IL SUGGERITORE DI BERGOGLIO SUI MIGRANTI E’ UN BILDERBERG DI GOLDMAN SACHS

peter-sutherland21MAFIA CAPITALE UEBERALLES. Un banchiere alla Commissione migrazioni, oh quanto deve stargli a cuore la sorte degli ultimi e dei poveri…
L’Unione Europea deve fare del suo meglio per minare l’omogeneità dei suoi stati membri”, dettò nel giugno 2012
ah ma allora le migrazioni non sono volte a “salvare vite umane” ma ad attaccare “le omogeneità delle nazioni”. Pensavo che alla base della tolleranza ci fosse proprio il rispetto delle differenze….così raccontavano un tempo.
Dichiara ancora: E’ una dinamica cruciale per la crescita economica” ah quindi di nuovo, il fine a sostegno delle migrazioni selvagge non è quindi il “salvataggio” di vite umane?

Nei suoi discorsi ossessivi a favore dell’immigrazione senza limiti e il suo torvo, iracondo discorso di Natale  a difesa postuma dello Jus Soli, Bergoglio “sembra ispirarsi più a Soros che a Cristo”, ha commentato il filosofo Fusaro,  accusando El  Papa di mettersi sempre più al servizio della “mondializzazione e dello sradicamento capitalistico”.  Come mi ha ricordato un amico lettore, “Francesco” ha un ispiratore – o suggeritore o “gestore” –   più diretto di Soros. Un personaggio cui El Papa  ha dato in febbraio la presidenza della International Catholic Migration Commission,  e  che ha reso consigliere della Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA). Un filantropo umanitario dell’abolizione dei confini che è anche, come dubitarne?, un banchiere  d’affari. Ed è anche molto, molto di più.
S’introduca qui Peter Sutherland,  da almeno 20 anni presidente non (più) esecutivo di Goldman Sachs ma ultra-esecutivo del Bilderberg (sta nello “steering committee, ossia nella direzione che  del Gruppo elabora  l’agenda politica  e i fini da raggiungere); ebreo di madre, sionista, ex presidente  della BP (British Petroleum) e contemporaneamente Rappresentante Speciale dell’ONU per le Migrazioni, tutte cariche che non ha lasciato quando”Francesco” lo ha incoronato presidente della Catholic Migration Commission.
Ma è molto di più, Sutherland. E’ stato Commissario europeo alla Concorrenza quando presidente della Commissione era Delors;  è stato direttore del WTO, Organizzazione Mondiale del Commercio, ossia del tribunale mondiale del commercio globale senza confini né dazi, che praticamente ha creato da sé.
E’ capo del Global Forum on Migration and Development, da cui 160 paesi prendono le direttive sulla migrazione.
Insomma è il globalista totale e assoluto,  con le mani in pasta in tutte le entità sovrannazionali ad un tempo (ONU, WTO, UE,   forse la massima eminenza grigia della “mondializzazione   e  dello sradicamento capitalistico”  nell’interesse della finanza transnazionale.
Quasi dimenticavo: Sutherland è anche  presidente onorario  della Trilateral Commission e capo della London School of Economics, nonché  Cavaliere di Malta e membro dell’Opus Dei. Non si fa mancare nulla in posizioni di potere.
“La UE deve minare le omogeneità nazionali”, per Sutherland.
 
Le sue idee:
L’Unione Europea deve fare del suo meglio per minare l’omogeneità dei suoi stati membri”, dettò nel giugno 2012.  Parlava in qualità di presidente del Global Forum on Migration davanti alla sottocommissione inglese dei Lords, che stava indagando sull’aggravarsi improvviso delle ondate migratorie.
 
La risposta essenziale all’invecchiamento delle popolazioni in Germania o nei paesi del Sud Europa è, “ed esito a dirlo perché il concetto è stato attaccato, lo sviluppo di stati multiculturali”.  Il problema,   ha spiegato, sono le popolazioni, che “ancora  coltivano un senso della loro omogeneità   e differenza dagli altri. Ed è precisamente questo che l’Unione Europea, a mio parere, deve fare di tutto per  erodere”. In  nome di cosa?
 
“Della futura prosperità”, rispose. “ Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda sono  società  di migranti e quindi si adattano più prontamente a chi viene da un diverso mondo culturale.  E’ una dinamica cruciale per la crescita economica”.
 
Disse anche, Sutherland, che “si è passati dagli stati che scelgono i migranti, ai migranti che scelgono gli stati”,  per cui la capacità della UE  di “competere a livello globale” è a rischio…ma  d’altra parte, ha ingiunto: la UE deve smettere di selezionare solo migranti “altamente qualificati”   perche  “alla base di tutto, gli individui devono avere libertà di scelta” di dove muoversi.
(Qui per l’articolo della BBC , EU should ‘undermine national homogeneity’ says UN migration chief  http://www.bbc.com/news/uk-politics-18519395
Come si vede,   è proprio l’ideologia di “Francesco”, confusione e contraddittorietà compresa;  l’ideologia delle Bonino e Boldrini e  dei Manconi, del circo mediatico progressista.
Da qui si vede bene come ad ispirarle sia il capitalismo mondializzato finanziario; per il  quale le “omogeneità” , ossia le identità storiche e culturali che fanno i popoli vari e diversi, sono un ostacolo  e un intoppo, una pretesa odiosa, perché il consumatore globale tipo dev’essere letteralmente “senza identità”,  senza comunità,  “aperto” alle “esperienze”, cosmopolita, nomade e senza “tabù”, senza “pregiudizi” (e senza scrupoli),  di sesso variabile.  Nella esortazione di Sutherland che la UE  eroda,  mini,  indebolisca le “omogeneità” c’è   il disprezzo per la cultura  – ciò che fa à degli uomini esseri umani – come di sovrastruttura inutile e dannosa alla libertà di consumo.
 
Allo stesso modo papa Francesco, giorni  fa, ha sproloquiato: “Gli europei non sono una razza nata qui, hanno radici migranti”, evocando una  condizione anteriore alla civiltà e alla cultura – anche per lui, come per il presidente di Goldman Sachs,  la “omogeneità” culturale (quel che fa di ungheresi degli ungheresi,  la coesione di una comunità  e identità comune    saldata dalla storia, dalla lingua, persino dalle sue specifiche arti)  un fastidioso orpello che “resiste” alla “integrazione” senza limiti, una “mancanza di carità” contro la “accoglienza” – che oltretutto, completa il guru  Bilderberg  di El Papa, ci rende “meno competitivi sui mercati mondiali”.
Ora El Papa ha affidato la Commissione Cattolica sulla Migrazioni al banchiere d’affari  e al Bilderberg  –   ostile alle “omogeneità” culturali, e che si adopererà quanto può per “indebolirle”  (il verbo che ha usato è “undermine”), scalzarle, come se già non fossero abbastanza minate.  Per i papisti cattolici ingenui, quindi,  la questione da ideologica può venire fraintesa come morale: una questione di bene e di male.
 
Nella confusione etica che lo stesso Bergoglio ha sparso a piene mani, la “omogeneità” nazionale di un popolo  è equiparata al male morale, e male sarà volerla salvaguardare.   Spero che almeno si possa chiedere questo: se l’omogeneità è un male, perché Sutherland   auspica che venga scalzata in Europa, ma non la impone ad Israele, stato che difende con l’apartheid la  propria  identità, che  si  rifiuta di estendere la cittadinanza ai palestinesi perché questo snaturerebbe il “carattere ebraico  di Israele”, ossia la  propria omogeneità?   E’ strano che tutto ciò di cui i noachici debbono liberarsi perché  vizio deplorevole, sia invece pregiato, bello e giusto per i talmudici. Maurizio Blondet 27 dicembre 2017

Cosa c’è che non va nel globalismo?

globalismIn base a quello che sino ad ora ho capito, il globalismo è uno schema elaborato dalle elites per distruggere la classe operaia e quella media attraverso la finanza globale imperialista.
Ho anche il sospetto che il globalismo sia una trama ordita per eliminare le culture nazionali e le vere differenze umane sotto le ingannevoli spoglie del «multiculturalismo» e della «diversità».
E’ per questa ragione che mi confondo ogni volta mi capiti di sentire una persona dire di odiare «i ricchi», di essere opposta «all’imperialismo» e di supportare «la classe operaia», pur sostenendo incondizionatamente allo stesso tempo le frontiere aperte ed un governo globale.
Come il sogno irrealizzabile del Marxismo (un’inevitabile ed irreversibile dittatura del proletariato), la seduzione più pericolosa del globalismo consiste nell’idea della sua assoluta necessità storica. La tecnologia ci ha resi un pianeta sempre più interconnesso, per cui (così dicono) l’unica vera soluzione realmente logica e morale dovrebbe essere l’istituzione su scala globale di un’autorità governativa benevola, dotata dell’autorità di tassare, imprigionare, torturare ed abusare.
 
Ma il comunismo ci ha mostrato di essere tutt’altro che inevitabile. Dopo l’apogeo raggiunto il secolo scorso, è praticamente scomparso dalla faccia della terra. Vorrei tanto pensare la stessa cosa dei progetti di un governo monolitico mondiale sottesi a quanto viene amabilmente definito come «globalismo».
Suppongo che feticizzare una sciocca astrazione internazionalista della «classe operaia» globale permetta al globalismo stesso di adattarsi perfettamente alle vostre istanze emozionali e ai vostri complessi borghesi incentrati su un «senso di colpa da ricchi». Tuttavia, se si supporta concretamente la classe operaia statunitense (o ancora meglio: se si appartiene a questa classe), non si può non comprendere che il globalismo è il nostro peggior nemico. Chi ha passato la maggior parte della propria esistenza sotto la pressione di una scelta tanto semplice quanto triste (lavorare o morire di fame) avverte distintamente il disprezzo che le subdole élite globali provano non solo verso la sua persona, ma anche per la sua cultura, la sua umanità e la sua stessa esistenza.
Indipendentemente dai posti di lavoro che questi schizofrenici resi folli dall’avidità confezionino e spediscano all’estero, il loro sogno maggiore è ridurre drasticamente i salari negli stessi USA importando (per vie sia legali che illegali) «migranti» che non hanno niente in comune con la vostra cultura e sono stati istruiti a deridervi come uno scarto evolutivo se vi permettete di lamentarvi che le elites si stanno prendendo gioco di voi mentre distruggono le basi su cui si regge la vostra vita.
Il globalismo sostituisce operai del Mondo Sviluppato con operai provenienti dal Terzo Mondo e chiama i primi «razzisti» (l’equivalente moderno di «negri») se osano avanzare la minima protesta a riguardo. Quindi… se il globalismo può essere una manna dal cielo per le multinazionali e gli operai malesi, per quelli occidentali si è rivelato una botola da cui possono pendere impiccati in qualsiasi istante.
Per la classe operaia occidentale, il globalismo significa regresso, disfatta, dislocazione.  Dopo le elezioni di novembre, il maggiore stratega della Casa Bianca, Steve Bannon, ha descritto cosa è realmente successo: «I globalisti hanno distrutto la classe operaia statunitense ed hanno creato una classe media in Asia. Il problema principale ora consiste in come gli statunitensi possano evitare di essere definitivamente rovinati».
Ma come molti di noi stanno imparando, il semplice comprendere che si sta venendo rovinati (non dico cercare di evitarlo attivamente!) ci rende automaticamente dei nazisti, degli antisemiti, dei suprematisti bianchi e dei patetici provinciali che devono essere sostituiti nella linea di produzione da gente con più melanina e meno soldi.
 
 Quanto più le elites finanziarie perdono le proprie radici e si internazionalizzano, tanto meno fanno finta di trovare un legame comune con gli zotici e le bestie dei paesi che le ospitano. Al contrario, deridono ormai apertamente queste masse.
Ma con sommo orrore e sgomento di questi cosmopoliti ultra-arroganti, i provinciali dei paesi di transito finanziario si stanno svegliando ed hanno realizzato che, nel migliore dei casi, sono visti come un ostacolo al progresso. Nel peggiore dei casi, invece, realizzano che gli architetti globali non avrebbero problemi di sorta a schiacciarli con le asfaltatrici pur di tracciare la via maestra per la loro versione di «progresso».
Chi critica aspramente «i ricchi» pur accettando ingenuamente il globalismo e tutte le sciocchezze utopistiche piazzate in rete non comprende che, quasi senza eccezione, la finanza globale, i mezzi di informazione globali e la cultura accademica globale sono solidamente dietro questo idiota movimento monolitico che predica il commercio libero, le frontiere aperte e la psicopolizia informatica.
Fondazioni umanitarie, organismi o gruppi analitici apparentemente indipendenti e le ONG affermano di perseguire una missione che dovrebbe alleviare i problemi delle masse e mettere i ricchi sotto controllo, tuttavia pochissime persone sembrano dubitare della sincerità dei loro intenti. «I ricchi» infatti stanno appoggiando dei movimenti da cui vengono demonizzati solo superficialmente: in realtà, le strutture appena menzionate stanno rendendo «i ricchi» ancora più ricchi, ma chi dice qualcosa a riguardo viene subito tacciato di nazismo.
Ma a parte la sfrenata ipocrisia economica, l’aspetto più odioso del globalismo selvaggio è il disprezzo infestante che i suoi divulgatori mostrano per le culture nazionali, soprattutto per quelle europee. Nonostante il tributo convenzionale offerto ai cosiddetti diritti di uomini che ritengono di essere donne e quindi vogliono fare i loro bisognini nei bagni delle signore, questi divulgatori mostrano una disinvolta indifferenza verso il seguente fatto: le loro devastazioni finanziarie e culturali, che nessuno ostacola, stanno spazzando via intere culture sul pianeta e le stanno sostituendo con una cultura consumatrice piatta, sradicata, omologata, ideologicamente caotica e compiacente.
Tuttavia, nella loro folle tensione ad un livellamento globale, le forze mondialiste non potranno mai risolvere definitivamente i motivi di conflitto. Il globalismo può solo sostituire le guerre tra nazioni con guerre tra ex-nazioni, trasferendole dai confini, dove prima tali conflitti avevano luogo, alle strade delle città. E’ possibile che, invece di un’armonia globale, sia proprio questo lo scopo finale del globalismo: un conflitto interminabile ed insanabile.
 
C’è un lato tremendamente ironico in tutto questo. Non so se per caso o destino. Il globalismo spesso è un antidoto umano ed una forma di retribuzione karmica in atto contro il colonialismo europeo. Durante i vari dibattiti, il fatto che la Francia abbia colonizzato parti del Maghreb in maniera criminale viene utilizzato come una giustificazione morale dei magrebini che stanno colonizzando demograficamente e culturalmente la Francia. Apparentemente, nessuno ha mai insegnato a questi scaltri sofisti del globalismo che la somma di due mali non dà mai il bene, il risultato sarà piuttosto un inasprirsi dei conflitti e degli spargimenti di sangue.
Essendo io un anticollettivista per natura, trovo orrendo lo spettro di un governo globale retto da figure ufficiali non elette che non tengano in conto alcuno la volontà mia e quella della maggioranza degli esseri umani. Non ho assolutamente voglia di far controllare ogni microsecondo della mia esistenza a persone che si trovano a 5000 miglia lontano da me. Persone a cui non delegherei nemmeno il compito di scaccolarmi.
 
John Lennon può essere ritenuto a buon diritto la prima pop-star globalista, il suo candido «Imagine» del 1971 è venerato come un vero inno al globalismo. In questa canzone Lennon immagina un mondo senza nazioni, senza proprietà privata, senza omicidi, un mondo dove tutti gli uomini cooperano. Mentre immaginava tutto questo, un pazzo ha premuto il grilletto e lo ha ucciso. Lennon cantava che abbiamo bisogno solo d’amore. In realtà, il giorno del suo omicidio lui aveva bisogno solo di un’arma per difendersi.
di Tyler Durden – 01/03/2017 – Fonte: oltrelalinea
(di Tyler Durden, ZeroHedge – Traduzione a cura di Claudio Napoli)