Rapporto choc della Dia: 9 città sono ostaggio della mafia nigeriana, la più feroce in Italia

l'integrazione di Black Axe in Canada

l’integrazione di Black Axe in Canada

razzisti, la mafia è bella. Per quello che a Palermo gli agguati che ridocono in fin di vita una persona non sono diretti ai vari boss che si aggirano ma ad avversari politici.


febbraio 16, 2018
«la mafia straniera più feroce e strutturata in Italia». Rapporto choc della Direzione Investigativa Antimafia, nove grandi città italiane sono ostaggio della violenta mafia nigeriana.
La precisazione, tra persone intelligenti, sarebbe inutile; ma, a scanso di equivoci, la facciamo comunque: quando parliamo di «mafia nigeriana» in Italia, ci riferiamo ai nigeriani dediti al crimine, non certo ai loro connazionali estranei alla delinquenza.
 
Detto ciò, per comprendere il contesto «socio-antropologico» in cui si muovevano i tre presunti killer nigeriani che hanno massacrato la povera Pamela Mastropietro, è opportuno fare un passo indietro. E analizzare la repentina mutazione genetica e il veloce consolidamento sul territorio nazionale di questi clan che la relazione 2016 della Dia (Direzione investigativa antimafia) definisce «la mafia straniera più feroce e strutturata in Italia».
 
L’ultimo rapporto dell’intelligence, già nell’introduzione, offre uno scenario inquietante: «Il radicamento nel nostro Paese di tale consorteria eemerso in diverse inchieste, che ne hanno evidenziato la natura mafiosa, peraltro confermata da sentenze di condanna passate in giudicato».
Il rapporto degli esperti spiega come l’organizzazione si sia gradualmente trasformata da «gregaria» a «dominante»: se infatti fino al 2010 (l’anno della tristemente nota rivolta di Rosarno) le bande nigeriane, per poter «lavorare», dovevano pagare il pizzo alle mafie autoctone (camorra, cosa nostra e ‘ndrangheta), da quel momento in poi assistiamo a un «progressivo affrancamento caratterizzato da un modus operandi connotato da inaudita violenza». Risultato: in regioni come Lazio, Campania, Calabria, Sicilia, Puglia, Piemonte, Veneto i tre nuclei storici della mafia nigeriana (Aye Confraternite, Eiye e Black Axe) assumono un ruolo egemone, monopolizzando in importanti città (Torino, Verona, Bologna, Roma, Macerata, Napoli, Palermo, Bari, Caserta) i mercati dediti a prostituzione, spaccio di droga, traffico di armi, usura, racket delle scommesse, tratta dei migranti e perfino truffe on line.
 
Anche per tale ragione quella nigeriana è la comunità straniera presenta in Italia che commette più reati e registra il maggior numero di espulsioni.
 
Un tempo l’antica leadership si limitava solo al caporalato di stampo schiavistico. Poi il salto qualitativo. Tra le città ostaggio della mafia nigeriana c’è anche Macerata; qui Pamela Mastropietro ha incrociato i suoi carnefici nigeriani, qui Pamela è stata tagliata a pezzi con modalità tipiche della tradizione tribale nigeriana. È solo in questo senso che la mafia nigeriana c’entra con il delitto della 18enne romana.
 
«I tre nigeriani ora in carcere – spiega una fonte investigativa al Giornale – erano tutti e tre pusher affiliati certamente alle gang nigeriane che a Macerata controllano il business della prostituzione e dello spaccio di droga.
Questo non significa che la mafia nigeriana, in sé, sia coinvolta nell’omicidio della ragazza, ma semplicemente che tre suoi esponenti si siano macchiati di un delitto orribile».
E quel sezionare il corpo in maniera «scientifica»? «I riti voodoo non hanno attinenza con questo caso – spiega un inquirente – ma il modo con cui il cadavere di Pamela è stato fatto a pezzi rimanda a una tradizione tipicamente tribale propria della comunità nigeriana dove padroneggiare l’uso di mannaie e coltelli è pratica insegnata anche ai bambini».
Un’aggressività che «la mafia nigeriana esercita nella gestione dei suoi affari con efferate forme di militarizzazione».
 
Gli uomini restano sotto ricatto a vita. La loro attività primaria resta lo spaccio di droga. E se poi incontrano una ragazza fragile come Pamela, la invitano a casa. Per un festino. Mortale.
 
Con fonte Il Giornale redazione riscatto nazionale.net

Riti voodoo per costringere minorenni a prostitursi, presi due nigeriani e un ghanese

prostitute nigerianema no è solo brava gente che scappa dalle guerre e dalla fame…..che importa se ci sono indagini della DIA che da anni indagano su questi gruppi mafiosi che compiono anche crimini rituali…tutte dicerie. Fortuna che alle femministe antirazziste antifasciste non importa della sorte e della vita di queste ragazze, per giunta straniere. E’ la mafia bellezza.


Arrestati a Lodi 7 nigeriani, tra i quali uno stregone: reclutavano le prostituteDurante un rito, alle ragazze veniva fatto firmare un contratto, in cui si impegnavano ad arrivare in Italia e lavorare fino a restituire 30mila euro

Riti voodoo per costringere minorenni a prostitursi, presi due nigeriani e un ghanese
Tre arresti della polizia in provincia di Caserta, finiscono in manette due nigeriane e un ghanese. L’inchiesta nata dal racconto choc di una minorenne
 
Sotto la minaccia dei riti voodoo costringevano ragazze minorenni a battere i marciapiedi, finiscono in manette due donne di nazionalità nigeriana e un uomo originario del Ghana, a Castelvolturno, in provincia di Caserta.
Il caso è venuto alla luce grazie alla fuga di una 17enne che, scappata dalle grinfie dei suoi aguzzini, ha rivelato il suo calvario agli inquirenti. Giunta in Italia nel 2016, riuscì a “sparire” nell’agosto del 2017, raggiungendo il Nord Italia. Qui ha rivelato ai poliziotti quello che era stato il suo incubo. La giovane ha raccontato di essere stata costretta a prostituirsi dalla “magia nera” praticata dalla maman, la donna che l’aveva “ospitata” in casa sua in Campania. Quando e se si ribellava, però, le minacce diventavano vere e proprie aggressioni fisiche. La “padrona” arrivò, come la giovane ha raccontato agli investigatori, a stringerle le mani alla gola per soffocarla. A condividere la sua sorte, ha raccontato la ragazza, c’erano anche altre due giovanissime che però gli inquirenti non sono riusciti ancora a rintracciare.
 
A dare aiuto alla “maman”, 48enne, c’erano il suo compagno di 32 anni e un’altra donna di 38, il cui ruolo sarebbe stato quello di supervisione sulle ragazze in strada. Doveva, cioé, osservare i comportamenti delle giovani e riferire eventuali problemi e insubordinazioni. Adesso rispondono, a vario titolo e in concorso tra di loro, dell’ipotesi di reato di riduzione in schiavitù pluriaggravata.
 
Gli arresti in Campania confermano che quello della prostituzione continua a rappresentare un affare lucroso e importante che arricchisce le cosche criminali africane.
Giovanni VassoGio, 15/02/2018 – 10:46