65ENNE ITALIANO DISOCCUPATO, SFRATTATO E SENZA LUCE SI IMPICCA IN CASA SUA A PARMA

65enne sfrattatoFebe Polluce -Anticamente un uomo che non era in grado di far fronte ai suoi debiti veniva venduto come schiavo. Grazie a dio, ora abbiamo il diritto e la civiltà: se non puoi pagare, malgrado i meno 10 gradi di temperatura esterna ti staccano luce e riscaldamento corrente, o ti sfrattano buttandoti in mezzo alla strada a morire di freddo
 
65ENNE ITALIANO DISOCCUPATO, SFRATTATO E SENZA LUCE SI IMPICCA IN CASA SUA A PARMA
 
by informazionelibera · 23 gennaio 2018
Un altro omicidio di Stato a Parma: Un italiano di 65 anni perde il posto di lavoro, viene sfrattato e gli tolgono pure l’energia elettrica. L’uomo in preda alla disperazione si toglie la vita impiccandosi nella sua abitazione. Non era un immigrato abusivo, nessuno aiuto dalle istituzioni.
Dramma della disperazione a Parma: nel pomeriggio di ieri, giovedì 21 settembre, un 65enne, senza lavoro, si è tolto la vita impiccandosi della sua abitazione. La luce nella sua abitazione era staccata da giorni e i tecnici stavano per staccare anche le altre utenze. Lo sfratto, nel frattempo, era diventato esecutivo.
 
La scoperta del cadavere è stata fatta dalla madre anziana, che si era recata nella sua abitazione insieme ad un tecnico dell’Iren. Un dramma nel dramma per la donna con la quale il 65enne conviveva fino a poco tempo fa. La madre è entrata ed ha visto la scena: il figlio aveva deciso di legarsi una fune al collo e di fissarla ad un tubo del gas. Per lui non c’è stato nulla da fare.
 
Sul posto sono arrivati i poliziotti, il medico legale e la Polizia Scientifica che hanno escluso altre piste. Il 65enne, oltre alla madre, lascia anche una figlia.
 
 

Emergenza abitativa

blocco sfrattistronzate. Gli italiani sono ricchi ed hanno tutte le tutele e diritti immaginabili. Famiglie e disabili che dormono in macchina? Solo propaganda populista.


Quello alla casa è un diritto. Per tutti. Anche per chi è sprovvisto di risorse economiche. A tutela dei quali, a partire dagli anni novanta, diverse leggi – la prima nel 1993, la numero 560 – hanno imposto la vendita del patrimonio residenziale pubblico per sopperire alla carenza degli alloggi. Lodevole se non fosse  che la scelta sembrerebbe, alla luce dei fatti successivi, essere stata partorita per fare cassa e mettere in ordine i conti pubblici piuttosto che con il buon proposito di raccogliere risorse per ristrutturare o costruire nuove strutture. A conferma di ciò, negli stessi anni, lo Stato ha, man mano, ridotto i suoi interventi in materia di politiche abitative, lasciando che se ne occupassero regioni e comuni.
 
Con le leggi numero 449 del 1997 e numero 388 del 2000, gli alloggi di proprietà dello Stato sono stati ceduti gratuitamente ai comuni. Che mantengono prerogative fondamentali, vedi stilare le graduatorie e assegnare le case conseguentemente. Ma, a oggi, sono seicentocinquantamila, con un incremento di quarantaseimila negli ultimi tre anni, le domande inevase di alloggi popolari, non riuscendo, gli enti locali, ad arginare il disagio abitativo, sempre più stringente.
 
Un po’ perché la crisi economica ha aumentato i potenziali destinatori degli alloggi sociali un po’ per l’attuazione di pratiche negative derivanti da criticità nelle politiche. Tipo: la disparità di trattamento fra i cittadini delle varie Regioni, la difficoltà di far coincidere i bandi e la relativa tempistica con la disponibilità degli alloggi o la rigidità delle regole per la formazione e la gestione delle graduatorie.
Sebbene ogni comune abbia, nel suo bilancio, una voce che finanzia le attività relative all’edilizia economica e popolare che comprende anche i costi per mantenere gli uffici che se ne occupano, il quadro è molto variegato e cambia da città a città. Il comune che spende di più per l’edilizia pubblica è Milano con settantacinque euro pro capite, seguito da Venezia con quarantadue euro e da Firenze con poco più di trentotto euro. Roma si piazza all’ottavo posto mentre, nelle ultime posizioni della classifica, stanziano Palermo, Genova e Trieste, tutte con meno di cinque euro per residente.
 
E per avere una misura dell’emergenza abitativa, non si può prescindere dai dati sugli sfratti (spesso per morosità e, perciò, con la conseguente immediata necessità di una sistemazione). La città più colpita dal fenomeno, con uno sfratto ogni duecentosettantadue famiglie, è Roma e Milano è al settimo posto. Al secondo, Genova, con uno sfratto ogni trecentodiciassette famiglie, ma penultima per spesa pro capite in edilizia popolare.
Che la morosità sia colpevole o incolpevole, che ci sia la tendenza a nascondere una parte del reddito per rientrare negli scaglioni più bassi con il conseguente sconfinamento nell’evasione fiscale o che, per la forte tensione abitativa tipica di certe aree urbane, la faccia da padrone l’abusivismo, sostenuto da periodici provvedimenti di sanatoria per regolarizzare posizioni non proprio legali, il malfunzionamento della macchina lascia, in troppi, senza casa.
 
Lunedì 30 Gennaio 2017
di Tania Careddu