È invalida al 100%, ma l’Inps le toglie la pensione

invalida Sarason stati i fascisti a negarle ogni diritto. Con tutte le sedicenti femministe compagne tanto solidali nessuna ha protestato o l’ha aiutata La civiltà come vuole la UE
 

La 26enne di Varese è cieca e epilettica. L’Inps le riconosce l’invalidità al 100% ma le toglie l’accompagnamento e l’idoneità al lavoro: “Vivo con soli 240 euro al mese”
 
 
Lei è invalida al 100% ma l’Inps le toglie la pensione di accompagnamento e l’idoneità al lavoro.
Questa è l’odissea che sta attraversando Sara Schincaglia, una ventiseienne di Varese affetta da un astrocitoma pilocitico, una forma tumorale, neoplasia della fossa cranica posteriore che si presenta intorno ai dodici anni di vita. “L’Inps mi ha riconosciuto l’invalidità – racconta la giovane – e per questo percepisco un tot al mese ma un anno fa circa, dal nulla, l’Inps ha deciso di togliermi la pensione d’accompagnamento e l’idoneità a lavorare. Ora vivo con i 240 euro di invalidità al mese più i soldi che mi ero messa da parte della pensione d’accompagnamento”.
Ma non è tutto. A quanto pare, come raccontato dalla madre di Sara, Piera Scavuzzo, l’Inps ha continuato ad erogare la pensione d’accompagnamento anche quando la sua commissione aveva deciso di bloccare questa pensione. Un errore che è costato ben 2.400 euro di debito che ora la ragazza si trova sulle spalle: “Dei 240 euro, 40 se li tiene lo Stato perché devo restituire i soldi a cui secondo loro io non avevo diritto”.
 
Ora Sara e la sua famiglia vogliono delle spiegazioni: “Voglio sapere il motivo per il quale mi hanno tolto la pensione di accompagnamento. Sono cieca, soffro di attacchi di epilessia e molti altri problemi, cosa devo fare per dimostrare che sono invalida? Ho tutti i documenti del San Raffaele dove sono seguita, insomma è tutto nero su bianco. Ma se proprio non vogliono più darmi quei soldi, almeno mi dovrebbero concedere l’idoneità al lavoro perché ora come ora, non avendola, ho le mani legate e non posso fare nulla” spiega Sara in lacrime.
Ricorsi su ricorsi, ma le risposte sono ancora lontane. Ora la famiglia ha deciso di chiedere l’aiuto di un medico legale per far valere i diritti di Sara. “Il 5 maggio saremo tutti davanti al Giudice. Se non avremo risposte e se a Sara non saranno riconosciuti i suoi diritti, io continuerò a lottare e andare avanti” sentenzia la madre. Piera però, nella sua battaglia lancia un appello a Barbara D’Urso, presentatrice del programma televisivo Pomeriggio 5: “Per favore Barbara, vorremmo venire da te. Sei una persona che seguo e stimo dal profondo del cuore, dacci la possibilità di raccontarti la nostra storia”. Simona Di Rutigliano – Dom, 09/04/2017

IN PENSIONE CON SOLO 5 ANNI DI CONTRIBUTI? VALE SOLO PER GLI IMMIGRATI! ECCO COSA

contributi pensione migrantima non ci pagavano le pensioni? A proposito di legge uguale per tutti eh?


IN PENSIONE CON SOLO 5 ANNI DI CONTRIBUTI? VALE SOLO PER GLI IMMIGRATI! ECCO COSA E’ SCRITTO “NERO SU BIANCO” NEL SITO DELL’INPS
9 FEBBRAIO 2018
Se non versano contributi per almeno 20 anni, i lavoratori italiani perdono tutto il tesoretto versato. “Gli immigrati (invece) prendono la pensione anche con cinque anni di contributi”. E’ quanto riporta un articolo di “La Verità”, nuovo quotidiano fondato da Maurizio Belpietro sbarcato nelle edicole da qualche giorno. L’articolo, firmato dalla penna di Francesco Borgonovo, sottolinea:
 
“E’ tutto scritto lì, sul sito dell’Inps. Con tagliente semplicità, quasi con una punta di burocratico compiacimento, viene illustrato il privilegio di cui godono i lavoratori immigrati”.
 
Di fatto, continua:
 
“non è vero che gli stranieri lasciano un tesoretto: se tornano a casa possono riprendersi ciò che hanno dato. E senza le restrizioni previste per gli italiani. Riscuotono anche se non hanno effettuato i versamenti minimi”.
L’immigrato che decide di rientrare in patria, insomma, non perde i contributi versati.
 
Tutt’altro. Ha diritto ad avere una pensione di vecchiaia erogata dall’Inps esattamente come i cittadini italiani. E qui la questione si fa interessante. Il sito dell’Inps spiega che, per “gli extracomunitari rimpatriati” si devono distinguere due casi, “a seconda che la pensione venga calcolata con il sistema contributivo o retributivo”.
E qui si può andare a leggere quanto risulta dalla pagina del sito Inps che porta il nome “Prestazioni pensionistiche rimpatriati“. Per leggere sul sito dell’Inps, clicca QUI.
Così sotto il titolo “Trattamenti pensionistici ai lavoratori extracomunitari rimpatriati”:
 
“in caso di rimpatrio definitivo il lavoratore extracomunitario con contratto di lavoro diverso da quello stagionale conserva i diritti previdenziali e disicurezza sociale maturati in Italia e può usufruire di tali diritti anche se non sussistono accordi di reciprocità con il Paese di origine”.
 
Sotto il sottotitolo “Pensione di vecchiaia”
  • Si devono distinguere due casi, a seconda che la pensione venga calcolata con il sistema contributivo o retributivo. Nel primo caso, i lavoratori extracomunitari assunti dopo il 1° gennaio 1996, possono percepire, in caso di rimpatrio, la pensione di vecchiaia (calcolata col sistema contributivo) al compimento del 66° anno di età e anche se non sono maturati i previsti requisiti (dunque, anche se hanno meno di 20 anni di contribuzione).
  • Nel secondo caso, i lavoratori extracomunitari assunti prima del 1996 possono percepire, in caso di rimpatrio, la pensione di vecchiaia (calcolata con il sistema retributivo o misto) solo al compimento del 66° anno di età sia per gli uomini che per le donne e con 20 anni di contribuzione.
Questo, quanto scrive l’Inps e riporta il quotidiano La Verità.
 
Andando a scavare più in profondità, si nota tuttavia un articolo pubblicato sul sito Pensionioggi.it che sulla pensione di vecchiaia scrive praticamente la stessa cosa, ma che ricorda come sia stata la legge Bossi-Fini del governo Berlusconi a stabilire il “favoritismo” di cui parla il giornale di Belpietro. Se l’intenzione era di attaccare il governo Renzi o in generale la sinistra, insomma, Belpietro ha fatto una bella gaffe.
 
” Ai lavoratori extracomunitari con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o determinato rimpatriati spetta al compimento dei 66 anni di età e 7 mesi (65 anni e 7 mesi le donne). Dal 2018 il requisito sarà parificato a 66 anni e 7 mesi per entrambi i sessi. Fin qui siamo nel solco della norma di carattere generale, quella che non fa differenze in base alla nazionalità del lavoratore. Ma è un altro discorso se si guarda al requisito contributivo (quello appunto citato dal quotidiano La Verità).
 
Qui occorre dividere la materia in due antitetiche situazioni: 1) se la pensione è liquidata con il sistema retributivo o misto (cioè se il lavoratore è in possesso di contribuzione al 31 dicembre 1995), si applica in toto la normativa italiana, senza alcuna deroga; perciò la colf/badante dovrà raggiungere il minimo dei 20 anni di versamenti per avere diritto alla pensione;
 
2) se il lavoratore ricade, invece, nel contributivo puro (cioè non era in possesso di contribuzione al 31 dicembre 1995) la legge Bossi-Fini (legge 189/2002)prevede che la pensione venga pagata anche se l’interessato non ha raggiunto il minimo dei versamenti previsto dalla normativa vigente. Per i cittadini italiani e i comunitari, invece, la pensione di vecchiaia nel sistema contributivo può essere liquidata solo in presenza di almeno 20 anni di contributi a condizione, peraltro, che l’importo dell’assegno non risulti inferiore a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale) oppure, se non è rispettato il predetto importo soglia a 70 anni e 7 mesi in presenza di almeno 5 anni di contributi effettivi. In sostanza pergli extracomunitari nel sistema contributivo, la pensione viene pagata dall’Italia qualunque sia il numero dei contributi versati”.
 
E a tal proposito l’articolo del quotidiano La Verità mette in evidenza che “per gli stranieri, tutte queste restrizioni non esistono”, visto che “l’extracomunitario che, dopo il 1° gennaio 1996, ha versato contributi all’Inps, se torna in patria ha diritto alla pensione anche se non ha raggiunto il minimo di versamenti previsti dalla normativa vigente”.
 
Ora, anche se Pensioni Oggi rileva che “è opportuno ricordare che la legge 189/2002 (dunque Bossi-Fini) ha posto fine a una incredibile facoltà riconosciuta agli extracomunitari dalla legge 335/1995 (legge Dini), in base alla quale chi rientrava in patria senza avere raggiunto il diritto a pensione poteva chiedere la restituzione dei contributi pagati, compresa la quota a carico dell’azienda”, si nota come l’articolo del quotidiano di Belpietro fa riferimento a una normativa non voluta dal governo Renzi, ma addirittura dal governo Berlusconi.

900MILA EURO DI VITALIZIO PER 4 ANNI DA DEPUTATO: E’ SCALFARI IL PARASSITA DA RECORD.

scalfariduro il lavoro del civilizzatore savonarola del politically correct

“Pochi se lo ricorderanno. Eugenio Scalfari, il più famoso giornalista italiano vivente, è stato anche un politico in una parte assai breve della sua lunga carriera.Eletto nel partito socialista, fece il deputato fra il 1968 e il 1972, quattro anni prima di fondare Repubblica”. Inizia con un j’accuse contro il fondatore di Repubblica l’inchiesta di Franco Bechis su Libero sui vitalizi degli ex parlamentari che, nel corso degli ultimi decenni, hanno percepito molto di più di quanto hanno versato.
Grazie a questi pochi anni da deputato Scalfari prende ogni mese un assegno lordo di 2.162,52 euro. “Non è un granché, e Scalfari – scrive Bechis – manco se ne accorgerà: le sue finanze dipendono sicuramente da altro. Però tutti insieme quegli assegnini- il famoso vitalizio degli ex onorevoli- hanno fatto negli anni un assegnone, superiore ai 908mila euro”. Una cifra ben superiore di quella che “la Camera stessa gli aveva messo da parte durante quella legislatura che fu pure sciolta anticipatamente”. “Fra quello che allora fu versato e quello negli anni incassato – spiega Bechis – c’è una differenza da 847mila euro, che mettono Scalfari ai primi posti della classifica dei re del vitalizio. Anche merito della sua buona salute e della evidente longevità”.

Mario Giordano :”E’ una strage di italiani”.Ecco che cosa ci uccide come in guerra La mortalità in Italia aumenta a livelli esponenziali con numeri da capogiro paragonabili ai tempi di guerra! A spiegare il perchè di ciò è Mario Giordano.

mappa satellite inquinamentoArticolo di due anni fa. Qualcuno è allarmato? A qualcuno dei nostri governanti tanto preoccupati per la nostra salute tanto da imporre vaccini si è preoccupato da allora? Che cosa è stato fatto in due anni? Ah giusto, i fasssisti …i populisti sono il vero problema del regime. Ma sarà una fake news, intanto l’Inps ringrazia.Poi ci sono le banche da salvare.
Un pò di dati da cui partire per approfondire l’argomento, si possono trovare qui
visto che i signori di bufale.net si sono subito prodigati a scrivere che non si possono imputare le morti all’inquinamento
Foto La mappa che dimostra come la Pianura Padana sia tra le aree più inquinate d’Europa (Esa – Sentinel 5P)

Mario Giordano :”E’ una strage di italiani”.Ecco che cosa ci uccide come in guerra
La mortalità in Italia aumenta a livelli esponenziali con numeri da capogiro paragonabili ai tempi di guerra! A spiegare il perchè di ciò è Mario Giordano.
In 8 mesi 46mila mila morti in più. Ogni mese, dunque, 5mila in più. Ogni giorno 166 in più. Significa che ogni ora in Italia muoiono 7 persone in più rispetto all’ anno scorso.
È un’ enormità. Tanto più che per trovare una simile impennata nella mortalità bisogna risalire al 1943, in piena Seconda Guerra Mondiale.
 
E prima di allora al 1918, con la Prima Guerra Mondiale e l’ aggiunta dell’ influenza spagnola. Ma che cos’ è che sta sterminando gli italiani come se fossimo in guerra? Nessuno ha la risposta giusta, i demografi s’ interrogano, guardando i dati con stupore e preoccupazione. Ma è inevitabile che tutti pensino ad un’ unica grande causa. Il suo nome è: crisi. Purtroppo eravamo stati facili profeti: ogni generazione ha la sua guerra. I nostri nonni morirono nelle trincee del Carso, i nostri padri vissero fra Gestapo e bombardamenti. Noi siamo falcidiati da una depressione senza precedenti, unita naturalmente alle scelte assassine dell’ euro e dell’ Europa, applicate in Italia con ben nota ottusità.
Dal rigor Monti al rigor mortis, il passo è stato evidentemente breve: sempre più anziani non hanno i soldi per curarsi, la prevenzione è andata a farsi benedire, l’ alimentazione è peggiorata, le famiglie in difficoltà sono aumentate a dismisura e i tagli ai servizi sociali rendono sempre più complicato trovare aiuti nel welfare. Ora dobbiamo dire che stiamo bene, sennò Renzi s’ arrabbia.
Ma chi glielo spiega a quei 46mila connazionali che nel frattempo sono passati a miglior vita?*Numeri da epidemia – Ci potremmo provare. Scusi, signor defunto, lo sa che in Italia ora il Pil cresce dello 0,7 per cento? E il prossimo anno – parola del presidente del Consiglio – crescerà pure dell’ 1,5 per cento? Non si sente già un po’ meglio? Lo so che nel frattempo lei non può far crescere il suo Pil, al massimo fa crescere i crisantemi sulla tomba, ma che ci possiamo fare? Non mi faccia lo zombie-gufo, per cortesia, e mostri il volto dell’ Italia che ce la fa. Ce la fa a cosa? A defungere? Embeh? Ora non faccia come i giornalisti, che vedono sempre tutto nero. Sì, lo so che anche lei vede nero, ma non si formalizzi. E poi è solo perché il Parlamento non ha ancora approvato la riforma dei cimiteri, con l’ Italicum dei lumini e l’ abolizione delle lapidi. Altrimenti anche lei sarebbe già diventato renziano. Oserei dire: renziano da morire. Scherzi a parte, i dati dell’ Istat sono tragici. Nei primi otto mesi dell’ anno ci sono stati 445mila decessi contro i 399mila dello stesso periodo dell’ anno scorso. Un’ impennata dell’ 11 per cento.
Se si andrà avanti di questo passo, a fine dicembre i morti saranno 666mila, livello per l’ appunto mai più toccato in Italia dal 1945. Siccome, a quanto ci risulta, nel 2015 in Italia non c’ è stata una catastrofe nucleare e nemmeno un devastante terremoto, siccome non si è verificata un’ epidemia di peste bubbonica o di vaiolo pustoloso, a che cosa si può imputare questa crescita spaventosa? Certo: la popolazione invecchia. Certo: in inverno ci sono state meno vaccinazioni. E anche certi spettacoli della politica, a dir la verità, sono risultati piuttosto letali. Ma basta tutto questo a giustificare una strage simile a quella di una guerra mondiale? Ovviamente no. L’ unica spiegazione possibile è dunque quella della crisi economica. Quanti italiani hanno dovuto rinunciare a curarsi? Quanti negli ultimi anni hanno peggiorato il loro livello di alimentazione? Quanti sono stati costretti a dormire per strada? La verità è che il peso della crisi, lunghissima e assassina, si sta riversando d’ improvviso sulle spalle sempre più fragili del Paese.
E l’ effetto è così impressionante che non si può non tener conto, anche nelle scelte della politica. Siamo sicuri, per esempio, che si possa ancora risparmiare sulla sanità? Siamo sicuri che si possano nascondere tagli feroci sotto le parole dolci della “razionalizzazione”? Siamo sicuri che si possano aumentare i ticket per gli esami e ridurre i servizi? E questi 46mila morti non chiedono forse un intervento urgente sulla povertà? Magari provvedimenti più incisivi dei timidi tentativi contenuti in finanziaria?
 
Nodo Pensioni – E poi, ultimo ma non ultimo, se davvero la mortalità aumenta così rapidamente e il processo di allungamento della vita non è più “irreversibile”, come ci stanno spiegando gli esperti, ha davvero senso continuare ad allungare la vita lavorativa? Se la rotta demografica si è invertita così rapidamente, perché continuiamo ad alzare l’ età pensionabile? 46mila morti non bastano per cominciare a ripensare la legge Fornero? E che ci vuole allora? Lo sterminio degli ultrasessantenni? L’ annientamento dei capelli bianchi? L’ ecatombe al sapor di rughe e pannoloni?
25 Dicembre 2015 Di Mario Giordano per liberoquotidiano.it

La Polonia riduce l’età pensionabile, sfidando il trend europeo

Fornero piangentesi può allora fare diversamente, meno male che in Italia questi pensionandi oltre a decenni di contribuzione li indebitiamo con le banche per accedere a quello che un tempo era un diritto. EVOLUZIONE europea, fantastica, LE BANCHE RINGRAZIANO.

Per fortuna da noi la tecnica resposabile Fornero ha “protetto” i conti pubblici (mo a sta balla ci credono in pochi)

Ma siamo matti pensare al popolo, sa di xenofobia e populismo…salviamo le banche

Dai che abbiam problemi seri, tipo Cristoforo Colombo e le guerre puniche di sto passo..

La Polonia riduce l’età pensionabile, sfidando il trend europeo

Come riporta Reuters, pare che nel mondo sia possibile essere un’economia più piccola di quella italiana, permettersi una propria moneta, crescere a ritmi del 3,9 per cento, fare politiche demografiche attive e addirittura abbassare l’età della pensione. Fortunatamente ci pensano gli austeri banchieri a ricordare a tutti il più grande pericolo per l’umanità, ossia che gli stipendi dei lavoratori crescano troppo velocemente. E che è proprio un peccato che certi governi tengano addirittura fede alle proprie promesse elettorali.
 
Varsavia (Reuters) – Lunedì la Polonia abbasserà l’età pensionabile, onorando una costosa promessa elettorale che il partito conservatore al governo aveva fatto, e andando controcorrente rispetto alle tendenze europee a incrementare gradualmente l’età della pensione, mentre le persone vivono più a lungo e rimangono più in salute.
L’abbassamento dell’età pensionabile a 60 anni per le donne e a 65 per gli uomini è un provvedimento caro soprattutto ai sostenitori del governo di centro-destra (sì, avete letto bene, anche in Polonia è il centro-destra a preoccuparsi degli interessi dei lavoratori NdVdE) del Partito della Legge e della Giustizia (PiS), e inverte un provvedimento che l’aveva portata a 67 anni, approvato nel 2012 dal governo centrista allora in carica.
 
Il provvedimento dovrebbe avere impatti immediati limitati sull’economia, che è in fase di boom, ma potrebbe mettere sotto pressione il bilancio statale in futuro.
 
Questa mossa avviene mentre la disoccupazione in Polonia è scesa ai livelli più bassi dai tempi dell’abbandono del comunismo all’inizio degli anni ’90, e potrebbe aumentare la tensione sui salari che stanno già crescendo al ritmo più alto da cinque anni a questa parte (Orrore! I salari crescono e l’età della pensione cala! È proprio vero che fuori dall’eurozona c’è solo l’inferno NdVdE).
 
“Il mercato del lavoro polacco deve affrontare una disponibilità sempre più limitata di lavoratori” ha dichiarato Rafal Benecki, un economista di Varsavia che si occupa dell’Europa Centrale presso ING Bank.
 
La popolazione della Polonia è di 38 milioni di abitanti e sta invecchiando a uno dei ritmi più rapidi all’interno dell’Unione Europea.
 
“Il governo sta buttando via uno degli strumenti più efficaci per aumentare la partecipazione al mercato del lavoro”, ha detto Benecki (commovente come un banchiere si preoccupi che non ci sia abbastanza concorrenza – da parte dei loro nonni – per i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro NdVdE).
  • I lavoratori che vengono dall’Ucraina
Gli economisti e i banchieri centrali dicono che il crescente afflusso in Polonia di centinaia di migliaia di lavoratori provenienti dall’Ucraina potrebbe ridurre la tensione sui salari (ecco un’altra tendenza che accomuna i banchieri: la tutela degli immigrati quando questi possono fare concorrenza ai lavoratori locali NdVdE).
I numeri del ministero del Lavoro mostrano che i datori di lavoro polacchi hanno richiesto più di 900.000 permessi a breve termine per i lavoratori ucraini nella prima metà del 2017, rispetto a 1.260.000 permessi totali nell’anno 2016.
 
“Con l’arrivo di lavoratori dall’Ucraina, finora il problema che alcuni avevano previsto – mancanza di lavoratori, tensioni sul mercato del lavoro – sta diminuendo” ha detto il Governatore della Banca Centrale  Adam Glapinski all’inizio di settembre.
Il governo ucraino del partito PiS ha stimato che il costo della riduzione dell’età pensionabile è di circa 10 miliardi di zloty (eh già, perché in Polonia gli euro non ce li hanno, poveri loro… NdVdE), ossia 2,74 miliardi di dollari, nel 2018, all’incirca lo 0,5 per cento del PIL.
Da quando è andato al potere, nel 2015, l’attuale governo ha velocemente aumentato la spesa pubblica per tenere fede alle promesse elettorali di aiutare le famiglie e ridistribuire i frutti della crescita economica in modo più equo (già scorgiamo gli austeri anti-populisti nostrani scuotere la testa con veemenza di fronte a questi sciagurati provvedimenti NdVdE).
 
Nonostante la crescita della spesa pubblica, il bilancio pubblico ha registrato il primo surplus da più di due decenni nel periodo gennaio-agosto, principalmente grazie a un intervento governativo contro l’evasione fiscale e grazie ai bonus concessi per i nuovi nati, che hanno alimentato i consumi (intollerabile: non solo la Polonia fa politiche di aiuto alle famiglie per risolvere i problemi demografici, ma addirittura osa sfruttare il moltiplicatore keynesiano! NdVdE).
 
La crescita economica ha raggiunto il 3,9 per cento nel secondo trimestre, ma gli economisti avvertono che l’aumentato costo delle pensioni potrebbe causare problemi, se l’economia dovesse rallentare.
 
“Sono preoccupato di quello che succederà quando il ciclo economico si invertirà” dice Marcin Mrowiec, capo economista presso Bank Pekao.
 
“Potremmo svegliarci con salari superiori a quelli che le società possono permettersi e… spese permanentemente più alte per le pensioni” (fortunatamente invece, nell’eurozona potremo affrontare la prossima recessione con una disoccupazione vicina ai massimi storici, un’età pensionabile sulla soglia della demenza senile e uno stato sociale che ha fatto passi indietro di decenni. Evviva! NdVdE).
Di Marcin Goettig, 1 ottobre 2017 – di Malachia Paperoga – ottobre 4, 2017