Al lavoro la fabbrica delle “fake news” dei media atlantisti sugli avvenimenti in Iran

Iran-fake-news
Iran Fake News
Pur di dimostrare che in Iran sia in atto una “rivolta spontanea”, i media occidentali, esperti nella manipolazione delle notizie, stanno facendo gli straordinari per diffondere false immagini riprese da fotogrammi di altre manifestazioni e indicarle come “immagini della rivolta” in Iran.
Nella loro opera di falsificazione, i media occidentali hanno utilizzato persino fotogrammi delle rivolte popolari avvenute nel Bahrein, spacciandole per foto prese di nascosto dagli oppositori del regime, come anche da altre manifestazioni avvenute in altre parti del mondo. In mancanza di foto di inconsistenti rivolte popolari in Iran, tutto “fa brodo” per i manipolatori dei media atlantisti, si cui tutto si può dire ma non che manchino di inventiva. Le notizie, se non ci sono, si inventano. Niente di nuovo: era accaduto  lo stesso con le famose rivolte popolari in Libia, sulla piazza verde di Tripoli, rivolte inesistenti ma ricostruite altrove.   Vedi: Palaestina Felix
D’altra parte la sobillazione in Iran ed il tentativo di destabilizzazione del paese, arci nemico del trio  USA-Israele-Arabia Saudita, è un boccone troppo ghiotto per non impostarci sopra una campagna di prefabbricazione di notizie false e deviate.
Iran Fake news Foto presa da Buenos Aires
Un grosso lavoro lo stanno facendo anche gli agenti infiltrati dei servizi di intelligence occidentali, CIA ed M16 in particolare, che da anni supportano e finanziano le cellule terroriste dei MKO, protagonisti di attacchi e attentati terroristici negli anni passati. La tecnica è quella ormai consolidata utilizzata dalla CIA sulla piazza di Maidan, a Kiev (Ucraina).
Si appostano cecchini mimetizzati che sparano sui manifestanti e sula polizia, si utilizzano commandos di elementi armati (armi fatte entrare dalla CIA) contro caserme della polizia, si inviano appositi gruppi di agitatori nelle piazze per creare caos disordini, si incendiano auto, negozi e si creano barricate. La abituale strategia utilizzata in Ucraina, in Georgia, in Libia ed in Siria, ed ultimamente anche in Venezuela (con alcune varianti) per determinare delle rivolte popolari e successivo cambio di regime a cui tutte le TV danno il massimo risalto.
Nel caso dell’Iran sarà difficile ottenere un cambio di governo  ma ci si è messo anche il presidente Trump a dare il suo contributo, aizzando dal suo buon ritiro in Florida i manifestanti a insorgere, un maldestro tentativo di sobillazione che rischia di avere l’effetto contrario, visto il personaggio, il più odiato dagli iraniani.
Il tentativo è stato talmente maldestro che la stessa grande stampa USA ha lanciato il monito a Trump scrivendogli “be quite” (stati zitto) dal New York Times, per l’evidente rischio di compromettere una azione di sobillazione coperta i cui mandanti devono rimanere segreti. Trump si vede che non è stato preavvisato dalla CIA con cui ultimamente non vanta buoni rapporti. Sembra che il nuovo capo della CIA abbia perso le staffe nel leggere i Twitter di Trump ed abbia dato in escandescenze. Questo però è l’aspetto farsesco della manifestazione….
Iran fake news : foto presa dalle agitazioni verificatesi nel Bahrein (come si evince da bahraindoctor)
Nel frattempo….
Da parte di  segretario del Consiglio superiore di sicurezza dell’Iran, con una dichiarazione ufficiale ha considerato che le manifestazioni di protesta nel paese sono realizzate nel contesto di una “guerra ibrida” che alcune potenze stanno conducendo contro l’Iran, come ha informato la BBC.
Secondo Shamjanì, gli USA il Regno Unito,  e l’Arabia Saudita sono dietro le recenti proteste verificatesi nel paese persiano. Queste potenze dirigono le campagne di manipolazione nei social media e sobillano le manifestazioni con messaggi aperti di incitazione alla rivolta contro il Governo.
Una buona parte di questi messaggi sono da attribbuire ad una regia del governo saudita, la restante parte deve essere imputata ad agenzie statunitensi e britanniche.  Quest aingerenza ha l’obiettivo di rallentare lo sviluppo economico dell’Iran e seminare il malcontento. Tuttavia Shamjanì ritiene che queste manifestazioni si andranno esaurire in poco tempo.
Le proteste erano iniziate partendo dalla città di Mashhad e si sono poi estese ad altre città dell’Iran, incluso Teheran, Isfahan e Rasht. Fino ad oggi ci sono state decine di arresti ed un numero di 20 vittime negli scontri.
Nel corso delle proteste sono stati notati  individui armati che hanno assaltato alcune stazioni di polizia e caserme ed altri che hanno lanciato bombe incendiarie. Le autorità militari iraniane ritengono che si tratti di elementi addestrati che hanno l’obiettivo di seminare il caos e creare scontri tra la popolazione e le forze di polizia.
Tutto come da copione……..
Fonti:   Hispan Tv         Al Mayadeen
Traduzione e sintesi: Luciano Lago Gen 02, 2018

Iran: un’altra “rivoluzione colorata” in arrivo?

riv colorata iranovviamente se protestassimo in Occidente per il carovita, tipo in Europa per ogni memorandum o finanziaria lacrime e sangue o stangata, sicuramente tutti sosterrebbero i manifestanti invitando i governi a dimettersi giusto?

I neo-con, i media statunitensi a loro vicini e il presidente degli Stati Uniti stanno chiedendo agli americani di stare con il “popolo iraniano” e con i “manifestanti” nella loro “lotta per la libertà”.
Il motivo per cui questa storia suona incredibilmente familiare è perché abbiamo visto la stessa scena in Egitto, in Libia e in Siria, e anche nella stessa Iran alla fine degli anni 2000. Le proteste che diventano violente, una successiva repressione violenta o riportata come tale, e il peso della propaganda americana contro il governo bersaglio; sono tutte ripetizioni della “Primavera araba”. Null’altro che lo schema di rivoluzione/destabilizzazione usato dall’Occidente in paesi di tutto il mondo per decenni, in particolare negli ultimi venti anni.
CHE COSA VOGLIONO I MANIFESTANTI?
Le presunte richieste dei manifestanti sembrano abbastanza ragionevoli e legittime. Fino a questo momento, i media occidentali hanno riferito che l’argomento principale dei dimostranti si concentra sulle preoccupazioni economiche, cioè sul calo degli standard di vita; sulla disoccupazione; e sull’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. Tuttavia, giunti oggi al terzo giorno di proteste, i media occidentali hanno iniziato a riferire che i manifestanti chiedono la fine della dittatura religiosa e delle politiche sia dell’Ayatollah Khamenei che del presidente Rouhani. Secondo alcuni articoli, le manifestanti donne sono arrivate al punto di gridare “morte a Khamenei” e hanno versato il loro hijab per costruire bandiere di fortuna. Altri dicono che i manifestanti sono concentrati sulla corruzione del governo.
Tuttavia, bisogna farsi delle domande. La prima domanda è “queste proteste nascono spontaneamente in Iran?”. Non si sa ancora. L’Iran è certamente una dittatura religiosa e molti iraniani vogliono la libertà dal dominio religioso. Va comunque ricordato che gli Stati Uniti e Israele hanno dichiarato apertamente il desiderio di vedere l’influenza iraniana infranta e, recentemente, nel 2009, gli Stati Uniti hanno tentato di progettare una rivoluzione colorata nel paese. I primi tre giorni del Movimento Verde in Iran assomigliavano molto ai primi tre giorni di questo movimento in corso.
Chiaramente le preoccupazioni economiche sono un grosso problema in Iran: un paese la cui economia ha sofferto per anni sotto le sanzioni occidentali e incapace di capitalizzare la Banca Nazionale. La disoccupazione ufficiale in Iran è di circa il 12%, ma è probabile che il tasso reale sia molto più alto. Nonostante l’abolizione di alcune sanzioni, non vi è quasi crescita economica nel paese: un altro risultato delle politiche economiche e commerciali neoliberiste. Tuttavia, vale la pena notare che Khamenei è stato anche critico nei confronti della scarsa economia e della gestione delle questioni economiche da parte del governo, nonostante sia al centro delle proteste.
 
Queste richieste non suonano irragionevoli, comunque le si veda. Tuttavia, le proteste religiose arrivano in un momento molto strano. L’Iran ha recentemente liberalizzato le sue leggi in materia di copricapi femminili, quindi perché protestare ora contro le leggi religiose?
Inoltre, un’attenzione particolare deve essere rivolta al concetto di “corruzione del governo”: un segno distintivo delle rivoluzioni colorate. Ci sono anche dubbi sugli slogan che vengono cantati dai manifestanti. In primo luogo, i manifestanti chiedono che l’Ayatollah e il presidente si dimettano. In altre parole, chiedono il cambio di regime. Questo è esattamente ciò che anche gli Stati Uniti, il GCC, la NATO e Israele vogliono che accada.
In secondo luogo, numerosi manifestanti stanno urlando “Lasciate stare la Palestina” e “Non per Gaza, non per il Libano, darei la mia vita (solo) per l’Iran”. Ancora una volta, i manifestanti stanno reiterando richieste di politica estera identiche a quelle volute da gli Stati Uniti, la NATO, il GCC e Israele. Tutto questo in una protesta che dovrebbe riguardare le preoccupazioni economiche.
Moon of Alabama, in un articolo intitolato “Iran – Regime Change Agents Hijack Economic Protests”, scrive:
 
“Le proteste contro le politiche economiche neoliberiste del governo Rohani in Iran sono giustificate. La disoccupazione ufficiale in Iran è superiore al 12% e non vi è quasi alcuna crescita economica. Le persone nelle strade non sono le uniche a non essere soddisfatte di questo. Il leader supremo dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, che ha ripetutamente criticato il record economico del governo, ha detto oggi che la nazione sta lottando contro “prezzi elevati, inflazione e recessione” e ha chiesto ai funzionari di risolvere i problemi con determinazione. Giovedì e oggi gli slogan di alcuni manifestanti hanno trasformato la richiesta di aiuti economici in un appello per il cambio di regime.
Oggi, venerdì, il giorno di riposo settimanale in Iran, diverse altre proteste si sono svolte in altre città. Secondo la Reuters circa 300 dimostranti si sono radunati a Kermanshah dopo quello che Fars ha definito “una chiamata all’anti-rivoluzione” e hanno gridato “i prigionieri politici dovrebbero essere liberati” e “Libertà o morte”, mentre distruggono alcune proprietà pubbliche. I filmati, che non è stato possibile verificare, hanno mostrato proteste in altre città, tra cui Sari e Rasht nel nord, Qom a sud di Teheran e Hamadan a ovest.
 
Mohsen Nasj Hamadani, vicecapo della sicurezza nella provincia di Teheran, ha detto che circa 50 persone si sono radunate in una piazza di Teheran e la maggior parte ha lasciato dopo essere stata interrogata dalla polizia; ma alcuni che hanno rifiutato sono stati “temporaneamente detenuti”, ha riferito l’agenzia di stampa ILNA.
Alcune di queste proteste hanno vere ragioni economiche ma vengono dirottate da altri interessi: nella città centrale di Isfahan, un residente ha detto che dei manifestanti si sono uniti a una manifestazione tenutasi dagli operai delle fabbriche. “Gli slogan sono passati rapidamente dall’economia a quelli contro (il presidente Hassan) Rouhani e il leader supremo (Ayatollah Ali Khamenei)”, ha detto il testimone al telefono. Le proteste puramente politiche sono rare in Iran […] ma le dimostrazioni sono spesso tenute dai lavoratori per i licenziamenti o il mancato pagamento degli stipendi, e le persone che detengono depositi in istituti finanziari non regolamentati e in bancarotta.
Alamolhoda, il rappresentante dell’Ayatollah Khamenei nel nord-est di Mashhad, ha detto che alcune persone hanno approfittato delle proteste di giovedì contro l’aumento dei prezzi per recitare slogan contro il ruolo dell’Iran nei conflitti regionali. “Alcune persone erano venute per esprimere le loro richieste, ma improvvisamente, in una folla di centinaia, un piccolo gruppo che non superava i 50 gridava slogan devianti e orrendi come “Lascia andare la Palestina”,”Non Gaza, non il Libano, io do la mia vita (solo) per l’Iran”, ha detto Alamolhoda.
 
IL SUPPORTO DEI NEOCONSERVATORI
 
E’ interessante notare come il Presidente degli Stati Uniti abbia immediatamente dato il suo supporto alle proteste, incoraggiando gli americani a schierarsi con i manifestanti e le loro richieste. Questo supporto proviene da un uomo che vede raramente una protesta che non sia diretta contro di lui. Nel frattempo, gli organi Neo-Con come FOX News continuano a chiedere agli americani di sostenere i coraggiosi “combattenti per la libertà” in Iran. Quando i neo-con richiedono sostegno alle proteste, è giusto mostrarsi scettici.
È anche importante mettere in discussione quanto siano popolari queste proteste. Mentre i principali media occidentali e varie organizzazioni terroristiche sostengono la presenza di migliaia per ogni manifestazione, i video e le immagini mostrano in tutto un centinaio di manifestanti. Le proteste sono iniziate solo un mese dopo che la Casa Bianca e Tel Aviv si sono incontrati per discutere di una strategia sull’Iran.
 
“Una delegazione guidata dal Consigliere per la sicurezza nazionale di Israele si è incontrata con alti funzionari americani alla Casa Bianca all’inizio di questo mese per una discussione congiunta sulla strategia per contrastare l’aggressione dell’Iran in Medio Oriente”, ha scritto l’agenzia Haaretz.
 
AXIOS fornisce qualche dettaglio sulla riunione: “Gli Stati Uniti e Israele tengono d’occhio i diversi sviluppi nella regione e specialmente quelli che sono collegati all’Iran. Abbiamo raggiunto una comprensione della strategia e della politica necessaria per contrastare l’Iran. Le nostre intese riguardano la strategia generale, ma anche obiettivi concreti, modalità d’azione e mezzi che devono essere utilizzati per ottenere tali obiettivi”.
Questa apparente rivoluzione colorata potrebbe essere il risultato di quell’incontro USA / Israele?L’idea che una rivoluzione colorata possa essere tentata in Iran non è una fantasia. Sarebbe una ripetizione della storia. Ricordate, nel 2009 già si tentò di lanciare la cosiddetta “Rivoluzione verde”, ma fu repressa duramente dal governo iraniano.
 
IL “SENTIERO VERSO LA PERSIA”
 
Il piano per un attacco occidentale/israeliano contro l’Iran, insieme al teatro di presunte tensioni israelo-americane che porteranno a un attacco e a una guerra totale, è in corso da un po’ di tempo. Ad esempio, nel 2009, la Brookings Institution, un’importante società bancaria e militare-industriale, ha pubblicato un rapporto dal titolo “Which Path To Persia? Options For A New American Strategy For Iran”, in cui gli autori hanno delineato un piano che non lascia dubbi sul desiderio finale dei governi e delle istituzioni occidentali.
Il piano prevede la descrizione di un certo numero di modi in cui l’oligarchia occidentale sarebbe in grado di distruggere l’Iran, compresa l’invasione e l’occupazione militare. Tuttavia, il rapporto tenta di delineare una serie di metodi che potrebbero essere implementati prima che l’invasione militare diretta si mostri necessaria, incluso fomentare la destabilizzazione all’interno dell’Iran attraverso l’apparato proteste, disordini violenti, terrorismo per procura e “attacchi aerei limitati” condotti da Stati Uniti, Israele o entrambi.
 
Come recita il rapporto:
“Poiché il regime iraniano è ampiamente avversato da molti iraniani, il metodo più ovvio e accettabile per decretarne la fine sarebbe aiutare a promuovere una rivoluzione popolare sulla falsariga delle “rivoluzioni di velluto” che hanno rovesciato molti governi comunisti nell’Europa orientale a partire dal 1989. Per molti sostenitori del cambiamento di regime, sembra evidente che gli Stati Uniti dovrebbero incoraggiare il popolo iraniano a prendere il potere nel proprio nome e che questo sarebbe il metodo più legittimo per cambiare il regime. Dopo tutto, quale iraniano o straniero potrebbe rifiutarsi di aiutare il popolo iraniano a soddisfare i propri desideri?
 
Inoltre, la storia dell’Iran sembrerebbe suggerire che un tale evento sia plausibile. Durante il Movimento costituzionale del 1906, durante la fine degli anni ’30, probabilmente durante gli anni ’50, e ancora durante la Rivoluzione iraniana del 1978, coalizioni di intellettuali, studenti, contadini, mercanti bazar, marxisti, costituzionalisti e religiosi si mobilitarono contro un regime impopolare. Sia nel 1906 che nel 1978, i rivoluzionari ottennero il sostegno di gran parte della popolazione e, così facendo, prevalerono. Questa è la ragione per cui il popolo iraniano ha bisogno di credere che un’altra rivoluzione sia fattibile.
 
Ovviamente le rivoluzioni popolari sono eventi incredibilmente complessi e rari. C’è poco consenso accademico su ciò che provoca una rivoluzione popolare, o anche le condizioni che le facilitano. Anche i fattori spesso associati alle rivoluzioni, come la sconfitta militare, l’abbandono delle forze armate, le crisi economiche e le divisioni all’interno dell’élite sono stati eventi regolari in tutto il mondo e nel corso della storia, ma solo pochissime volte hanno portato a una rivoluzione popolare. Di conseguenza, tutta la letteratura sul modo migliore per promuovere una rivoluzione popolare -in Iran o altrove- è altamente speculativa. Tuttavia, è l’unica opzione politica che offre la possibilità che gli Stati Uniti possano eliminare tutti i problemi che affronta a causa dell’Iran, farlo a un costo accettabile, e farlo in un modo che sia accettabile per il popolo iraniano e la maggior parte del resto del mondo.”
 
CONCLUSIONI
Anche se la situazione in Iran è appena iniziata, sembra che sia in corso un’altra “rivoluzione colorata”. Mentre molte delle richieste sono legittime, tutti i segnali puntano verso il complotto occidentale nel tentativo di spezzare l’Iran. Distruggere l’Iran distruggerebbe anche Hezbollah, indebolirebbe la Siria e la Russia, e rinforzerebbe Israele. Se ciò riuscirà o meno dipenderà dalla capacità dell’Iran di schiacciare la rivolta. Se si può imparare qualcosa dalla rivoluzione del 2009, è che l’Iran si muoverà rapidamente e distruggerà le proteste con il pugno di ferro. Tuttavia, se le proteste che si svolgono oggi in Iran sono davvero una rivoluzione colorata e se l’Occidente ne è coinvolto, il “Sentiero verso la Persia” vedrà probabilmente un’escalation di attività, violenza e, in definitiva, uno scontro anche diretto con l’esercito americano.
 
(da Global Research – traduzione di Federico Bezzi) 2 gennaio 2018

Soros è alle corde

soros rebelsAnche se il multi-miliardario magnate degli hedge fund e politico agitatore internazionale George Soros ha perso alla grande con l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti e la vittoria del referendum Brexit nel Regno Unito, rischia di perdere altro terreno politico e finanziario, mentre i venti del cambiamento politico spazzano il mondo. Soros, che s’immagina padrone delle opzioni azionarie a breve scadenza, racimolando miliardi di dollari dal crollo dei titoli azionari, ha subito un paio di colpi finanziari. Recentemente, il regolatore del mercato dei titoli olandese AFM ha “accidentalmente” rivelato le compravendite a breve termine di Soros dal 2012, rivelate sul sito web dall’AFM e rimosse dopo aver compreso l’“errore”. Tuttavia, i dati erano già stati raccolti automaticamente dai software delle agenzie d’intelligence e delle società d’intermediazione che abitualmente perlustrano Internet alla ricerca di questi “errori”. Tra i titoli bancari presi di mira da Soros vi era l’Ing Groep NV, grande istituzione e importante elemento dell’economia olandese. Dopo la campagna contro la Brexit, Soros scommette contro lo stock di Deutsche Bank AG, che credeva avrebbe preso valore dopo che la Gran Bretagna votò l’abbandono dell’UE. I titoli di Deutsche Bank sono scesi del 14 per cento e Soros gli ha ripuliti. Ma la vittoria di Soros era temporanea. Con l’elezione di Trump, Soros ha perso 1 miliardo di stock speculativo. Circondato dai suoi compari d’aggiotaggio, Soros ha spiegato tali perdite mentre frequentava il World Economic Forum di Davos in Svizzera. I compari mega-ricchi di Soros scommisero contro le piccole aziende olandesi, come Ordina, società d’informatica, Advanced Metallurgical Group e il gruppo immobiliare Wereldhave NV.
Attenzione alle idi di marzo
La diffusione dei dati di Soros giunge in un momento particolarmente delicato per la politica olandese. Il governo di centro-destra del primo ministro Mark Rutte è alle corde nel tentativo di respingere, con un’elezione programmata il 15 marzo, la seria sfida del partito nazionalista per la libertà (PVV) della destra anti-migranti del leader anti-Unione europea Geert Wilders. Alleato di Donald Trump, Wilders rischia di fare il pieno grazie a Soros, campione delle frontiere aperte dell’Europa e delle migrazioni di massa, che scommette contro le banche olandesi. Le idi di marzo guardano con favore alla vittoria di Wilders, un evento che batterà un altro chiodo nella bara dell’Unione europea e nel sogno di Soros su migrazioni di massa e frontiere aperte. I Paesi Bassi non sono particolarmente amichevoli verso Soros e i suoi obiettivi. Nel novembre 2016, Open Society Foundations e due gruppi finanziati da Soros, la Rete europea contro il razzismo e Gender Concerns International, pubblicizzavano l’assunzione di giovani “di età compresa tra 17-26” immigrati musulmani o figli e nipoti di immigrati musulmani, per fare campagna contro i partiti di Wilders e Rutte.
Il primo ministro Rutte ha recentemente avvertito i migranti che si rifiutano di assimilarsi nella società olandese. Naturalmente, Rutte non si riferiva alle migliaia di migranti dalle ex-colonie delle Indie orientali e occidentali olandesi, che non avevano alcun problema ad adottare cultura, religione e costumi sociali olandesi. Rutte, che ha affronta un vantaggio di 9 punti del PVV di Wilders, ha avuto parole dure verso i migranti musulmani. In un’intervista ad “Algemeen Dagblad”, Rutte, in quello che avrebbe potuto essere un intervento di Wilders, ha dichiarato: “Dico a tutti. Se non vi piace qui, questo Paese, andatevene! Questa è la scelta che avete. Se si vive in un Paese in cui i modi di trattare il prossimo v’infastidiscono, potete andarvene. Non è necessario rimanere”. Rutte ha espresso in particolare disprezzo per chi “non vuole adattarsi… chi attacca omosessuali, donne in minigonna o definisce i comuni cittadini olandesi razzisti”. Rutte ha lasciato pochi dubbi a chi si riferisse, ai migranti musulmani appena arrivati, “Ci sono sempre state persone propense a un comportamento deviante. Ma qualcosa è accaduto l’ultimo anno, a cui noi, come società, dovremmo rispondere. Con l’arrivo di grandi masse di rifugiati, la domanda sorge spontanea: i Paesi Bassi resteranno Paesi Bassi”? Venendo da un noto euro-atlantista sostenitore di NATO, UE e Banca Mondiale, le parole di Rutte sui migranti avranno scioccato Soros e i suoi servi.
La rivelazione della manipolazione finanziaria di Soros dell’economia olandese sicuramente farà infuriare i cittadini olandesi già stanchi di migranti e diktat dall’Unione Europea. Nell’aprile 2016, i cittadini olandesi respinsero con nettezza il trattato UE-Ucraina che invocava legami più stretti tra UE e il regime di Kiev. Il risultato fece infuriare Soros, uno dei principali burattinai del regime di Kiev.
Il “Babbo Natale” delle ONG troverà molte porte chiuse
L’Europa una volta elogiava Soros come sorta di benevolo “Babbo Natale” che distribuiva milioni per “buone azioni” ai sostenitori del governo mondiale e di altri utopisti dagli occhi sbrilluccicanti. Tuttavia, la patina di Soros va esaurendosi. La Russia fu la prima a cacciare Soros per le interferenze nella politica russa.
Il piano di Soros per destabilizzare la Russia, soprannominato “Progetto Russia” di Open Society Institute e Fondazione di Soros, prevedeva lo scoppio di una “Majdan al quadrato” nelle città della Russia. Nel novembre 2015, l’ufficio del procuratore generale russo annunciò il divieto delle attività di Open Society Institute e Istituto di assistenza della Fondazione Open Society, per minaccia all’ordine costituzionale e alla sicurezza nazionale della Russia. Il Primo Ministro ungherese Viktor Orban guida ora l’ondata anti-Soros in Europa. L’ottica di Orban, divenuto il primo leader dell’Unione europea ad opporsi alle operazioni di destabilizzazione di Soros, di origine ungherese, non è sfuggita ad altri leader europei, come in Polonia e Repubblica Ceca. Orban ha accusato Soros di essere la mente dell’invasione dei migranti dell’Europa. In rappresaglia a queste e altre mosse di Soros, Orban avvertiva che le varie organizzazioni non governative (ONG) sostenute da Soros rischiano l’espulsione dall’Europa. Orban è stato affiancato nello sfogo di rabbia su Soros dall’ex-primo ministro macedone Nikola Gruevskij, dimissionario e costretto alle elezioni anticipate dalle manifestazioni ispirate da Soros nel suo Paese nel pieno del massiccio afflusso di migranti musulmani dalla Grecia. Facendo riferimento alle operazioni politiche globali di Soros, l’ex-primo ministro macedone ha detto in un’intervista, “non lo fa solo in Macedonia, ma nei Balcani, in tutta l’Europa orientale, ed ora, ultimamente, negli Stati Uniti. Inoltre, da ciò che ho letto, in alcuni Paesi lo fa per ragioni materiali e finanziarie, per guadagnare molti soldi, mentre in altri per motivi ideologici”.
In Polonia, dove Soros fu molto influente, una parlamentare del Partito della Giustizia (PiS) di destra al governo, Krystyna Paw?owicz, ha recentemente chiesto che Soros sia privato della massima onorificenza della Polonia per gli stranieri, Comandante dell’ordine della Stella al Merito della Repubblica di Polonia. Paw?owicz considera le operazioni di Soros in Polonia illegali e ritiene inoltre che le organizzazioni di Soros “finanzino elementi antidemocratici e anti-polacchi per combattere la sovranità polacca e la locale cultura cristiana.
Il presidente ceco Milos Zeman ha detto, in un’intervista del 2016, “alcune sue attività (di Soros) sono almeno sospette e sorprendentemente ricordano le interferenze estere negli affari interni del Paese. L’organizzazione di ciò che sono note come rivoluzioni colorate nei singoli Paesi è un hobby interessante, ma crea più danni che benefici ai Paesi interessati”. Zeman sosteneva che Soros progetta una rivoluzione colorata nella Repubblica Ceca.
Aivars Lemberg, sindaco di Ventspils in Lettonia e leader dell’Unione dei verdi e dei contadini, vuole che Soros e le sue ONG siano vietate in Lettonia. Lemberg sostiene che due pubblicazioni di Soros in Lettonia, Delna e Providus, fanno propaganda a favore dell’accoglienza in Lettonia dei migranti musulmani. Lemberg vede i migranti e il loro sostegno di Soros come un pericolo per la sicurezza dello Stato lettone. Il sindaco ritiene che “George Soros va bandito dalla Lettonia. Gli va vietato l’ingresso nel Paese”. Nella vicina Lituania, il partito laburista ha anche messo in dubbio le attività di Soros. Il partito e i suoi alleati parlamentari hanno chiesto ai servizi di sicurezza della Lituania d’indagare su “schemi finanziari e reti” di Soros per via della minaccia che rappresentano per la sicurezza nazionale. I partiti lituani sostengono che i gruppi di Soros sono specializzati “non a consolidare, ma a dividere la società”.
 
Non è più facile essere un multimiliardario intrigante che rovescia i governi con lo schiocco delle dita. Soros non solo s’è alienato il Presidente della Russia e la Prima Ministra del Regno Unito, ma ora anche il Presidente degli Stati Uniti. Soros è anche il nemico numero uno dei leader della Cina. Con tale varietà di nemici, Soros è dubbio abbia altri successi politici come in Ucraina o Georgia. Con tutti i suoi miliardi, Soros ora comanda solo un’ “esercito di bambole di carta”.
 
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
Wayne Madsen Strategic Culture Foundation 29/01/2017

Levin: gli Usa hanno interferito nelle elezioni in 45 paesi

la-na-hacking-electionMentre infuriano le polemiche per le (del tutto presunte) interferenze russe nelle elezioni presidenziali americane, “Vocativ” commenta una recente ricerca in cui si contano almeno 81 casi di interventi americani in 45 paesi, dal dopoguerra ad oggi, volti a condizionare l’esito delle elezioni politiche. E questo, senza contare i colpi di Stato militari promossi e organizzati dalla Casa Bianca. Scrive “Voci dall’Estero”:
«Il motivo per cui – fingiamo pure che il fatto sussista – un certo establishment americano sta gridando allo scandalo e rialzando una cortina di ferro, non è altro che quello che lo stesso establishment americano ha sempre fatto verso il resto del mondo».
Lo conferma un recentissimo studio, che mostra che l’America ha una lunga storia di ingerenze nelle elezioni in paesi stranieri, sintetizza Shane Dixon Kavanaugh su “Vocative”, prendendo spunto dalla clamorosa propaganda di Obama contro la Russia: 35 diplomatici espulsi e la richiesta di nuove sanzioni, in risposta a ciò che gli Usa ritengono essere una serie di cyber-attacchi condotti da Mosca durante la campagna presidenziale. Peccato che questa specialità – il pilotaggio delle elezioni altrui – sia un talento squisitamente statunitense.
Per la Cia, il Cremlino avrebbe tentato di aiutare Donald Trump a conquistare la presidenza? «Eppure, nessuno dei due paesi può dirsi estraneo a tentativi di ingerenza nelle elezioni di altri paesi». Gli Stati Uniti, per di più, vantano record ineguagliati in questo campo: «Hanno una storia lunga e impressionante di tentativi di influenzare le elezioni presidenziali in altri paesi», scrive Shane Dixon Kavanaugh, in un post ripreso da “Voci dall’Estero” in cui si documentano i risultati del recente studio condotto da Dov Levin, ricercatore in scienze politiche dell’Università Carnegie-Mellon di Pittsburgh, Pennsylvania. E’ un fatto: gli Usa hanno «cercato di influenzare le elezioni in altri paesi per ben 81 volte tra il 1946 e il 2000».
Spesso lo hanno fatto «agendo sotto copertura», con tentativi che «includono di tutto: da agenti operativi della Cia che hanno portato a termine con successo campagne presidenziali nelle Filippine negli anni ’50, al rilascio di informazioni riservate per danneggiare i marxisti sandinisti e capovolgere le elezioni in Nicaragua nel 1990». Facendo la somma, calcola Levin, gli Usa avrebbero condizionato le elezioni in non meno di 45 paesi in tutto il mondo, durante il periodo considerato. E nel caso di alcuni paesi, come l’Italia e il Giappone, gli Stati Uniti hanno cercato di intervenire «in almeno quattro distinte elezioni».
I dati di Levin, aggiunge Shane Dixon Kavanaugh, non includono i golpe militari o i rovesciamenti di regime che hanno seguito l’elezione di candidati contrari agli Stati Uniti, come ad esempio quando la Cia ha contribuito a rovesciare Mohammad Mosaddeq, il primo ministro democraticamente eletto in Iran nel 1953. Il ricercatore definisce l’interferenza elettorale come «un atto che comporta un certo costo ed è volto a stabilire il risultato delle elezioni a favore di una delle due parti».
Secondo la sua ricerca, questo includerebbe: diffondere informazioni fuorvianti o propaganda, creare materiale utile alla campagna del partito o del candidato favorito, fornire o ritirare aiuti esteri e fare annunci pubblici per minacciare o favorire un certo candidato. «Spesso questo prevede dei finanziamenti segreti da parte degli Usa, come è avvenuto in alcune elezioni in Giappone, Libano, Italia e altri paesi».
Per costruire il suo database, Levin si è basato su documenti declassificati della stessa intelligence americana, come anche su una quantità di report del Congresso sull’attività della Cia. Ha poi esaminato ciò che considera resoconti affidabili della Cia e delle attività americane sotto copertura, nonché ricerche accademiche sull’intelligence statunitense, resoconti di diplomatici della guerra fredda e di ex funzionari sempre della Cia. «Gran parte delle ingerenze americane nei processi elettorali di altri paesi sono ben documentate, come quelle in Cile negli anni ’60 o ad Haiti negli anni ’90», senza contare il caso di Malta nel 1971: secondo lo studio di Levin, gli Usa avrebbero cercato di condizionare la piccola isola mediterranea strozzandone l’economia nei mesi precedenti all’elezione di quell’anno. «I risultati della ricerca suggeriscono che molte delle interferenze elettorali americane sarebbero avvenute durante gli anni della guerra fredda, in risposta all’influenza sovietica che andava espandendosi in altri paesi», sottolinea Shane Dixon Kavanaugh.
«Per essere chiari, gli Usa non sarebbero stati gli unici a cercare di determinare le elezioni all’estero. Secondo quanto riportato da Levin lo avrebbe fatto anche la Russia per 36 volte dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla fine del ventesimo secolo. Il numero totale degli interventi da parte di entrambi i paesi sarebbe stato dunque, in quel periodo, pari a 117». Eppure, anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica, avvenuto nel 1991, nonostante venisse a mancare l’alibi della guerra fredda, il grande nemico a Est, gli Stati Uniti «hanno continuato i propri interventi all’estero, prendendo di mira elezioni in Israele, nella ex Cecoslovacchia e nella stessa Russia nel 1996». In altre parole: se la Russia di Putin ha archiviato le attività “imperiali” dell’Urss, l’America ha invece raddoppiato la posta: secondo Levin, dal 2000 a oggi gli Usa hanno pesantemente interferito con le elezioni in Ucraina, Kenya, Libano e Afghanistan, per citarne solo alcuni dei paesi sottoposti alle “attenzioni elettorali” di Washington.
Scritto il 20/1/17