DEMENZA DIGITALE

lavoro tecIl ras di quello che una volta era il partito dei lavoratori si è recato recentemente in visita negli Stati Uniti, alla Corte dei capitalisti della Silicon Valley.
L’ ex premier Matteo Renzi, come nel suo stile, ha trionfalisticamente annunziato l’iniziativa transcontinentale motivandola con la necessità di dovere apprendere da quelli che, per capirci, con l’informatizzazione, la digitalizzazione, la robotizzazione e la rete informatica guadagnano denari a palate. E così mandano sul lastrico milionate di aziende e lavoratori.
Chi vi scrive non appartiene di certo alla ristretta cerchia del giglio magico. Allorquando opportunamente interpellato lo scrivente, comunque, si sarebbe adoperato per evitare al leader piddino la defatigante esperienza californiana.
 
Non è. invero, necessario recarsi di persona nella lontana Silicon Valley per intuire i meccanismi che determinano il formidabile successo di aziende come Amazon, Microsoft, Apple, Google, Netflix twitter, starbucks, Adobe. Bisogna però avere l’onestà intellettuale di riconoscere che tale successo fonda su un modello sociale ed economico nefasto.
Pochi sanno che, insieme, tali imprese capitalizzano in borsa oltre 2718 miliardi di dollari. Molto di più del prodotto interno lordo italiano che vale, invece, 1961 miliardi. I vertici di tali colossi del web sono quelli che recentemente si sono messi anche a far politica. Come un sol uomo sono insorti contro la decisione di Trump che aveva bloccato gli ingressi negli Stati Uniti provenienti da stati canaglia.
 
Queste aziende, per capitale e fatturato di questo settore, contano oltre 900.000 dipendenti. Amazon, da sola, impiega 306.800 persone per smistare, a basso costo, pacchi in 14 paesi. Mentre Starbucks, con fatturato decisamente più basso, si serve di 238.000 dipendenti per recapitare dolcetti e caffè americani in tutto il mondo. E’ intuitivo comprendere che costoro si oppongono, allora, alle scelte di contrasto dei flussi immigratori incontrollati non certamente per ragioni umanitarie.
Le ondate di disperati, disponibili a lavorare a basso costo, rappresentano un ineliminabile pilastro del loro successo. Il dumping commerciale che tale aziende praticano postula la disponibilità di un elevatissimo numero di dipendenti disponibili a farsi sfruttare per salari da fame. E l’immigrazione alimenta l’offerta di manodopera disponibile a lavorare a basso costo. Renzi, di ritorno dalla Silicon Valley, avrà finalmente compreso l’ arcano della new economy. Ed a sinistra i nodi giungono al pettine.
 
Sul tema del lavoro, da che parte sta la sinistra? Con Uber, per esempio, o con i tassisti? La questione va correttamente affrontata in termini di principio. Stare con Uber significa accettare quella sharing economy che sta progressivamente annientando il mercato ed il mondo del lavoro. Si tratta di un progressismo peculiare, che piace molto alla grande finanza, agli intellettuali politicamente corretti, foraggiati da contratti che a loro riservano le reti pubbliche o le maggiori testate giornalistiche.
Chiunque non sia in malafede non può più negare che la robotizzazione e la digitalizzazione determinano la drastica riduzione di posti di lavoro e un progressivo aumento della disoccupazione.
Nell’arco di dieci anni, stando ad autorevoli stime, il tasso di disoccupazione passerà dal 10 al 47%. Di fronte a tale stato di cose, ed alle conseguenti prospettive, siamo ormai chiamati tutti ad consapevole presa di posizione universale: o si sta a favore del lavoro oppure ci si schiera a beneficio dei visionari dell’ultratecnica.
La sinistra renziana, invece, promette di tutelare i lavoratori ma intraprende politiche di governo che favoriscono la precarizzazione di tutte le forme di lavoro. Renzi poi una scelta definitiva sembra averla fatta: pubblicamente celebra Google, Apple, Amazon.
Negli Stati Uniti incontra Musk, imprenditore miliardario della new economy, profeta del transumanesimo, che progetta ed investe nella produzione di veicoli senza guidatore e preconizza che uomini l’ibridazione dell’umanità.
Nel frattempo, mentre i vertici del Pd si gingillano ad eludere temi centrali per le prospettive del mondo del lavoro, secondo i dati del Viminale, gli sbarchi segnano un inquietante aumento del 44% rispetto all’anno scorso. Gli immigrati in arrivo sono in gran parte della Nuova Guinea, Costa d’avorio, Nigeria e Senegal, Gambia. Nessuno proviene da scenari di guerra. Si calcola che nel 2017 possa essere superata la cifra dei 200.000 sbarchi. Coloro che si riempiono la bocca di retorica dell’accoglienza – ed il portafoglio di contributi destinati alle strutture di scopo – possono riferirci quali realistiche prospettive di assorbimento, in un mercato del lavoro che va rapidamente assottigliandosi, siamo in condizione di garantire a questi disperati ed ai nostri disoccupati ?
Mar 06, 2017 di Carmine Ippolito
Fonte: Katehon

Saviano, un intellettuale al servizio del pensiero unico

Cliché, buonismo stucchevole, promozione dell’ordine simbolico dominante: così lo scrittore si garantisce visibilità permanente e applausi senza fine.
Il ceto degli intellettuali è oggi in larga parte composto da opinionisti che non credono in saviano sindacinulla, parlano di tutto e sono permanentemente in cerca di visibilità mediatica e, soprattutto, di danaro. Tra questi, poi, vi sono alcuni esponenti del ceto intellettuale che più degli altri sono abili nel surfare le onde del pensiero unico politicamente corretto: e, per ciò stesso, si garantiscono visibilità permanente, applausi senza fine e seguito delle masse teledipendenti e sempre più lobotomizzate dalla manipolazione organizzata.
UN INTELLETTUALE IMPECCABILE. Roberto Saviano è sicuramente un intellettuale impeccabile. Non sbaglia un colpo. Dice sempre la cosa giusta al momento giusto: sembra sincronizzato per fornire ad hoc le superstrutture funzionali alla struttura dominante. Ora fa l’elogio di Israele (modello insuperato della democrazia missilistica); ora infanga l’appena defunto Fidel Castro come “dittatore” sanguinario (secondo il logoro cliché che ormai anche i muri ripetono in maniera automatica); ora stigmatizza i populismi (senza, ovviamente, dire nulla sull’unico vero pericolo oggi esistente, che si chiama capitalismo finanziario).
OMELIE DA SOMMINISTRARE ALLE MASSE. Adesso, dulcis in fundo, ci spiega che il suo sogno per il 2017 sono «sindaci africani», ha letteralmente asserito in una recente intervista rilasciata a Gianni Riotta e prontamente trasformata in nuova omelia televisiva da somministrare alle masse subalterne e indotte – grazie anche a spettacoli di questo tipo – ad amare le proprie catene.
La neolingua ha sempre la parola giusta per disinnescare la critica e determinare l’immediato riallineamento delle coscienze
Guai a chi osi rammentare, en passant, che l’immigrazione di massa è una deportazione a uso del capitale e contro migranti e lavoratori: l’accusa di xenofobia fioccherebbe all’istante, perché la neolingua ha già sempre la parola giusta per disinnescare in partenza la critica e per determinare l’immediato riallineamento delle coscienze all’ordine mondializzato classista.
IL CAPITALISMO CI VUOLE TUTTI MIGRANTI. Perché mai, in Italia e segnatamente nel Mezzogiorno, dovremmo “sognare sindaci africani”? Non avrebbe invece senso sognare sindaci giusti, africani o italiani che siano? Il buonismo stucchevole ha preso, ancora una volta, il sopravvento.
E guai a chi osi metterlo in discussione, ché subito – non dubitatene – sarà nuovamente diffamato come xenofobo per il semplice fatto che non aderisce al nuovo mito immigrazionista di un capitalismo che elogia il migrante (nell’atto stesso con cui lo sfrutta senza pietà) perché, di fatto, ci vuole tutti migranti, precari e sradicati, mobili come il mercato delocalizzante.
PROMOTORE DELL’ORDINE DOMINANTE. Saviano – che lo sappia o no poco importa, in fondo – è tra i principali promotori dell’ordine simbolico dominante. In questo, almeno in questo, egli è nel vero quando afferma la necessità di «rimanere fedeli a un’idea di se stessi».
– di Diego Fusaro – gennaio 11 2017
Fonte: Lettera43

Questa società non punta ad accogliere chi arriva da noi, ma a rendere migrante chi c’è già

L’elogio ipocrita dell’immigrazione da parte dell’èlite neofeudale e dei suoi oratores della sinistra del costume non si spiega unicamente in ragione dell’«esercito industriale di riserva» (Marx) che i migranti vanno a costituire, abbassando i costi della forza lavoro e accrescendone la debolezza.

I migranti sono per il capitale gli schiavi ideali: ricattabili, senza coscienza di classe, disposti a tutto pur di sopravvivere.affamati-senza-casa-e-senza-lavoro-vivono-in-auto
Accanto a questo motivo, e a esso connesso, ve ne è un altro.
Il nuovo profilo antropologico coessenziale al tempo della precarietà a tempo indeterminato corrisponde a quello dell’uomo senza identità e senza radici; il quale è, al tempo stesso, homo migransdeterritorializzato, apolide e sradicato, sempre pronto, valigia alla mano, a spostarsi seguendo i processi della delocalizzazione e della volatilizzazione dei capitali.
TRIONFO DELL’INSTABILITÀ. In virtù del fatto che, nel regime della precarietà assoluta del finanz-capitalismo, ogni progetto e ogni legame risultano a tempo determinato, il soggetto deve sapersi distaccare disinvoltamente da tutto, abbandonando non solo l’ideale della stabilità lavorativa e affettiva e, più in generale, la sfera dell’«eticità» (Sittlichkeit) di hegeliana memoria.
Deve anche, in pari tempo, affrancarsi da ogni radicamento territoriale, mantenendosi pronto a improvvise migrazioni e all’inseguimento, al di là dei mari e dei confini, delle cosiddette “sfide della globalizzazione”.
In altri termini, è chiamato a congedarsi da ogni idea di territorialità e di patria, ma poi anche di casa fissa e di stabile “focolare domestico”: e, dunque, ad aderire al “cattivo universalismo” della mondializzazione come sradicamento obbligato, che riduce gli esseri umani a enti neutri e disponibili su scala planetaria, ad atomi erogatori intermittenti di forza lavoro fisica e neuronale.
ALTRO CHE INTEGRAZIONE. È sotto questo profilo che emerge il nesso simbiotico che lega la flessibilizzazione delle masse e il nuovo paradigma antropologico dell’homo migrans, con annesse celebrazioni entusiastiche e altamente ideologiche della flessibilità e della migrazione come stili di vita contraddistinti dall’indipendenza e dalla varietà e contrapposti alla precedente eticità stabilizzata borghese e proletaria.
Diciamolo senza perifrasi: il capitale non mira a integrare i migranti.
Aspira, invece, a disintegrare i non-ancora-migranti, affinché anche questi ultimi si adattino allo stile di vita apolide e nomade, senza fissa dimora e senza radicamento tipico dei primi.

di Diego Fusaro – 18/12/2016 Fonte: Lettera 43

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=57939