TRUMP TOWER BLUEPRINTS STOLEN FROM SECRET SERVICE

laptop-trump-towerma guarda il caso. Saranno contenti i seguaci di Killary  pro globalizzazione pro finanza antipopulisti doc.

TRUMP TOWER BLUEPRINTS STOLEN FROM SECRET SERVICE

Trump family lives in tower
A laptop containing blueprints for the Trump Tower and other security information was stolen from the Secret Service, multiple outlets reported.
 
The laptop, which also contained tower evacuation procedures as well as data from the Hillary Clinton email investigation, was taken from a Secret Service agent’s vehicle parked at her home in Brooklyn on Thursday morning.
 
Security footage showed an individual being dropped off by a car near the agent’s home, then taking off on foot after stealing the laptop.
 
“The agent also told investigators that while nothing about the White House or foreign leaders is stored on the laptop, the information on there could compromise national security,” reported the New York Daily News. “The thief also took ‘sensitive’ documents and the agent’s access keycard, though the level of the agent’s access wasn’t immediately clear.”
 
A police officer involved said the investigation was a “very big deal” to the Secret Service. “While the president hasn’t been back to Trump Tower since his inauguration, Melania and Barron are still living there until he finishes the school year,” reported TMZ.
 
Earlier in the week, the NYPD admitted it was setting up a new security detail with cherry picked officers after spending months struggling to guard the tower adequately.
 
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Elezioni francesi: secondo un sondaggio segreto, Marine Le Pen è molto più avanti dei rivali

se vincesse piuttosto l’ammazzano. Per salvaguardare la democrazia ovviamente.


La Le Pen vicina al 34% nei sondaggi segreti –  Un editorialista del quotidiano francese Le Figaro ha detto che nei veri sondaggi il Front National è ben sopra il 30% nelle intenzioni di voto al primo turno.


Anche i sondaggi pubblici la danno davanti al primo turno, col 26-28%, ma perdente al secondo. Un 30% al primo turno, tuttavia, potrebbe aumentare di molto le chance di vittoria il 7 maggio.

Nel suo recente articolo sui falliti sforzi dei media di contrastare la Le Pen, l’editorialista Ivan Rioufol cita indagini nascoste che mostrano la candidata avere il doppio del 16,86% di suo padre nel 2002.

La “linea Maginot” del politicamente corretto delle élites francese non resiste più alla rabbia popolare, scrive Rioufol, aggiungendo che le minacce degli intellettuali di sinistra di abbandonare il paese altro non fanno che aiutare il FN. Lo stesso effetto ha l’allarmismo dei media su un “ritorno agli anni ’30”.

I media francesi ora contemplano apertamente una vittoria della Le Pen, riferendosi al suo partito come ‘alle porte del potere’, un’eventualità fino a poco tempo considerata impossibile.

Il presidente uscente, François Hollande, che descrive come suo ‘dovere finale’ il prevenire la vittoria dei nazionalisti, ha recentemente ammesso che lei può vincere. In privato, Hollande teme che l’appoggio alla Le Pen sia sottostimato nei sondaggi e che un punteggio alto nel primo turno potrebbe rendere difficile per qualsiasi rivale batterla nel secondo.

A cinque settimane di distanza dal primo turno di votazione del 23 aprile, i principali candidati si affronteranno stasera in un dibattito televisivo a Parigi, in onda sulle tv francesi TF1 e LCI. Si dibatterà di sicurezza ed immigrazione, economia e ruolo della Francia nella scacchiera mondiale. Con una campagna imprevedibile e in rapida evoluzione, e la sensazione che questo sia un momento cruciale per la Francia, il confronto probabilmente attrarrà una vasta audience e sarà sulle prime pagine martedì.

Damien Cowley 20.03.2017

Link: http://www.thegatewaypundit.com/2017/03/french-presidential-race-marine-lepen-far-ahead-rivals-secret-polling/

Traduzione a cura di comedonchisciotte.org

A sessant’anni dai Trattati di Roma: “vertici” e “celebrazioni” che hanno fatto il loro tempo

trattati romail popolo dovrebbe festeggiare la troika che li dissangua a suon di austerità? Ah già si deve altrimenti si è populisti….


Piccolo esempio di come gettano al vento i nostri soldi: i festeggiamenti per i 60 anni del Trattato di Roma che istituì la Comunità Economica Europea.

Pensate a quanto costerà quest’inutile ed autoreferenziale fanfaronata, anche solo dal punto di vista della “sicurezza”. Da giorni cercano di coinvolgerci emotivamente con le “informative dei nostri (?) 007″: l’Isis, i Black Bloc, la Banda Bassotti, Fantomas e pure il Jolly Joker caleranno sulla Città Eterna per metterla a sacco!

Ma se proprio hanno tanta voglia di festeggiare, perché queste nullità “europeiste” non s’incontrano da qualche parte, in un esclusivissimo albergo di montagna, cenano a caviale e champagne, si scambiano baci e abbracci, leggono un paio di banalità dei “padri dell’Europa” e poi se ne tornano ordinatamente a casa loro? D’altronde non è quello che fanno quando si riuniscono per il Bilderberg, la Trilaterale, al Bosco Boemo e via cospirando?

Invece no: devono imporre questa “festa” a Roma perché tutti la devono vedere, spendendo cifre assurde per le delegazioni, la farsa della “sicurezza” (ma chi vi fila!) e l’immancabile parterre di ‘escort dattilografiche’ al seguito, tutti pagati dal mitico ed esangue “contribuente”.  E questo senza citare il disagio che questi “summit” provocano nella cittadinanza, espropriata della città per far posto a Sua Maestà l’oligarchia europoide.

Viene sinceramente il dubbio che uno degli scopi dell’evento sia effettivamente quello di far calare dei “contestatori”, che come al solito spaccheranno tutto, dai cassonetti dell’immondizia alla vetrina della bottega del pizzicagnolo, dalle cabine del telefono alla macchina del ragionier Fantozzi parcheggiata sotto casa, che, si sa, sono i simboli per antonomasia dei “padroni”.

Solo di agenti in servizio, questa orgia auto-celebrativa che poteva essere evitata organizzando una comoda audio-conferenza gratuita su Skype, costerà un capitale che, in tempi di deprecati “sprechi”, dovrebbe far sobbalzare sulla sedia di strapagati grilli parlanti i vari professionisti della berlina per “la Casta” ed i suoi vizi, che invece taceranno come tacciono sempre quando annusano pericoli per il loro quieto vivere.

Eppure è tutto così evidente. Ora, tutto questo dispendio di soldi ed energie per mettere intorno a un tavolo i cosiddetti “grandi della terra” può verificarsi puntualmente ed impunemente perché in giro non c’è manco il barlume di una “coscienza storica”. Ma avendo il sottoscritto una preparazione da storico contemporaneo, non mi può sfuggire un particolare non da poco.

Fino a qualche decennio fa gli “incontri al vertice” erano davvero appuntamenti importanti, preparati per mesi, nei quali si decideva qualcosa. Penso, prima della Seconda guerra mondiale, alle Conferenze di Stresa o di Monaco. Oggi, ogni settimana c’è un “vertice”, fatto tanto per fare, per dare l’impressione che esista una politica estera espressione della volontà dei politici. Un inutile ed indecoroso walzer di facce di bronzo che girottolano con le loro cartelline di cui ignorano i contenuti, con un codazzo di delegazioni da fare spavento, più alberghi e cene e via sperperando, fino all’immancabile foto di gruppo (o di classe, da bravi scolaretti che hanno fatto bene i “compiti”) da dare in pasto alle agenzie e ai tiggì, senza che di tutto ciò – intendiamoci – resti traccia nella Storia…

Ecco, di questi sessant’anni dei Trattati di Roma, di cui non frega assolutamente nulla a nessuno, rimarrà probabilmente solo l’ennesimo ammanco di cassa, di danari nostri estorti dal nostro sudore ed andati in cene, conferenze, parate, alberghi, leccapiedi e pattugliamenti di terra, del cielo e dell’aria; e forse, come sussurra qualche malalingua, in dame di compagnia ed altro “materiale umano” per allietare le notti dei convenuti, di certi particolari convenuti alla “festa” di un’Europa senz’anima nel vero senso della parola.

Sì, perché non è credibile mettere su un piano – quello del “terrorismo” – tutti i cattivi pronti a rovinare la “festa” e presentare come delle mammolette prese a studiare il meglio per noi gli stessi che, un colpo dietro l’altro, “commissariando” le nazioni europee, ci hanno esautorato di ogni sovranità, esponendoci oltretutto al pericolo di “spectre” che, come le migliori inchieste hanno dimostrato (Meyssan, Estulin…), sono fabbricate nello stesso esatto luogo dal quale escono i “rispettabili” cantori della “globalizzazione”, di cui questa “Unione Europea” è una diretta ed evidente espressione.

di Enrico Galoppini – 23/03/2017 Fonte: Il Discrimine

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=58553

Eclisse della Politica o sua trasformazione?

massoneria parlamentoIl politico è finito, nel senso che non c’è classe, né frazione di una classe politica che possa attualmente contare sulla volontà popolare; per cui, non rappresentando di fatto nessuno, costoro si trovano in una situazione completamente falsa.
Jean Baudrillard [Lo showman politico nello spazio pubblicitario]
 
Parto da questa affermazione dello scomparso filosofo e sociologo francese Baudrillard, che risale agli anni ottanta ed è calata in quella realtà sociopolitica, di passaggio dal capitalismo del secondo millennio al neocapitalismo a vocazione finanziaria di oggi. Già allora cominciava a essere evidente la crisi della politica e della rappresentanza, in Europa e in occidente.
Attraversando i “futili”, ma problematici anni ottanta della morte delle ideologie e del riflusso nel privato – in verità trasformativi sopra e, soprattutto, sotto la superficie – ci si imbatteva nella questione della “morte della Politica”, quella con la p maiuscola, o quantomeno quella che aveva caratterizzato l’epoca precedente. In particolare, eravamo già consapevolmente distanti dalla celebre definizione di Politica, che si deve ad Aristotele, intesa come amministrazione della πόλις, non solo perché il sistema e il mondo culturale della polis erano defunti da lunghissima pezza, ma anche perché la crematistica tendeva a prevalere, in modo sempre più deciso, sulla buona amministrazione .
 
Per non dire di quella definizione (meno nota al grande pubblico) offerta dal celebrato politologo italiano Giovanni Sartori, che concepiva la politica come una sfera in cui avvengono le decisioni collettive. Ciò non toglie, però, che negli anni ottanta c’era ancora un contatto (destinato progressivamente a scomparire) fra l’agire politico e l’amministrazione della cosa pubblica, da un lato, e una quantomeno supposta volontà popolare, dall’altro lato, sia pur frammentata e rispondente a specifici interessi di classe.
Inoltre, non si poneva in modo così drammatico, come si pone oggi in un habitat compiutamente neocapitalistico, la questione dirimente, rispetto al problema dell’eclisse o della trasformazione della Politica, che riguarda la ”devoluzione” di sovranità dello stato nazionale, a partire dalla moneta.
Se dovessimo guardare a quello che sta accadendo oggi in Italia, in particolare all’interno dell’entità di governo chiamata Partito democratico, calandoci in una realtà sociopolitica completamente nuova rispetto agli ottanta, non potremmo che stigmatizzare l’errore di fondo di Jean Baudrillard, quando affermava che il politico non rappresenta più nessuno, avendo smarrito persino la sua specificità. Non abbiamo assistito, negli ultimi tre decenni, a un’abdicazione della Politica, con lo spazio pubblicitario che ha semplicemente sostituito quello pubblico, lasciando il campo sgombro al Libero Mercato. La sostanza della trasformazione è nell’appropriazione della decisione politica da parte di una nuova classe dominante globale, sopranazionale, che ha eclissato gli interessi vitali delle classi dominate, espellendoli dalla Politica stessa.
Questa classe, in sostituzione della vecchia borghesia proprietaria, ha costituito una rete di organismi sopranazionali che ha “svuotato” di competenze lo stato nazionale e ha occupato, per conto delle élite, lo spazio politico un tempo conteso, avocando a sé le decisioni strategiche, per evitare il fastidio di dover confrontarsi con la “volontà popolare”.
Nello specifico caso italiano, il Partito democratico – informe e variegata entità collaborazionista delle Aristocrazie del denaro e della finanza – qualcosa di certo rappresenta, anche se non è in relazione con la volontà popolare, come la intendeva, a suo tempo, Baudrillard. Non assistiamo a complessi fenomeni “transpolitici”, all’impossibilità assoluta di governare (sempre Baudrillard negli anni ottanta). Assistiamo impotenti, noi che viviamo questi anni “terminali”, a una completa ridefinizione della “sfera politica” di Sartori, in cui dovrebbero manifestarsi le decisioni collettive. Come ci è ormai evidente, l’unico nesso fra l’agire politico del Pd e la sua amministrazione della cosa pubblica è con gli interessi, imperiosamente imposti ai popoli e al fondo della piramide sociale, della classe dominante globale postborghese, a vocazione finanziaria.
Con il senno di poi, a giochi fatti, comprendiamo che gli interessi di classe elitisti e la sottrazione di sovranità allo stato nazionale sono i due aspetti predominanti della trasformazione della Politica, che diventa, per noi dominati, una politica con l’iniziale minuscola, completamente subordinata (come il Partito democratico) alla decisione strategica elitista – quella sì veramente Politica!
 
Ne consegue che lo psicodramma dell’entità Pd, in corso in questi giorni in Italia, avviene in una “sferetta” secondaria, o meglio terziaria, nella dimensione locale di uno stato nazionale sottomesso, in cui si attuano i programmi decisi da altri. Programmi che corrispondono ai desiderata e ai diktat della Global Class, internazionalizzata quanto i capitali finanziari che gestisce per assicurare la riproduzione sistemica.
Tornando al Sartori studioso di scienza della politica e alla sua “sfera” delle decisioni collettive, oggi le sfere politiche sono tre.
La più alta e importante corrisponderebbe alla Politica con l’iniziale maiuscola e, per la precisione, all’Empireo molto mondano in cui vivono le élite globali che confondono i loro interessi privati, di arricchimento e dominio, con gli interessi collettivi.
La seconda sfera è un riflesso importante del sistema di potere elitista, nello spazio sopranazionale riservato agli organi della mondializzazione neoliberista, in cui si elaborano le linee di politica strategica da applicare, successivamente, negli stati nazionali tributari e svuotati di potere decisionale (come L’Italia governata dall’entità Pd).
 
La terza sfera, la meno importante fra le tre dal punto di vista della Politica, è la dimensione nazionale, in cui collaborazionisti sub-politici delle élite, soggetti all’autorità degli organi della mondializzazione attraverso i vincoli dei trattati, traducono in norme e decreti specifici (legge Fornero, jobs-act, tentata riforma costituzionale, milleproroghe liberalizzanti, eccetera) le predette linee programmatiche, aderenti agli interessi privati elitisti.
La catena di trasmissione delle decisioni di politica strategica è perciò la seguente: Global class strategica che decide in base ai propri interessi, organismi sopranazionali che elaborano i programmi a livello alto, semi-stato neoliberista, retto da collaborazionisti, che applica pedissequo.
 
Oggi non vi è un’eclisse della Politica, quella di più alto livello che decide, ma una sua trasformazione che penalizza i popoli e le classi dominate, con un impianto di potere effettivo che li esclude dalla partecipazione alle decisioni che contano. Anche se sono rimaste in piedi le vecchie istituzioni dello stato liberale, mantenendo gli stessi nomi del passato – governo, parlamento, presidenza della repubblica, eccetera – la loro funzione risulta diminuita e anche la loro “rappresentatività” è cambiata.
La stessa “antipolitica” che si starebbe diffondendo a macchia d’olio nella società, secondo la narrazione mass-mediatica, non è che un riflesso di questo cambiamento, che non va nel senso ipotizzato da Baudrillard negli anni ottanta. Non vi è totale indifferenza politica dei cittadini verso le questioni pubbliche e una sorta di impossibilità dei rappresentanti politici di “veicolare veramente i problemi”, nonché la scomparsa della specificità della Politica. C’è semplicemente la percezione, più o meno vaga, ma sempre fondata, di non essere rappresentati nei propri interessi vitali.
Si hanno di fronte rappresentanti che rappresentano i soli interessi della classe dominante, agendo sempre più scopertamente contro il popolo. In verità, l’”antipolitica” di oggi nasce dall’esclusione completa dei dominati dalla decisione Politica, che neppure l’apparato mass-mediatico, ideologico e accademico asservito alle élite riesce più a nascondere, con le sue menzogne.
 
Non eclisse della Politica, quindi, ma trasformazione della stessa e soprattutto completo spostamento verso il culmine della (nuova) piramide sociale di ogni decisione strategica che ci riguarda. La Politica esisteva ai tempi di Aristotele, in quelli di Machiavelli, di Locke e continua ad esistere ai giorni nostri, perché è improbabile che un “animale sociale” come l’uomo possa farne a meno. Può, al contrario, sentirne la mancanza, come le masse che sarebbero attratte dall’”antipolitica”, proprio perché private di rappresentanza all’interno del sistema.
 
Si dovrebbe comprendere, come avvertiva il filosofo politico “nazista” Carl Schmitt nel definire il concetto e le categorie di ciò che è politico (Der Begriff des Politischen), che la distinzione fra amico e nemico è qui fondamentale. Riappropriarsi la “sfera” Politica, con l’iniziale maiuscola, implica la volontà di combattere il nemico che l’ha espropriata, dopo averlo chiaramente individuato.
di Eugenio Orso – 26/02/2017 Fonte: Pauperclass

Francia: la Massoneria attacca il Front National

grand-orient-franc_interna-nuovala massoneria preferisce candidati fedeli alla linea politica ammazzapopolo. Sono dell’elites, disprezzano il popolo. Fa ridere pensare che la loro cosiddetta filosofia umanistica sia dedita al benessere di tutti gli uomini, ste balle propagandistiche sono ormai lampanti a tutti.Ah quanto amavano Hollande, esempio di “opera” in favore del benessere di tutti i francesi no? Tali valori sono compatibili con il loro arricchimento, il famoso 1% contro il 99%. E’un onore essere nemici di questi oligarchi sanguisughe

Francia: la Massoneria attacca il Front National
 
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Massoneria francese si traformò in un saldo  referente ideologico  dei politici francesi. Gli anni ottanta, con Francois Mitterand come presidente, furono l’epoca dorata di questa associazione “discreta”.
“I valori del Front National sono contrari all’umanesimo che si trova nel cuore della filosfia massonica.  Sono queste la parole di Pierre Mollier, il conservatore del Museo della Massoneria di Parigi e membro di rilievo del Gran Oriente di Francia, la principale loggia massonica del paese. Questa loggia è talmente importante che lo stesso presidente francese Francois Mitterand (noto massone) si è recato lo scorso Lunedì a rendere omaggio ai suoi “fratelli di compasso”  ed ha pronunciato un discorso di quasi una ora in cui ha esaltato la massoneria ed ha detto che “la mia presenza costituisce un riconoscimento di quello che avete sempre fatto per la Repubblica. La Repubblica sa quanto vi deve e come sempre sarete pronti a difenderla”.
Appena dopo aver pronunciato queste parole, quando la candidata del Front National alla Presidenza inizia ad essere la sicura candidata a vincere le elezioni della prossima primavera, i portavoce della massoneria (influentissima in Francia)  hanno attaccato la formazione identitaria francese. Loro, i massoni,  la considerano la principale nemica della filosofia massonica.
Oltre ha questo si è comunicato dalla Loggia massonica che tutti i candidati, meno quelli del Front National, sono invitati a partecipare alle sessioni e conferenze organizzate.  Per quanto la massoneria non voglia identificarsi con alcuno dei candidati,  hanno dichiarato: “Nessuno degli aspiranti a vincere le elezioni del 23 Aprile è un massone attivo”, -ha detto Mollier – ma loro sanno ben chiaro chi è il loro nemico: il Front National ed i gruppi Provida (nazionalisti cattolici).
 
Si sapeva che alla massoneria appartengono una buona parte dei politici della sinistra socialista e mondialista come anche molti degli eminenti banchieri e manager di Stato in Francia e che molti di loro furono inclusi nelle liste elettorali alll’epoca di Mitterandi e dello stesso Jacques Chirac (figlio di un massone). Erano gli anni della legalizzazione ed estensione dell’aborto, degli attacchi alla famiglia, dell’eutanasia, ecc..
Dopo quell’epoca la massoneria si è globalizzata e gli attacchi adesso sono diretti contro i concetti di difesa dell’identità e della sovranità delle Nazioni e di una Europa contraria a consegnare la sovranità alle istituzioni della UE.
Questo è il principale confronto che che impostano nelle loro interviste i principali esponenti massoni francesi come Mollier o lo stesso Chistophe Habas, gran maestro del Grande Oriente di Francia.
Tuttavia gli attacchi della Massoneria non soltanto si concentrano contro il Front National e la sua candidata alla Presidenza, Marine Le Pen. La mobilitazione fatta in Francia in difesa del diritto alla vita, da parte di “Manif Pour Tous”, anche questa è stata oggetto di critiche da parte dei massoni ed ha segnalato che gli attacchi contro il “matrimonio gay” e l’aborto sono contrari al laicismo che è l’essenza del regime e dell’ideologia massonica.
Traduzione: L.Lago
Mar 03, 2017

Contro ogni probabilità

no trumpIl grasso faccione di Michael Moore appare sempre indecente, come i genitali di uno di mezza età. Quello sciatto ciccione farebbe marciare le vecchie babbione anche senza il “pussyhat” (cappello rosa con orecchie da gatto, simbolo della protesta contro Trump – ndt). Basta la sua faccia. Sembra proprio George Soros: la stessa oscena Femminuccia. Secondo me è la sua faccia che lo condanna: come diceva Oscar Wilde, “tutte le creature brutte sono anche immorali”.
 
Basta guardare Madeleine Albright, altra Femminuccia.   Ma se vi serve qualche altro elemento diciamo anche che il suo “Stupidi Uomini Bianchi” è il libro più esecrabile pubblicato negli Stati Uniti in questo secolo. In esso sostiene che se i passeggeri degli aerei del’11 settembre fossero stati neri il dirottamente non avrebbe avuto successo.
E ora Femminuccia scopre i piani nascosti di Putin e chiede “l’insediamento della Clinton perché Trump é una spia russa”. Anni fa ha parlato contro la guerra in Iraq: ora invoca l’Armageddon nucleare. Con simili nemici intorno, non dobbiamo rinunciare a Trump.
Trump è finito, urlano sia i suoi fan che i suoi detrattori. E’ sconfitto, a terra, non si rialzerà più. E’ un’anatra zoppa e presto sarà messo sotto accusa. Presto lo si vedrà sgattaiolare fuori dalla Casa Bianca per infilarsi di nuovo nella sua gabbia dorata. O, meglio, correrà dal suo caro amico Vlad Putin.
E invece no, cari amici e lettori, Trump sta combattendo, non sta scappando, ma le cose richiedono tempo. Non è facile cambiare il paradigma, e fin dai primi momenti tutte le probabilità erano contro di lui. E’ arrivato fino ad oggi e continuerà a tenere duro. Il ragazzo è testardo e perseverante. Giudici corrotti tentano di legargli le mani, CIA e NSA rivelano le sue mosse al New York Times, alla CNN, e a NBC; ma lui si rialza, pronto a lottare di nuovo contro i suoi nemici – e i nemici degli americani, l’idra con tante teste a tre lettere.
 
Ci sono quelli che hanno fretta, che vorrebbero subito una vittoria e si disperano alle prima battute d’arresto. Un giudice intossicato di potere apre le porte dell’America all’avanguardia delle truppe ISIS, annullando un ordine esecutivo moderato e ragionevole, ed eccoli che già rabbrividiscono. Terribile, ma che avrebbe dovuto fare Trump? Doveva forse non fare niente di fronte a un suo ordine contravvenuto? Ha dovuto agire, così la gente avrebbe visto e giudicato i giudici. Allinearli con le spalle al muro all’alba lungo il muro del confine con il Messico? Non può farlo ancora, anche se in fondo avrebbe un senso.
 
Flynn ha dovuto lasciare, ed eccoli che esclamano: “tutto è perduto”. Sarebbe stato un errore se non avesse detto o fatto niente, invece ha agito. A una conferenza stampa molto pubblica e di grande copertura mediatica insieme al primo ministro Netanyahu, Trump ha detto: “Michael Flynn, il Generale Flynn è un uomo meraviglioso. Sono convinto che sia stato trattato molto, molto ingiustamente dai media – quelli che io chiamo i falsi media. E ‘molto, molto ingiusto quello che è accaduto al generale Flynn, il modo in cui è stato trattato, i documenti e le carte che sono trapelate illegalmente. E lo sottolineo: trapelate illegalmente. Molto, molto ingiusto.” Queste sono parole di un uomo che combatte, che ha perso una delle battaglie, anzi, solo una scaramuccia, ma che continua la sua guerra.
 
Forse sarebbe meglio tenersi Flynn, ma la politica è l’arte del possibile. E comunque le parole di Trump a sostegno del Generale erano già fuori luogo.
Trump ha incontrato Netanyahu, ed ecco i ‘deboli-di-cuore’ che già si lamentano che il Presidente ha ceduto alla lobby nefasta. Tutto il contrario. L’ADL, il potente gruppo di pressione ebraico, lo ha attaccato per aver rifiutato di pronunciare la loro parola preferita, “antisemitismo”. Haaretz ha dichiarato: “Sì, Trump è un antisemita“; il New York Times in un suo editoriale ha spiegato i motivi per cui il Presidente non ha voluto condannare l’antisemitismo, come richiesto; i rabbini hanno definito  “terrificanti” e “anti-sioniste” le sue osservazioni poiché Trump si è rifiutato di risolvere l’impasse con l’opzione da tempo battuta della “soluzione dei due Stati”.
Tra l’altro, i palestinesi sostengono la soluzione dello Stato unico proposta da Trump e non credono in quella ormai mitica dei due stati: l’equivalente mediorientale della quadratura del cerchio. Trump ha applicato abilmente la sua arma preferita, sostenere Bibi Netanyahu; con quest’arma ben spianata Trump è riuscito ad azzittire i cacciatori di anti-semiti, senza fare quello che volevano.
 
Sarebbe meglio ignorare gli ebrei del tutto, ma non si può fare dal momento che possiedono tutti i falsi-media e il cuore della gente comune americana. Rifiutare di condannare ufficialmente l’antisemitismo per un politico americano è come voler camminare sulla terra in assenza di gravità.
Dopo questo preambolo, possiamo affermare che il primo mese del mandato presidenziale di Trump è stato tutto in salita. Speravamo nella ragionevolezza degli sconfitti che gli avrebbero consentito di attuare il suo programma, invece hanno continuato dalle retroguardie a portare avanti le loro battaglie. Il suo è un compito arduo: Trump sta tentando di seppellire il capitalismo globalizzante prima che questo seppellisca i lavoratori europei e americani. Senza Trump, America ed Europa sarebbero invase da milioni di persone senzatetto che fuggono dalle guerre R2P. Senza Trump, i lavoratori americani ed europei finirebbero a lavorare nei fast-food, mentre i finanzieri continuerebbero a spremerli come limoni. Una simile inversione di tendenza non poteva passare senza opposizioni.
 
Guardiamoci indietro e ricordiamo le persone che nella storia hanno conseguito cambiamenti radicali di tale portata.  Non voglio citare nomi per non farvi spaventare. Nessuno di loro aveva una personalità particolarmente piacevole, ma avevano il carisma, una volontà di ferro, una buona memoria, la visione e la perseveranza; erano maestri di tattica, cioè sapevano quando era il momento giusto per ritirarsi e quando avanzare. E forse anche Trump ha queste qualità. Ma oltre a questo, avevano dietro di loro un partito leale e solidale, o un esercito e dei servizi segreti a loro disposizione. Trump questi non li ha.
Questi strumenti aggiuntivi sono necessari per superare gli elementi antidemocratici e non eletti del governo. Negli Stati Uniti, la magistratura e i media, due “poteri” su quattro, sono profondamente non o addirittura anti-democratici. I media sono di proprietà dei Signori dei Media, solitamente ricchi ebrei che portano avanti la loro agenda. I giudici sono naturalmente anti-democratici: disprezzano la democrazia e l’opinione pubblica.
 
La magistratura è anche fortemente ebreicizzata: tre su nove (o quattro su nove) giudici della Corte Suprema sono ebrei. Il presidente Obama aveva tentato di inserire un ulteriore giudice ebreo: ora gli elementi filo-ebrei si batteranno per evitare che un non-ebreo si “rubi” quel posto. Sono tantissimi gli avvocati e gli insegnanti di legge ebrei, tanti da metter l’imprimatur su questa professione. Nessun cambiamento radicale potrà essere possibile finché non si porrà un limite a questi poteri.
Trump non ha dietro di sé alcun partito leale, nessun servizio segreto a lui fedele. Il processore Intel Unit è contro di lui, le spie sono contro di lui e ‘passano la merce’ ai suoi nemici politici. Il partito è sospettoso nei suoi riguardi. Ci sono in giro troppi repubblicani intenti ad affilare i coltelli e pronti a colpirlo alla schiena, a cominciare dal vecchio traditore, John McCain  Senatori e Rappresentanti hanno un debito enorme verso i loro generosi donatori (per lo più ebrei); e hanno bisogno del sostegno dei media per poter essere rieletti.
 
Trump dovrebbe stabilire il controllo sul suo partito, mettendoci dei suoi fedelissimi ed estirpando i suoi avversari dal partito, dal Senato e dal Congresso. Vorrei consigliargli di non esitare a stroncare, spodestare e umiliare un senatore repubblicano, anche a costo di dare il suo seggio a un democratico. Non è impossibile. Basta infondere un po’ di paura nei cuori miti.
 
Portare i servizi segreti sotto il suo controllo è relativamente semplice: dare inizio a una caccia alle streghe, individuando i traditori che fanno trapelare il contenuto di conversazioni telefoniche riservate ai media. Questo è alto tradimento; tante persone di dubbia fedeltà possono essere fermate anche solo in caso di sospetto. Un biglietto di sola andata a Guantanamo aiuterà a schiarire le idee a molti potenziali traditori. Devono essere trattati severamente come il povero Bradley Manning. E comunque, i servizi segreti sono esagerati: gli Stati Uniti non possono sostenere un milione di spie. L’ottanta per cento se ne dovrebbe andare. Dovrebbero entrare nel mercato del lavoro ed iniziare a rendersi utili. Quelli che rimangono saranno solo fedelissimi.
I media possono essere soggiogati con vari mezzi. Di solito le grandi società d’informazione non sono mai altamente redditizie e sono suscettibili di acquisizioni ostili; alcune aziende possono essere fermate con la legislazione anti-trust. I Signori dei Media ostili si possono colpire facilmente spulciando le loro dichiarazioni dei redditi. Nel caso del New York Times, il suo sistema di azioni multi-livello è chiaramente ingiusto e può essere attaccato dagli azionisti. La misura migliore e più radicale sarebbe separare la pubblicità dai contenuti vietando il contenuto politico in pubblicazioni di carattere pubblicitario, come ho già detto altrove, ma per questo sarebbe necessaria l’approvazione del Congresso.
I giudici sono umani; quei giudici ostili che pensano di essere al di sopra del Presidente e del Congresso possono essere sottoposti a indagini approfondite con qualche pregiudizio. E sia nei tribunali che nelle università si dovrebbe abolire il mandato a vita.
Il compito del Presidente Trump quindi è decisamente arduo ma non impossibile. Tagliare i servizi di sicurezza a misura di quello britannico o francese (ed è anche molto). Ricordiamoci che dopo la prima guerra mondiale, gli Stati Uniti non avevano alcun servizio segreto e hanno prosperato comunque.  Terrorizzare un Signore dei Media e un senatore repubblicano. Portare alla luce la corruzione dei giudici distrettuali. Scoperchiare il barattolo pieno di vermi della Fondazione Clinton. Denunciare alcuni neoconservatori per aver mentito al Congresso. Ristabilire un ponte con Bernie Sanders. Invitare i suoi sostenitori ad arruolarsi nel partito repubblicano e conquistare la maggioranza alle primarie. E sì, ci vorrà del tempo.
 
Ora comprendete perché le valutazioni pessimistiche dei nostri colleghi Paul Craig Roberts e The Saker sono alquanto premature. Di fronte all’ ostilità del vecchio regime, Trump avrà bisogno di almeno sei mesi solo per regolarizzare la situazione alla Casa Bianca. Proprio per fare un confronto: Putin ci ha messo quasi cinque anni a consolidare il suo potere, e altri cinque per consolidarlo, anche se lui ha goduto del pieno appoggio dei servizi di sicurezza russi e ha potuto contare su una Costituzione più autoritaria scritta dagli americani per il loro tirapiedi, Eltzin.
Putin se lo ricorda bene: ci vuole tempo. Per questo non è affatto preoccupato per il ritardo da parte di Trump nel regolarizzare i rapporti USA-Russia. Le false notizie circa il disincanto russo nei confronti di Trump sono proprio questo: notizie false. I Russi sono fiduciosi nello sviluppo positivo delle relazioni USA-Russia, e non trattengono il respiro.
Perché credo che alla fine Trump avrà la meglio? Gli Stati Uniti non sono un’isola, sono parte integrante dell’Occidente e l’Occidente sta vivendo un cambiamento del paradigma. Le Femminucce hanno perso e i Deplorevoli hanno vinto, e non per un semplice colpo di fortuna. Ricordiamolo: Trump non è stata la prima vittoria; la Brexit l’ha preceduta. Tra la vittoria della Brexit e l’elezione di Trump, il governo britannico ha esitato e ha rinviato qualsiasi azione. Gli inglesi non erano sicuri se quel voto fosse un segno di cambiamento o un semplice colpo di fortuna. Dopo la vittoria di Trump, gli inglesi si sono messi davvero in marcia.
I giudici britannici – corrotti tanto quanto quelli americani – hanno tentato di fermare la Brexit, insistendo sul fatto che il caso sarebbe stato rinviato al Parlamento e che questo avrebbe archiviato il caso, facendo restare il Regno Unito nell’U.E., come chiedevano a gran voce i media. Ma si sbagliavano. Anche se il pubblico britannico ha votato per la Brexit con 52% su 48%, i parlamentari britannici l’ hanno approvata con 83% su 17%. I deplorevoli hanno stravinto.
Ora attraversiamo la Manica. La Francia ha preferito François Fillon (di centro-destra, un repubblicano moderato, in termini americani) per ereditare la poltrona di presidente di Femminuccia Hollande. Ora, la vittoria di Fillon sembrava assicurata, ma mentre si preparava al passaggio all’Eliseo, ecco che viene rivelato un fatto spiacevole. Una modesta appropriazione indebita (rubato, in poche parole) di circa un milione di dollari dei contribuenti francesi, oltre ad aver fatto lavorare la propria moglie come assistente parlamentare.
 
Ora tutti lo scansano quasi fosse un lebbroso, e la probabilità che la Regina dei Deplorevoli, Marine Le Pen, vinca le elezioni di maggio al primo turno è diventata altamente plausibile. Dovrà vedersela solo con un morbido socialista Emmanuel Macron che non rappresenta minimamente una minaccia. La sua retorica nel definirla “aspra” e “nemica di liberté-égalité-fraternité”, poiché non è molto appassionata di immigrazione araba, probabilmente cadrà nel vuoto. E’ la gente che è aspra e non è più tanto sicura che gli arabi rientrino nel concetto di uguaglianza. Così Marine potrà vincere e la Francia diventerà un alleato dell’America di Trump.
Fillon ha accusato forze “oscure” di tentare di schiacciarlo e probabilmente non ha torto. Le rivelazioni sul suo conto sono avvenute al momento giusto, proprio come nel caso delle e-mail DNC. In entrambi i casi, il crimine, o almeno le azioni disoneste denunciate, era reale, e lui (o lei) meritavano la sconfitta. In entrambi i casi, dietro un tale perfetto tempismo nelle rivelazioni, ci può essere soltanto una vera e propria forza “oscura”. E non parliamo di Russia. La Russia ancora non partecipa a questo ‘campionato’.
Parliamo di una forza occidentale “ombra” che promuove il capitalismo nazionalista, contro la forza globalista liberale che “invita ad invadere”. E’ questa forza che ha permesso a Trump di raggiungere la Casa Bianca, che ha consentito la Brexit e ha fatto fuori Fillon per dare spazio a Le Pen. Probabilmente Frau Merkel perderà alle prossime elezioni, facendo crollare quel piano assurdo di Obama di fare della Germania la pietra angolare del mondo globalizzato liberale.
 
In tutto l’occidente i Signori del Discorso si ritrovano sconfitti. E le piccole battute di arresto di Trump di certo non fermeranno questa tendenza. Il capitalismo produttivo nazionalista è collegato ai finanziari, ai Signori dei Media, ai promotori delle minoranze, ai servizi igienici transgenici e agli studi sulle donne. La battaglia non è ancora finita, ma finora pare che i Deplorevoli stiano vincendo e le Femminucce perdendo.
Non sappiamo chi sostiene i Deplorevoli. Quando ha vinto la Brexit i Signori del Discorso hanno detto che è stato grazie ai pensionati, ai proletari e ai poveracci delle periferie. Ma poi, il Parlamento l’ha approvata. La Signora Clinton deplorava i deplorevoli, ma oggi Trump siede alla Casa Bianca. Con Francia e Germania che seguono a ruota, sta nascendo una nuova forza. E’ sostenuta dalle maggioranze native. Chi li guida? Industriali, gente di spirito o forse solo lo Spirito del Tempo, lo Zeitgeist? Chiunque e qualunque cosa sia, questa forza aiuterà Trump, se terrà duro.
 
 
Israel Shamir adam@israelshamir.net
Fonte: www.unz.com
Link: http://www.unz.com/ishamir/against-all-odds/
 
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63
Questo articolo è apparso originariamente su The Unz Review.

Contro la sinistra globalista

populismo=frontiere chiuse=danni economici per il capitalismo
Populismo=terzo stato spalleprotezionismo=anticapitalismo=fascismo=nemico nr 1
Ergo: nuovo ordine compagni combattere il populismo IN DIFESA DEL CAPITALISMO/IMPERIALISMO/COLONIALISMO GLOBALE
 

I teorici operaisti italiani di matrice “negriana”, che trovano spazio sulle colonne del giornale “Il Manifesto”, detestano la sinistra che scommette su quelle lotte popolari che mirano alla riconquista di spazi di autonomia e sovranità, praticando il “delinking”. Ma così facendo diventano l’ala sinistra del globalismo capitalistico.
Correva l’anno 1981 quando il Manifesto recensì il mio primo libro (“Fine del valore d’uso”). Era una stroncatura che non ne impedì il successo e, alla lunga, risultò più imbarazzante per il quotidiano che per l’autore. Quel breve saggio, uscito nella collana Opuscoli marxisti di Feltrinelli, analizzava infatti gli effetti delle tecnologie informatiche sull’organizzazione capitalistica del lavoro e, fra le altre cose, prevedeva – cogliendo con notevole anticipo alcune tendenze di fondo – che la nuova rivoluzione industriale avrebbe drasticamente ridotto il peso delle tute blu nei Paesi occidentali, favorendo i processi di terziarizzazione del lavoro, e avrebbe consentito un massiccio decentramento della produzione industriale nei Paesi del Terzo mondo.
Il recensore (di cui non ricordo il nome) liquidò queste tesi come una ridicola profezia sulla fine della classe operaia. Sappiamo com’è andata a finire…
Si trattò di un incidente di percorso irrilevante rispetto al ruolo che il Manifesto svolgeva a quei tempi, ospitando un confronto alto fra le migliori intelligenze della sinistra italiana (e non solo). Oggi la sua capacità di assolvere a questo compito si è decisamente appannata, eppure una caduta di livello come quella della “recensione” che Marco Bascetta ha dedicato al mio ultimo lavoro (“La variante populista”, DeriveApprodi) fa ugualmente un certo effetto. Ho messo fra virgolette la parola recensione, perché – più che di questo – si tratta di una tirata ideologica contro i populismi – etichettati come protofascisti – che incarna il punto di vista d’una sinistra “globalista” schierata al fianco del liberismo “progressista” contro questo nemico comune.
Ma torniamo al libro: anche in questo caso l’intenzione è stroncatoria, ma la disarmante superficialità con cui ne vengono criticate le tesi stride con il notevole spazio dedicato all’impresa: una pagina intera per liquidare un saggio che viene definito confuso, contraddittorio e pretenziosamente ambizioso!? Non sarebbe bastato un colonnino o, meglio ancora, non era semplicemente il caso di ignorarlo? Evidentemente, c’è chi giudica le mie idee pericolose al punto da giustificare tanto impegno, peccato che il “killer” non si sia dimostrato all’altezza del compito, limitandosi a stiracchiare quattro ideuzze che avrebbero potuto stare comodamente in venti righe. Mi sono chiesto se valesse la pena di spendere energie per replicare visto che, da quando è uscito il libro, ho ricevuto tali e tanti attacchi –  e insulti – che ormai mi rimbalzano. Alla fine ho deciso di farlo, perché ritengo che le quattro ideuzze di cui sopra incarnino una visione che merita di essere duramente contrastata.
Prima ideuzza: Formenti è cattivo, insiste nell’adottare quello stile corrosivo della polemica politica che è sempre stato – da Marx in avanti – tipico di una certa sinistra anticapitalista, ma questa modalità reattiva (tornerò fra poco sul senso di tale aggettivo) “col passare del tempo” (stiamo parlando di mode letterarie?) ha finito per “prendere di aceto”. Analoga accusa mi era stata rivolta tre anni fa da Bifo, a proposito di un precedente lavoro (Utopie letali): Formenti è “antipatico”, fa le pulci a tutti e così via. È una critica che esprime bene la visione di quei seguaci della “svolta linguistica” che rifiutano apriori la possibilità/necessità di difendere la “verità” di un punto di vista di parte (di classe, politico, culturale): per costoro il conflitto non è mai ontologico, oppone solo opinioni, punti di vista soggettivi, “narrazioni” che non competono per il potere ma per “informare” di sé il mondo (è la concezione “debole” dell’egemonia gramsciana, tipica dei cultural studies angloamericani).
Seconda ideuzza: a questa modalità reattiva del discorso, corrisponde una pratica politica fondata sul rancore e sul risentimento che “sono il contrario esatto di ogni attitudine costituente”. Purtroppo Bascetta non ci illumina su quale dovrebbe essere questa “attitudine costituente”, in compenso ci fa capire: 1) che l’odio di classe e il rancore per i torti subiti sono incompatibili con qualsiasi progetto di trasformazione sociale; 2) che chi crede perfino di poter indicare i colpevoli dei torti in questione è destinato a finire nelle braccia dei demagoghi fascisti. Questo doppio passaggio è denso di significati impliciti: sul piano filosofico, implica l’abbandono della prospettiva marxista in favore di quella nietzschiana (da cui le pippe contro il risentimento e la natura reattiva dell’odio sociale), sul piano politico implica la negazione dell’esistenza stessa di un nemico di classe (effetto di un foucaultismo sui generis che neutralizza il conflitto fra soggettività antagoniste, sostituendolo con un percorso di autonomizzazione/autovalorizzazione).
 
Ma perché la visione antagonista del conflitto sarebbe destinata a portare acqua al mulino dei fascisti? Perché – terza ideuzza – chi ne è sedotto è portato ad affidare il proprio riscatto alla figura di un redentore, a un capo carismatico. Ergo, il populismo è un incubatore del fascismo.
Nei giorni precedenti il Manifesto aveva pubblicato un interessante dossier su Podemos, seguito da un bell’articolo di Loris Caruso sul congresso di Vistalegre; invece nell’articolo di Bascetta non vengono fatte sostanziali distinzioni fra populismi di destra e di sinistra, al punto che, anche se ciò non viene esplicitamente detto, il lettore potrebbe dedurne che Trump e Sanders, Marine Le Pen e Podemos, Alba Dorata e M5S vanno considerati tutti sullo stesso piano, a prescindere dalle loro differenze (ivi compreso il ruolo diverso giocato dai rispettivi leader). Del resto, Bascetta si guarda bene dal discutere la mia analisi critica delle teorie sul populismo di Laclau e Mouffe, nonché il mio tentativo di reinterpretarle alla luce sia delle categorie gramsciane di egemonia, blocco sociale, guerra di posizione, ecc. sia delle esperienze pratiche della rivoluzione boliviana, di Podemos, e della campagna presidenziale di Sanders.
Insomma: i rancorosi e gli odiatori, quelli che oppongono alto e basso, popolo ed élite, che cercano a tutti costi il nemico (che se la prendono con le banche, con le multinazionali e con le caste politiche che ne gestiscono gli interessi), quelli che vogliono ricostruire comunità riunificando le disiecta membra di un corpo sociale fatto a pezzi dalla ristrutturazione e dalla finanziarizzazione capitalistiche, invece di godersi la libertà individuale e i diritti civili che la civiltà ordoliberista ci regala (o meglio, regala a un’esigua minoranza di “cognitari” e ai suoi intellettuali organici) non sono altro che una massa indifferenziata di bruti, un popolo bue (“demente” lo ha definito Bifo, riferendosi agli operai e alla classe media impoverita che ha votato Trump in America e Brexit in Inghilterra) pronto a militare sotto le insegne del “nazional operaismo” (altra definizione coniata da Bifo).
A questo punto manca solo di prendere in esame la quarta e ultima ideuzza, quella relativa all’apologia del globalismo contro le mie tesi sul conflitto fra flussi e luoghi. Ma prima ritengo utile riprendere alcune recenti riflessioni di Nancy Fraser sulle responsabilità delle sinistre “sex and the city”.
 
Anche se differiscono per ideologia e obiettivi, scrive la Fraser riferendosi alle elezioni americane e alla Brexit, <<questi ammutinamenti elettorali condividono un bersaglio comune: sono tutti dei rifiuti della globalizzazione delle multinazionali, del neoliberismo e delle istituzioni politiche che li hanno promossi>>.
Ma la vittoria di Trump, aggiunge, <<non è solo una rivolta contro la finanza globale. Ciò che i suoi elettori hanno respinto non era il neoliberismo tout court, ma il neoliberismo progressista>>. Ed ecco la definizione che dà di questo termine: <<Il neoliberismo progressista è un’alleanza tra correnti mainstream dei nuovi movimenti sociali (femminismo, anti-razzismo, multiculturalismo, e diritti LGBTQ), da un lato, e settori di business di fascia alta “simbolica” e basati sui servizi (Wall Street, Silicon Valley, e Hollywood), dall’altro>>.
 
Attraverso questa alleanza, scrive ancora facendo eco alle tesi di Boltanski e Chiapello (“Il nuovo spirito del capitalismo”, Mimesis) , le prime prestano involontariamente il loro carisma ai secondi: <<Ideali come la diversità e la responsabilizzazione, che potrebbero in linea di principio servire scopi diversi, ora danno lustro a politiche che hanno devastato la produzione e quelle che un tempo erano le vite della classe media>>.
In questo modo l’assalto alla sicurezza sociale è stato nobilitato da una patina di significato emancipatorio e, mentre le classi subordinate sprofondavano nella miseria, il mondo brulicava di discorsi su “diversità”, “empowerment,” e “non-discriminazione.” L’”emancipazione” è stata identificata con l’ascesa di una élite di donne, minoranze e omosessuali “di talento” (la “classe creativa” celebrata da Richard Florida e dagli altri cantori della rivoluzione digitale) nella gerarchia dei vincenti. <<Queste interpretazioni liberal-individualiste del “progresso” gradualmente hanno sostituito le interpretazioni dell’emancipazione più espansive, anti-gerarchiche, egualitarie, sensibili alla classe, anti-capitaliste che erano fiorite negli anni ’60 e ’70>>.
 
Ma nemmeno dopo che il Partito Democratico ha scippato la candidatura a Sanders, spianando la strada alla vittoria di Trump, questa sinistra ha aperto gli occhi: continua a cullarsi nel mito secondo cui avrebbe perso a causa di un “branco di miserabili” (razzisti, misogini, islamofobi e omofobi) aiutati da Vladimir Putin (sulle differenti interpretazioni delle cause della vittoria di Trump, vedi il corposo dossier curato da Infoaut). Nancy Fraser li invita invece a riconoscere la propria parte di colpa, che è consistita <<nel sacrificare la causa della tutela sociale, del benessere materiale, e della dignità della classe lavoratrice a false interpretazioni dell’emancipazione in termini di meritocrazia, diversità, e empowerment>>.
Invito inutile: Bascetta e soci sono ben lontani dal recitare un simile mea culpa. Se lo facessero, dovrebbero accettare l’invito di Nancy Fraser a riconoscersi nella campagna contro la globalizzazione capitalista lanciata dal populista/socialista Sanders. Vade retro!
Per costoro i discorsi sulla necessità che popoli e territori lottino per riconquistare autonomia e sovranità praticando il “delinking” (ricordate Samir Amin: anche lui fascista?) dal mercato globale, sono eresie “rossobruniste”.
 
Questo perché sono incapaci di distinguere fra mondializzazione dei mercati (che è una caratteristica immanente del capitalismo fin dalle sue origini) e globalizzazione, che è la narrazione legittimante (curioso errore per chi vede solo narrazioni…) su cui si fonda l’egemonia ordoliberista; per cui non riescono nemmeno a vedere la crisi della globalizzazione – della quale il vicepresidente boliviano Alvaro G. Linera invita a prendere atto  in un suo recente articolo mentre Toni Negri ne ha negato l’evidenza in una penosa intervista televisiva. Una cecità che arriva al punto di paragonare (vedi l’ultima parte del pezzo di Bascetta) l’apprezzamento di Sanders nei confronti del ripudio dei trattati internazionali TTIP e TTP da parte di Trump, e quello di Corbyn nei confronti della Brexit, al voto dei crediti di guerra da parte dei partiti socialisti della Prima Internazionale (sic!).
Che altro aggiungere? Mi aspetto a momenti la loro adesione al manifesto con cui Zuckerberg si candida a leader dell’opposizione liberal a Trump e a punto di riferimento del globalismo dal volto umano (a presidente dell’umanità ha ironizzato qualcuno). Un Impero del Bene hi tech e ordoliberista che non mancherà di piacere alle élite cognitarie. Viste le premesse, potremmo perfino vederli inneggiare all’annunciato ritorno di Tony Blair, che minaccia di sfidare Corbyn per rianimare il New Labour e, perché no, aderire alla campagna promossa da media mainstream, caste politiche ed élite finanziarie contro le fake news veicolate dalla Rete infiltrata dai populisti. Così il politically correct assurgerà definitivamente a neolingua e quelli che, come il sottoscritto, spargono l’aceto della polemica, verranno finalmente messi a tacere.
di Carlo Formenti – 24/02/2017 Fonte: Micromega

Distruggete i populisti e salvate la globalizzazione!

globalizzazioneAlcuni articoli sono rivelatori. Uno di questi lo ha pubblicato La Stampa, lo scorso 15 febbraio, a firma di Charles A. Kupchan. E voi direte: chi è? Semplice: è uno dei principali pensatori dell’establishment americano. Docente di affari internazionali alla Georgetown University e membro del Council on Foreign Relations, dal 2014 al 2017 è stato assistente speciale per la Sicurezza nazionale del presidente Barack Obama. Tanto per intenderci.
Uno dei pochi ad aver colto l’importanza di questo articolo è stato il sito di analisi Piccole Note, secondo cui ci troviamo di fronte a un Manifesto della Controrivoluzione globale.
Kupchan, da intellettuale di rango, analizza il successo della Brexit e di Trump, a mio giudizio correttamente.
In lotta per guadagnare un salario di sussistenza, a disagio con la diversità sociale alimentata dall’immigrazione, e preoccupati per il terrorismo, un numero considerevole di elettori delle democrazie occidentali ha la sensazione di aver tutto da perdere dalla globalizzazione – e vuole abbandonarla. Giusto. La legittima rabbia di questi elettori rende chiaro che i nostri sistemi politici post-industriali non hanno fatto abbastanza per gestire la globalizzazione e garantire che i suoi benefici fossero condivisi più ampiamente nelle nostre società. Qualunque cosa si pensi di Donald Trump, la sua ascesa rivela che c’è un disperato bisogno di riformulare il patto sociale che sostiene il centrismo democratico e il sostegno popolare a un ordine liberale internazionale.
Il punto, secondo Kupchan, è che Trump e i populisti non sono in grado di rispondere a tale necessità. E dunque occorre porre rimedio alla loro vacuità programmatica onde scongiurare il rischio che la Pax Americana e la Pax Britannica, che hanno fornito le basi dell’attuale mondo globalizzato, naufraghino definitivamente. Già, ma come?
E qui il discorso diventa davvero interessante.
In primo luogo, i centristi di tutte le convinzioni politiche devono unirsi per offrire un nuovo patto sociale che rappresenti un’alternativa credibile alle false promesse economiche dei populisti.
 
Kaplan parla di “nuove iniziative in materia di istruzione, formazione professionale, politica commerciale, politica fiscale e minimi salariali“. Sapendo però che
 
“la globalizzazione è destinata a durare. Ma la disomogeneità dei suoi effetti distributivi dev’essere affrontata per il bene della politica democratica.
 
Seguiamo il suo ragionamento e veniamo al secondo punto, leggetelo con attenzione:
 
Mentre gli Stati Uniti e le altre democrazie occidentali sono scosse dalle forze populiste, gli effetti moderatori dei contrappesi istituzionali saranno di importanza cruciale. Il sistema legislativo, i tribunali, i media, l’opinione pubblica e l’attivismo – rappresentano tutti un freno all’autorità esecutiva e devono essere pienamente adoperati.
E tenetevi forte sul terzo:
Se gli Stati Uniti e la Gran Bretagna saranno, almeno temporaneamente, latitanti quando si tratta di difendere l’ordine liberale internazionale, l’Europa continentale dovrà difendere la posizione. Nel momento in cui la coesione interna dell’Unione europea è messa alla prova dallo stesso populismo che occorre sconfiggere, non è buon momento per chiederle di colmare il vuoto lasciato dal disimpegno anglo-americano. Ma almeno per ora, la leadership europea è la migliore speranza per l’internazionalismo liberale.
Cosa vuol dire tutto questo? Traduco:
1) L’élite che da quasi 30 anni promuove la globalizzazione ha individuato correttamente le radici del problema ma non ha alcun progetto credibile su come risolverlo. Le idee abbozzate da Kupchan potrebbero essere bollate, a loro volta, come “populiste” per la loro vacuità e nascondono una contraddizione per ora insanabile. In un passaggio, l’ex consigliere di Obama scrive che “i posti di lavoro che stanno diminuendo di numero soprattutto per l’automazione, non a causa del commercio estero”. Ma se questo è il problema: come pensano di risolverlo? Mistero.
2) Kupchan invoca le istituzioni. Scusate, ma non capisco: non sono stati proprio gli ambienti transnazionali a promuoverne scientemente lo sradicamento a livello nazionale e, contestualmente, il trasferimento di poteri a quelle sovranazionali? Non è paradossale che a invocare i “contrappesi istituzionali” siano coloro che li hanno screditati e talvolta vanificati?
Ben più significativa è l’affermazione successiva: Cosa vuol dire che “i media, l’opinione pubblica e l’attivismo (…) devono essere pienamente adoperati?” Notate bene che Kapchan non parla di “alcuni media” o di “testate sulle nostre posizioni” ma di media, di opinione pubblica in senso assoluto, e usa il termine “adoperare”, come se l’establishment a cui appartiene avesse il potere di orientare l’insieme dei media.
Scusate – si potrebbe e si dovrebbe obiettare – ma non siamo in democrazia? La stampa non è libera? In teoria sì ma di fatto il mainstream è ormai sinonimo di conformismo, che a tratti sfocia nel pensiero unico. Anche in Occidente. Tema che chi legge questo blog conosce bene, obiettivo che si ottiene ricorrendo alle tecniche di spin che descrivo da 10 anni (vedi il saggio “Gli stregoni della notizia Da Kennedy alla guerra in Iraq. Come si fabbrica informazione al servizio dei governi”).
 
La novità è che tali tecniche venivano usate per sostenere i governi, a cominciare dalla Casa Bianca. Ora apprendiamo che possono essere usate anche contro di essa se il presidente, come Trump, non è gradito, sebbene legittimamente eletto.
E lo stesso vale per il riferimento all’attivismo ovvero a quei movimenti delle masse improvvisi e insistenti, che evidentemente non sono frutto di una spontanea presa di coscienza delle folle, ma di attente regie che, sfruttando metodi ben noti agli specialisti, raggiungono l’effetto voluto. Al riguardo segnalo l’ottimo saggio del giornalista del Tg5 Alfredo Macchi Rivoluzioni s.p.a. Chi c’è dietro la primavera araba.
Metodi che finora venivano impiegati fuori dai Paesi occidentali, ad esempio incentivando le Rivoluzioni colorate, ma Kupchan afferma che debbano essere utilizzate anche negli Stati Uniti e in altri Paesi occidentali.
Il messaggio implicito complessivo è inquietante: “Possiamo usare i media e le masse contro i populisti”. E lo stanno già facendo.
3) Stupefacente è la terza ammissione. Essendo la Casa Bianca e Downing Street fuori controllo, deve essere l’Unione europea a difendere la globalizzazione. E allora si spiega perché il fidatissimo e duro Shulz si candidi a Berlino, con l’obiettivo di scalzare una Merkel in fase calante, troppo debole. E si capisce perché si suggerisca all’impresentabile presidente della Commissione europea Juncker di farsi da parte per lasciare spazio a un falco come il finlandese Jyrki Katainen.
 
Ma ancora una volta emerge una contraddizione: l’impopolarità dell’Unione europea, alimentata da politiche così rigide da sfociare nell’ottusità, rappresenta una delle ragioni del successo dei movimenti populisti. Come può un Moloch come la Ue (e sul suo liberalismo sorvoliamo…) costituire il fulcro in difesa degli interessi globalisti e al contempo diventare il promotore del cambiamento per riconquistare una classe media impoverita e arrabbiata?
Insomma, l’analisi è corretta, gli obiettivi sono chiari – vogliono salvare la globalizzazione – ma senza il sostegno di riforme credibili e convincenti. Chiara invece è la determinazione nel voler distruggere l’onda “populista” e di fermare Trump, anche ricorrendo a metodi, che vanno oltre la normale dialettica politica.
Andiamo bene.
di Marcello Foa – 26/02/2017 – Fonte: Marcello Foa

60 anni dei Trattati di Roma

ue filo spinatoil 25 marzo festeggeranno i 60 anni dei Trattati di Roma che contribuirono al’istituzione del regime totalitario denominato EUROPA. Ci saranno almeno 4 cortei, (due dei tirapiedi di Soros, quel movimento federalista europeo che vive di dollari americani)  di cui almeno un paio a contestare i trattati e parlano di infiltrazioni, terrorismo violenze e tutto il corollario di fregnacce di regime atte ad autorizzare la REPRESSIONE PREVENTIVA DEL DISSENSO di chi non ci sta a SUICIDARSI per il progetto di oligarchi senza scrupoli. Ci scapperà un false flag per CHIUDERE LA BOCCA  a tutti coloro che contestano questa dittatura tanto cara alla finanza? Tanto per capire che significa libertà di espressione per la tanto “civile” Ue nata per contrastare gli “oscurantismi”.

Il finanziere/ banchiere Visco è tanto preoccupato perché non siamo ancora troppo uniti come Europa ( esistono ancora i fastidiosi parlamenti, ormai insopportabili ed inutili per le elites anche se vi hanno collocato sempre i loro scagnozzi).

Per questo motivo la Ue non riesce a fare tanto bene ai popoli, come promesso dall’astuta quanto falsa propaganda dell’epoca,  perché è troppo “paralizzata” e poi quell’euroscetticismo che toglie il sonno ai Visco e Boldrini…


Sono quattro i cortei e due le manifestazioni statiche in programma sabato 25 marzo, in occasione dell’anniversario dei Trattati di Roma.  Alle 11 i partecipanti al corteo del Movimento federalista europeo si ritroveranno alla Bocca della Verità per poi raggiungere l’Arco di Costantino, al Colosseo; qui ci sarà il ricongiungimento con il corteo di Nostra Europa, partito sempre alle 11 da piazza Vittorio. Ai due cortei, secondo la questura, dovrebbero partecipare complessivamente circa 6.500 persone. Nel pomeriggio, alle 14 il corteo di Euro Stop partirà da piazza Porta San Paolo, percorrendo via Marmorata, via Luca della Robbia e lungotevere Aventino: tappa finale, Bocca della Verità. Il corteo di Euro Stop è quello che si annnuncia più folto, con circa 8 mila partecipanti. Un’ora più tardi, alle 15, partirà da piazza dell’Esquilino il corteo di Azione Nazionale5mila le persone attese – che terminerà in via dei Fori Imperiali. Le due manifestazioni statiche sono promosse da Fratelli d’Italia (dalle 10 alle 15 all’Auditorium Angelicun) e dal Partito comunista (dalle 15 in piazzale Tiburtino). Saranno due le zone di ‘massima sicurezza’ nella Capitale in occasione del 60° anniversario dei Trattati di Roma, il 25 marzo. La “zona blu”, una sorta di “eurozona”, dove graviteranno i leader politici e la “zona verde”, un’area ‘cuscinetto’ con 18 varchi di accesso per i controlli.

http://roma.repubblica.it/cronaca/2017/03/17/foto/anniversario_dei_trattati_di_roma_zone_di_sicurezza_cortei_e_sit_in_ecco_la_mappa-160781373/1/#1

Trattati Roma, rischio black bloc nei cortei: il 25 marzo centro storico blindato
Quattro cortei, due sit-in, 30mila persone in piazza, almeno 3mila uomini delle forze dell’ordine in campo. Dai numeri del 25 marzo, data clou delle celebrazioni del 60esimo anniversario dei Trattati di Roma, emergono una certezza e una paura. La certezza e’ che per romani e turisti, tra zone off limits, deviazioni di traffico e controlli rigorosissimi, sara’ l’ennesimo fine settimana di passione.
La paura e’ che la protesta targata ‘no Europe’ sia infiltrata dai professionisti degli scontri di piazza, magari d’importazione. A scongiurare quest’ultimo, preoccupante scenario lavorano da giorni i responsabili dell’ordine pubblico, che hanno cercato – e ottenuto – la collaborazione degli stessi promotori delle manifestazioni ufficiali. Numerose, e ravvicinate, le riunioni tecniche operative volute dal neo questore della citta’, Guido Marino.
 
Giovedi’ scorso, dal Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica, presieduto al Viminale dal ministro dell’Interno Marco Minniti, e’ arrivato l’input a “intensificare le attivita’ di controllo e di vigilanza a tutti gli obiettivi ritenuti sensibili” e a garantire “il massimo coordinamento tra tutte le componenti impegnate nelle attivita’  di prevenzione controllo”; venerdi’ dalla questura sono stati ufficializzati perimetri delle “zone di sicurezza” e divieti.
 
DUE LE ZONE DI SICUREZZA
 
Niente “zona rossa”, come previsto: l’area interdetta, ovvero riservata alle sole celebrazioni ufficiali, sara’ “blu” (in omaggio ai colori della bandiera europea) e includera’ piazza Venezia, piazza dell’Ara Coeli, piazza San Marco, via Petroselli fino a via delle Tre Pile per chiudersi attraverso i
 
Fori Imperiali e piazza Madonna di Loreto. Quest’area sarà’ presidiata sin dalle prime ore del 24 marzo, mentre dalla mezzanotte dello stesso giorno scatteranno le chiusure al traffico veicolare e pedonale per le bonifiche, concentrate nella notte prima del vertice. Ventuno i varchi di accesso. La “zona verde” comprendera’ invece via 4 novembre, largo Magnanapoli e via Nazionale, costeggera’ piazza delle
 
Repubblica e ridiscendera’ fino a via del Corso lungo tutta via del Tritone: l’area, operativa dalle 7 del 24 marzo, non sarà’ chiusa al traffico ma ciascuno dei 18 varchi di accesso sarà’ presidiato dalla polizia che potra’ procedere a identificazioni e controlli. All’interno dell’area verde non ci sara’ alcuna manifestazione. Centro impraticabile o quasi, insomma, ma altre vie saranno interessate da chiusure improvvise per il passaggio delle delegazioni dei 40 capi di Stato e di governo provenienti da tutta Europa. In campo anche tiratori scelti, cani anti esplosivi e artificieri; scontato il divieto di sorvolo.
 
RISCHIO BLACK BLOC
Due, sostanzialmente, i pericoli piu’ temuti: quello di attentati terroristici, con i quali peraltro l’Occidente ha imparato a convivere, e quello che le celebrazioni possano diventare la vetrina di black bloc e simili. Nell’ultima Relazione al Parlamento, sono stati proprio gli 007 ad evocare il rischio che gli effetti perduranti della crisi possano “favorire l’insorgere di una maggiore conflittualita’ sociale a sua volta alimentata e strumentalizzata da parte di componenti antagoniste”: fenomeni da monitorare con attenzione “tenuto anche conto del fatto che l’Italia ospitera’ numerosi eventi internazionali di rilievo, tra cui quelli legati alla Presidenza di turno del G7”. Roma come prove generali per
 
Taormina? La prospettiva non si puo’ escludere, e nessuna segnalazione viene ignorata: alle proteste si unira’ anche la destra, e un altro rischio da evitare e’ quello di contatti ravvicinati tra le opposte fazioni. I cortei autorizzati, come detto, sabato saranno quattro: alle 11 i partecipanti al corteo del Movimento federalista europeo si ritroveranno alla Bocca della Verita’ per poi raggiungere l’Arco di Costantino, al Colosseo; qui ci sara’ il ricongiungimento con il corteo di Nostra Europa, partito sempre alle 11 da piazza Vittorio. Ai due cortei, secondo la questura, dovrebbero partecipare complessivamente
circa 6.500 persone. Nel pomeriggio, alle 14 il corteo di ‘Euro Stop’ partira’ da piazza Porta San Paolo, percorrendo via Marmorata, via Luca della Robbia e lungotevere Aventino: tappa finale, Bocca della Verita’. Il corteo di Euro Stop e’ quello che si annuncia piu’ folto, con circa 8mila partecipanti. Ed e’
 
anche quello, secondo gli esperti, a maggior rischio di infiltrazioni: “Pensiamo che il 25 marzo non sia una giornata di festa ma debba divenire una giornata di lotta e mobilitazione contro il vertice”, scrivono i promotori nel loro appello anti euro, Ue e Nato, “per la democrazia e i diritti sociali”, raccolto tra gli altri dal sindacalismo di base, dal movimento no tav, dalla galassia dei centri sociali e dalla Rete dei comunisti. Un’ora piu’ tardi, alle 15, partira’ da piazza dell’Esquilino il corteo di Azione Nazionale – 5mila le persone attese – che terminera’ in via dei Fori Imperiali. Le due manifestazioni statiche sono promosse da Fratelli d’Italia (dalle 10 alle 15 all’Auditorium Angelicum) e dal Partito comunista (dalle 15 in piazzale Tiburtino).
 
NIENTE CASCHI E PETARDI – I partecipanti – prescrive la questura – dovranno “lasciare, prima delle manifestazioni, caschi e copricapi”; vietato l’utilizzo di “vestiario idoneo al travisamento o utile ad impedire l’identificazione”; non consentito “l’utilizzo di petardi o altro materiale esplodente”; “gli zaini e le borse saranno tutti controllati dagli agenti di polizia”; “ogni oggetto atto ad offendere sarà’ sequestrato”. Tali divieti saranno fatti rispettare, fin dall’ingresso in citta’, gia’ nei giorni precedenti il vertice: per singoli soggetti valutati pericolosi potra’ scattare il
foglio di via. Tutte le fasi dei cortei saranno filmate dalla scientifica e successivamente vagliate in caso di incidenti per risalire ai responsabili.
 
19 marzo 2017

 

L’allarme di Brzezinski sul risveglio sociale

ooh ma che guaio questo populismo e sti popoli con la fissa di voler decidere il proprio destino….Loro sono l’elités, sanno quello che è meglio per il popolo….perché mai sto popolo vorrebbe decidere….

Zbigniew-BrzezinskiLa presa di consapevolezza collettiva e i social network sono una minaccia per lo sviluppo dell’agenda globale… Durante un recente discorso in Polonia, l’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale Zbigniew Brzezinski e massimo guru del “Nuovo Ordine Mondiale” e della necessità di “drogare i popoli con il tittainment” (succhiare latte dalle mammelle), una versione moderna della massima imperiale romana “ludi et circenses” per soffocare le istanze dei popoli -ha avvertito i colleghi elitisti che un movimento mondiale di “resistenza” al “controllo esterno” guidata da “attivismo populista” sta minacciando di far deragliare la transizione verso un nuovo ordine mondiale.
Definendo l’idea che il 21 ° secolo è il secolo americano “una disillusione condivisa”, Brzezinski ha dichiarato che il dominio americano non è più possibile a causa dell’accelerazione del cambiamento sociale guidato da “comunicazioni di massa istantanee come la radio, la televisione e Internet”, che hanno stimolato un crescente “risveglio universale della coscienza politica di massa.”
L’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti ha aggiunto che questo “aumento in tutto il mondo dell’attivismo populista sta dimostrando ostile alla dominazione esterna del tipo che ha prevalso nell’età del colonialismo e dell’imperialismo.”
Brzezinski ha concluso che “la resistenza populista persistente e fortemente motivata di coscienza politica e dei popoli risvegliati e storicamente avversi al controllo esterno ha dimostrato di essere sempre più difficile da eliminare.”
Anche se Brzezinski ha commentato in tono neutro, il contesto in cui ha parlato, unitamente alle sue precedenti dichiarazioni, indicherebbe che questa non è una celebrazione della “resistenza populista”, ma una perplessità per l’impatto che questo sta avendo sul tipo di “controllo esterno” che Brzezinski ha sostenuto più volte.
Queste considerazioni sono state effettuate a un evento per il Forum europeo per le nuove idee (EFNI), un’organizzazione che sosterrebbe la trasformazione dell’Unione europea in un anti-democratico federale superstato, il tipo stesso di “controllo esterno” a cui messa in pericolo è stata sottolineata da Brzezinski durante il suo speech.
In questo ambito, bisogna comprendere che l’argomentazione di Brzezinski sulla “resistenza populista” di notevole ostacolo per l’imposizione di un nuovo ordine mondiale è da interpretare più come un avvertimento che come riconoscimento/celebrazione.
Tieni anche in considerazione ciò che Brzezinski ha scritto nel suo libro Between Two Ages: il ruolo dell’America nell’era tecno-digitale, in cui ha sostenuto il controllo delle popolazioni da parte di una classe politica tramite la manipolazione digitale.
“L’era digitale comporta la comparsa graduale di una società più controllata. Una tale società sarebbe dominata da una élite, libera da valori tradizionali. Presto sarà possibile esercitare una sorveglianza quasi continua su tutti i cittadini e mantenere file completi ed aggiornati che contengono anche le informazioni più personali di ogni cittadino. Questi file potranno essere accessibili in realtime da parte delle autorità “, ha scritto Brzezinski.
 
“Nella società digitale la tendenza sembra essere verso l’aggregazione dei supporti individuali di milioni di cittadini non coordinati, facilmente alla portata di personalità magnetiche ed attraenti che sfruttano le più recenti tecniche di comunicazione per manipolare le emozioni e controllare le decisioni”, ha scritto nello stesso libro. La preoccupazione improvvisa di Brzezinski per l’impatto di una popolazione politicamente risvegliata globale non è figlia dell’idea che Brzezinski si identifichi con la stessa causa. Brzezinski è il fondatore della potente Commissione Trilaterale, un luminare del Council on Foreign Relations ed un partecipante regolare del Bilderberg. Una volta è stato descritto dal presidente Barack Obama come “uno dei nostri pensatori più importanti”. Questa non è affatto la prima volta che Brzezinski ha lamentato la crescita di una opposizione populista alla dominazione da parte di una piccola elite.
Era stato nel corso di un meeting del CFR del 2010 che Brzezinski aveva avvertito i colleghi globalisti colleghi che un “risveglio politico globale”, in combinazione con lotte interne tra le élite, minacciava di far deragliare la transizione verso un governo mondiale.
Nota caprina: e noi, allora, ne avevamo parlato. Perchè quando Brzezinki parla, è sempre opportuno ascoltare con attenzione.
di Felica Capretta – 19/02/2017
Fonte: controinformazione