Il Capo della Polizia Gabrielli: “Più grave piazzata di Forza Nuova della bomba anarchica di fronte caserma carabinieri”

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così forse si finirà di credere che la polizia sia “fascista”. La “piazzata” è un presidio dei forzanuovisti sotto la redazione di due giornali, roba che è stata fatta in passato da tanti altri, da pacifisti, no global, no tav etc, ma non importa. Se lo fa “chi non deve esistere” è attentato alla democrazia.

Il Capo della Polizia Gabrielli: “Più grave piazzata di Forza Nuova della bomba anarchica di fronte caserma carabinieri”
Roma, 8 dic 2017 – CARABINIERI: MENO GRAVE LA BOMBA DI FRONTE ALLA CASERMA CHE MANIFESTAZIONE SOTTO IL GIORNALE. ALL’INTERNO VIDEO DEL SEN. GASPARRI E ARTICOLO SU DICHIARAZIONI CAPO POLIZIA GABRIELLI. Segue articolo de Il Giornale.it. Le parole del capo della Polizia, Franco Gabrielli. Identificati 12 militanti di Forza Nuova. Sulla bomba degli anarchici ai carabinieri si indaga invece per terrorismo. Gabrielli ieri sembrava esserne certo: il blitz di Forza Nuova sotto la redazione di Repubblica e L’Espresso è “molto più grave” dell’esplosione dell’ordigno di fronte alla stazione dei Carabinieri di Roma. Un parallelismo che ha scatenato dure polemiche e che ha costretto il capo della Polizia a un piccolo passo indietro. VIDEO ALL’INTERNO.
GUARDA ANCHE IL VIDEO DEL SEN. GASPARRI.
La dichiarazione di Gabrielli
Molto più grave – ha detto Gabrielli a margine dell’evento “Legalità e sport” alla “Nuvolà di Roma” – ritengo per certi aspetti la piazzata che è stata fatta ieri nei pressi della redazione di un gruppo editoriale importante, perchè tutte le volte che si mette in discussione la possibilità che la stampa sia libera ed espressione di qualsiasi opinione, io credo sia un interrogativo per tutti“. Solo a sera le agenzie battono la spiegazione del parallelismo, quando il capo della Polizia afferma che in entrmabi i casi si tratta di “fatti gravissimi per i quali lo Stato e le forze di polizia non faranno sconti a nessuno. Considero gravissimo tutto ciò che è violenza. Ho voluto sottolineare la gravità di quanto accaduto nei pressi di una redazione di un gruppo editoriale e non certo sminuire l’episodio di San Giovanni. Dunque nessuna sottovalutazione. Ogni violenza va perseguita ed è quello che faremo.
Il blitz di Forza Nuova
I due casi sono susseguiti di poche ore. Due giorni fa, intorno alle 15.30, dodici militanti di Forza Nuova fanno irruzione nel piazzale delle redazioni di Repubblica e L’Espresso con fumogeni e uno striscione che inneggia a “boicottare” i due prodotti editoriali. Non più di tre minuti, poi i manifestanti – col volto coperto e le bandiere – si sono allontanati“senza arrecare danni a cose e persone e senza mai avvicinarsi alle porte dei locali della redazione che comunque nel frattempo erano state bloccate“.
Visionando le numerose telecamere della zona, le forze dell’ordine sono riuscite ad identificare dodici persone, tra cui un minorenne e una donna. Molti di loro sono tifosi della Lazio e già sottoposti al Daspo. Misura che, con ogni probabilità, verrà estesa anche agli altri partecipanti al blitz. Perquisita intanto la sede di Forza Nuova in via Taranto 57 e le case dei partecipanti al piccolo sit-in. La Procura della Repubblica indaga con l’ipotesi di reato per violenza privata, accensioni ed esplosioni pericolose e manifestazione non autorizzata con travisamento.
La bomba degli anarchici
Ieri invece l’esplosione di una bomba alle 5.30 di fronte alla stazione dei Carabinieri in zona San Giovanni. La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta ipotizzando il reato di “atto di terrorismo con ordigno esplosivo” a carico di ignoti. In serata però è arrivata larivendicazione della Federazione anarchia informale – fronte rivoluzionario internazionale, Cellula Santiago Maldonado: “Con questa azione lanciamo una campagna internazionale di attacco contro uomini, strutture e mezzi della repressione.
Ognuno con lo strumento che ritiene più opportuno e se lo desidera contribuendo al dibattito – hanno scritto nel comunicato – e nostre attenzioni si sono riversate verso i principali tutori dell’ordine mortifero del capitalismo: le forze dell’ordine. Senza di esse i privilegi, le prepotenze, le ricchezze accumulate dai padroni sarebbero nulla. Perchè hanno da sempre la funzione di reprimere, incarcerare, deportare, torturare, uccidere chi per scelta o necessita si ritrova al di fuori della loro legge“. La notte scorsa, conclude la rivendicazione, “abbiamo portato la guerra a casa del ministro Minniti. I diretti responsabili in divisa, coloro che obbediscono tacendo e tacendo crepano, hanno ricevuto un assaggio di quello che si meritano”. Pubblicato il 8 dicembre 2017 Fonte: www.ilgiornale.it
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Intervistare Assad è sacrosanto, alla faccia dei maestrini del giornalismo

Com’era previsto, l’intervista a Bashar al-Assad pubblicata da Il Fatto Quotidiano e, per quanto mi riguarda, da Avvenire, e trasmessa in parte anche dal Tg1 e dai canali Mediaset, ha attirato gli strali di alcuni maestrini di morale e giornalismo. Non si intervista un dittatore (criminale, macellaio, torturatore, eccetera, a piacere), non ci si presta alla sua propaganda, non si diventa suoi complici. Questo, per sommi capi, l’argomento più usato.
 
Vorrei chiarire subito la mia convinzione in merito: si incontra e si intervista chiunque. Se sapessi che interessa ai lettori, intervisterei anche il diavolo. L’idea che intervistare una persona o un personaggio significhi piegarsi ai suoi interessi e ai suoi scopi è patetica. Ho lavorato per tanti anni a Famiglia Cristiana e ricordo l’uscita di interviste, per citarne solo qualcuna, con Felice Maniero (il capo pluriomicida della cosiddetta “banda del Brenta”), Graziano Mesina, il generale Aidid (che tra centinaia di altre avrebbe avuto sulla coscienza anche la morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin) e persino Pol Pot. Nessuno pensò mai, e tanto meno scrisse, che “parlare con loro” volesse dire “stare con loro”, sposare le loro tesi. Anche se ovviamente Maniero, Mesina, Aidid e Pol Pot sostenevano la loro “verità”.
Ma veniamo ad Assad. Presso il ministero dell’Informazione della Repubblica di Siria giace una lista lunga un metro di richieste di intervista al Presidente. Comprende tutte le maggiori testate del mondo. Dal punto di vista dei giornalisti, quindi, la questione è presto risolta. Chi non intervisterebbe il cattivo (criminale, macellaio eccetera) Assad forse ha sbagliato mestiere. Dovrebbe farne un altro, magari anche più nobile di quello del giornalista: l’attivista per i diritti umani, il funzionario Onu, il politico. Una delle attività che permettono di far sparire dalla faccia della terra tutti quelli come Assad. Ma non il giornalista.
 
«Noi quattro giornalisti italiani che abbiamo realizzato l’intervista ad Assad ci siamo accordati per fare domande diverse, ad ampio spettro, su temi scomodi per il regime. Non ci è stato chiesto di evitare questo o quell’argomento, né l’avremmo fatto. I lettori ce ne saranno grati»
E aggiungo: d’accordo, non intervistiamo Assad l’assassino. Ma il generale Al Sisi, quello dell’Egitto, del caso Regeni e di centinaia di altri desaparecidos, invece sì? E il re dell’Arabia Saudita e l’emiro del Qatar, oppressori dei loro popoli, finanziatori dell’Isis e assassini di civili nello Yemen? L’ayatollah Alì Khamanei, guida suprema dell’Iran? Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah in Libano? Erdogan mamma li turchi? Il generale Haftar, che fu sgherro di Gheddafi e collaboratore della Cia ma oggi ha in mano le carte decisive in Libia, lo lasciamo perdere e quindi stronchiamo il Corriere della Sera che lo ha fatto parlare?
Posso aggiungere? Perché Tony Blair, che insieme con George Bush mentì al mondo per scatenare l’invasione dell’Iraq e fu così causa di centinaia di migliaia di morti, ha parlato con tutti i giornali per anni, anche dopo che le sue responsabilità erano diventate evidenti? Voi neo-moralisti l’avete mai intervistato? Avreste rifiutato, rifiutereste di incontrarlo? Volete un altro esempio? Eccolo: Aung San Suu Kyi. Ebbe il Premio Nobel per la Pace nel 1991, oggi fa il primo ministro della Birmania e applica una politica di feroce discriminazione, ai limiti della pulizia etnica, nei confronti della minoranza musulmana dei rohynga, più di 800 mila persone. Già vi vediamo rifiutare, sdegnati, un’intervista con l’ex eroina.
Il moralismo un tanto al chilo è la morte dell’informazione. L’intervista con Bashar al-Assad ha avuto tutti i limiti che è possibile immaginare in una situazione come la Siria di oggi. Ma per essere onesti, ho avuto limiti peggiori, in passato, in certi incontri con politici italiani. Inoltre, noi quattro giornalisti italiani che l’abbiamo realizzata ci siamo accordati per fare domande diverse, ad ampio spettro, su temi scomodi per il regime, in modo da ottenere il materiale più ampio possibile. Ci avevano detto una domanda a testa, ovviamente ne abbiamo fatte di più. Non ci è stato chiesto di evitare questo o quell’argomento, né l’avremmo fatto. I lettori ce ne saranno grati. Quelli che si sono investiti del ruolo di agit prop del bene forse no, ma non importa.
 
di Fulvio Scaglione – 16/03/2017 Fonte: linkiesta

Alla tv tedesca si può dire che Trump va ucciso. Ma basta un “like” per Marine Le Pen e sono guai


Avete notato come l’attentato di Quebec City sia sparito in fretta dalle notizie che contano? Eppure sono morte sei persone e altre otto sono rimaste ferite in quello che il premier canadese, il Big Jim del buonismo, Justin Trudeau, ha subito chiamato “attacco terroristico” e che le autorità hanno bollato come “l’atto di un lupo solitario”. Lo studente universitario fermato è stato accusato di omicidio plurimo premeditato e di tentato omicidio di cinque persone: insomma, accuse pesantucce. Certo, non ha ammazzato dei vignettisti francesi molto chic ma soltanto un macellaio, un professore universitario e un farmacista, tra gli altri: niente che faccia tendenza.
Tanto più che l’unica cosa che conta è il suo profilo Facebook, immediatamente oscurato, dal quale si desume la sua simpatia per Donald Trump e Marine Le Pen. Insomma, Alexandre Bissonnette è perfetto mostro xenofobo da sbattere – per poco – in prima pagina. Di più, stando alla stampa canadese, il nostro sparatore trumpista è noto nei circoli di attivisti cittadini come un troll di estrema destra che spesso esprimeva posizioni contro gli stranieri e contro le femministe.
 
Di fatto, però, il suo profilo on-line e la sue frequentazioni mostrano un ragazzo con poco interesse alle politiche estremistiche, almeno fino allo scorso marzo, quando Marine Le Pen visitò proprio Quebec City e parve ispirare l’attivismo on-line di Bissonnette. A confermare il profilo estremista ci ha pensato un amico con cui il killer è cresciuto e che conosceva la sua attività su Facebook, Vincent Boissoneault. Ecco le sue parole: “Posso dirvi che sicuramente non era un musulmano convertito. Lo descriverei come uno xenofobo. Non penso nemmeno che fosse totalmente razzista ma era affascinato da un movimento razzista e nazionalista borderline”.
 
C’è poi François Deschamps, un consigliere per l’occupazione che gestisce una pagina Facebook di supporto per i rifugiati, il quale ha detto di aver riconosciuto immediatamente Bissonnette dalla fotografia: “Era qualcuno che faceva frequenti ed estremi commenti sui social network, denigrando i rifugiati e il femminismo. Non era proprio odio totale, più che altro era parte di questo nuovo movimento nazionalista, conservatore e identitario che è più intollerante che pieno d’odio”.
 
Insomma, dalle descrizioni, abbiamo il profilo del perfetto lupo solitario. E di tutti i movimenti anti-establishment di mezzo mondo, da Wilders ad AfD passando per Orban: tu guarda che combinazione. Peccato che un altro amico d’infanzia del killer, Michel Kingma-Lord, abbia offerto ai media una narrativa un po’ diversa.
Ecco le sue parole: “Sono sotto shock, ultimamente non ci vedevamo più tanto ma quando eravamo più giovani abbiamo passato molto tempo insieme, ci univa la passione per i minerali. Era un bravo ragazzo, generoso, educato e sempre pronto ad ascoltare. E sempre stato più interessato al club degli scacchi del campus che all’ideologia politica. Non ha mai postato nulla sull’hate speech, non avrebbe mai condiviso qualche ideologia politica. Quando parlavamo, erano dialoghi normalissimi”.
 
Ma si sa, le cose possono essere cambiate dopo la visista di Marine Le Pen a Quebec City. E poi ci sarebbero state quelle lodi su Facebook proprio verso la candidata della destra francese e verso Donald Trump: ora i suoi commenti sono spariti insieme al suo profilo ma si sa che il suo “like”, oltre che sulle pagine della Le Pen e anche di altri politici di destra, era finito anche su quelle di Garfield e di alcune pop-star, tra cui Katy Perry. Che strano tipo di lupo solitario estremista: odio le femministe ma ama Katy Perry, la quale a sua volta odia Donald Trump che, invece, il killer venera. E cosa sarà successo dopo la visita di Marine Le Pen? Mistero.
 
Ma la domanda è un’altra. Al netto della solita assenza di certezze e dettagli che segue questi casi, tutti i particolari resi noti dipingono un quadro chiaro: dietro chi è molto attivo on-line, dietro a chi opera da troll, dietro a ogni commento fuori dalle righe, potrebbe esserci un potenziale lupo solitario pronto ad entrare in azione. Dettagli su come abbia trovato le armi? Nessuno. Il famoso secondo killer? Sparito, il cittadino marocchino fermato è diventato rapidamente un “testimone”: quindi, potenzialmente inseribile in un programma di protezione che lo renderebbe innocuo. Qualcuno ha gridato davvero “Allah akbar” come confermato dalle prime notizie o trattasi di delirio uditivo? Capite da soli che se il solo fatto di ammirare (o aver messo il “like” alla pagina Facebook) Marine Le Pen o Donald Trump può diventare qualcosa di sospetto, di tracciabile in via preventiva, un’aggravante a qualsiasi commento si posso postare on-line, siamo alla psico-polizia.
 
L’attentatore di Quebec City, a quanto ne sappiamo, non ha mai sparato in vita sua ma, di colpo, decide di attaccare una moschea con un fucile d’assalto, centrando 14 bersagli, uccidendone sei e ferendone otto. Ricorda lo sparatore di Monaco di Baviera, un adolescente che ha comprato la pistola su Internet e, nell’arco di due settimane, era diventato un cecchino degno dell’IRA su bersagli in movimento e con una Glock 19. Non so se avete mai visto “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” di Elio Petri e con un sempre straordinario Gian Maria Volontè. Se non lo avete fatto, questi cinque minuti di una delle scene principali, forse potrebbe farvi capire meglio il mio punto di vista e i miei timori.
Perché “sotto ogni criminale può nascondersi un sovversivo e sotto ogni sovversivo può nascondersi un criminale”. Ovvero, la criminalizzazione del dissenso iniziato con la guerra contro le fake news e la post-verità e che ora fa il salto di qualità con le tracciature dei profili social che diventano – di fatto – le uniche prove di un omicidio premeditato multiplo per ragioni d’odio, perpetrato non si sa come e non si sa perché da un studente 24enne di scienze politiche alla prestigiosa università Laval. Ma che aveva dato il suo “like” alla pagina Facebook di Trump e della Le Pen. Anche se io propendo per Garfield come fiancheggiatore, mentre Katy Perry potrebbe essere stata l’armiere.
Ma ironia a parte, se invece dite in televisione che l’unico e più semplice modo per porre fine alla catastrofe di Trump è ammazzare il presidente alla Casa Bianca, magari non ti applaudono pubblicamente ma il circo Barnum del politicamente corretto ti garantisce una pacca sulla spalla, magari scomodando il concetto aristotelico di tirannicidio come obbligo morale. E successo al direttore ed editore del settimanale tedesco, “Die Zeit”, Josef Joffe, nel corso di un filo direttore con i telespettatori nella trasmissione ADR-Presseclub.
 
Quando gli è stato chiesto se fosse possibile porre Trump sotto impeachment e porre fine alla catastrofe che rappresenta, Josse ha così risposto: “Deve esserci una maggioranza qualificata di due terzi del Senato perché si possa rimuovere il presidente. Questi sono ostacoli politici e legali particolarmente duri, deve succedere qualcosa di molto grave per questo e non siamo ancora a quel punto… Ci potrebbe però essere un omicidio alla Casa Bianca”. Eco di questa sparata? Zero. Auspicare l’omicidio del presidente degli Usa in diretta tv in Germania è ormai normalissimo. In compenso, se metti “like” al profilo di Marine Le Pen, sei tracciato come potenziale lupo solitario. Tutti avvisati.
 
Di Mauro Bottarelli , il 31 gennaio 2017