Biden: “Il Cremlino interferì in Italia sul referendum costituzionale”

renzi bidenDi Maio vola a Washington: “Fedeli agli Usa, non a Mosca”

Italy’s Prime Minister Matteo Renzi (L) meets U.S. Vice President Joe Biden at Villa Taverna in Rome, Italy November 27, 2015. REUTERS/Alessandro Bianchi

a seguire da “La stampa” Biden: “Il Cremlino interferì in Italia sul referendum costituzionale”

se non è fake news questa…certo che le cosiddette democrazie avanzate, quelle che esportiamo a suon di bombe sono così “comprabili” ?

Chi cazzo ha preso i soldi di Putin senza darci un euro?!?!

Secondo Joe Biden (l’ex vice presidente degli Stati Uniti), Vladimir Putin aiutò i sostenitori del No a vincere il referendum costituzionale. Eppure ricordo benissimo che Obama sosteneva il Sì, come puparo di Renzi. Ricordo che il No non aveva praticamente nessun sostenitore “importante” nei mass media e nei poteri forti, tutti schierati per il Sì.

Ricordo che Renzi aveva dalla sua tutti i pezzi grossi, oltre a nani, ballerine e orsi danzanti (persino Vasco Rossi chiese di non usare la sua canzone “C’è chi dice no” per la campagna del No), e che Matteo e Maria Elena erano talmente sicuri di vincere da promettere le loro dimissioni in caso di sconfitta. Ricordo che la campagna per il No l’abbiamo fatta noi cittadini, singolarmente, senza soldi, parlando con le persone per le strade, discutendo giorno per giorno sui social network per spiegare perché bisognava votare No.

Quindi la mia domanda è: chi cazzo ha preso i soldi di Putin senza darci un euro?!?!
9.11.2017 Carmine Monaco
https://www.facebook.com/carmine.monaco/posts/10159897318600093?pnref=story

Biden: “Il Cremlino interferì in Italia sul referendum costituzionale”

La denuncia dell’ex vice presidente Usa: l’offensiva non è finita. Ora la Russia sta aiutando Lega e Cinque Stelle in vista delle elezioni
I «no» al referendum costituzionale del 12 aprile 2016 hanno sfiorato il 60%

La Russia ha interferito con il referendum costituzionale italiano dell’anno scorso, e sta aiutando la Lega e il Movimento 5 Stelle in vista delle prossime elezioni parlamentari. La denuncia viene dall’ex vice presidente degli Stati Uniti Joe Biden, in un articolo pubblicato sulla rivista «Foreign Affairs» insieme all’ex vice assistente segretario alla Difesa Michael Carpenter.

Il saggio si intitola «How to Stand Up to the Kremlin», ossia come fronteggiare il Cremlino, e il catenaccio chiarisce l’obiettivo: «Difendere la democrazia contro i suoi nemici». Durante l’amministrazione Obama, il vice presidente era molto coinvolto negli affari internazionali, e aveva ricevuto in particolare l’incarico di gestire la crisi ucraina. Visto quanto sta avvenendo negli Usa con l’inchiesta sulla collusione tra la campagna elettorale di Trump e Mosca, molti osservatori hanno interpretato questo articolo come la conferma che Biden sta ancora considerando la possibilità di candidarsi alla Casa Bianca nel 2020.

Di Maio: “Soldi dai russi? Fake news, Biden e il Pd imparassero a perdere”

Il testo sostiene che Putin ha lanciato una campagna interna e internazionale per conservare il potere, basata su corruzione, ingerenza militare e politica. Secondo Biden la forza del capo del Cremlino è più apparenza che sostanza. L’economia russa dipende ormai esclusivamente dal petrolio e dal gas, e il calo dei prezzi l’ha profondamente danneggiata, al punto che la capitalizzazione sul mercato di Gazprom è scesa dai 368 miliardi del 2008 ai 52 di oggi. Il consenso politico è molto fragile, e per conservarlo Putin ha puntato su due cose: repressione dell’opposizione, e favoreggiamento della classe corrotta di oligarchi che lo aiutano a restare al potere. Ha creato una «democrazia Potemkin, in cui la forma democratica maschera il contenuto autoritario».

Questa strategia di sopravvivenza ha un importante aspetto internazionale, per almeno tre ragioni: difendersi dall’America, impedire ai Paesi vicini di passare nell’altro campo, e destabilizzare le democrazie occidentali. Biden scrive che gli Stati Uniti non hanno mai cercato di rovesciare Putin, ma lui si è convinto che hanno fomentato le rivolte in Serbia, Georgia, Ucraina, Kirgyzistan, mondo arabo, e le proteste scoppiate tra il 2011 e 2012 in varie città russe. Quindi considera Washington il suo nemico principale, e per difendersi ha orchestrato la campagna di disinformazione finalizzata a influenzare le presidenziali del 2016. Nello stesso tempo non può permettersi che i Paesi vicini, quelli nella sfera considerata di «interesse privilegiato russo», passino dalla parte occidentale, perché darebbero un esempio negativo agli stessi cittadini russi desiderosi di democrazia, libertà e sviluppo. Così si spiegano i vari interventi diretti, tipo Montenegro, Georgia, Ucraina, Moldova, dove ha usato i tentativi di colpo di stato o la forza militare.

Oltre alla difesa della Russia e dei territori vicini, la strategia di Putin comprende anche l’attacco dell’Occidente, per destabilizzarlo dall’interno e renderlo meno capace di contrastare Mosca. In questo quadro si inseriscono le iniziative lanciate per interferire con le elezioni. In Francia l’offensiva è fallita, ma «la Russia non si è arresa, e ha compiuto passi simili per influenzare le campagne politiche in vari Paesi europei, inclusi i referendum in Olanda (sull’integrazione dell’Ucraina in Europa), Italia (sulle riforme istituzionali), e in Spagna (sulla secessione della Catalogna)». Quindi Biden denuncia gli aiuti del Cremlino alla destra estrema in Germania, e aggiunge: «Un simile sforzo russo è in corso per sostenere il movimento nazionalista della Lega Nord e quello populista dei Cinque Stelle in Italia, in vista delle prossime elezioni parlamentari». A questo proposito bisogna ricordare che l’ex vice presidente era alla Casa Bianca, quando nell’autunno del 2016 il dipartimento di Stato inviò una missione a Roma per informare l’ambasciata di Via Veneto sui sospetti di ingerenze del Cremlino, ed era con Obama quando poco dopo ricevette l’allora premier Renzi a Washington.

Biden cita l’Internet Research Agency di San Pietroburgo come uno degli strumenti usati per diffondere ovunque le fake news, e denuncia anche l’uso della corruzione. Ad esempio nel gennaio scorso le autorità di New York hanno accusato la Deutsche Bank di aver riciclato 10 miliardi di dollari dalla Russia, e pochi giorni fa il procuratore Mueller ha chiesto alla banca tedesca di fornire informazioni sui conti che hanno presso di lei Trump e i suoi familiari. L’ex manager della campagna presidenziale, Manafort, è stato incriminato proprio per riciclaggio.

Biden non discute i motivi che potrebbero aver spinto l’attuale capo della Casa Bianca a essere disponibile verso il Cremlino, ma avverte che se lui non difenderà gli Usa e l’interno Occidente da questa offensiva, il Congresso, i privati e gli alleati dovranno farlo al suo posto, per salvare la democrazia liberale.
Pubblicato il 08/12/2017 paolo mastrolilli
http://www.lastampa.it/2017/12/08/italia/politica/biden-il-cremlino-interfer-in-italia-sul-referendum-costituzionale-kga1zMpSJhKCS2yv3aMdMN/pagina.html

 

LA CORTE OBBEDISCE 

14 giudici chiamati a decidere del destino di milioni di disoccupati e lavoratori. 14 persone il cui stipendio non rischia di diventare un voucher decretano la fame e miseria di milioni di persone. MA NON LA CHIAMARE OLIGARCHIA.

Bloccati i referendum sui diritti dei lavoratori. A voucher ed appalti ci penserà il governo con una leggina, ad affossare il voto sull’articolo 18 ha provveduto oggi la Corte Costituzionale
Lunga è la storia delle sentenze politiche della Corte Costituzionale in materia referendum job actreferendaria. Inutile perciò stupirsi dello scandaloso pronunciamento di oggi.
Scandaloso perché, al di là di appigli giuridici che sempre si possono trovare, la sostanza politica è chiara: sulla vergogna del jobs act lorsignori non consentono di discutere, tantomeno di votare.
 
La cosa è ancor più grave oggi, considerato quanto il tema della precarietà del lavoro sia sentito in questo momento nella società.
Ed è ancor più grave dopo la grande partecipazione del 4 dicembre, che ha mostrato quanto sia forte il desiderio popolare di riappropriarsi dello strumento referendario.
Forse è proprio per questo che si è voluto dare un chiaro segnale di chiusura.
Insomma, il sistema si blinda.
Non facciamoci adesso ingannare dal fatto che gli altri due quesiti – sui voucher e sugli appalti – siano stati ammessi dalla Consulta.
Su questi due temi siamo certi che non si voterà.
Troppo facile è la strada di una modifica di facciata, giusto per cancellare il ricorso alle urne.
Modifica che potrà avvenire nelle prossime settimane, o magari anche più avanti qualora il tutto venga superato dallo scioglimento delle camere, ma che comunque avverrà.
 
Che dire allora del commento quasi trionfalistico di un Di Maio che, anziché criticare la cancellazione del voto sull’articolo 18, ha affermato che «Questa primavera saremo chiamati a votare per il referendum che elimina la schiavitù dei voucher»?
Di Maio, ma ci sei o ci fai?
Questa primavera non ci sarà nessun referendum, perché continuare a vendere simili panzane?
 
Come ha notato la stessa Camusso, nelle settimane scorse forti sono state le pressioni sulla Corte.
Forti e manifeste come mai accaduto nel passato.
Dai palazzi della politica, come dai potentati economici, si è fatto sapere cosa si voleva in maniera esplicita.
E si è perfino pubblicamente parlato dell’uomo che ha funzionato ad un tempo da collettore di queste richieste e da promotore di una “soluzione politica” che niente ha a che fare con il diritto. Quest’uomo è Giuliano Amato: un nome, un programma.
Mai come questa volta è stata chiara fin dal principio la divisione del lavoro tra Consulta e governo. Un modo di procedere che deve far pensare anche in vista della sentenza, prevista per il 24 gennaio, sull’Italicum.
La decisione di posticipare di brutto questa sentenza, inizialmente prevista per il 4 ottobre scorso, è sempre sembrata un robusto aiutone ai tanti che vogliono portare la legislatura fino al febbraio 2018.
Non solo.
Se tanto mi da tanto, la fedeltà sistemica dimostrata oggi dalla Corte fa pensare ad una sentenza che lasci in qualche modo spazio a nuove porcherie di tipo maggioritario comunque mascherate.
Detto in altri termini, nello scontro interno al blocco dominante tra il gruppo di potere renziano che vuole andare alle urne entro giugno, ed il vasto partito del rinvio del voto che punta alle “larghe intese”, la Corte Costituzionale si è chiaramente schierata con il secondo.
Noi, ovviamente, non abbiamo preferenze tra questi due schieramenti, entrambi nemici.
Ma resta il fatto – gravissimo – di una Corte Costituzionale asservita ai poteri oligarchici.
Non è certo una novità nella storia italiana, e probabilmente i membri di nomina più recente non hanno certo migliorato la situazione. Una ragione di più per mobilitarsi in vista del 24 gennaio.
 
In quanto ai diritti dei lavoratori, cancellati con il Jobs Act, toccherà al nuovo parlamento ripristinarli.
Che tutti, a partire dalla Cgil e dai Comitati per il NO, ne facciano da subito un tema centrale della prossima campagna elettorale, costringendo tutte le forze politiche a pronunciarsi chiaramente sul tema.
di Leonardo Mazzei 11/01/2017

Giorgio Napolitano, o della necessità dell’élite

Questione: il padre nobile della “riforma” ha dunque perso e, superati i 90 anni, si ritira con la coda fra le gambe, come scrivono alcune giornastute?
La risposta è già scritta nelle sue gesta durate già sette decenni: il grande commesso dei dominanti (a stelle e strisce, in this case) non solo non va mai in pensione, ma non conosce nemmeno giovinezza e maturità adulta. Per questa personificazione le età della vita non esistono: egli serve sempre coloro i quali deve servire (che ovviamente possono cambiare restando il mondo lo stesso) e non si arrende mai.
Se gli riesce (e spesso purtroppo è così), farà poi più danni da morto che da vivo.
Napolitano è incarnazione di tutto questo e non può “uscire dalla parte”: da quando magnificò le sorti dell’Operazione Barbarossa scrivendo nella rivista dei G.U.F. a quando conobbe Togliatti durante la “svolta” di Salerno, da quando terrorizzò la sua base operaia del PCI tuonando contro le barricate ungheresi del ’56 a quando diede addosso proditoriamente ex cathedra al valente fisico Marcello Cini a colpi di “materialismo dialettico”.
Senza dimenticare quando Napolitano fece da spalla a Berlinguer nella demolizione del partito mediante la “linea della fermezza” durante il sequestro Moro a quando lui stesso diventò il “comunista” preferito di Kissinger, di perlina in perlina golpista fin quando brigò per l’ennesimo alto tradimento della patria e della sua costituzione nel corso del 2011, che è la stagione nella quale ci muoviamo ancora oggi e che, purtroppo, non finisce adesso nonostante la sonora batosta inflittagli dal NO popolare.
A dimostrazione della tesi (Napolitano non uscirà di scena nemmeno dopo il 4 dicembre: anzi, colpirà ancora, e fortissimamente), giocano due pensierini che l’esimio “uomo delle istituzioni” ha provato a tradurre in esternazioni nelle ultime settimane.
In primo luogo, ci ha spiegato che lui stava lavorando per la riforma della costituzione “da oltre trent’anni”, tramando dai suoi mutanti ma sempre alti uffici: e guarda caso rimontiamo precisamente al periodo dell’affaire Moro e all’avvio della dissoluzione finale del “suo” PCI: un giro di boa cruciale per l’intera storia repubblicana, culmine degli esperimenti dei dominanti nel loro “laboratorio Italia”, dal quale si dipartiranno i sentieri che portano all’oggi, compresi quelli più direttamente economico-finanziari che passarono dall’accettazione dello SME al “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia.
Credete voi che un simile lavoro di lunghissima lena possa essere messo in discussione dall’esito del referendum? Non sia mai: le “masse maleducate” se per caso votano contro i dominanti vanno riportate sulla retta via: Giorgio ‘o Sicco” conosce i metodi e sa giocare con più mazzi nella stessa mano… L’ètà tarda non conta granché: e anche Mattarella, presto e banalmente, dovrà avere il suo consiglio quale presidente emerito.
In secondo luogo, Napolitano non può proprio esimersi dal diffondere urbi et orbi le motivazioni finanche “filosofiche” delle sue condotte. Recentemente ha chiarito che «non esiste politica senza professionalità come non esiste mondo senza élite».
Sono le élite a fabbricare il (nostro) mondo: è il loro fardello, e non possono per nessuna ragione scaricarlo sui popoli, che non lo sopporterebbero. In Napolitano spunta sempre l’ombra del Grande Inquisitore, un altro figuro che non va mai in pensione… Il popolo voti come vuole: dell’élite non può fare a meno, nel suo stesso “interesse”, seguendo la logica della sua stessa “sopravvivenza”. La democrazia: e chi ce l’ha? (cantava Rino Gaetano): ce l’ha l’élite, per “necessità” della “nostra sociatà”, per sopravvivenza appunto.
Allora, dopo il 4 dicembre è tutto più chiaro se vogliamo guardare oltre lo schermo di fumo: l’establishment su suolo italico, con in testa i suoi servi più collaudati, lavorerà incessantemente alla sua agenda aggiornando le mosse e qualche nome sul davanti della scena.
Giorgio Napolitano è impegnato come mai prima, e nottetempo non disdegna di ritoccare il suo “testamento spirituale”: perché stavolta bisogna anche pensare ad un degno erede che ne perpetui i disegni senza cialtroneria da “lascia e raddoppia”: piccoli inquisitori cercasi.
La necessità dell’élite partorirà presto i traghettatori e i vestiti da far indossare ai novelli ciambellani dell’imperatore. Ma scordatevi che dall’interno dei suoi arcana possa essere uno come Napolitano a rivelare l’identità dei cavalli sui quali stanno puntando. La funzione è e verrà delegata a gente come il Financial Times o l’Economist: si sono già fatti avanti con i pentastellati e con il giovane nuovo “uomo delle istituzioni”: Luigi Di Maio.
Avete prurito all’orecchio o vi si aprono diversi pensieri?
Hasta la (buena) vista.
Da Redazione Dic 06, 2016  di Irene Corbacci

JUNCKER CONDANNA COME IRRESPONSABILI GLI ELETTORI ITALIANI CHE HANNO VOTATO NO AL REFERENDUM COSTITUZIONALE

allarme allarme Sono euroscettici che avanzano, PERICOLO per la democrazia (quella che non consente le elezioni per il bene del popolo, s’intende) i populismi spaventano le elites tecnocratiche banchiere affariste.

junkerIl britannico Express commenta la reazione del presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, alla vittoria del NO nel referendum costituzionale italiano. In una pervicace negazione della realtà, Juncker continua a parlare di irresponsabilità e populismo degli elettori del NO e però confida che alla fine il popolo “si renderà conto” che essere dentro la UE è una buona cosa.
(Di fronte a queste uscite delle istituzioni europee, quale migliore risposta di una distaccata ironia…)
di Rebecca Perring, 06 dicembre 2016
Jean-Claude Juncker ha decretato che gli elettori italiani che hanno votato “NO” al referendum costituzionale sono degli irresponsabili, e si è spinto a mettere in discussione il loro buon senso.
Ma il disperato boss di Bruxelles è ancora aggrappato al sogno del progetto europeo, quando afferma che “la gente si renderà conto che stiamo meglio se stiamo insieme“.
L’eurocrate capo ha fatto una serie di cupe osservazioni a seguito del risultato del referendum italiano, risultato che ha ulteriormente destabilizzato il già pericolante progetto dell’Unione europea.
Il duro verdetto del referendum, che ha portato il primo ministro italiano Matteo Renzi a presentare le dimissioni dopo che l’Italia ha votato contro la sua proposta di riforma costituzionale, si avvia a spianare la strada agli euroscettici del Movimento Cinque Stelle. La loro ascesa rappresenterebbe una spinta per il paese verso l’uscita dall’eurozona,  farebbe crollare l’euro e metterebbe in dubbio tutte le politiche economiche.
Dopo la sconfitta di Renzi, Juncker si è espresso così: “Il risultato italiano è una delusione, c’era la possibilità di rendere il paese efficiente e l’hanno sprecata. Viviamo in tempi pericolosi.”
Alla televisione pubblica olandese NPO ha detto: “Gli elettori del NO, i populisti, pongono dei quesiti ma non danno alcuna vera risposta.
A volte pongono le giuste domande, ma non hanno le risposte giuste. I populisti non si assumono responsabilità.
Le sue accuse sono giunte dopo aver sottolineato come alcuni leader euroscettici siano stati coinvolti nelle trattative per portare la Gran Bretagna fuori dal malridotto blocco europeo.
Ad ogni modo, nonostante i suoi commenti sensazionalisti, il presidente della commissione Ue non ha perso le speranze sul futuro dell’unione, e ha detto che il progetto sopravviverà.
Ha aggiunto: “Credo che alla fine dei conti prevarrà il buon senso europeo. La gente si renderà conto che stiamo meglio se stiamo insieme.
I commenti di Juncker arrivano dopo che una serie di politici di destra hanno esultato per la decisione dell’Italia e hanno acclamato la vittoria del NO come la fine della crisi della Ue.
dicembre 07 2016

Referendum, fuga dei testimonial del Sì: “Toglieteci dal sito”

I volti noti dello spettacolo cercano l’oblio dopo la sconfitta di Renzi al referendum: “Quando scompare il nome dal sito?”
Qualcuno ha iniziato a muoversi per cercare l’eclissi. Mediatica, s’intende. Dopo aver appoggiato con forza le ragioni del Sì al referendum, i grandi nomi che hanno apposto la loro firma sul sito “Basta un Sì” stanno cercando di capire se è possibile togliere il loro nome dall’elenco degli sconfitti.
La fuga dei sostenitori del Sì
Una sorta di fuggi fuggi di cui dà conto oggi Tommaso Labate su il Corriere della Sera. “Forse non è il momento di chiedervelo – avrebbe detto qualche nome famoso del mondo dello spettacolo – Ma sapete quanto rimarrà online il sito del Sì? Non perché la firma all’appello, se possibile…”. Imbarazzo, insomma. O forse soltanto il desiderio di evitare che la debacle elettorale possa avere conseguenze professionali: calo degli ascolti, fan infuriati, eccetera eccetera.
Intanto sui social network è partita la “caccia” ai sostenitori della riforma renziana. Michele Santoro è stato accusato da più parti di essersi pronunciato a favore della riforma. Anche la sua ex giornalista Luisella Castamagna l’ha bacchettato pesantemente. Di certo i volti noti dello spettacolo e della tv sono rimasti sopresi dalla sconfitta di Renzi. E ora vorrebbero evitare di pagarne anche loro le conseguenze.
Claudio Cartaldo – Mar, 06/12/2016 – 12:18

Ecco la prima dura risposta dell’Unione Europea alla vittoria del NO

dicembre 06 2016
ordini UeCome avevo avuto modo di anticipare qua e ribadire anche nel mio post di stamattina, finita la farsa del supporto a Renzi e alle sue riforme arriva la prima mazzata dalla UE per l’Italia, in particolare sulla legge di bilancio per il 2017.
Le istituzioni avevano dato una tregua al governo italiano fino al 5 dicembre ma poi avrebbero picchiato duro senza pietà: e la prima mazzata arriva dall’Eurogruppo, che si è riunito stamattina per, tra le altre cose, valutare i draft budget degli stati membri per il 2017.
Ecco quali sono le conclusioni per il bilancio italiano, che già vi avevo anticipato mentre tutti i giornalai stavano a contare lo 0,1% di flessibilità in più o in meno.
Il giudizio dei ministri delle finanze dell’Eurozona non lascia spazio a fraintendimenti: come potete leggere il bilancio 2017 del nostro Paese è a rischio di non conformità con le regole prescritte dal Patto di Stabilità e Crescita e dalla sua revisione.
Il pomo della discordia è il deficit strutturale e l’Obiettivo di Medio-Termine (MTO) del bilancio in equilibrio: Renzi si era impegnato con la UE, in cambio della flessibilità concessa lo scorso anno, a migliorare il saldo di bilancio strutturale (cioè al netto delle componenti straordinarie) dello 0,6% del PIL, mentre la proposta presentata da Padoan prevede un peggioramento dello 0,5%.
Altro che qualche punticino di PIL, parliamo di circa €15 miliardi di differenza! E ora l’Eurogruppo, pur riconoscendo gli sforzi eccezionali per terremoti e migranti, chiede una pesante correzione e demanda alla Commissione Europea di indicare al governo italiano i passi necessari per ridurre il debito secondo le nuove e stringenti regole di bilancio varate in risposta alla crisi post-Lehman.
 
I suggerimenti dell’Eurogruppo? Privatizzazioni selvagge e di utilizzare tutte le entrate straordinarie per ridurre il debito.
Ieri il No ha salvato formalmente la Costituzione Italiana del 1948, che però, indipendentemente da tutto rimane disapplicata nei suoi principi fondamentali; per tornare a farla vivere e ridare prosperità e speranza, è necessario rigettare gli assurdi vincoli europei che ci stanno asfissiando e che non ci permettono di mettere in atto le politiche di cui il Paese e i cittadini italiani avrebbero bisogno. QUI trovate tutte le decisioni dell’Eurogruppo odierno e la foto sotto si riferisce al paragrafo sull’Italia =>
Marco  Zanni,  europarlamentare M5S
– di Marco Zanni per Sollevazione –