino delle finanze pubbliche attraverso l’eliminazione di alcune cattive spese (in particolare quelle legate all’immigrazione e all’Unione Europea) e la lotta all’evasione fiscale e agli abusi. Liberarsi della dipendenza dai mercati finanziari attraverso il finanziamento diretto del Tesoro da parte della Banca di Francia. Altra roba giusta condita in salsa destrorsa. Dovremmo togliere la salsa, ma il concetto è nostro.SOSTENERE LE IMPRESE PRIVILEGIANDO L’ECONOMIA REALE
    1. Semplificazione della burocrazia e del fisco per le piccole e medie imprese: sportello unico dedicato (sociale, fiscale ed amministrativo), estensione del ‘titre emploi service entreprise’ (norma amministrativa per semplificare le assunzioni e la gestione del personale, ndT) alle piccole imprese, sostituzione della valutazione di lavoro usurante, inapplicabile nella sua forma attuale, con una nuova regolamentazione basata su valutazioni personalizzate attraverso la medicina del lavoro, che verrà ricostituita completamente. Il carattere usurante della professione, una volta accertato, verrà compensato da maggiorazioni sulla pensione. Ci sorprendiamo che i ceti popolari voti ciò invece di chi gli ha rifilato la Loi Travail bypassando il parlamento? Non si può chiedere al popolo di fare gli antifascisti contro i propri interessi materiali! L’antifascismo è giusto, ma sugli interessi materiali della gente normale la sinistra dov’è? Il FN se ne preoccupa, inutile lamentarsene se la sinistra da 20 si occupa solo di gay. ( sono favorevole al matrimonio civile senza distinzione di sesso, a scanso di equivoci, ma Cristo, la retorica gay NON PUÒ DIVENTARE UNA ETERNA SCUSA PER ABDICARE RISPETTO ALLA NOSTRA MISSIONE STORICA. Se abdichiamo….ci spellano vivi da destra. Ma dai, che strano!
    1. Per favorire le assunzioni, si dovranno ridurre gli obblighi amministrativi per le aziende fino a 50 dipendenti, ed incorporare gli organi rappresentativi del personale delle aziende tra i 50 e i 300 dipendenti (fuori dalla rappresentanza sindacale) in una struttura unica che mantenga le stesse competenze. Qua è un tantinello antisindacale. Ma in contesto come quello italiano, con la credibilità di cui godono i nostri sindacati, nessuno se ne scandalizzerebbe. Tutti guarderebbero solo al proattivo impegno per creare lavoro. Anche qua, la destra ci spella vivi perché non ci decidiamo a cambiare rotta rispetto alle porcherie fatte da 30 anni in qua.
    1. Significativa diminuzione degli oneri sociali per le PMI attraverso l’accorpamento dell’insieme dei dispositivi di esenzione degli oneri stessi in modo decrescente (il CICE, Credito d’imposta per la competitività e l’impiego, verrà trasformato in riduzione degli oneri e sarà introdotto nel dispositivo). Il principio non mi piace, ma almeno transitoriamente toccherebbe farlo anche in Italia, come viatico per la ricomposizione di un blocco storico piccoli versus grandi.Qualcosa di appetibile occorrerebbe offrir loro, in ogni caso il cuneo fiscale va abbassato un po’ altrimenti salta tutto. Qua è spiacevole questione di realismo.
  1. 47 Mantenimento dell’aliquota ridotta al 15% per le micro e piccole imprese e creazione di un’aliquota intermedia al 24% (anziché al 33%) per le PMI. Semplificazione dei trasferimenti d’impresa mediante l’esenzione totale della cessione delle plusvalenze di quote e azioni delle PMI fino a 7 anni. Idem 48 Obbligo per lo Stato e per gli Enti locali di rispettare i termini di pagamento applicando penali che siano davvero cogenti ed automatiche. Giusto 49 Semplificare l’accesso al credito per le micro e piccole aziende attraverso tassi agevolati supervisionati dalla Banque de France per far sì che la finanza torni al servizio dell’economia reale. Giustissimo 50 Dimezzamento del tetto massimo dei tassi d’interesse (tasso di usura) per prestiti e scoperti contratti da aziende e famiglie. Sacrosanto. Poi la gente vota a destra. Eh, se la “sinistra” in Italia non è altro che il prolungamento politico del cda di chi ti strozza col mutuo, non mi sembra poi così strano… 51 Rendere la Francia terra d’innovazione: riorientare il Credito d’Imposta per la Ricerca verso le PMI e le start-up, indirizzare una parte dell’assicurazione sulla vita (2%) verso il capitale di rischio e le start-up ed indurre i grandi gruppi a creare propri fondi d’investimento in aziende innovative. Ok. Cazzo, hanno anche un abbozzo di politica industriale. La sinistra italiana dice che deindustrializzare è bello per motivi ambientali. Geniale, leggere Latouche che già sarebbe da prendere con le molle, fraintenderlo pure, e poi sorprendersi che chi è rimasto disoccupato non ti vota. Ma dai?
  2. GARANTIRE LA PROTEZIONE SOCIALE
  3. 52 Età pensionabile fissata a 60 anni con 40 anni di contributi per accedere alla piena pensione.Ma è il programma del PCF? Ah, no, chiedo scusa…. 53 Abolizione della Loi TravailMi raccomando Laurent, continua a prendere su cadreghe locali al gancio del PS. Tornasse Lenin redivivo ti toccherebbe il plotone d’esecuzione, lo sai vero? E ti fai chiamare comunista.Chissà come mai nei nostri paesi i comunisti hanno perso così tanta credibilità….
  4. 54 Aumento progressivo del massimale del quoziente familiare, reintroduzione della reversibilità e defiscalizzazione della maggiorazione delle pensioni di anzianità per i genitori di famiglie numerose. E qualcuno si aspetta che chi campa con la minima voti Macron? O Orlando? Ma anche D’Alema e Laforgia? Fratoianni e Ferrero invece sarebbero d’accordo, peccato che Draghi non lo sia e il rubinetto dei soldi stia in mano a lui. La gente ha capito, impostori! 55 Mettere in opera una vera politica per la natalità delle sole famiglie francesi, ristabilendo il principio di universalità delle indennità familiari e mantenendone l’indicizzazione al costo della vita. Ristabilire la libera ripartizione del congedo parentale tra i genitori. Io faccio parte della prima generazione che ha avuto un tasso di natalità catastrofica perché non c’era più il futuro, e ormai rischiamo di non fare più in tempo, siamo sulla soglia della scadenza dei tempi biologici per la riproduzione. La differenza tra sinistra e destra è che da sinistra, giustamente, il congedo parentale lo si rende obbligatorio e uguale su entrambi i genitori per estinguere la pratica sconcia delle dimissioni in bianco firmate all’atto dell’assunzione dalle giovani donne, sulle quali compare la data appena restano incinte e chiedono la maternità e quindi per risolvere anche l’annosa questione della minor retribuzione alle donne. Ma attenzione che anche questo, che pure è importante, rischia di essere considerato come un dettaglio rispetto alla protezione del lavoro e della prospettiva di diventare genitori. Ho amici, amiche e coetanei, ultraprecari a 40 anni, niente affatto di destra, che se sapessero con certezza di non aver testimoni e avessero sottomano qualcuno di quelli che ci governano da 20 anni in qua, lo scannerebbero per la rabbia di non aver potuto avere una famiglia. Sarebbero felice di prenderli e scolarne il sangue in un tombino. La gente vota con la pancia. I populisti, dicono. Andassero dalle mie conoscenti con soli 5 anni più di me che avrebbero voluto almeno in figlio, non hanno potuto, e ormai incinte non ci rimangono più. Diteglielo a loro, che sono populiste. Bersani invece è ancora convinto di aver fatto un favore al paese a mettere su Monti e purché venga pensionato Renzi tutta la “sinistra” ufficiale sarebbe contenta di rivoltarlo. La realtà è che GLI ITALIANI SONO DEI SANTI SE LA LEGA NON E’ GIÀ ARRIVATA AL 40%. E LA LEGA E’ MERDA. MA QUESTA “SINISTRA” E’ PEGGIO.
  5. 56 Implementare la solidarietà intragenerazionale, consentendo a ciascun genitore di trasferire senza tassazione fino a 100.000,00 euro a ogni figlio ogni cinque anni (invece dei quindici anni attuali) e aumentando il tetto delle donazioni senza tassazione ai nipoti fino a 50.000,00 euro, sempre ogni cinque anni. 100.000 euro, per figlio, ogni 5 anni? Ok, qua abbiamo un favore ai milionari. 57 Creare uno scudo sociale per gli autonomi, offrendo loro la possibilità di aderire al sistema generale oppure mantenere il regime dedicato, dopo una revisione totale della RSI (Sistema previdenziale per gli autonomi) che funzionerà sulla base di auto-dichiarazioni trimestrali dei redditi. questione che sarebbero cruciale anche in Italia. Dai miei coetanei in giù è enorme la quantità di autonomi formali e dipendenti di fatto, letteralmente impiccati dalla gestione separata INPS.INTERVENTI SUL POTERE D’ACQUISTO58 Aggiornare l’età minima pensionabile in tutto il paese, anche nei territori d’oltre mare, a condizione di possedere la nazionalità francese oppure almeno venti anni di residenza su suolo francese,permettendo così di aumentare le pensioni minime. Mettendo un punto dopo “mare” e non andando oltre, dovremmo dirlo noi. 59 Introdurre un ‘Premio in favore del potere d’acquisto’ (PPA) per i redditi e le pensioni più basse (fino a 1.500,00 euro al mese), finanziato da un contributo sociale del 3% sulle importazioni. Giusto. 60 Abbattimento immediato del 5% delle tariffe regolamentate di gas ed energia elettrica.Giusto. Ah, la rete del gas, dell’acqua, della corrente, noi dovremmo anche dire di volerla integralmente rinazionalizzare. 61 Rendere sicuri i depositi e risparmi dei Francesi abrogando la direttiva europea sull’Unione Bancaria e la disposizione di legge Sapin II, che prevedono prelievo o congelamento dei risparmi bancari e dei contratti di assicurazione sulla vita in caso di minaccia di crisi bancaria. Mantenere la libertà e il pluralismo dei mezzi di pagamento. Quando avremo un leader della sinistra che va in TV e dice che Draghi e la Merkel, con le regole del bail in, ci si possono sfruconare il culo? La gente farebbe la hola solo a sentirlo dire. Perché non lo dicono, problemi di libro paga? 62 Aumentare le sanzioni contro i manager colpevoli di attività fraudolente che drenano parte del potere d’acquisto dei consumatori. Congelare le autorizzazioni per le grandi superfici e i negozi di vendita per corrispondenza, in attesa di una revisione completa delle superfici di vendita della grande distribuzione. Sacrosanto. 63 Mantenere l’orario di lavoro settimanale di 35 ore. Lasciare libertà di negoziazione di orari crescenti esclusivamente a livello dei settori professionali e a condizione che forniscano una compensazione salariale piena (37 ore pagate 37 o 39 ore pagate 39). Giusto. 64 Detassare gli straordinari e mantenerne le maggiorazioni. Favore ai padroni. Se hai bisogno di straordinari…..ASSUMI un disoccupato e organizza una doppia turnazione.IV UNA FRANCIA GIUSTA PROTEGGERE AL 100% LA SALUTE DEI CITTADINI FRANCESI65 Garantire l’assistenza sanitaria a tutti i francesi, così come il rimborso di tutti i costi sostenuti dall’Assicurazione sanitaria (previdenza sociale). Sostenerne il finanziamento semplificando l’amministrazione del sistema, lottando contro la cattiva gestione finanziaria e investendo in nuovi strumenti digitali per avere risparmi duraturi. Non so come funzioni l’assicurazione sanitaria in Francia. Noi dovremmo dire SSN per tutti, gratis, e ci metteremo tutti i soldi che servono per non avere più liste di attesa. Si può fare, è che non si vuole farlo! 66 Aumentare secondo necessità il numero chiuso per l’accesso ai corsi di studio in Scienze Mediche per evitare la forte dipendenza da medici stranieri e favorire il turnover. Promuovere la cooperazione tra gli operatori sanitari, riconoscendo le competenze specifiche di ciascuno. Solita porcheria sugli stranieri. Il tema numero chiuso noi dovremmo affrontarlo in tutt’altro modo, inquadrandolo nella prospettiva di sviluppo industriale, non tanto disincentivando certi studi quanto incentivando che si studi ciò che strategicamente ci serve. 67 Lottare contro la carenza di personale medico attraverso la creazione di stage nelle aree carenti che permetta anche ai medici in pensione di praticare la professione con deduzioni fiscali e la creazione di case di cura in loco. Assumi giovani, chi è in pensione si riposi. 68 Mantenimento massimo dei presidi sanitari territoriali ed aumento del personale degli ospedali pubblici. Giusto 69 Creazione di un settore specifico dell’assistenza sanitaria dedicato alla dipendenza, così da consentire ad ogni francese di curarsi e di vivere dignitosamente. Giusto 70 Supporto alle start-up francesi per modernizzare il sistema sanitario. Giusto: se vogliamo risparmiare e creare lavoro, ci serve una fabbrica nazionale di farmaci e presidi medico chirurgici. Make IRI graet again. Magari rimettersi a produrre panettoni anche no, ma perché non siringhe, bendaggi, e tutti i medicinali il cui brevetto è scaduto e avere anche un polo pubblico collegato alle università per farne di nuovi di brevetti, invece che comprare tutto da Bayer, Novartis eccettera? Questa è sovranità, democratica, popolare, che serve alla gente. Lavoro per tutti, ricerca pubblica, cure mediche per tutti. 71 Realizzare dei risparmi attraverso l’eliminazione dell’Aiuto di Stato sanitario per i clandestini, lotta contro le frodi (creazione di una tessera sanitaria con i dati biometrici integrata nella carta d’identità), la riduzione del prezzo dei farmaci costosi (attraverso l’aumento della proporzione di farmaci generici), lo sviluppo della vendita unitaria dei farmaci rimborsabili (si richiederà alle aziende di modificare allo scopo le catene di produzione). Morite a casa vostra. Ovvio che lo dicano. Il problema è lo spazio che gli abbiamo lasciato. Non lo ripeto ancora. 72 Protezione del sistema complementare di sanità pubblica e privata e della rete territoriale di attori sanitari indipendenti (farmacie, laboratori medici etc.). Lo Stato si deve occupare solo di sanità pubblica. Chi è ricco e vuole la stanza singola, se la paghi. 73 Riorganizzare e chiarire il ruolo e gli obblighi delle agenzie sanitarie e di sicurezza alimentare e garantirne l’indipendenza. Ok.RENDERE IL FISCO PIÙ GIUSTO74 Garantire una contribuzione fiscale equa, rifiutando qualsiasi aumento dell’IVA e del CSG (contributo sociale generalizzato) e della ISF. Ok. 75 Diminuzione delle imposte sul reddito del 10% sulle prime tre tranches. Ok, serve anche qua. 76 Semplificazione fiscale con l’eliminazione delle tasse a bassissimo rendimento. Ok. 77 Abolire la ritenuta alla fonte per proteggere la privacy dei francesi e per evitare complessità amministrative supplementari alle imprese. No, qua occorre un compromesso in Italia, una battaglia per l’equità fiscale prima che sulla fedeltà, altrimenti salta tutto. Ma coi nostri politicanti questo provvedimento equivarrebbe ad un diritto egualitario di evadere tutti nello stesso modo e in mezza giornata lo Stato si estinguerebbe. 78 Lottare efficacemente contro l’evasione fiscale per preservare il nostro modello sociale attaccando i paradisi fiscali e creando una tassazione sulle attività svolte in Francia dai maggiori gruppi e sui profitti presumibilmente sottratti. Continuare, a questo fine, la cooperazione fiscale internazionale. Prima equità, poi fedeltà. La gente è fedele a uno stato che non gli mette le corna. Smettiamola di disprezzare il nostro popolo. 79 Negare l’accesso ai mercati pubblici alle multinazionali che praticano l’evasione fiscale e si rifiutano di regolarizzare la loro situazione. Siemens, Bayer e Loockeed Martin fuori dal nostro paese? Niente di più dolce per le mie orecchie, dovremmo dirlo anche noi. 80 Disconoscere le convenzioni fiscali con i paesi del Golfo che concedono privilegi indebiti e che facilitano la scalata alle attività francesi attraverso i petrodollari, contrastando l’interesse nazionale. In effetti non serve essere islamofobi come il FN per porsi il problema di cosa sia l’Arabia Saudita. Basta essere democratici. Ma la sinistra rosè social-petalosa sulla politica estera non dice più nulla da lustri. PERMETTERE A CIASCUNO DI TROVARE IL SUO POSTO81 Rivalorizzare il lavoro manuale attraverso la creazione di reti professionali di eccellenza (sopprimere progressivamente il ‘collège unique’ – ciclo del sistema scolastico corrispondente più o meno alla nostra scuola media ndt -, autorizzare l’apprendistato dai 14 anni). Creare in tutto il paese scuole superiori tecniche e professionali come seconda possibilità per gli studenti che lasciano la scuola senza un diploma. Ok 82 Creazione di una normativa “primo lavoro” che esoneri totalmente le aziende dai costi legati alla prima assunzione di un giovane sotto i 21 anni per un periodo massimo di due anni. Ok, se il contratto è a tempo indeterminato, lo si può vedere come un elemento di diminuzione del cuneo fiscale. 83 Per una vera giustizia sociale, trasferire agli istituti superiori di istruzione generale e professionale l’onere di trovare uno stage per ogni studente. Col piffero. Anche se fanno poco perché sono inesperti, gli stagisti comunque producono a costo circa 0. Oneri de che? Se vogliamo che la formazione sia in parte fatta anche con gli stage, si stabiliscano in modo vincolante tempi non superabili di durata degli stage, e chi prende stagisti risarcisca i trasporti e paghi la mensa, che ci guadagna comunque. 84 Estendere all’intero paese il Service Militaire Adapté (istituzione militare per l’inserimento socioprofessionale ndt), prendendo a modello quello in vigore nei territori d’oltremare. Militaristi. Ma non ci deve sorprendere, è destra francese. Non illudiamoci però che non abbia senso, in Italia, se vogliamo reinternalizzare tutti quei servizi essenziali che abbiamo invece privatizzato per via del principio di sussidiarietà in costituzione ( una porcata da sola grande quasi quanto l’euro ), che ce la possiamo cavare senza reintrodurre la leva civile obbligatoria maschile e femminile. Entro i trent’anni ogni persone residente in Italia, nato in Italia o immigrato, maschio o femmina, prende 1000 euro al mese e guida l’ambulanza, riordina gli scaffali della biblioteca, legge il libro alle vecchine nella casa di riposo, consegni a casa i pasti caldi del comune per i disabili che vivono soli, eccettera. Lo stato fa tanto per te, e tu impari a fare altrettanto per il tuo paese. Ma intanto reinternaliziamo tutto, perché su queste cose il lucro e la privatizzazione sono inaccettabili. E insieme facciamo dell’educazione civica VERA, sul campo. La vogliamo costruire una Patria di cui valga la pena sentirsi orgogliosi? Col servizio civile lo si fa e questo mi sembra un buon viatico per ricostruire anche una cultura del patriottismo, declinato da sinistra. Per tutti, obbligatorio. 85 Estendere e generalizzare il terzo concorso del servizio pubblico riservandolo a chi ha più di 45 anni e almeno otto anni di esperienza nel settore privato. 86 Scongelare e aggiornare l’indicizzazione per i funzionari del settore pubblico. Ok.Preservare lo statuto della funzione pubblica. Nel rispetto del principio di uguaglianza, stabilire in due giorni l’attesa del pagamento delle indennità giornaliere di assicurazione sanitaria, sia nel settore pubblico che in quello privato. 87 Nonostante le pressioni delle autorità sovranazionali, mantenere il divieto di maternità surrogata e mantenere la procreazione medicalmente assistita come risposta ai problemi di fertilità. Creare per legge unioni civili (una PACS migliorata) che sostituiranno le disposizioni della legge Taubira senza effetto retroattivo. Il matrimonio civile per tutti, non si cincischi coi pacs o con le cirinnate. Ma l’utero in affitto è una porcata fascistoide e anche sulla eterologa ho le mie belle remore. Se Vendola si offende sono cazzi suoi. 88 Rendere più efficaci le Indennità per adulti disabili (AAH), fornire più risorse agli enti territoriali che si occupano di disabilità (MDPH) ed implementare un’assistenza adeguata per i disturbi autistici e di tutto lo spettro autistico. Le autorità pubbliche devono fornire un maggiore sostegno alle persone con disabilità e alle loro famiglie. Ovvio. 89 Facilitare l’accesso al lavoro per le persone disabili, rafforzare la lotta contro ogni forma di discriminazione legata alla disabilità e alla salute ed estendere il diritto all’oblio in caso di grave malattia in remissione a lungo termine, a distanza massima di 5 anni. Imporre uno standard di accessibilità per i non vedenti e non udenti. Ok. 90 Avviare una revisione completa delle strutture per l’accoglienza e la cura dei bambini al fine di contenere alcuni eccessi riscontrati in alcune di esse. Riorganizzare e migliorare le politiche di assistenza sociale per l’infanzia.
UNA FRANCIA FIERA
  1. DIFENDERE L’UNITÀ E L’IDENTITÀ NAZIONALE91 Difendere l’identità nazionale, i valori e le tradizioni della civiltà francese. Inserire nella Costituzione la difesa e la promozione del nostro patrimonio storico e culturale. Perché non dovremmo farlo anche noi? Per essere comunisti non serve vergognarsi di essere italiani, e non c’è bisogno per questo di diventare dei reazionari che scrivono Tradizione con la t maiuscola. 92 Rendere la cittadinanza francese un privilegio per tutti i francesi attraverso l’inserimento nella Costituzione della priorità nazionale. No. Queste sono le distinzioni sulle quali bisogna essere chiari tra destra e sinistra. Esserlo però non è difficile, se non si è dei pusillanimi col terrore che il primo negriano o rosè social-petaloso ti dia del fascio. 93 Fare esporre in modo permanente su tutti gli edifici pubblici la bandiera francese e far rimuovere la bandiera europea. Ok. 94 Rivalutare le pensioni degli ex-combattenti riallocando i fondi disponibili. Ok. Il punto è non andare a combattere guerre ingiuste ingerendo in casa altrui. 95 Promuovere la laicità e la lotta contro il comunitarismo. Inserire nella Costituzione il seguente principio: “La Repubblica non riconosce alcuna comunità”. Ripristinare la laicità in ogni luogo, estendendola all’intero mondo pubblico ed inserirlo nel Codice del lavoro. No. La repubblica DEVE essere una comunità e può anzi deve esserlo in termini non escludenti del tutto diversi da quanto dice il FN. 96 Difendere la lingua francese. Abrogare in particolare le disposizioni della legge Fioraso che consentono di limitare l’insegnamento in lingua francese francesi. Ok. 97 Rafforzare l’unità della nazione attraverso la promozione della storia nazionale e il rifiuto delle scuse di Stato che creano divisioni. Sciovinisti di merda! Noi invece l’unità nazionale la vogliamo costruire attraverso il fare i conti per davvero con la nostra storia. Omar al Mukhtar era una eroe e il mausoleo di Graziani ad Affile va abbattuto a picconate. Il patriottismo si concilia con l’internazionalismo perché riconosce a ciascuno uguale diritto di amare il proprio paese. Il patriottismo esige rispetto perché tributa uguale rispetto. Qua è la differenza tra patriottismo costituzionale, socialista, e nazionalismo sciovinista. Anche qua la sinistra li deve superare i propri idioti tabù, altrimenti nella crisi delle sovranità statuali, le persone normali che hanno perso i riferimenti di classe ma sono legate al proprio paese, se le piglia tutte la destra! La bandiera dobbiamo smettere di disprezzarla e dobbiamo strapparla di mano alla destra. 98 Promuovere il principio di assimilazione repubblicana, principio più stringente della sola integrazione. No, l’integrazione si fa col lavoro e con la giustizia sociale. Ed esige il rispetto della legge del paese ospitante offrendo però in cambio uguale possibilità di partecipazione alla vita civile. Ciò detto le tensioni etcniche e culturali si stemperano proprio non pretendendo di trasformare l’integrazione in assimilazione. 99 Ripristinare la vera uguaglianza e meritocrazia rifiutando il principio di “discriminazione positiva”. La meritocrazia la lasciamo ai liberali. 100 Difendere l’unità e l’integrità del territorio francese riaffermando il legame indissolubile tra la Francia e i territori d’oltremare. Mollate le colonie, stronzi!
  1. Assicurare la trasmissione delle conoscenze rinforzando gli insegnamenti fondamentali (francese, storia, matematica). Alla scuola primaria, dedicare la metà delle ore di insegnamento al francese, sia scritto che orale. Eliminare «l’insegnamento delle lingue e culture d’origine» (ELCO). Consequenziale alla logica della “assimilazione culturale”. Da respingere. Certo che se ragioniamo relativamente all’Italia è vero che la Gelmini ha compiuto un mezzo scempio, ma le cataratte del cielo le ha aperte Luigi Berlinguer, autore di un genocidio culturale e la Buona Scuola targata PD cosa ha portato oltre all’oscena alternanza scuola lavoro? Anche qua la sinistra si scontra con un tragico vuoto di progetto e colpe enormi nel passato recente mai ammesse. L’ennesimo incentivo allo sfondamento a destra.
    1. Fare della scuola un «rifugio inviolabile dove i dissidi degli uomini non entrano» (Jean Zay), imponendo non solo la laicità ma anche la neutralità e la sicurezza. Il principio non sarebbe neanche sbagliato, in assoluto, non fosse che la laicità integralista in questo caso è usata come manganello anti-islamico.
    1. Ristabilire l’autorità e il rispetto dell’insegnante e reintrodurre l’uso della divisa a scuola.Il tema non è banale. Da un lato alimenterebbe il conformismo, dall’altro creerebbe un ambiente nel quale le differenze di censo delle famiglie pesano meno. Tema da ragionare.
    1. Ritornare sulla riforma del calendario scolastico.
    2. Ristabilire un’autentica uguaglianza di opportunità, ritrovando la via della meritocrazia repubblicana. Ribadisco: la “meritocrazia” da sinistra lasciamola a liberali e liberisti. Rispetto a FN questo ci indica come la destra radicale contemporanea sia molto meno “sociale” che un tempo, il liberismo ha fatto breccia anche li. Per la sinistra e per l’Italia la narrazione giusta è perseguire chi sta al gancio, più che incensare i bravi. Essere contro chi ha ruoli parassitari e o di sfruttamento, la bravura dovrebbe invece essere un premio in primis a sé stessa.
    1. All’università, passare da una selezione per esclusione a una selezione per merito.Rifiuto dell’estrazione a sorte come metodo di selezione. Rivalorizzare le borse di studio per merito. Difendere il modello d’insegnamento superiore francese che passa attraverso la complementarietà dell’università e delle grandes écoles. L’università è discorso a parte dal resto della società, quella in effetti è giusto sia meritocratica purché l’accesso sia garantito a tutti.
    1. Sviluppare massicciamente l’alternanza (contratto d’apprendistato, contratto di professionalizzazione) nell’artigianato, nel settore pubblico e privato, e rendere la formazione professionale più efficace, meno opaca e meno costosa. Altro caso di liberismo che si fa strada, un po’ da buona scuola italiana. Prima studi e poi lavori.
  1. UNA FRANCIA CHE CREI E CHE IRRAGGI
    1. Rinforzare la rete di scuole e licei francesi nel mondo.Idem con patate rispetto ai limiti dell’antinazionale e antipatriottica sinistra italiana. La nostra lingua è la quarta più studiata al mondo e non valoriziamo questa cosa per niente. Non dovremmo lasciare alla destra il tema della valorizzazione della cultura nazionale.
    1. Sviluppare il mecenatismo popolare (fundraising n.d.T) attraverso la creazione di una piattaforma digitale dedicata. Mecenatismo e volontariato stocazzo: lo Stato ha queste responsabilità, paghiamo le tasse per questo. Il mecenatismo è solo un modo per permettere la ritirata dello stato e permettere ai ricchi di ottenere sgravi fiscali facendo ciò che lo Stato dovrebbe fare, ma facendolo solo per qualcuno.
    1. Elaborare una legge di programmazione di interventi per la cura e preservazione del patrimonio. Aumentare il budget allocato del 25 %. Pompei cade a pezzi e stiamo qua a cincischiare sul pareggio di bilancio. Questo dovremmo dirlo anche noi.
    1. Mettere fine alla politica di vendita a stranieri e a privati di palazzi ed edifici nazionali. Sacrosanto.
    1. Lanciare un grande piano nazionale di creazione di percorsi di studio (licei, università) dei mestieri dell’artee creare una rete di vivai di artisti su tutto il territorio. Reintrodurre una vera educazione musicale generalista nelle scuole. Giusto.
    1. Riformare il Consiglio Superiore dell’Audiovisivo con la creazione di tre collegi: uno composto da rappresentanti dello Stato, il secondo da professionisti, il terzo da rappresentanti della società civile (associazioni di consumatori, di telespettatori, ecc.)
    2. Rimettere ordine nello status di “intermittente dello spettacolo” (qualifica che permette a chi lavora in modo precario per tv, cinema e teatro, di beneficiare di un sussidio di disoccupazione – n.d.T.)  con la creazione di un tesserino professionale, al fine di preservare questo sistema e, allo stesso tempo, assicurare un migliore controllo delle strutture che ne abusano. Ok.
    1. Eliminare Hadopi(garante per la protezione dei diritti d’autore in internet- ndT) e aprire il cantiere della licenza globale. Bello.
    1. Creare un «contratto sportivo di alto livello» della durata di tre anni e rinnovabile,che permetta agli sportivi dilettanti, che rappresentano la Nazione nelle gare internazionali, di vivere decorosamente e di consacrarsi interamente alla propria disciplina. Altra bella cosa.
    1. Sostenere le piccole squadre al fine di promuovere al massimo la presenza di giocatori francesi nelle squadre professioniste e lottare contro la finanziarizzazione dello sport professionale.Rafforzare le azioni contro la violenza nello sport dilettantistico e imporre il severo rispetto della laicità e della neutralità in tutti i club sportivi. E perché no? Anche questo non mi sembra male.
    1. UNA FRANCIA POTENTE
  1. FARE RISPETTARE LA FRANCIA
    1. Lasciare il comando militare integrato della NATO perché la Francia non venga trascinata in guerre non sue. Fuori l’Italia dalla Nato, fuori la Nato dall’Italia era uno slogan di Democrazia Proletaria. Se lasciamo le parole d’ordine alla destra, ripeto, poi non ci possiamo lamentare.
    1. Assicurare una capacità di Difesa autonoma in tutti i settoriPiaccia o meno è giusto. La priorità ora sarebbe spendere in pensioni, scuole e ospedali. Ma l’idealismo del fare a meno delle forze armate non sta, ancora, né in cielo né in terra. Il problema sarebbe non fare i reggicoda delle guerre altrui, tipo le destabilizzazione targate USA in Medio Oriente per accaparrarsi risorse energetiche. Il tema è importante. Perché la “sinistra” lo lascia alla destra?
    1. Ricostituire, in tutti i settori della Difesa, un’offerta industriale francese, per rispondere ai bisogni delle nostre forze armate e garantire la nostra indipendenza strategica. Anche qua il tema è molto importante. Importante sarebbe non inserirlo in una cornice militarista come fa il Front National, ma non illudiamoci che una sinistra seria possa non parlare di questo. Sappiamo di aver speso 15 miliardi in una fase critica per comprare quegli scassoni di F35 e sappiamo anche perché lo abbiamo fatto; che non si possa dirlo apertamente è un altro paio di maniche. Ma prendiamo ad esempio la Svezia e non il Front National. Non fanno parte del comando integrato Nato e sviluppano da sé i propri sistemi d’arma, ad esempio il caccia di quarta generazione e mezza Saab Jas 39 Gripen, che è uno dei migliori al mondo. L’avionica, l’elettronica eccettera spingono la Svezia a mantenere pubbliche una serie di aziende anche per motivo di segreto militare, ma questo vuol dire anche OCCUPAZIONE, RICERCA INDUSTRIALE, BREVETTI PUBBLICI e TRASFERIMENTO TECNOLOGICO all’industria dell’indotto. Per gli F35 invece noi sviluppiamo soltanto dei cassoni d’ala, cioè fondamentalmente modellistica a livello falegnameria. Se ci facessimo noi i nostri sistemi d’arma salveremmo le nostre imprese in campo aerospaziale e avremmo un imponente indotto per le nostre aziende nel campo della meccanica fine e dell’elettronica / optoelettronica più avanzata, e avremmo poi brevetti nostri da mettere a frutto. Il che non ci impedirebbe, come la Svezia, di avere una tradizione di politica internazionale molto più pacifica di quella conseguente allo stare agganciati alla Nato. Questi sono temi importanti, sui quali la sinistra latita da troppo.ANCHE IN QUESTO CASO SE LASCIAMO UN TEMA CRUCIALE A DESTRA NON POSSIAMO, POI, LAMENTARCI SE LO DECLINANO A MODO LORO.
Aumentare, dal primo anno del mandato, il budget della Difesa portandolo al 2% del PIL, per poi tendere al 3% in vista della fine del quinquennio. Questa soglia minima del 2% verrà inserita in Costituzione. Questo sforzo sostanziale permetterà di finanziare:
  • una seconda portaerei battezzata « Richelieu », indispensabile alla permanenza in mare della nostra flotta aeronavale;
    • un aumento degli effettivi (per riportarlo al livello del 2007, cioè un incremento di circa 50.000 unità);
    • il consolidamento della nostra forza di dissuasione nucleare;
    • l’incremento generale della nostra forza militare (più aerei, più navi, più blindati) e la modernizzazione delle dotazioni;
    • la reintroduzione progressiva del servizio militare (minimo obbligatorio 3 mesi). Questa è vocazione militarista. Prendono il tema e lo declinano da destra, appunto.
  1. RENDERE DI NUOVO LA FRANCIA UNO DEI PRIMI PAESI AL MONDO
    1. Impegnare la Francia al servizio di un mondo multipolare fondato sull’uguaglianza dei diritti delle nazioni, in un dialogo permanente e nel rispetto dell’indipendenza di ognuna. Fondare la politica internazionale sul principio del realismo e restituire alla Francia il suo ruolo di potenza di stabilità ed equilibrio. Perché non dovremmo propagandare noi, da sinistra, la necessità di un mondo multipolare? La sinistra non ha una linea in politica internazionale da decenni….
    1. Rafforzare i legami con i paesi che condividono la nostra lingua.
    2. Mettere in opera una vera politica di collaborazione per lo sviluppo con i paesi dell’Africa fondata prioritariamente sull’aiuto allo sviluppo della scuola primaria, il miglioramento dei sistemi di coltivazione, lo sviluppo dei mezzi di Difesa e sicurezza. Nel caso dei francesi lo scopo è chiaramente tenere in vita il loro colonialismo mascherato nei paesi dell’Africa centro occidentale, ma nel nostro caso sarebbe importante riqualificare il tema perché il nostro futuro è essere un centro organizzativo dell’area del Mediterraneo, paesi nord Africani inclusi, e non certo essere il carrellino al gancio della Germania. Si faccia viva la sinistra quando deciderà di abbandonare il proprio stolido e autolesionistico €uropeismo.
  1. VII. UNA FRANCIA STABILE LA FRANCIA, POTENZA AGRICOLA AL SERVIZIO DI UNA ALIMENTAZIONE SANA
    1. Applicare il patriottismo economico ai prodotti agricoli francesi per sostenere da subito i nostri contadini e i nostri pescatori, in particolar modo attraverso la domanda pubblica (Stato e collettività). Giusto. Noi invece lasciamo che i cruccofoni producano e vendano “parmesan” e facciamo pure gli autorazzisti nei loro confronti. No comment.
    1. Trasformare la Politica Agricola Comune in Politica Agricola Francese. Garantire sovvenzioni il cui ammontare sarà stabilito dalla Francia e non più dall’Unione Europea, con l’obiettivo di salvare e sostenere il modello francese di azienda agricola familiare. Giustissimo e a maggior ragione ciò vale nel nostro caso. Oltre ai motivi interni, e sono molti, dovremmo anche qualificare come e perché la PAC sia di fatto colonialismo nei confronti dei paesi africani.
    1. Rifiutare i trattati di libero scambio (TAFTA, CETA, Australia, Nuova-Zelanda etc.). Sviluppare la filiera corta dalla produzione al consumo, riorganizzando la distribuzione. Giustissimo a maggior ragione per l’Italia. Anche qua parliamo di tutela di produzione, ambiente, biodiversità, lavoro che può essere di più di quello che è e di buona qualità.
    1. Semplificare il lavoro degli agricoltori bloccando l’aumento vertiginoso delle norme amministrative e incoraggiare l’assunzione di giovani agricoltori tramite la defiscalizzazione dei primi anni di impiego. Un piano agricolo serio serve anche da noi.
    1. Difendere la qualità: per combattere la concorrenza sleale, vietare l’importazione di prodotti agricoli e alimentari che non rispettino le norme di produzione francese in materia di sicurezza sanitaria, benessere animale e rispetto dell’ambiente. Imporre la tracciabilità totale dell’origine geografica e del luogo di trasformazione sull’etichetta, in modo da garantire la trasparenza e l’informazione completa dei consumatori. Giustissimo, ancora.
    1. Promuovere le esportazioni agricole, in particolare sostenendo i marchi di qualità. Ecco qua una differenza. La sinistra non dovrebbe mai essere mercantilismo, dovremmo piuttosto parlare di biodiversità, lavoro e SOVRANITÀ ALIMENTARE.Purtroppo però la nostra sinistra se sente parlare di “sovranità” è capace solo di cagarsi nei pantaloni.
  1. AMBIENTE E ENERGIA: LA FRANCIA DEVE PUNTARE ALL’ECCELLENZA
    1. Per preservare l’ambiente, rompere con il modello economico fondato sulla mondializzazione selvaggia degli scambi e il dumping sociale, sanitario e ambientale; la vera ecologia consiste nel produrre e consumare nelle immediate vicinanze e trasformare sul posto. Evidente. Un po’ più credibile che incensare la filiera corta e difendere l’euro, la moneta pensata appositamente per dover comprare tutto all’estero.
    1. Al fine di lottare contro la precarietà energetica e agire direttamente sul potere d’acquisto dei Francesi, fare dell’isolamento termico degli immobili una priorità del budget del quinquennio, perché l’energia meno cara è quella che non si consuma. Un modo sensato di impostare anche la questione della sovranità energetica: un piano pubblico per l’edilizia a basso consumo/impatto.
 
    1. Sviluppare massicciamente le filiere francesi delle energie rinnovabili (solare, gas naturale, legna) grazie a un protezionismo intelligente, al patriottismo economico, all’investimento pubblico e privato e alla domanda dell’EDF (corrispettivo dell’Enel – ndT) Decretare una moratoria immediata sull’eolico. Anche noi dovremmo razionalizzare la questione invece che puntare tutto sull’incentivo al solare e rimangiarci tutto 5 anni dopo.
    1. Per mantenere, modernizzare e mettere in sicurezza la produzione nucleare francese, procedere al Grande Carenaggio (ampio programma industriale volto ad aumentare la vita delle centrali nucleari – ndT), e mantenere il controllo dello Stato sull’ EDF, restituendogli una vera missione di servizio pubblico. Rifiutare la chiusura della centrale di Fessenheim. Rimanere antinuclearisti. Del resto questa è destra francese, non ci si poteva aspettare altro.
    1. Sostenere una filiera francese dell’idrogeno (energia pulita), con l’aiuto statale in materia di ricerca e sviluppo, al fine di ridurre la nostra dipendenza dal petrolio. Non aiuto statale ma PUBBLICO. Riprendiamoci integralmente Enel e Eni per fare questo.
    1. Vietare lo sfruttamento del gas di scisto, finché non si saranno raggiunte condizioni soddisfacenti in materia di ambiente e di sicurezza, e applicare il principio di precauzione vietando gli OGM. Giusto.
    1. Fare della protezione animale una priorità nazionale. Difendere il benessere degli animali vietando l’abbattimento non preceduto da stordimento e sostituendo il più possibile la sperimentazione animale. Rifiutare il modello delle fattorie-fabbriche, del tipo «fattoria da 1.000 mucche». Giusto.
 
  1. ASSICURARE L’UGUAGLIANZA SU TUTTO IL TERRITORIO E PROMUOVERE L’ACCESSO ALL’ALLOGGIO
    1. Garantire l’uguale accesso ai servizi pubblici (amministrazioni, pubblica sicurezza, acqua, sanità, trasporti, ospedali e case di cura…) su tutto il territorio e in particolare nelle zone rurali. La liberalizzazione delle ferrovie voluta dall’Unione Europea sarà rifiutata. La Posta e la SNCF (Ferrovie dello Stato – ndT) resteranno pubbliche. Giusto.
    1. Raggruppare in un solo ministero l’adeguamento del territorio, i trasporti e l’alloggio. Riequilibrare la politica della cittàin favore delle zone spopolate e rurali. Giusto.
    1. Facilitare l’accesso alla proprietà rinforzando l’istituto di prestiti agevolati e migliorando le condizioni di riscatto degli affittuari degli alloggi sociali, per raggiungere l’1% del parco HLM (case popolari – ndT) venduto ogni anno. Ridurre i diritti di trasferimento del 10%. Giusto.
    1. Ridurre le spese per l’abitazione delle famiglie attraverso un grande piano di aiuto alla costruzione e alla riqualificazione degli alloggi, alla riduzione delle tasse sugli immobili più modesti e il blocco degli aumenti e rendendo definitivi gli APL (Aiuti Personalizzati all’alloggio – ndT) (eliminazione dell’inclusione del patrimonio nel loro calcolo). Creare una «Protezione-Abitazione-Giovani»: lanciare un grande piano di costruzione di abitazioni per studenti e rivalorizzare del 25% gli APL per i giovani fino a 27 anni fin dal primo anno del quinquennio. Giusto, e dovremmo avere il coraggio di dire che si deve fare nella forma di edilizia pubblica, abbattendo e ricostruendo secondo moderni parametri antisismici e di basso impatto energetico, il che rimetterebbe in modo anche l’indotto della nostra industria ad ogni livello se vincolando il provvedimento all’utilizzo di produzioni nazionali.
    1. Riservare la precedenza ai Francesi per l’attribuzione degli alloggi popolari, senza effetto retroattivo, e indirizzarla verso coloro che ne hanno più bisogno. Applicare realmente l’obbligo di godimento pacifico, a pena di revoca immediata dell’affitto. Se l’edilizia popolare in Italia passasse dal 2% che è al 20% e di buona qualità come è in Austria, queste recriminazioni da destra contro gli immigrati sarebbero finalmente disarticolate: la casa ci sarebbe per tutti senza alimentare queste guerre tra poveri. Il problema è che qua si continua sempre e solo, anche a sinistra, a fare gli interessi dei grandi immobiliaristi. Poi il risultato sono queste campagne della destra e la presa che hanno in una società in cui in effetti il problema dell’abitare è grave.
    1. Razionalizzare e semplificare le norme di urbanistica e costruzione per riassorbire le tensioni sul mercato degli alloggi. Sorvegliare la tutela dell’ambiente e degli spazi naturali protetti (litorali, montagne ecc.). Giusto.
    1. Sostenere lo sforzo di investimento in infrastrutture, in particolare nelle zone rurali (erogazione di energia, copertura telefonica, strade) e rinazionalizzare le autostrade per restituire ai Francesi un patrimonio che hanno finanziato e di cui sono stati derubati; più generalmente rifiutare la vendita degli attivi strategici posseduti dal potere pubblico. Sacrosanto.CONCLUSIONI

Da una analisi puntuale del programma del Front National credo emerga con grande chiarezza la non equivocabilità del loro profilo politico. Si tratta di una destra chiaramente radicale che punta fortissimamente verso un securitarismo sbirresco che trascinerebbe il paese fuori dai normali parametri di garantismo propri di uno stato di diritto e che declina la propria ossessione per l’ordine concepita come stato di polizia in chiave apertamente xenofoba.Tuttavia se c’è una cosa che non deve essere considerata sorprendente è lo sfondamento di questo tipo di destra tra i ceti popolari, e questo non vale esclusivamente in Francia. Perché è assolutamente evidente che il profilo economico del Front National, pur moderatissimamente keynesiano e poco improntato ad una vasta redistribuzione di ricchezza, è in ogni caso incomparabilmente più allettante per chiunque svolga lavori normali e abbia bisogno di stato sociale, di qualsiasi programma delle sinistre globaliste e europeiste da 20 anni in qua.

Si difendono pensioni a età accettabili, si puntella lo stato sociale che resta rifiutando ulteriori privatizzazioni sia dei servizi sia degli asset pubblici. Si difendono le ultime norme di rigidità contrattuale del lavoro mentre le “sinistre” fanno il jobs act e la loi travail. Inoltre, pur declinando alla fine in una destrorsa chiave militarista, si difendono anche principi che andrebbero invece sostenuti da sinistra. Non solo la filiera corta e la difesa delle produzioni tipiche nel settore agroalimentare in modo più serio di quanto non faccia la sinistra ( la filiera corta senza protezionismo commerciale e con l’euro NON LA FAI ), ma qua, ancor peggio, abbiamo lasciato a destra anche la rivendicazione del multipolarismo in politica internazionale e il rifiuto di voler rimanere al gancio dell’imperialismo Nato. Insomma, ci spellano vivi, è una disgrazia, ma non possiamo raccontarci che non ci sia un perché. Se sei appartenente ad un ceto popolare è assolutamente ovvio e razionale che voti FN invece che gli pseudo socialisti o i verdi europeisti.Purtroppo in Francia, con la parziale esclusione di Mélenchon che è a capo dell’unica sinistra votabile, e ancor più in Italia, la sinistra sta lasciando il campo a destra perché non riesce ad affrontare in maniera non nevrotica e autenticamente degna di studio psichiatrico, la questione della sovranità nazionale .La sinistra e la sovranità nazionale. Le sciocche superstizioni della sinistra a proposito della sovranità nazionale, vista come un male a prescindere da qualsiasi altra argomentazione, lasciano la sinistra completamente impotente e inadeguata di fronte alle contraddizioni e alle sperequazioni create dalla globalizzazione capitalistica di cui l’Unione Europea è epifenomeno regionale. La realtà è che un paese può essere governato da destra o da sinistra, ma un paese non sovrano invece non può autogovernarsi, verrà gestito nel nome di interessi terzi, e quindi si dissolve l’autodeterminazione e la possibilità per i ceti popolari in primis di far valere le proprie istanze: i dominanti si ricicleranno sempre, invece, come vicerè e/o borghesia compradora. Esattamente nel manifestare questa attitudine, anzi, proprio la borghesia italiana è sempre stata una avanguardia.Negli ultimi giorni ha destato un certo scalpore e ha suscitato parecchi commenti una intervista al prof. Gustavo Zagrebelsky che ha toccato il tema della sovranità e della rivendicazione di sovranità nazionale da parte dei popoli, che può essere declinata in vari modi. Cerco di offrire un mio contributo alla chierezza di idee perché altrimenti temo si rischi di girare a vuoto intorno al legame tra i concetti di sovranità popolare e sovranità nazionale.

L’opinione pubblica e il dibattito prevalente nei partiti questo fa, già da anni. Ripropongo un articolo del 28 Luglio 2015 integralmente scritto da Zagrebelsky, nel quale affronta in modo più preciso la tematica, all’indomani del referendum greco e dell’abdicazione del governo di fronte al terzo memorandum della Trojka.

Il passaggio cruciale, che interroga tutti, sul quale in seguito Zagrebelsky abbozza le proprie considerazioni e ipotesi di soluzioni, è praticamente all’inizio dell’articolo: <<Si parla di fallimento dello Stato come di cosa ovvia. Oggi, è “quasi” toccato ai Greci, domani chissà. È un concetto sconvolgente, che contraddice le categorie del diritto pubblico formatesi intorno all’idea dello Stato. Esso poteva contrarre debiti che doveva onorare. Ma poteva farlo secondo la sostenibilità dei suoi conti. Non era un contraente come tutti gli altri. Incorreva, sì, in crisi finanziarie che lo mettevano in difficoltà. Ma aveva, per definizione, il diritto all’ultima parola. Poteva, ad esempio, aumentare il prelievo fiscale, ridurre o “consolidare” il debito, oppure stampare carta moneta: la zecca era organo vitale dello Stato, tanto quanto l’esercito. Come tutte le costruzioni umane, anche questa poteva disintegrarsi e venire alla fine. Era il “dio in terra”, ma pur sempre un “dio mortale”, secondo l’espressione di Thomas Hobbes. Tuttavia, le ragioni della sua morte erano tutte di diritto pubblico: lotte intestine, o sconfitte in guerra. Non erano ragioni di diritto commerciale, cioè di diritto privato. Se oggi diciamo che lo Stato può fallire, è perché il suo attributo fondamentale — la sovranità — è venuto a mancare. Di fronte a lui si erge un potere che non solo lo può condizionare, ma lo può spodestare. Lo Stato china la testa di fronte a una nuova sovranità, la sovranità dei creditori>>

Perché i “sovranismi” – definizione che personalmente non adotto ma che è evidentemente polisemica come la definzione di “populisti”, tanto è vero che in tal modo si definiscono sia la Le Pen sia Iglesias che politicamente non hanno nulla a che spartire tra di loro – stanno così tanto prendendo piede oggi in funzione realmente o strumentalmente antisistemica? Perché dentro la UE un problema di sovranità sussiste, un problema di sovranità che come evidenzia Zagrebelsky condiziona il diritto di autodeterminazione dei popoli nello scegliere un modello sociale con normale processo democratico all’interno del proprio Paese e che mette gli stati stessi nella condizione di poter fallire. Uno stato può attraversare crisi, politiche, istituzionali, produttive, finanziarie, ma non può fallire. In condizioni normali. Il fatto che possa sostanzialmente fallire entro l’Unione Europea non è semplicemente una stranezza, è una leva politica. Una questione di POTERE politico, che determina chi sia il sovrano. Come evidenziato nella vicenda greca che Zagrebelsky analizza.

E se accettiamo la definzione di Schmidt secondo la quale sovrano è chi decide sulla stato di eccezione, se lo stato concretamente può fallire ( la crisi che lo porta alla bancarotta è lo stato di eccezione, come è accaduto in Grecia nel Luglio 2015, o a Cipro nel 2013 ), CHI veramente è il sovrano? E qual è la strategia per spodestarlo se esso non è il popolo? Le domande nell’articolo restano aperte ma è evidente che quello è il vero nodo politico dell’oggi. Lo Stato può morire per “ragioni di diritto commerciale, quindi di diritto privato”. Che spazio ha la sovranità popolare all’interno di questa assoluta anomalia prodotta dalla menomazione della sovranità nazionale?

Rispetto al neologismo “sovranismo”, dai media maintream ormai sistematicamente utilizzato come sinonimo di “populismo” e quindi di fascismo anti€peista, ci vado estremamente cauto.Tendo a diffidare dei neologismi, ma dobbiamo sforzarci di essere precisi.Se lo stato è una entità storicamente determinata di natura politico-giuridica composta da un territorio, un popolo e una sovranità, che senso ha parteggiare per una prerogativa fondamentale dello stato? Casomai possiamo discutere del fatto che uno stato sovrano potrebbe anche non essere democratico: in una dittatura non c’è sovranità popolare. Può accadere, o anche no. Ma al contrario in un un paese non sovrano la democrazia non c’è per forza di cose o al massimo è un simulacro, quindi per forza non c’è sovranità popolare. Quindi, posto che sovranismo è una categoria che non dice quasi nulla e che personalmente non adotterei, volendo proprio ragionarci sopra e assumendo l’ovvietà che la sovranità popolare non si esercita nel vuoto ma dentro la cornice della sovranità nazionale, ne discende che: – possono esistere sovranisti antidemocratici, ma – non possono esistere democratici per i quali l’istanza sovranista non sia almeno implicita .In parole povere se continueremo come sinistre a lasciare alla destra la rivendicazione della sovranità nazionale come spazio di autodeterminazione rispetto allo strapotere dei mercati globalizzati, non ci dovremo sorprendere se i ceti popolari andranno in blocco a destra: sarà stata solo e unicamente colpa nostra e delle sciocche e pusillanimi fisime di quei brocchi delle dirigenze politiche e sindacali che hanno paura delle parole oltre ad essere, spesso, pure colluso nei fatti con gli interessi dominantiCitando il sociologo spagnolo Manuel Castells: le élite sono cosmopolite, il popolo è locale. Lo spazio del potere e della ricchezza si proietta in tutto il mondo, mentre la vita e l’esperienza della gente comune è radicata nei luoghi, nella propria cultura, nella propria storia.Una volta questa idea, niente affatto nuova, era patrimonio comune delle sinistre e non confliggeva con il loro tradizionale internazionalismo, perché la fratellanza si costruisce tra stati sovrani e democratici governanti dalla causa operaia. Questo era un fatto pacificamente acquisito. Inoltre ci si ricordava delle riflessioni di Antonio Gramsci o Lelio Basso, solo per fare due nomi, che facevano una distinzione chiarissima tra cosmopolitismo borghese e internazionalismo proletario, specificando che non soltanto non sono la medesima cosa ma sono addirittura valori in opposizione l’uno all’altro. La realtà è che la sinistra elitaria, cioè appiattita sul dogma cosmopolita, si sta estinguendo banalmente perché non serve a nessuno.

Fonte: http://unpezzounculo.blogspot.it Link: http://unpezzounculo.blogspot.it/2017/03/la-situazione-e-tragica-ma-con-le.html 20.03.2017

Si parla ormai correntemente di deglobalizzazione. Bene!

La sinistra italiana è una solache “le sinistre” non menzionino il concetto di stato e nazioni (una volta invece ne proteggevano il ruolo fondamentale come regolatore dell’economia in funzione sociale, da decadi è una bestemmia pronunciare la parola nazione, infatti proprio le sinistre hanno abiurato e tradito questa politica economica) è meglio. Non sarebbero manco credibili se non per strumentalizzare e tentare di recuperare “punti”.
 

Molti di noi, mediamente, vivono immersi in un mondo di inconsapevolezze arredato per metà con la caverna di Platone e per l’altra dal migliore dei mondi possibili di Leibniz-Candide. Veniamo tenuti apposta in questo mondo estetico ed etico mentre le nostre élite operano costantemente nelle segrete, dove torturano la realtà coi più affilati strumenti e le tecniche più sofisticate. Sia torturare la realtà, sia tenercelo nascosto, viene fatto per il “nostro bene”, non reggeremmo allo shock e tutte le nostre sicurezze ne risentirebbero.

         (Pierluigi Fagan)
 
 
1. Il libro di Pierluigi Fagan Verso un mondo multipolare. Il gioco di tutti i giochi nell’era Trump (Fazi, 2017) parla di Stati e di nazioni. Concetti tabù per la sinistra radicale, da non menzionare nemmeno. Dal canto loro, i cultori di destra del Blut und Boden invano vi cercheranno un’esaltazione della Patria e del Re e i seguaci dell’establishment culturale di sinistra avranno il dispiacere di veder messi a nudo il cosmopolitismo progressista e la narrazione della “fine degli stati-nazione”, che verranno chiamati col loro nome proprio: imperialismo.
Sono secoli che la sinistra (tutta, in vari gradi e sfumature) ci ricasca – o ci ritenta. E viene sbugiardata.
Ai suoi tempi Marx criticò l’internazionalismo dei proudhoniani francesi ritenendolo un sostegno allo sciovinismo francese: «Lafargue, senza neppur rendersene conto, per negazione delle nazionalità intende, sembra, il loro assorbimento da parte della nazione francese modello».
 
Mettete “Stati Uniti” al posto di “Francia” e vedrete quante cose quadrano.
Ci volle il realismo di Lenin per criticare l’ostilità di due grandi rivoluzionari come Rosa Luxemburg e Karl Radek all’idea di “autodeterminazione delle nazioni”.
Infine, con l’approfondirsi della crisi sistemica, la sinistra politica e intellettuale – con pochissime eccezioni, che pur esistono grazie al cielo – si è nuovamente comportata come l’inesperto di navigazione che essendo scoppiata la tempesta ha cercato di rimanere vicino alla costa conosciuta andando così a sbattere contro gli scogli, invece di prendere il mare aperto anche senza una meta chiarissima.
Si percepisce dietro a queste difficoltà un errore d’approccio che nasconde varie cose, a volte correlate tra loro a volte no, che vanno dall’opportunismo al dogmatismo, passando attraverso un pregiudizio (ma a volte un paravento) metodologico trasversale che chiamerò “concettualismo accademico”.
 
Cercherò allora di mettere in evidenza il metodo usato da Pierluigi Fagan e il suo vantaggio rispetto al concettualismo accademico, specialmente di stampo marxista.
2. Si parla ormai correntemente di deglobalizzazione. Bene! Finalmente ci siete arrivati! mi verrebbe da dire[1]. Se prima non ci si credeva, grazie ai postumi dell’ubriacatura globalizzatrice, oggi la presidenza Trump ha dato la sveglia. Un caffè nero che provoca conati di vomito e feroci mal di testa. Sempre così dopo una brutta sbornia.
E quindi occorre rifare i conti coi concetti di “Stato” e di “nazione”. O, alternativamente, continuare a vivere nel mondo di Papalla.
Giovanni Arrighi nel suo capolavoro “Il lungo XX secolo. Denaro, potere e le origini del nostro tempo” (Il Saggiatore, 1996) asseriva che occorre «dipanare il nodo del rapporto fra lo sviluppo dell’Europa, centrato sul commercio estero, e quella superiorità militare che ha consentito per almeno tre secoli agli europei di appropriarsi dei crescenti benefici dell’integrazione dell’economia su scala mondiale».
Il punto sta proprio qui. Lo sviluppo capitalistico occidentale nasce imperialista. Si è svolto cioè attraverso un processo invertito che non è partito dallo sviluppo interno per poi espandersi all’esterno con l’occupazione di spazi, ma è andato nella direzione inversa. La sua storia è quindi una storia imperiale ab origine e, come ha osservato Samir Amin, «non esiste nessuna teoria del capitalismo distinta dalla sua storia»
Invece i marxisti moderni si baloccano molto coi concetti astratti. I loro libri e le loro conferenze sono sostanzialmente luoghi e occasioni di divertimento. Poco male, se poi non si guardasse con sufficienza e sospetto chi cerca di capire nella realtà dove va il mondo e che cosa possiamo fare.
E invece da sempre chi non la pensa in modo conformista o ortodosso è oggetto di accuse gravi. Lo sapeva benissimo Gramsci, si magna licet, che canzonava chi lo accusava di spiritualismo, bergsonismo e persino di “futurismo marinettiano”. Ancora oggi, ci sono sconsiderati che pensano che Lenin fosse un agente dell’imperialismo prussiano e persino che Marx fosse un agente del capitale finanziario newyorkese[2]. Per quanto riguarda invece gli affari correnti, fanno insistente capolino accuse di “filo-putinismo” o “filo-trumpismo”. Basta non essere clintoniani e clintonoidi, basta chiedersi “Cosa sta succedendo? Perché sta succedendo?”, senza accontentarsi delle spiegazioni mainstream, ed è tutto un filare pro questo o pro quello. Al cittadino moderno vengono richiesti sudditanza e continui atti di fede. Dubbi mai. Se recalcitrante, vengono prospettati Ministeri della Verità e si incomincia a mettere in serio dubbio che sulle cose “importanti” sia il caso di far votare il “popolo sovrano”. Un neo servaggio. Propugnato dalla destra? No dalla sinistra. Quella sinistra che poi sbraita contro il populismo.
Questo stato di cose rende sempre più evidente che se un intellettuale non è “organico” nel senso di Gramsci, ovvero disciplinato da un progetto politico che intende – come si dice – “superare lo stato presente delle cose”, esso viene quasi inevitabilmente catturato dal senso comune dell’avversario, da chi lo stato presente delle cose se lo vuol cambiare lo vuole fare alla Gattopardo o alla Vicerè. E viene sedotto dalla sicurezza e dal senso di appartenenza che da questa cattura deriva[3].
Gli intellettuali fedeli solo a se stessi – come voleva e sperava Costanzo Preve – sono molto rari e destinati alla marginalità.
Le idee dominanti sono in ogni epoca quelle che hanno i mezzi per essere veicolate, propagandate ed essere protette culturalmente, politicamente e con la forza.
 
3. Il metodo di analisi di Pierluigi Fagan è quello della teoria della complessità. Questo approccio e quello di derivazione marxiana non sono antitetici, come spesso si crede, ma si compendiano. Io il punto di convergenza l’ho trovato nella nozione di “sistema dissipativo”.
Il processo di accumulazione, in quanto privo di un fine sociale è anche privo di un fine qualsiasi e quindi è letteralmente senza (un) fine. E’ autoperpetuante. Questa caratteristica genera crisi in continuazione. Crisi di sovrapproduzione, di sovraccumulazione, nell’andamento del saggio di profitto e altri fenomeni analizzati da Marx.
Le crisi, nel loro complesso e dal punto di vista dei sistemi dissipativi, si possono descrivere come una produzione di entropia (frutto delle contraddizioni del processo di accumulazione) che deve essere scaricata all’esterno.
Quindi il rapporto interno-esterno è centrale nell’analisi delle concrete società capitalistiche.
In particolare, la nascita del termocapitalismo occidentale, cioè del capitalismo nato in Occidente e poggiante massicciamente sull’utilizzo di fonti di energia, è retroflessa, come già si è detto. In particolare il moderno capitalismo europeo ha avuto origine dall’estroversione, trainata dal commercio estero, di un centro (l’Inghilterra) verso lo spazio esterno, combinata con un processo di retroversione dal commercio estero allo sviluppo industriale e agricolo nazionale. Ma è l’intero processo che conduce al capitalismo occidentale che nasce da una necessità di estroversione: di piccole entità.
 
Una necessità dovuta alla limitatezza delle loro risorse territoriali in relazione alla capacità di accumulazione. Si pensi al percorso che va dalle città-stato italiane e arriva, per l’appunto, a una piccola isola galleggiante nei freddi mari del Nord chiamata “Inghilterra” che col solo 1,7% del PIL mondiale di allora andò alla conquista o alla soggezione di Paesi che assieme contavano per il 60% del PIL mondiale.
Io affermo sempre che il capitalismo occidentale è nato con la battaglia di Plassey, una città del Bengala, nel 1757. E l’ho sostenuto recentemente anche in India, di fronte a militanti della sinistra radicale di quell’immenso Paese (solitamente marxisti-leninisti, ma non solo), che mi guardavano sorpresi ma interessati. Con la rapina del Bengala gli Inglesi ripianarono i debiti coi banchieri olandesi e riuscirono a investire nelle invenzioni della prima rivoluzione industriale. Il gioco iniziò così.
Ora, la capacità di scaricare all’esterno l’entropia generata dal centro (la proiezione di potenza e di capitali “esuberanti”, così come le delocalizzazioni per contrastare la caduta del saggio di profitto, sono esempi di questo movimento) implica che ci sia un esterno, che esso sia libero e che sia popolato da persone disposte a ricevere questa “spazzatura termica” (ad esempio producendo profitto per un centro altro). Già questo implica a sua volta che la dinamica della crisi è direttamente condizionata dai rapporti tra Stati, ovvero dalla configurazione dello spazio geopolitico. E questo spazio è uno spazio di sistemi.
Come ricorda Fagan, l’1,7% di PIL mondiale inglese era un sistema. Per questo ebbe la meglio sul 60% combinato di Cina e India, che non facevano sistema o per lo meno un sistema complesso e soprattutto fortemente dinamico come quello inglese (come mise bene in rilievo Jawarharl Nehru in The discovery of India, scritto mentre giaceva proprio nelle galere britanniche). E coi mezzi militari di ausilio a questo dinamismo.
 
4. La lettura del libro di Pierluigi Fagan induce una prima considerazione: non essere accademici permette di svincolarsi da quell’apparato o camicia di forza concettuale che è il solo ad essere ritenuto legittimo e riconosciuto dai pari. Fagan ha lavorato con le multinazionali, io ho lavorato con le multinazionali. Nessuno di noi due è propriamente un intellettuale col pedigree. Forse è per questo che lui, seguace della teoria della complessità e io, seguace di Marx, ci intendiamo. Non siamo dei “professionisti del concetto” e quindi non facciamo interminabili litigate sui concetti. Per dirla in termini popolari: andiamo al sodo.
I concetti, usati come strumenti, servono a dare un ordine alla realtà, di modo che sia intelligibile e agibile progettualmente. Il metodo di Marx della “risalita dall’astratto al concreto” fa proprio questo[4]. Occorre iniziare l’analisi da un piccolo nucleo di concetti “cellulari”, “elementari”, ma alla fine dell’analisi deve esserci la realtà, che è tale in quanto è “ricca di determinazioni”, come sostiene Marx. E questo è un riconoscimento della complessità del reale.
Ma il pensiero accademico molto spesso si ferma al culto devoto del concetto in sé. Questo è tipico degli intellettuali marxisti, affascinati dalla logica espositiva di Marx, o meglio del primo libro del Capitale, o meglio ancora dei primi tre capitoli del primo libro del Capitale. Ma questo culto del concetto è fustigato dallo stesso Marx, che nelle Glosse a Wagner ha affermato con un certo sarcasmo: «Prima di tutto, io non parto da “concetti, quindi neppure dal “concetto di valore”, e non devo perciò in alcun modo “dividere” questo concetto. Ciò da cui io parto è la forma sociale più semplice in cui si presenta il prodotto del lavoro nell’attuale società, il prodotto in quanto “merce”».
Non è lecito giocare con concetti astratti: «Alles das sind “Faseleien”», sono tutte “stupidaggini”, dice sbrigativamente Marx del filosofare degli economisti accademici tedeschi.
Questo difetto, queste “stupidaggini”, hanno avuto come conseguenza quella di disinnescare la carica rivoluzionaria del pensiero di Marx e di renderlo, per l’appunto, gradevole e gradito in ambito accademico. Era proprio il difetto di cui si era dovuto invece sbarazzare un marxista rivoluzionario come Lenin che contrapponeva gli eleganti schemi teorici di Bucharin (pur sempre ritenuto da Lenin come il miglior teorico del Partito) alla poco elegante natura della realtà: “Da questa disparità, da questa costruzione fatta con materiale difforme – per quanto spiacevole e poco armonico possa parere – non usciremo per un ben lungo periodo» [5].
La sfera culturale marxista è invece periodicamente percorsa dalla parola d’ordine del “ritorno a Marx”, proprio per recuperare i suoi puri “concetti”, mentre un “ritorno a Lenin” – e si capisce perché – sarebbe visto con orrore. E’ un fenomeno molto italiano ed europeo.
Nonostante alcune fiammate soggettivistiche e volontaristiche, il marxismo che da noi ha dominato a partire dal Sessantotto, una stagione che più o meno coincide con le prime avvisaglie della crisi sistemica attuale, si è configurato di fatto come una sorta di marxismo da II Internazionale, alla Kautsky o alla Bernstein, tutto rivolto a leggere nei fenomeni il concretizzarsi, finalmente, delle “condizioni” che preludono l’avvento del comunismo.
E come fece Kautsky con la sua idea di “superimperialismo”, si sono divinati i segnali di uno “spazio liscio” che prende il posto di uno “spazio striato”, increspato. Ovvero è stato annunciato un mondo unificato e appiattito dal capitalismo. Impero di Hardt e Negri è la sintesi più nota di questo annuncio. Ma al pari dell’ipotesi del “superimperialismo” di Kautsky, anche questo è stato un annuncio sfigato. Allora la confutazione a Kautsky fu il primo massacro interimperialistico, la risposta a Hardt e Negri sono stati l’11/9 e l’inizio delle guerre infinite. Di fatto, le due drammatiche confutazioni sono state in entrambi i casi contemporanee all’enunciazione della tesi.
5. L’analisi intellettuale riduce le coordinate e le variabili al minimo (putativamente coincidenti con le ipotesi minime dell’esposizione marxiana e dimenticandosi bellamente che la logica dell’esposizione non coincide mai con quella della scoperta – cosa che ogni scienziato dovrebbe sapere): scontro capitale-lavoro in un sistema omologante, teso allo smantellamento inevitabile di ogni differenza di etnia, di etica e di costumi, di religione, nazione, stato, casta considerati rimasugli pre-moderni e moderni.
E invece il mondo è un casino e così i bei concetti simmetrici ed elegantemente dispiegati non riescono a cogliere i fenomeni, per non parlare di ciò che sta sotto i fenomeni.
Sono troppo ingiusto, troppo critico, troppo grezzo, non capisco le raffinatezze dei ragionamenti? Ma non è che siamo invece un po’ troppo nella merda e qualcuno ancora non vuole capirlo per fedeltà identitaristiche? La reazione a questa incapacità analitico-politica, non è proprio il rifugiarsi in tutte quelle identità e fedeltà premoderne e moderne che si pensavano in via di dissoluzione? Il disastro della reazione non è un segnale di quello dell’azione?
Una reazione che, di certo, non incontra il favore né di Pierluigi Fagan né di chi scrive (e per questo siamo così critici; non per divertimento ma per confessata preoccupazione).
A quelle caratteristiche premoderne e moderne, alcuni associano valori (si veda il ritorno di istanze fasciste, xenofobe, razziste, nazionaliste, il culto per il Blut und Boden e il Medioevo). Non ci piace affatto, ma è inevitabile quando la sinistra perde il contatto con la realtà e si dedica a “utopie letali” come recita il titolo di un libro di Carlo Formenti che ha fatto arrabbiare molti.
Lo scontro di classe non avviene sulla Luna, ma in mezzo a dinamiche impregnate di etnie, religioni, nazioni, Stati, eccetera. Dinamiche con complesse motivazioni ideologiche, culturali, etiche, politiche e materiali. Dinamiche che hanno alle spalle una storia precedente e sono la causa di una storia seguente. E questa storia non si svolge nel vuoto interstellare, ma sulla Terra, su Gea, un ambiente fisico, geografico e materiale.
6. Il libro di Pierluigi Fagan è inevitabilmente anche un libro di Storia, nel senso che guarda gli ultimi decenni con distacco storico (che non vuol dire distacco morale). Lo riesce a fare perché il punto di vista sistemico gli consente di aumentare o diminuire la granularità dell’analisi e le maglie che connettono questi grani.
Se si osserva un quadro impressionista, come ad esempio il “Ponte giapponese” di Monet, se si va troppo vicino si vedranno piccole macchie di colore e null’altro. Occorre distanziarsi, e anche un bel po’, per distinguere il ponte. Allo stesso modo, se si va troppo vicino ai dettagli non correlati della realtà si dirà: “Chissà che cosa significa. E’ tutto un gran disordine”. La famosa “risalita dall’astratto al concreto” di Marx serve proprio a calibrare il livello di granularità dell’analisi della realtà per portarla alla coscienza del soggetto.
Ma quando finalmente si capisce che non bisogna avvicinare troppo il naso bensì distanziarsi un po’ per avere uno sguardo d’assieme che possa cogliere le correlazioni, far intuire pattern, bisogna stare molto attenti a non inforcare gli occhiali sbagliati e vedere quello che fa comodo vedere.
Perché la realtà è in movimento e il movimento spiazza e ciò che spiazza incomoda.
7. Quando la grana è grossa (Stati) i movimenti diventano geopolitici e geostorici. Nell’uso corretto di questi strumenti non c’è nessuna esaltazione della nozione di “potenza” né un interesse particolare per la lotta per il Lebensraum degli stati-nazione. C’è invece una riscoperta della materialità della Storia, della complessità del reale.
L’intellettualità accademica ha invece spesso dimenticato pressoché tutto ciò che costituisce il binomio “materialismo-Storia”. Ha dimenticato il materialismo perché ha espunto la materia, che appunto, nel nostro mondo si chiama Gea. Ha dimenticato la Storia perché l’ha ridotta alla formula per l’attesa delle “condizioni canoniche”, formula prelevata direttamente dalla caverna di Platone.
Una storia ridotta a formula, come a Marx non piaceva: «la “fatalità storica” di questo movimento è … espressamente ristretta ai paesi dell’Europa occidentale». Così Marx nella sua risposta a Vera Zasulič del 1881. Concetto che il rivoluzionario tedesco aveva già espresso in una lettera alla redazione della rivista russa Otečestvennye Zapiski del 1877 dove diceva:
«Nel capitolo sull’accumulazione originaria, io pretendo unicamente di indicare la via mediante la quale, nell’Occidente europeo, l’ordine economico capitalistico uscì dal grembo dell’ordine economico feudale [.]. Ecco tutto. Ma per il mio critico, è troppo poco. Egli sente l’irresistibile bisogno di metamorfosare il mio schizzo della genesi del capitalismo nell’Europa occidentale in una teoria storico-filosofica della marcia generale fatalmente imposta a tutti i popoli, in qualunque situazione storica si trovino, per giungere infine alla forma economica che, con la maggior somma di potere produttivo del lavoro sociale, assicura il più integrale sviluppo dell’uomo. Ma io gli chiedo scusa: è farmi insieme troppo onore e troppo torto».
8. L’intellettualità marxista blasonata ha inanellato un record di sconfitte materiali e di incomprensioni della realtà. Le ultime in ordine di tempo vanno dalle “primavere arabe” all’elezione di Trump[6]. Pur non essendo il tema principale del libro, Fagan utilizza il suo approccio per dare un senso alla “sorpresa” The Donald. E ora io cerco di sintetizzare questo senso dal mio punto di vista.
Se l’affollamento geopolitico del mondo e la sua complessità riducono agli USA (e in subordine all’Occidente) la possibilità di utilizzare l’esterno come spazio per la produzione materiale di ricchezza e potenza, questa produzione deve essere ricondotta e protetta là dove il potere della società capitalistica viene originariamente gestito: lo stato-nazione. Lì è il punto di avvio dell’espansione e lì è il punto di approdo della contrazione.
La lotta fra Trump e il vecchio ordine si svolge su questo sfondo del quale tutti i contendenti devono tener conto, volenti o nolenti. Assisteremo a colpi e contraccolpi, ma la direzione è segnata. In questo spazio affollato e quindi ristretto gli USA devono negoziare da una posizione di forza[7]. Ma questa forza, come si capisce usando un po’ di logica e buon senso, non può dipendere da circostanze esterne che non siano strettamente controllabili, altrimenti si entrerebbe in un giro vizioso. Il problema degli Stati Uniti – e la ragione dell’ostilità del “deep state” – è che essi sono invischiati fino al collo in circostanze esterne sempre meno controllabili, cioè nella globalizzazione e nella finanziarizzazione (che in realtà è il fattore principale). Globalizzazione e finanziarizzazione che hanno informato di sé proprio il “deep state” e il personale politico alleato che mostra infatti un’enorme fatica ad adattarsi al cambiamento persino quando gli gioverebbe (vedi le sanzioni alla Russia).
Questa è la realtà, il resto è rappresentazione. A meno che si pensi veramente che un miliardario americano si possa svegliare una bella mattina con l’idea di diventare presidente degli Stati Uniti, così solo perché gli garba.
La la land !
NOTE
[1] Si veda P. Pagliani, Al cuore della Terra e ritorno. Parte 2. La crisi che verrà: definanziarizzazione e deglobalizzazione. 2013 (scaricabile gratuitamente da http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=73540).
[2] Sarebbe stato meglio per Marx, così i suoi figli non sarebbero morti perché non poteva comprare il cibo e le medicine e non avrebbe dovuto a volte impegnare persino i calzoni per poter sopravvivere – l’agente dell’Alta Finanza peggio pagato del mondo!
[3] «[Il duca] deciso veramente a ritirarsi dalla vita pubblica, aveva un’ultima ambizione: quella d’essere nominato senatore; se, quindi, per finir bene dinanzi all’opinione pubblica, non gli conveniva abbandonar bruscamente il partito al quale, dopo il Settantasei, s’era legato ancora più stretto, non gli conveniva neppure muover guerra troppo aperta a quella sinistra da cui aspettava la seggiola a Palazzo Madama. Quindi aveva dato a Benedetto Giulente la presidenza della Costituzionale [l’associazione locale della Destra], contentandosi del posto di semplice gregario. Frattanto, contro questa società era sorta una Progressista, alla quale s’era fatto ascrivere Consalvo [nipote del duca e principe di Mirabella]. “Zio e nipote l’un contro l’altro armati? Il ragazzo che si ribella al vecchio?” dicevano in piazza; ma le eterne male lingue insinuavano che la cosa era fatta d’amore e d’accordo, che il duca era ben contento d’avere il nipote nel campo contrario, come il principino si giovava del credito dello zio tra i conservatori. Del resto, quantunque consocio dei progressisti, egli dichiarava a questi ultimi che la sinistra non aveva ancora “un finanziere della forza del Sella”, né “oratori eleganti come Minghetti”. Ma a quelli che non nascondevano i disinganni prodotti dal regime costituzionale non aveva nessuna difficoltà a dichiarare: “L’errore è stato di credere che potesse dare buoni frutti. Il gregge ha sempre avuto bisogno d’un pastore con relativi bastoni e cani di guardia…”». F. De Roberto, I Vicerè, pag. 258. Progetto Manuzio, http://www.classicistranieri.com/liberliber/De%20Roberto,%20Federico/i_vice_p.pdf
[4] Si veda K. Marx, Introduzione a Per la Critica dell’Economia Politica. Capitolo 3. Il metodo dell’economia politica.
[5] V. I. Lenin, Rapporto sul programma del partito, VIII congresso del PC(b)R, 19 marzo 1919.
[6] «Così qualche settimana dopo sono tornato a fargli visita [al Pentagono al generale del Joint Staff che aveva visto subito dopo l’11/9, NdA]. Stavamo già bombardando in Afghanistan. Chiesi: “Abbiamo ancora intenzione di fare la guerra all’Iraq?” E lui disse: “Oh, è molto peggio”. Raggiunse la sua scrivania. Prese un pezzo di carta e disse: “L’ho appena avuto da sopra – intendendo l’ufficio del Segretario della Difesa – oggi”. E disse: “Questa è una memo che descrive che stiamo per far fuori (take out) sette paesi in cinque anni, a iniziare dall’Iraq, e poi la Siria, il Libano, la Libia, la Somalia, il Sudan e per concludere, l’Iran.”. Chiesi: “E’ classificata?” Rispose: “Sì, signore”. Dissi: “Beh, allora non mostrarmela”». Generale Wesley Clark. Intervista alla rete TV “Democracy now”, 2007. Ecco la vera origine delle “primavere arabe”.
[7] Tra le cose su cui Trump sembra voler negoziare, per aver voce in capitolo, geopolitica e di business, ci sono le nuove “vie della seta” (OBOR: One Belt One Road).
di Piero Pagliani – 26/02/2017 Fonte: Megachip

Contro la sinistra globalista

populismo=frontiere chiuse=danni economici per il capitalismo
Populismo=terzo stato spalleprotezionismo=anticapitalismo=fascismo=nemico nr 1
Ergo: nuovo ordine compagni combattere il populismo IN DIFESA DEL CAPITALISMO/IMPERIALISMO/COLONIALISMO GLOBALE
 

I teorici operaisti italiani di matrice “negriana”, che trovano spazio sulle colonne del giornale “Il Manifesto”, detestano la sinistra che scommette su quelle lotte popolari che mirano alla riconquista di spazi di autonomia e sovranità, praticando il “delinking”. Ma così facendo diventano l’ala sinistra del globalismo capitalistico.
Correva l’anno 1981 quando il Manifesto recensì il mio primo libro (“Fine del valore d’uso”). Era una stroncatura che non ne impedì il successo e, alla lunga, risultò più imbarazzante per il quotidiano che per l’autore. Quel breve saggio, uscito nella collana Opuscoli marxisti di Feltrinelli, analizzava infatti gli effetti delle tecnologie informatiche sull’organizzazione capitalistica del lavoro e, fra le altre cose, prevedeva – cogliendo con notevole anticipo alcune tendenze di fondo – che la nuova rivoluzione industriale avrebbe drasticamente ridotto il peso delle tute blu nei Paesi occidentali, favorendo i processi di terziarizzazione del lavoro, e avrebbe consentito un massiccio decentramento della produzione industriale nei Paesi del Terzo mondo.
Il recensore (di cui non ricordo il nome) liquidò queste tesi come una ridicola profezia sulla fine della classe operaia. Sappiamo com’è andata a finire…
Si trattò di un incidente di percorso irrilevante rispetto al ruolo che il Manifesto svolgeva a quei tempi, ospitando un confronto alto fra le migliori intelligenze della sinistra italiana (e non solo). Oggi la sua capacità di assolvere a questo compito si è decisamente appannata, eppure una caduta di livello come quella della “recensione” che Marco Bascetta ha dedicato al mio ultimo lavoro (“La variante populista”, DeriveApprodi) fa ugualmente un certo effetto. Ho messo fra virgolette la parola recensione, perché – più che di questo – si tratta di una tirata ideologica contro i populismi – etichettati come protofascisti – che incarna il punto di vista d’una sinistra “globalista” schierata al fianco del liberismo “progressista” contro questo nemico comune.
Ma torniamo al libro: anche in questo caso l’intenzione è stroncatoria, ma la disarmante superficialità con cui ne vengono criticate le tesi stride con il notevole spazio dedicato all’impresa: una pagina intera per liquidare un saggio che viene definito confuso, contraddittorio e pretenziosamente ambizioso!? Non sarebbe bastato un colonnino o, meglio ancora, non era semplicemente il caso di ignorarlo? Evidentemente, c’è chi giudica le mie idee pericolose al punto da giustificare tanto impegno, peccato che il “killer” non si sia dimostrato all’altezza del compito, limitandosi a stiracchiare quattro ideuzze che avrebbero potuto stare comodamente in venti righe. Mi sono chiesto se valesse la pena di spendere energie per replicare visto che, da quando è uscito il libro, ho ricevuto tali e tanti attacchi –  e insulti – che ormai mi rimbalzano. Alla fine ho deciso di farlo, perché ritengo che le quattro ideuzze di cui sopra incarnino una visione che merita di essere duramente contrastata.
Prima ideuzza: Formenti è cattivo, insiste nell’adottare quello stile corrosivo della polemica politica che è sempre stato – da Marx in avanti – tipico di una certa sinistra anticapitalista, ma questa modalità reattiva (tornerò fra poco sul senso di tale aggettivo) “col passare del tempo” (stiamo parlando di mode letterarie?) ha finito per “prendere di aceto”. Analoga accusa mi era stata rivolta tre anni fa da Bifo, a proposito di un precedente lavoro (Utopie letali): Formenti è “antipatico”, fa le pulci a tutti e così via. È una critica che esprime bene la visione di quei seguaci della “svolta linguistica” che rifiutano apriori la possibilità/necessità di difendere la “verità” di un punto di vista di parte (di classe, politico, culturale): per costoro il conflitto non è mai ontologico, oppone solo opinioni, punti di vista soggettivi, “narrazioni” che non competono per il potere ma per “informare” di sé il mondo (è la concezione “debole” dell’egemonia gramsciana, tipica dei cultural studies angloamericani).
Seconda ideuzza: a questa modalità reattiva del discorso, corrisponde una pratica politica fondata sul rancore e sul risentimento che “sono il contrario esatto di ogni attitudine costituente”. Purtroppo Bascetta non ci illumina su quale dovrebbe essere questa “attitudine costituente”, in compenso ci fa capire: 1) che l’odio di classe e il rancore per i torti subiti sono incompatibili con qualsiasi progetto di trasformazione sociale; 2) che chi crede perfino di poter indicare i colpevoli dei torti in questione è destinato a finire nelle braccia dei demagoghi fascisti. Questo doppio passaggio è denso di significati impliciti: sul piano filosofico, implica l’abbandono della prospettiva marxista in favore di quella nietzschiana (da cui le pippe contro il risentimento e la natura reattiva dell’odio sociale), sul piano politico implica la negazione dell’esistenza stessa di un nemico di classe (effetto di un foucaultismo sui generis che neutralizza il conflitto fra soggettività antagoniste, sostituendolo con un percorso di autonomizzazione/autovalorizzazione).
 
Ma perché la visione antagonista del conflitto sarebbe destinata a portare acqua al mulino dei fascisti? Perché – terza ideuzza – chi ne è sedotto è portato ad affidare il proprio riscatto alla figura di un redentore, a un capo carismatico. Ergo, il populismo è un incubatore del fascismo.
Nei giorni precedenti il Manifesto aveva pubblicato un interessante dossier su Podemos, seguito da un bell’articolo di Loris Caruso sul congresso di Vistalegre; invece nell’articolo di Bascetta non vengono fatte sostanziali distinzioni fra populismi di destra e di sinistra, al punto che, anche se ciò non viene esplicitamente detto, il lettore potrebbe dedurne che Trump e Sanders, Marine Le Pen e Podemos, Alba Dorata e M5S vanno considerati tutti sullo stesso piano, a prescindere dalle loro differenze (ivi compreso il ruolo diverso giocato dai rispettivi leader). Del resto, Bascetta si guarda bene dal discutere la mia analisi critica delle teorie sul populismo di Laclau e Mouffe, nonché il mio tentativo di reinterpretarle alla luce sia delle categorie gramsciane di egemonia, blocco sociale, guerra di posizione, ecc. sia delle esperienze pratiche della rivoluzione boliviana, di Podemos, e della campagna presidenziale di Sanders.
Insomma: i rancorosi e gli odiatori, quelli che oppongono alto e basso, popolo ed élite, che cercano a tutti costi il nemico (che se la prendono con le banche, con le multinazionali e con le caste politiche che ne gestiscono gli interessi), quelli che vogliono ricostruire comunità riunificando le disiecta membra di un corpo sociale fatto a pezzi dalla ristrutturazione e dalla finanziarizzazione capitalistiche, invece di godersi la libertà individuale e i diritti civili che la civiltà ordoliberista ci regala (o meglio, regala a un’esigua minoranza di “cognitari” e ai suoi intellettuali organici) non sono altro che una massa indifferenziata di bruti, un popolo bue (“demente” lo ha definito Bifo, riferendosi agli operai e alla classe media impoverita che ha votato Trump in America e Brexit in Inghilterra) pronto a militare sotto le insegne del “nazional operaismo” (altra definizione coniata da Bifo).
A questo punto manca solo di prendere in esame la quarta e ultima ideuzza, quella relativa all’apologia del globalismo contro le mie tesi sul conflitto fra flussi e luoghi. Ma prima ritengo utile riprendere alcune recenti riflessioni di Nancy Fraser sulle responsabilità delle sinistre “sex and the city”.
 
Anche se differiscono per ideologia e obiettivi, scrive la Fraser riferendosi alle elezioni americane e alla Brexit, <<questi ammutinamenti elettorali condividono un bersaglio comune: sono tutti dei rifiuti della globalizzazione delle multinazionali, del neoliberismo e delle istituzioni politiche che li hanno promossi>>.
Ma la vittoria di Trump, aggiunge, <<non è solo una rivolta contro la finanza globale. Ciò che i suoi elettori hanno respinto non era il neoliberismo tout court, ma il neoliberismo progressista>>. Ed ecco la definizione che dà di questo termine: <<Il neoliberismo progressista è un’alleanza tra correnti mainstream dei nuovi movimenti sociali (femminismo, anti-razzismo, multiculturalismo, e diritti LGBTQ), da un lato, e settori di business di fascia alta “simbolica” e basati sui servizi (Wall Street, Silicon Valley, e Hollywood), dall’altro>>.
 
Attraverso questa alleanza, scrive ancora facendo eco alle tesi di Boltanski e Chiapello (“Il nuovo spirito del capitalismo”, Mimesis) , le prime prestano involontariamente il loro carisma ai secondi: <<Ideali come la diversità e la responsabilizzazione, che potrebbero in linea di principio servire scopi diversi, ora danno lustro a politiche che hanno devastato la produzione e quelle che un tempo erano le vite della classe media>>.
In questo modo l’assalto alla sicurezza sociale è stato nobilitato da una patina di significato emancipatorio e, mentre le classi subordinate sprofondavano nella miseria, il mondo brulicava di discorsi su “diversità”, “empowerment,” e “non-discriminazione.” L’”emancipazione” è stata identificata con l’ascesa di una élite di donne, minoranze e omosessuali “di talento” (la “classe creativa” celebrata da Richard Florida e dagli altri cantori della rivoluzione digitale) nella gerarchia dei vincenti. <<Queste interpretazioni liberal-individualiste del “progresso” gradualmente hanno sostituito le interpretazioni dell’emancipazione più espansive, anti-gerarchiche, egualitarie, sensibili alla classe, anti-capitaliste che erano fiorite negli anni ’60 e ’70>>.
 
Ma nemmeno dopo che il Partito Democratico ha scippato la candidatura a Sanders, spianando la strada alla vittoria di Trump, questa sinistra ha aperto gli occhi: continua a cullarsi nel mito secondo cui avrebbe perso a causa di un “branco di miserabili” (razzisti, misogini, islamofobi e omofobi) aiutati da Vladimir Putin (sulle differenti interpretazioni delle cause della vittoria di Trump, vedi il corposo dossier curato da Infoaut). Nancy Fraser li invita invece a riconoscere la propria parte di colpa, che è consistita <<nel sacrificare la causa della tutela sociale, del benessere materiale, e della dignità della classe lavoratrice a false interpretazioni dell’emancipazione in termini di meritocrazia, diversità, e empowerment>>.
Invito inutile: Bascetta e soci sono ben lontani dal recitare un simile mea culpa. Se lo facessero, dovrebbero accettare l’invito di Nancy Fraser a riconoscersi nella campagna contro la globalizzazione capitalista lanciata dal populista/socialista Sanders. Vade retro!
Per costoro i discorsi sulla necessità che popoli e territori lottino per riconquistare autonomia e sovranità praticando il “delinking” (ricordate Samir Amin: anche lui fascista?) dal mercato globale, sono eresie “rossobruniste”.
 
Questo perché sono incapaci di distinguere fra mondializzazione dei mercati (che è una caratteristica immanente del capitalismo fin dalle sue origini) e globalizzazione, che è la narrazione legittimante (curioso errore per chi vede solo narrazioni…) su cui si fonda l’egemonia ordoliberista; per cui non riescono nemmeno a vedere la crisi della globalizzazione – della quale il vicepresidente boliviano Alvaro G. Linera invita a prendere atto  in un suo recente articolo mentre Toni Negri ne ha negato l’evidenza in una penosa intervista televisiva. Una cecità che arriva al punto di paragonare (vedi l’ultima parte del pezzo di Bascetta) l’apprezzamento di Sanders nei confronti del ripudio dei trattati internazionali TTIP e TTP da parte di Trump, e quello di Corbyn nei confronti della Brexit, al voto dei crediti di guerra da parte dei partiti socialisti della Prima Internazionale (sic!).
Che altro aggiungere? Mi aspetto a momenti la loro adesione al manifesto con cui Zuckerberg si candida a leader dell’opposizione liberal a Trump e a punto di riferimento del globalismo dal volto umano (a presidente dell’umanità ha ironizzato qualcuno). Un Impero del Bene hi tech e ordoliberista che non mancherà di piacere alle élite cognitarie. Viste le premesse, potremmo perfino vederli inneggiare all’annunciato ritorno di Tony Blair, che minaccia di sfidare Corbyn per rianimare il New Labour e, perché no, aderire alla campagna promossa da media mainstream, caste politiche ed élite finanziarie contro le fake news veicolate dalla Rete infiltrata dai populisti. Così il politically correct assurgerà definitivamente a neolingua e quelli che, come il sottoscritto, spargono l’aceto della polemica, verranno finalmente messi a tacere.
di Carlo Formenti – 24/02/2017 Fonte: Micromega

Il circolo PD di Washington dà la linea ai circoli italiani contro il populismo

il nuovo “ordine compagni” del Pd ha fatto ridere pure i pennivendoli della stampa…ma quanto è interessato il Pd alla partecipazione dal basso, commovente…la stampa scrive che forse nemmeno quella dall’alto interessa il Partito….ah no eh? Tipo banchieri e massoni alla De Benedetti non comandano il Pd no vero? Si chiedono i pennivendoli chi lo abbia costituito….se non “investigano” loro…ma non è che ci voglia gran fantasia per arrivarci..Ecco le “direttive” per riprendere per i fondelli la gente…Le sinistre non hanno saputo rispondere ai cambiamenti dovuti alla globalizzazione….eh già, le sinistre mica l’han sostenuta, promossa, avallata, legalizzata?
 

Pd washington

Sapevate che esiste un Circolo PD di Washington? Ebbene non solo esiste ma prende iniziative importanti, come stilare report a uso dei circoli italiani e dar vita a una Task force anti-populismo e proposte concrete per “portare il Partito Democratico a più stretto contatto con i cittadini”. Una novità non da poco.
Al tempo del PCI erano Comitato Centrale e Segreteria a dare la linea, che giù per li rami delle federazioni arrivava ai circoli territoriali sparsi sul territorio. Col PD il percorso è diventato più vago, i circoli meno attivi, fino alla loro recente quasi-dismissione con la segreteria di Matteo Renzi, poco sensibile alla partecipazione dal basso – e forse anche dall’alto. Che farsene dei circoli (e degli iscritti) se tutto viene deciso al vertice, anzi, nel ‘cerchio magico’, e le primarie sono aperte a chiunque, di destra, sinistra o centro?
Adesso, con l’incalzare dei ‘populismi’, sembra che qualcosa stia cambiando, a giudicare dalla lunga mail in arrivo dai Circoli agli iscritti e ai simpatizzanti /elettori delle primarie. Uno di loro ce l’ha girata, sorpreso dai contenuti, ma prima di tutto dalla novità di cui sopra. Ovvero dal ruolo inedito del fantomatico Circolo di Washington D.C. di cui nulla peraltro si dice nella mail. Chi lo ha costituito, e quando? Chi rappresenta? Chi ne fa parte? Mistero.
Come che sia, è da questo Circolo americano che è partita, “l’indomani della vittoria elettorale di Donald Trump”, la riscoperta delle “comunità politiche” sulle quali investire per “dar voce ai cittadini” a partire dai circoli Pd (quelli che esistono e dono ancora attivi).
 
Una novità in sé positiva, se non fosse che l’obiettivo non è tanto quello di promuovere un dibattito ampio nella base piddina sulla linea politica del partito – come suggeriva Fabrizio Barca, per intenderci – quanto la lotta al cosiddetto populismo. E che a promuovere le iniziative, si specifica, sarà la Task force Anti-Populismo che viene definita “ un gruppo di lavoro internazionale coordinato dal PD di Washington”.
La task force si è già attivata e ha prodotto un rapporto con 15 proposte da girare ai circoli PD italiani – magari anche di altri paesi europei. Si legge infatti nella prefazione: “ Il presente lavoro nasce(…) dalla constatazione che i grandi partiti democratici in Europa non stiano dando risposte soddisfacenti per rimediare ai fattori scatenanti del populismo e di conseguenza sono particolarmente vulnerabili ad effetti quali disincanto democratico, deficit di rappresentanza, disimpegno dei cittadini dalle responsabilità civiche, risentimento e frustrazione nei confronti delle élites, opposizione alle soluzioni offerte dalle istituzioni e dagli esperti, rabbia nei confronti della diversità”.
Le due cause che hanno scatenato questi malesseri secondo questa analisi hanno entrambe a che fare con la globalizzazione. Sintetizziamo:
La prima fa riferimento alla “contrapposizione nuova tra ‘perdenti’ e ‘vincenti’ della globalizzazione – non sovrapponibile alla vecchia dialettica capitale vs lavoro (…) Da qui “la difficoltà nella rappresentazione politica dei ‘perdenti’, soprattutto usando vecchie retoriche di sinistra”. Si sapeva da tempo.
Con la seconda causa si entra un po’ più nel merito, riconoscendo che “accordi internazionali in Occidente per rendere possibile la globalizzazione hanno limitato lo ‘spazio di azione’, soprattutto in Europa. “ I programmi e le politiche dei partiti principali sono diventati sempre meno distinguibili e facile bersaglio dei partiti populisti, che si fanno invece promotori di politiche radicali e percepite come potenzialmente risolutive ”.
 
Conseguenza di quella che viene chiamata ‘degenerazione populista’ è “l’intensificarsi di messaggi a sfondo razzista, xenofobo e misogino, che alimentano il malcontento per trasformarlo in arma contro determinati obiettivi. Vedi i rifugiati e migranti. Messaggi amplificati dai social “.
 
Quindi? “Prioritario è normalizzare’ il discorso politico”, viene detto . Spiegando che la ‘ strategia del terrore’ non paga – come si è visto con Brexit e Trump : non solo è inutile ma anche dannosa perché “radicalizza ulteriormente la contrapposizione élite-popolo” e fa apparire poco solide le istituzioni democratiche.
“ Il PD deve trasformarsi in grande movimento democratico … coinvolgendo gli elettori per ristabilire un rapporto di fiducia fra i cittadini e i loro rappresentanti in parlamento, nella segreteria, nei circoli. E’ questa la MISSIONE del PD, il cui successo dipende dalle politiche ma anche dal ricostituire il rapporto con le persone, guadagnando la fiducia anche dell’elettorato influenzabile dalle ideologie populiste.
Segue il nuovo approccio all’iniziativa dei Circoli, che dovranno “elaborare risposte e strategie per ‘rimediare ai fattori scatenanti del populismo”. Si tratta di rafforzare le forme di partecipazione alla vita politica e al PD; di promuovere il coinvolgimento dei cittadini nella formulazione di nuove politiche e di adottare forme di comunicazione adeguate; nonché di migliorare la capacità del PD di agire sul territorio. Un ritorno alle origini? Apparentemente, perché le modalità suggerite sono nuove, adatte ai tempi della comunicazione via web. Come lo sono già quelle di certi partiti populisti, vedi il M5S al quale si fa spesso riferimento.
 
Significativo che si chieda “formalmente all’Assemblea Nazionale di considerare le proposte contenute in questo rapporto e di sostenerle, anche con risorse finanziarie”. Segno che l’iniziativa del Circolo PD di Washington non è ancora ufficialmente adottata dal partito.
 
Le 15 proposte si suddividono in tre gruppi, considerati “i tre pilastri fondamentali” sui quali deve basarsi la partecipazione alla cosa pubblica. Sintetizziamo:
 
A. La componente digitale della comunicazione politica. Si tratta di: investire sulle tecnologie per la campagna elettorale, come già fece Obama; sviluppare forum e comunità politiche online sul modello di Rousseau , la piattaforma del M5S; garantire ai circoli servizi informatici , creando un Centro risorse, una pagina Fb e account Tw del PD; : combattere la post-verità, sviluppando un sistema efficace per verificare fatti e favorendo l’accesso e lo scambio di informazioni online; proporre con i parlamentari PD una campagna per la regolamentazione delle info che girano sui social (si fa riferimento a un blog in inglese, il cui link però non funziona); prendere spunto da tecniche di partiti populisti per aumentare le condivisioni su Fb e altri social; costruire una narrazione politica positiva, evitando gli errori commessi con Brexit e nelle elezioni Usa
bisogna focalizzarsi su alternative reali …globalizzazione e disuguaglianze non vanno date per scontate … occorrono proposte reali e concrete…Ma gli esempi si limitano a “modelli innovativi di protezione sociale e di fornitura di servizi più efficienti per i cittadini”, un nuovo welfare insomma.
B. La partecipazione attiva a livello locale e la ricerca di nuove forme di coinvolgimento sul territorio è il secondo pilastro. Vale a dire di creare nuovi luoghi di discussione a livello quartiere/paese, anche impiegando professionisti/ community managers; aiutare i circoli, fornendo loro dei vademecum di cosa sono ovvero dovrebbero essere; incentivare i buoni circoli, con premi in denaro ai meritevoli, da usare per la comunità locale; riportare piena trasparenza delle iscrizioni e delle cariche di segreteria; ricostruire il rapporto tra parlamentari e circoscrizione; prevedere ‘inviati speciali’ nelle aree difficili; utilizzare il volontariato.
 
C. Il terzo pilastro riguarda la diffusione del principio del governo aperto ( opengov),volto a rendere i processi decisionali trasparenti e partecipati, alla portata di tutti. “La retorica populista batte molto sull’opacità dei processi decisionali pubblici, tacciati di scarsa legittimità o di supposte influenze indebite da parte dei “poteri forti”, viene spiegato. La possibile risposta consiste nel diffondere il principio dell’opengov per rendere trasparenti e partecipati i processi decisionali – sia all’interno del PD sia proponendo un modello di governo aperto. E’ questa la 15ma proposta, non da poco se venisse attuata.
 
“Un tema trasversale rispetto a questi tre punti – si aggiunge – è una riforma nella gestione strategica dei circoli “ che devono diventare luoghi aperti, accoglienti, dove i cittadini trovino un vero ascolto”.
 
Le CONCLUSIONI, infine, dove si ammette apertamente che “ il metodo serve a poco senza contenuti. Constatando che “ questo rapporto ha deliberatamente evitato di entrare nel merito dell’agenda politica del PD, lasciando da parte temi caldi del dibattito quali immigrazione, crescita economica, sicurezza, lavoro”. “Il successo dei movimenti e dei leader populisti nasce anche dall’ incapacità dei partiti di centrosinistra di elaborare politiche adatte agli enormi cambiamenti che le società occidentali hanno attraversato negli ultimi decenni . Globalizzazione economica, movimenti migratori e nuove tecnologie hanno reso la società sempre più complessa. I sistemi di welfare faticano ….
 
Servono NUOVE POLITICHE insomma – anche se non può spettare ai circoli elaborali, par di capire. E però : “Siamo convinti che i problemi si risolvano meglio e più velocemente se le comunità promosse dai partiti sono unite e solidali, favorendo un clima di fiducia”.
 
“Al ‘movimento’ ed alla democrazia diretta, rispondiamo con il “partito delle comunità” e con la democrazia rappresentativa”. Una aperta SFIDA al M5S.
di Maria Grazia Bruzzonme – 29/01/2017
Fonte: La Stampa

Dall’euro si può uscire, Merkel e Draghi hanno paura. E la Sinistra mette a rischio la democrazia

bagnai no euroalla sinistra il popolo fa schifo. Ama l’elites, che succhiano la vita dei popoli.

“Il governatore voleva incutere timore, ma in realtà ha indicato la via d’uscita. Segno che il potere non è più in grado di parlare”. “Sono preoccupato dal desiderio di censura travestito da crociata contro le fake news. I principi democratici sono in pericolo
Alberto Bagnai, docente di Politica economica, punta di diamante della schiera (sempre più folta) di economisti contrari alla moneta unica: fino a poco tempo fa auspicare o anche solo immaginare l’uscita dall’euro era considerato folle, bizzarria qualunquista e irrealizzabile. E invece…
Fino a due mesi fa solo la verità era dalla nostra parte. Ora anche Trump. L’establishment ha fatto male i calcoli. Prima ha creduto che non potesse vincere, sottovalutandolo. E lui ha vinto. Poi ha creduto che non mantenesse le promesse. E lui ha cominciato a mantenerle. Così ora è emerso il segreto di pulcinella. Ovvero che Trump nel suo programma economico, che io avevo letto a settembre, accusa la Germania di essere una manipolatrice di valuta. Questo ha suscitato una quantità di interpretazioni poco approfondite, ma è un dato riconosciuto come sostanzialmente giusto dalla letteratura scientifica e anche dalla stampa anglosassone distante da Trump, come il Financial Times. Soprattutto questa posizione ha seminato panico tra le “fila nemiche”.
In che modo?
Due dichiarazioni provenienti dal potere si sono rivelate un boomerang. Mi riferisco a quanto detto da Mario Draghi e Angela Merkel.
Partiamo da Draghi e dalle sue dichiarazioni contraddittorie sull’euro irreversibile.
Draghi ha fatto una sparata sui 358 miliardi da pagare nel caso in cui si decidesse di uscire dalla moneta unica. Lo ha fatto chiaramente con intenti minacciosi. Ma quell’affermazione si è rivelata un boomerang, perché Draghi ha fatto capire che uscire è tecnicamente possibile. Tant’è vero che è stato costretto a smentire, dicendo che l’euro è irreversibile. Ma la smentita, come dice il detto, è una notizia data due volte.
Draghi dunque ha ammesso che si può uscire dalla moneta unica. Non male direi…
Sappiamo ora che si può uscire dall’euro, visto che l’ha ammesso persino lui. Sulla natura dei saldi target 2 è in corso un dibattito, ma se fossero veramente debito pubblico li contabilizzeremmo lì e invece non lo stiamo facendo. Inoltre nei confronti di questa Europa non abbiamo solo debiti ma anche crediti, pensiamo ai 65 miliardi stanziati per salvare la Grecia, o meglio le banche francesi e tedesche che avevano fatto prestiti alla Grecia. Il punto politico è che Draghi voleva incutere paura ma in realtà ha indicato la via d’uscita. Segno che il potere non è più in grado di parlare.
Poi c’è la Merkel che dopo anni a cianciare di integrazione europea e destino unico, se ne esce con la teoria dell’Europa a due velocità, come una “populista” d’antan.
Merkel ha parlato di Europa a due velocità per rispondere a Trump, ma in questo modo ha reso evidente a tutti che questa Ue ha paura del presidente americano. E bisognerebbe chiedersi perché. Ma soprattutto parlando di Europa a due velocità ha messo in luce il vero problema dalla Ue.
Ovvero, la Francia andrebbe con il Nord o con il Sud? Tutti danno per scontato che vada con il Nord. Ma occorre ricordare che dal punto di vista macroeconomico la Francia sta addirittura peggio dell’Italia. Ha un deficit di bilancio pubblico che è circa due volte il nostro, e mentre noi siamo in surplus di bilancio nei pagamenti la Francia è in deficit, cioè non è un Paese abbastanza competitivo sui mercati internazionali.
Sarebbe la fine della Ue?
Se applicassero le famose regole dei tedeschi, la Francia dovrebbe andare nell’Europa più lenta, quella mediterranea, del cosiddetto “Club Med”. In realtà non ci andrà. Perché contano i rapporti di forza. La Francia ha la bomba atomica e la Germania no. Dunque si capisce che questa Unione si regge sui rapporti di forza, sulla violenza, sul dire io ho la bomba atomica e salgo in prima classe, tu non ce l’hai e vai in seconda. Si capisce che questa Unione nasce per risolvere una questione che non ha nulla a che vedere con i nostri problemi. La Ue nasce per il secolare conflitto tra Francia e Germania. Il problema è loro. Ma l’hanno risolto in un modo che soffoca anche noi. A mio avviso questo spiega che per l’Europa e segnatamente per l’euro le velocità giuste sono almeno 19 e non 2. Ed è lì che si arriverà.
La fine dell’euro è una prospettiva più attuabile di quanto si pensi, magari a partire dalla Germania?
La proposta che oggi tutti riscoprono, cioè che la Germania esca e lasci l’euro agli altri Paesi, la facemmo nel 2013 con Claudio Borghi e gli altri economisti del Manifesto di solidarietà europea. Ma va intesa come primo passo verso lo smantellamento dell’euro. Perché non ha alcun senso un euro di serie B, dove convivano con la forza Francia e Italia, due Paesi completamente diversi: si riprodurrebbero le tensioni attuali. Con l’uscita della Germania ci sarebbe un sollievo temporaneo, ma i problemi si ripresenterebbero.
Uscire dall’euro non è mai stata fantascienza o fantapolitica?
È fantascienza l’idea che noi potessimo restare dentro. Rimanere nell’euro aggrava tutti i nostri problemi, a partire dal debito pubblico.
Il sistema oltre a oscurare mediaticamente le teorie No euro, e quelle alternative all’establishment, potrebbe persino includerle tra le bufale e le “fake news”, i cui confini sono appositamente tutt’altro che definiti.
Per la prima volta da anni si delinea un quadro in evoluzione. E proprio per questo la situazione è molto pericolosa.
La democrazia è in serio pericolo. E non mi sarei mai sognato di dover imputare questo, io persona progressista, all’opera delle forze di sinistra. Molti politici del PD e di Sinistra Italiana, sulla falsariga di certa sinistra internazionale, stanno bandendo una crociata contro le cosiddette fake news, con l’idea che il processo politico sia determinato dal fatto che alcuni siti diffondano bufale.
Che Trump non sia il frutto di 30 o 40 anni di disuguaglianze e di schiacciamento della classe media, ma di 3 mesi di bufale su internet è un’analisi che mi umilia in quanto progressista. Mi umilia due volte. La prima è perché a sinistra un tempo si ragionava in termini di lotta di classe e non ci si baloccava con queste scemenze.
La seconda è che pare evidente come lo scopo del gioco sia il ministero della verità. Hanno paura che le persone vengano a sapere determinate cose.
Censura e dileggio viaggiano insieme…
Sono preoccupato da questo desiderio di censura, dallo screditamento del suffragio universale. La democrazia viene vilipesa quando non si comporta secondo le loro intenzioni. Questi meccanismi li abbiamo visti con la Brexit, con Trump, con il referendum costituzionale e forse li vedremo con Marine Le Pen. Se mai dovesse vincere assisteremmo al j’accuse contro il voto democratico da parte degli intellettuali. I quali non si chiedono perché le persone votano per dei politici che tutti i media propongono come impresentabili.
Lei poche settimane fa è stato tra i protagonisti del convegno “Oltre l’euro”, che bilancio fa di quell’esperienza?
Il convegno ha avuto partecipazione traversale. La Lega sta facendo informazione su temi cruciali, di interesse generale. Uno può anche non riconoscersi in altri valori della Lega, ma questo è un dato di fatto. Questo è fare politica. Sarebbe bello che fosse constatato e anche emulato. La verità è che l’intero sistema partitico e mediatico, il sistema di potere italiano, non seguirà la Lega sulla strada del fare informazione, perché ha tutto l’interesse nel non farla.
di Alberto Bagnai – 11/02/2017
Fonte: stopeuro

Il trucco per cui i francesi voteranno di nuovo un socialista. Dei Rotschild

macron mediane è passata di acqua sotto ai ponti da quando il “potere” temeva “le sinistra”. Stessi giochetti, basta una parola: pericolo “destra” ed i soldatini delle banche serrano i ranghi.  Il candidato di sinistra prima collabora con le porcate, poi “si stacca” come se niente fosse e “fonda” una corrente/movimento/partito. Sempre il solito squallido clichè. Ed ecco il “nuovo” Tsipras “L’antisistema” esaltato dal sistema.

Sembrava impossibile, dopo l’esperienza tristissima di Hollande, ormai al 4% dei sondaggi tanto che non s’è  ripresentato, e la gauche spaccata fra quattro  candidati. Era uscito il libro “Gli ultimi 100 giorni del Partito Socialista”; dove l’umorista Bruno Gaccio riferiva che la morte imminente era dovuta alle malattie che lo rodevano da 35 anni: Liberoencefalite degenerativa, Bordelloplastia, Debussolite Retrattile, Sindrome di Valls-sette, Sordità profonda, Cecità totale”. La sepoltura era prossima.

Il ritorno al potere del centro-destra sembrava ormai certo. Il vincitore a mani basse era dato Francois Fillon: scelto alle primarie, centro-destra, abbastanza a destra per raccattare al ballottaggio i voti di Marine Le Pen, pro-Ue è vero, ma anche filo-Putin. I sondaggi lo favorivano.
Poi, il trappolone. Le Canard Enchainé (“da lustri strofinaccio della Cia”, per Nicolas Bonnal) tira fuori lo scandalo:  Fillon ha pagato alla moglie Penelope uno stipendio come assistente parlamentare (500 mila euro lordi  in 8 anni), e  la signora ha preso 5 mila euro mensili alla Révue des Deux Mondes, a cui ha collaborato dal 2012 al 2013. I 500 mila in 8 anni fanno colpo; ma sono, in realtà, la dotazione che Fillon ha ricevuto come parlamentare per le spese connesse, poteva non impiegare un assistente e tenerseli tutti per sé senza commettere alcun reato. Altra cosa è  l’impiego ben pagato della signora alla Révue. I media cominciano a dire che prendeva 5 mila euro mensili, per la redazione “di due o tre note di lettura”.
Il giorno stesso della rivelazione del Canard, la magistratura “apre un fascicolo”. E il giorno dopo, fulminea, già manda con fanfare e sirene spiegate la polizia a fare una perquisizione alla Révue des Deux Mondes, per sospetto di “impiego fittizio”. La strana fulminea rapidità della magistratura, la grancassa mediatica assordante, hanno avuto l’effetto: Fillon è crollato nei sondaggi, lui ha chiesto scusa e si presenta comunque, ma non sarà lui a sfidare Marine per vincerla al secondo turno.
Perché nessuno si illuda, la Le Pen non andrà mai all’Eliseo. Anche  se oggi è al primo posto nelle preferenze degli elettori (26%, tutti gli altri candidati la seguono a distanza) al secondo turno tutto l’elettorato “antifacho” concentra i voti sull’avversario di Marine, chiunque sia. E’ così ed è sempre stato così.
Il punto è che a sfidare la Le Pen non sarà un esponente del centro-destra, Fillon. E chi sarà dunque? Uno della “sinistra”, diciamo così: Emmanuel Macron. Uno che oggi ha fondato il suo movimento  (“En  Marche”, come le sue iniziali) ma che è stato ministro di Valls e di Hollande fino all’agosto scorso, quando si è staccato dai PS per fingersi indipendente. Un PS  che s’è messo una nuova maschera appena in tempo.
Immediatamente esaltato e promosso dai media come colui che incarna “il rinnovamento e la modernità”, ultra-europeista, liberista (come Hollande), “Superare destra e sinistra, la folla lancia l’anti-Le Pen al grido Europa! Europa!”,  ha scritto il Fatto Quotidiano.
Insomma si è capito: stessa zuppa di prima. E’ bastato che Marine Le Pen presentasse il suo programma politico perché le Borse europee crollassero, i “mercati” si terrorizzassero, e lo spread dei titoli nostri, ma anche francesi, si allargasse: ed è tutta una manfrina, perché non esiste nessuna possibilità che la signora entri all’Eliseo per attuare quel programma. Fa’ parte della messinscena del drammone “Il Fascismo alle Porte”, la recita della paura che  susciterà nell’elettorato il riflesso pavloviano di andare a votare chiunque per fermare il Front National. Già adesso, i sondaggi dicono che al ballottaggio Macron prenderà il 65 % contro Marine al 35.
Vediamo dunque che tipo di socialista è Macron, che la Francia si terrà all’Eliseo per un mandato o due. Anzitutto: è un banchiere d’affari della Rotschild. C’è entrato  nel 2008  come analista – per i buoni uffici di Jacques Attali (j) ministro di Mitterrand e maitre à penser, ed è salito in carriera fino a diventare “partner”, socio di David de Rotschild, che è un intimo di Sarkozy (j) e di Alain Minc (j).
E’ un ragazzo svelto a imparare. Si occupa di fusioni ed acquisizioni: sostanzialmente vende aziende francesi a multinazionali, americane o no. Nel 2012, affianca e consiglia la Nestlé nell’accaparramento del settore “latti per l’infanzia” della Pfizer, soffiando il lucroso settore alla Danone che lo voleva. E’ un affare valutato a 9 miliardi di euro. Le  commissioni lucrate allora dal giovanotto sono tali che, si dice, “Macron è al riparo dal bisogni fino alla fine dei suoi giorni”. Un super-milionario. In quell’attività, ovviamente si è fatto una quantità di complicità e amicizie nel salotti buoni che contano, conosce tutti i segreti, i misteri, i progetti  nel mondo dei veri grandi ricchi; tanto più che spesso nelle fusioni ha operato come “consulente acquirente”, mettendoci il suo capitale insieme a quello del cliente.
La Banca Rotschild presta volentieri i suoi giovani più brillanti al governo, ministri, segretari generali dell’Eliseo, aggiunti, capi di gabinetto…”Ad ogni cambiamento di governo – ha scritto il Nouvel Osbservateur – Rotschild riesce a piazzare qualche collaboratore fra gli incartamenti del potere. Chiama ciò “mettersi al servizio”. Macron perpetua la tradizione”,  divenendo ministro dell’Economia dell’Industria e del Digitale  dal 2014. Nell’agosto scorso, come detto, si dimette per fondare il suo movimento: forte il sospetto che sia stata una dimissione concordata nel quadro del vasto progetto  – in cui è entrato anche il trappolone per Fillon – per mantenere il potere agli stessi circoli.  Siamo, molto al disopra della Gauche-Caviar. Molto prossimi alla Squadra e al Compasso, ma sopra ancora. Siamo, se così si può dire, alla Gauche-Rotschild.
Quindi la liberazione della Francia è ancora una volta rimandata. Macron è un superliberista e promotore del mercato unico mondiale.
Articoli dedicati a Macron in confronto a quelli dedicati ai tre candidati della sinistra (Jean-Luc Mélenchon, Arnaud Montebourg e Benoît Hamon) messi insieme.(vedi immagine sopra)
I media mainstream, che a volte sono profeti,  hanno subito capito di quante virtù è pieno il candidato, e l’hanno elevato a forza di servizi speciali, sempre più in alto nei sondaggi: l’ottobre 2014, solo l’11 per cento degli interpellati desiderava che Macron avesse un ruolo più importante nella politica; il 6% degli operai, il 4% degli artigiani. Oggi i sondaggi lo dicono la personalità politica preferita dai francesi.
A  meno che…
Il  6 febbraio, Sputnik e Russia Today hanno cominciato a dire che Julian Assange ha trovato dei particolari compromettenti su Macron. Cose che avrebbero a che fare con i circoli intimi della Clinton, e il capo della campagna di Hillary John Podesta, se capite cosa intendo:
podesta macron
Il deputato Nicolas Dhuicq (Les Républicains) ha  cominciato a spifferare quello che sembra un segreto di Pulcinella: “Macron è il coccolino dei media francesi, che sono proprietà di certe persone, come sappiamo tutti”. No, quali persone? Non sappiamo, noi. “Fra gli uomini che lo sostengono, si trova il celebre uomo d’affari Pierre Bergé, compagno di lunga data di Yves Saint-Laurent, apertamente omosessuale e promotore delle nozze omosessuali. C’è una ricchissima lobby gay dietro di lui. Non dico altro”.
Chissà. Magari i siluri degli hacker russi che hanno affondato Hillary, sono già caricati per colare a picco Macron.
posted by Redazione febbraio 7, 2017

Non la Nato, ma la sinistra è «obsoleta»

formiche-difesa-European-Leadership-NetworkAutorevoli voci della sinistra europea si sono unite alla protesta anti-Trump «No Ban No Wall», in corso negli Stati uniti, dimenticando il muro franco-britannico di Calais in funzione anti-migranti, tacendo sul fatto che all’origine dell’esodo di rifugiati ci sono le guerre a cui hanno partecipato i paesi europei della Nato.
Si ignora il fatto che negli Usa il bando blocca l’ingresso di persone provenienti da quei paesi – Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan, Yemen, Iran – contro cui gli Stati uniti hanno condotto per oltre 25 anni guerre aperte e coperte: persone alle quali sono stati finora concessi i visti d’ingresso fondamentalmente non per ragioni umanitarie, ma per formare negli Stati uniti comunità di immigrati (sul modello di quella dei fuoriusciti cubani anti-castristi) funzionali alle strategie Usa di destabilizzazione nei loro paesi di origine.
I primi ad essere bloccati e a intentare una class action contro il bando sono un contractor e un interprete iracheni, che hanno collaborato a lungo con gli occupanti statunitensi del proprio paese.
Mentre l’attenzione politico-mediatica europea si focalizza su ciò che avviene oltreatlantico, si perde di vista ciò che avviene in Europa. Il quadro è desolante.
Il presidente Hollande, vedendo la Francia scavalcata dalla Gran Bretagna che riacquista il ruolo di più stretto alleato degli Usa, si scandalizza per l’appoggio di Trump alla Brexit chiedendo che l’Unione europea (ignorata dalla stessa Francia nella sua politica estera) faccia sentire la sua voce. Voce di fatto inesistente quella di una Unione europea di cui 22 dei 28 membri fanno parte della Nato, riconosciuta dalla Ue quale «fondamento della difesa collettiva», sotto la guida del Comandante supremo alleato in Europa nominato dal presidente degli Stati uniti (quindi ora da Donald Trump).
La cancelliera Angela Merkel, mentre esprime il suo «rincrescimento» per la politica della Casa Bianca verso i rifugiati, nel colloquio telefonico con Trump lo invita al G-20 che si tiene in luglio ad Amburgo. «Il presidente e la cancelliera – informa la Casa Bianca – concordano sulla fondamentale importanza della Nato per assicurare la pace e stabilità».
La Nato, dunque, non è «obsoleta» come aveva detto Trump. I due governanti «riconoscono che la nostra comune difesa richiede appropriati investimenti militari».
Più esplicita la premier britannica Theresa May che, ricevuta da Trump, si impegna a «incoraggiare i leader europei miei colleghi ad attuare l’impegno di spendere il 2% del Pil per la difesa, così che il carico sia più equamente ripartito». Secondo i dati ufficiali del 2016, solo cinque paesi Nato hanno un livello di spesa per la «difesa» pari o superiore al 2% del Pil: Stati uniti (3,6%), Grecia, Gran Bretagna, Estonia, Polonia.
L’Italia spende per la «difesa», secondo la Nato, l’1,1% del Pil, ma sta facendo progressi: nel 2016 ha aumentato la spesa di oltre il 10% rispetto al 2015. Secondo i dati ufficiali della Nato relativi al 2016, la spesa italiana per la «difesa» ammonta a 55 milioni di euro al giorno.
La spesa militare effettiva è in realtà molto più alta, dato che il bilancio della «difesa» non comprende il costo delle missioni militari all’estero, né quello di importanti armamenti, tipo le navi da guerra finanziate con miliardi di euro dalla Legge di stabilità e dal Ministero dello sviluppo economico. L’Italia si è comunque impegnata a portare la spesa per la «difesa» al 2% del Pil, ossia a circa 100 milioni di euro al giorno. Di questo non si occupa la sinistra istituzionale, mentre aspetta che Trump, in un momento libero, telefoni anche a Gentiloni.
di Manlio Dinucci – 01/02/2017
Fonte: Il Manifesto

ODDIO!? ARIECCO I SINISTRATI….

operazione riciclo, se veramente andremo ad elezioni prepariamoci al fracassamento di zebedei con le sinistre tanto tanto rivoluzionarie ed alternative, quelle che cambiano brand ad ogni tornata elettorale per nascondere le solite porcate. Ovvio che Left anna-falcone-510-psponsorizzi quest’altra sceneggiata, Left la voce del dip di stato Usa delle guerre di Obama.
ODDIO!? ARIECCO I SINISTRATI….
Che la schiacciante vittoria del NO avrebbe, come effetto collaterale, ringalluzzito la sinistra sinistrata —non solo quella intruppata in parvenze di partiti (quella sellina e rifondarola)— era facilmente prevedibile. Oltre alle due conventicole di cui sopra c’è a sinistra una costellazione di associazioni, correnti, soggetti che pensa di entrare o rientrare in partita —ove per partita s’intende (appare meschino ma così è) la competizione elettorale. E siccome le elezioni incombono è tutto un tramestio di iniziative, appelli, tentativi di dare vita ad un cartello elettorale per andare a coprire lo spazio elettorale a sinistra di Pd e M5S.
 
Vi ricordate RIVOLUZIONE CIVILE Ingroia candidato? E la sberla elettorale che quella lista subì nel 2013? Vi ricordate L’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS? I cascami di quei mondi, in autonomia apparente sia da Sel che da Prc, stanno tentando di rimettere in piedi un carrozzone elettoralistico.
Prendete ad esempio l’assemblea svoltasi a Bologna il 18 dicembre. Da lì dovrebbe partire una “carovana per l’alternativa di sinistra in Italia”. Di mezzo ci sarebbe anche De Magistris, che ha inviato un suo emissario. Contenuti zero, la solita aria fritta. Rompere con l’euro non se ne parla nemmeno.
L’assemblea di Bologna era stata preceduta da un incontro svoltosi a Roma l’11 dicembre, aperto da Sandro Medici (c’erano Ferrero, Fratoianni, Fassina…) col titolo freudianoRICOMINCIAMO DA NO (i)“.
Poi è venuta un’intervista di Anna Falcone, che per aria fritta e zero contenuti è davvero niente male. Se non ci credete e non avete cose più interessanti da fare, ve la alleghiamo qui sotto. Siamo alle solite, alle prese con una sinistra incorreggibile, che non riesce a cambiare né paradigma, né linguaggi, né postura. Il fatto che merita di essere sottolineato è la mossa tattica a cui la Falcone allude: dare vita ad una lista elettorale di sinistra passando per il Coordinamento Democrazia Costituzionale, l’organismo dei giuristi a cui va dato il merito di essersi battuto per il NO, ma i cui errori clamorosi non si debbono dimenticare.
Che la Falcone e i sinistrati che gli stanno dietro riusciranno nel loro tentativo di trascinare il Coordinamento dei giuristi —quindi le centinaia di Comitati per il NO  che a quel coordinamento han fatto riferimento— ne dubitiamo. Di sicuro essi ci proveranno in occasione dell’assemblea nazionale di quei comitati che si svolgerà a Roma il prossimo 21 gennaio.
Un’assemblea che ha la sua importanza, non fosse perché si farà sentire la componente migliore, quella che mentre difende la Costituzione ne segnala la sua incompatibilità con l’Unione europea. Che quindi pone il problema della conquista della sovranità popolare-nazionale.
Anna Falcone: “Né Pd né M5S, esiste un nuovo spazio politico”
intervista a Anna Falcone di Giacomo Russo Spena
Partiamo dal 4 dicembre. Qual è il segnale principale che si evince da quel voto? Come si spiega una così alta affluenza?
I cittadini partecipano al voto quando hanno la possibilità di incidere realmente sulla res publica, così come è stato sulla Costituzione. Al contrario, l’astensione aumenta quando il consenso è direzionato verso opzioni chiuse e non soddisfacenti. Dal 4 dicembre giunge un messaggio di grande partecipazione unito al desiderio di libertà e “liberazione” dalle vecchie pratiche della politica politicante.
Una vittoria della Costituzione ma anche un chiaro segnale politico di sfiducia nei confronti del governo Renzi, il quale è stato costretto a dimettersi. E’ stato un voto politico?
Il contesto politico influenza sempre i referendum ma la motivazione principale che ha spinto i cittadini alle urne è stato il voto “per” la Costituzione e non “contro” il governo Renzi. Il nostro “Comitato per il No” ha rifiutato ogni tentativo di strumentalizzazione e personalizzazione politica del voto, respingendo al mittente la strategia renziana e puntando all’informazione sulla riforma e sui suoi effetti di indebolimento del sistema democratico. Ciò detto, è innegabile che il governo Renzi abbia deluso molti prima del voto, per il fallimento delle sue politiche sociali ed economiche, e continui a deludere adesso, per l’assoluta incapacità di fare un’analisi obiettiva e costruttiva della bocciatura referendaria.
Siamo al tramonto del renzismo o è ancora presto per sancire la sua fine?
Non so se siamo di fronte al suo definitivo declino, di certo la sua sconfitta non è stata un problema di comunicazione – come sostiene Renzi – ma di contenuti. Aggiungerei di umiltà e di coerenza con la matrice progressista a cui il Pd dice di ispirarsi. Invece di ascoltare la disperazione popolare, si è cercato prima di demolire, con le riforme sul Jobs Act o la “buona scuola”, quei diritti – appunto il lavoro, l’istruzione, la salute – che rendono i cittadini protagonisti e soggetti liberi di uno Stato di diritto, poi di approfittare di quella stessa disperazione per estorcere un voto su una riforma della Costituzione, su cui la propaganda renziana spostava la causa di tutti mali del Paese. Gli italiani non ci sono cascati e, con grande coraggio e dignità, hanno saputo dire No a questa riforma truffa e ne hanno approfittato per rilanciare quei valori costituzionali che rappresentano, al contrario, l’ultimo baluardo per la difesa dei loro diritti sociali, civili e di libertà. Il programma della nostra democrazia è scritto tutto lì.
Il governo Gentiloni è un Renzi bis? E, secondo lei, quanto durerà?
Lo è nei fatti e nella fonte da cui promana la sua legittimazione. Del resto, abbiamo sempre sostenuto, e i fatti ci danno ragione, che la vittoria del NO non avrebbe determinato alcun stravolgimento politico: viste le maggioranze in Parlamento e la solida supremazia renziana nel Pd, non sarebbe stato possibile aver alcun governo non sostenuto da Renzi. Siamo alla copia di un vecchio governo caratterizzato sempre dagli stessi limiti. La modernità e il futuro del Paese viaggiano su altre corde e non può che passare dalla progressiva attuazione di una democrazia partecipativa: quello di cui il governo ed i poteri che lo sostengono hanno più paura. Forse hanno ragione.
Passiamo alla legge elettorale. Il Pd ha proposto il Mattarellum, un sistema maggioritario che favorisce le coalizioni. Che ne pensa? La convince la proposta?
Sicuramente visto l’esito referendario, il Parlamento ha il dovere di dare agli italiani una legge elettorale nuova che rappresenti un salto di qualità e una discontinuità rispetto al passato. Non più solo e prioritariamente la governabilità – il che sarebbe in contrasto con il principio sostenuto dalla Corte costituzionale nella ormai nota sentenza n. 1/2014 che dichiarato la parziale incostituzionalità del “Porcellum” – ma soprattutto una legge elettorale che responsabilizzi gli eletti nei confronti dell’elettorato, non che ne vincoli il mandato all’obbedienza verso il segretario/presidente del partito da cui dipende la rielezione. E andando oltre, una legge che consenta agli elettori di scegliere i propri rappresentanti e partecipare alla selezione delle candidature. La governabilità passa, innanzitutto, dalla qualità dei nostri rappresentanti e dalla capacità di lavorare insieme per il bene dal Paese, al di là delle convenienze politiche e dai desideri del “capo”.
Il prossimo 21 gennaio si terrà a Roma un’assemblea pubblica nazionale a cui parteciperanno tutti i comitati territoriali del “No” alla riforma. Qual è la proposta politica in discussione?
Siamo un’organizzazione plurale e democratica: decideremo insieme su come proseguire e su quali priorità. Insisto: molti, se non tutti, ci chiedono di andare avanti per rilanciare l’azione politica su un doppio binario: attuazione della Costituzione e riaffermazione dei diritti sociali, a partire dal lavoro. Per questo abbiamo già annunciato il nostro impegno per il prossimo referendum sul Jobs Act promosso dalla Cgil.
 
Un bel salto per i comitati del No: dalla difesa della Costituzione alle questioni riguardanti il lavoro e la precarietà…
L’attuazione di un modello pienamente democratico passa dall’attuazione dei diritti fondamentali e dalla garanzia dei diritti sociali, prima ancora che dagli equilibri fra i poteri. Non è un caso che nella Costituzione la parte sul riconoscimento e la tutela di tali diritti, preceda quella sui poteri e l’organizzazione dello Stato: senza i primi non può esservi una declinazione democratica dei secondi.
E’ favorevole all’introduzione del reddito di cittadinanza?
Si può discutere sulle forme ma è innegabile che una società fondata, ormai, sulle diseguaglianze e sul tramonto del lavoro come fonte di reddito ed emancipazione sociale non possa fare a meno di misure redistributive della ricchezza, che garantiscano, almeno, la dignità, quando sia tanto pervicacemente inibito il diritto al futuro.
 
E per quando auspica il ritorno al voto? A settembre, dopo il referendum?
Non appena ci sarà una nuova legge elettorale, auspicabilmente ispirata ai principi di cui parlavo sopra, che dia cioè valore alle scelte popolari e spazio ai suoi migliori rappresentanti, non ai più servili vassalli del leader di turno o di altri poteri che ne siano espressione. Però, a meno di una vittoria del Sì al referendum sull’abrogazione del Jobs Act, o di altri scossoni politici, temo non si tornerà a votare prima del prossimo autunno, se non nel 2018.
 
A livello nazionale il Pd perde consensi e il M5S non sembra approfittare del governo Gentiloni vedendo come si è impantanato a Roma con la sindaca Virginia Raggi: sembrano due soggetti in forte crisi. Pensa che alle prossime elezioni nazionali ci sarà un alto tasso di astensionismo? La gente ormai non è del tutto sfiduciata nei confronti delle istituzioni?
Dipende da quanto i cittadini penseranno di poter contare con il prossimo voto politico: se si continuerà a reiterare modelli politici ed elettorali di mera ratifica o investitura di governi preconfezionati e candidati opachi, o che brillano solo per l’altissimo tasso di “fedeltà al capo”, ma il cui valore o passione civile e politica restano ignoti, l’astensionismo non potrà che aumentare.
Per Lei c’è spazio per la nascita di un nuovo soggetto, a sinistra, alternativo sia al Pd che al M5S capace di dare la speranza di cambiamento ai cittadini?
La politica non sopporta vuoti, e in questo momento, più che mai, un soggetto che sapesse interpretare la “fame” di diritti, la volontà di partecipazione attiva dei cittadini e selezionare una classe dirigente all’altezza del Paese, avrebbe praterie aperte davanti a sé.
Che pensa della prospettiva dell’ex sindaco di Milano, Pisapia, di un “campo progressista” capace di dialogare col Pd e far nascere un nuovo centrosinistra nel Paese? I Comitati del NO possono essere attratti da tale progetto?
Prima di parlare di progetti, bisogna guardare alla credibilità di chi li propone e agli obiettivi politici reali, quelli, ancora una volta, calibrati sulla riconquista dei diritti, più che sulle strategie di potere. Non è dalla sommatoria di tanti che può nascere una nuova sinistra larga, nei consensi, prima ancora che nel nome, ma dal coraggio di rilanciare battaglie innovative e decise contro un’ideologia – il “turboliberismo” – che ha decapitato libertà e diritti, in nome di un fantomatico progresso materiale, riuscendo solo a distribuire ricchezza per pochi e miseria per tanti. Il declino dello Stato democratico e di diritto è iniziato da lì. Non vedo in quel campo, ancora (forse), tale coraggio.
Infine, qual è il rapporto coi partiti e volti storici della sinistra classica? Non è giunta l’ora che emergano nuove forze dalla società civile?
E’ un rapporto di rispetto, ma critico. Siamo tutti consapevoli dei limiti del modello partito che si è sviluppato a dispetto del “metodo democratico” sancito in Costituzione, e delle responsabilità di chi quel modello minimo e ipocritamente insofferente a ogni regolamentazione conforme a Costituzione. Quanto alla società civile, il salto di qualità sta nell’annullare la separazione fra società civile e società politica: la democrazia partecipativa impone un impegno costante di tutti e la fine della delega di potere in bianco che metta nelle mani di pochi le decisioni sul futuro di tanti. Penso sia già emersa una forte volontà di partecipazione, che può convogliarsi in una nuova stagione di attivismo politico, ma serve, adesso, dimostrare di saperla coniugare con un altrettanto grande senso di responsabilità. Sono processi che richiedono tempo e impegno da parte di tutti. Eppure, mai come adesso, è necessario che questo salto di qualità si realizzi.
Adesso Lei è in procinto di partorire ma è proprio sicura che, nei prossimi mesi, non sarà interessata a “scendere in campo”? In molti sembrano volerla tirare per la giacchetta…
Sono già scesa in campo. E nel modo, credo, più libero e utile a quella res publica a cui teniamo in tanti, senza paura di definirci indomabili, quanto pragmatici, idealisti. Perché, vede, non c’è niente di più innovativo e rivoluzionario di un ideale, di un impegno condiviso e portato avanti da tanti per cambiare il corso degli eventi e – a volte – della Storia di un Paese. Questo referendum lo ha dimostrato contro ogni previsione. Noi cercheremo di trasformare questa vittoria in un nuovo inizio per la “discesa in campo” non di singoli leader, ma dei cittadini tutti, i veri protagonisti di questa vittoria e gli unici che possono animare, insieme, una nuova stagione politica. Saranno loro, devono essere loro a sceglierne i volti e gli obiettivi che vi daranno corpo e concretezza.
(28 dicembre 2016)