Dramma a Mantova: da sei mesi non trovava un lavoro, 22enne si impicca

40percentoQuando la mancanza di reddito, di lavoro, UCCIDE. Ma guai parlare di reddito di cittadinanza, ed è pure colpa dei disoccupati se sono in questa situazione, come governassero loro. Ma sarà colpa del fascismo se il reddito di cittadinanza non c’è in Italia. I Più europa NON PRENDONO SPUNTO DALL’EUROPA SU QUESTO TEMA, CHISSA’ PERCHE’.


Non ce la faceva più a rimanere disoccupato, con le mani in mano, a carico della sua ragazza e così, caduto nella depressione, ha deciso di togliersi la vita
di Redazione
 
15 Febbraio 2018 alle 12:41
 
Dramma a Mantova, causato dalla mancanza di lavoro: ne stava cercando inutilmente uno da mesi, uno qualsiasi pur di non stare con le mani in mano, un ragazzo di soli 22 anni. Nonostante il continuo peregrinare tra un’agenzia e l’altra, continuava a rimanere disoccupato. Il sostegno della ragazza e della sua famiglia non sono però state sufficienti per fargli superare la disperazione e lo stato di depressione nel quale era precipitato: senza più speranze, senza più sogni, senza più progetti per il futuro gli è venuta a mancare anche la voglia di vivere, così ha deciso di farla finita impiccandosi con una corda alla ringhiera di una scala.
Gli è stata uccisa ogni speranza, portandolo alla disperazione, così a soli 22 anni ha deciso di gettare la spugna. La sua ragazza aveva notato qualcosa di strano, così era corsa in casa con il cuore in gola e un terribile presentimento. Era troppo tardi.”Dramma della disperazione” si è soliti scrivere. Ma la disperazione è il prodotto di una situazione che, forse, si poteva evitare. Basti pensare a tutte le ‘risorse’ nullafacenti che lo Stato mantiene coi nostri soldi, e che non hanno bisogno di cercarsi un lavoro per campare. A lui, che quel lavoro lo voleva, è stato invece rifiutato qualsiasi aiuto fino a spingerlo al tremendo gesto estremo.
 
L’autopsia, effettuata presso l’ospedale Poma, ha confermato la morte per asfissia, avvenuta sabato mattina. I due fidanzati si erano svegliati e avevano deciso di raggiungere il negozio di lei, per fare colazione insieme. Il 22enne sembra tranquillo, ma non era così: c’era qualcosa di strano nel suo comportamento, lei aveva notato questo disagio, che da qualche tempo non riesce a nascondere, causato dalla mancanza di un lavoro. I continui “no”, i continui “ripassi più avanti”, i troppi “le faremo sapere” hanno inciso sulla sua autostima, sprofondandolo a poco a poco nell’oblio di una depressione dalla quale non riusciva più ad uscire.
L’inquietudine non è sfuggita alla ragazza, attenta ad ogni suo più piccolo cambiamento. La disperata e inutile ricerca di un lavoro gli aveva fatto scattare una molla dentro. Quando lui sabato mattina, dopo aver fatto colazione insieme, decide di tornare a casa, lei ha un terribile presentimento. La preoccupazione è talmente forte che chiede alla madre di prendere il suo posto in negozio. Corre verso casa con quell’oscura sensazione. Apre la porta con il cuore in gola e lui è lì, proprio dove ha scelto di morire. Sopraffatto dall’umiliazione di non aver trovato quel lavoro che tanto desiderava. Disperata, chiama i soccorsi ma non c’è più niente da fare.

Astigiano assunto per 1,95 ore a settimana “Una vergogna, ma è l’unico contratto che ha”

ma come, con tutti i “lottatori per il popolo”, per la solidarietà, per i diritti degli ultimi che polettici governano e che abbiamo nelle istituzioni come mai siamo a questi punti? Sarà colpa di casa pound, dei populisti e di chi minaccia questa splendida democrazia? Ma gli italiani non erano choosy? Se si può campare lavorando 2 ore a settimana per quelle cifre corrispondenti, perché non ci campano i nostri governanti mostrandoci come si fa?


Negli ultimi 10 anni il lavoro precario ha registrato un incremento del 45,5%
È l’unico lavoro che ha, dopo mesi di disoccupazione, e non può certo permettersi di perderlo. Quindi sceglie l’anonimato, ma non davanti al sindacato al quale denuncia «le condizioni vergognose» che ha dovuto accettare
 
Il «monte ore»
 
Il contratto che gli è stato proposto da una grande azienda astigiana prevede un impiego nel settore dei servizi per 1,95 ore a settimana per un totale di 8 ore e 44 minuti al mese. Nessun arrotondamento: si lavora per tre giorni a settimana, per 65 minuti a giornata. Non un minuto in più, nè uno in meno. «Ha firmato il contratto perchè è l’unica offerta che si è concretizzata dopo mesi di ricerche – spiega il segretario generale Nidil Cgil Asti, Giorgia Perrone -. Ci ha detto che sperava anche le ore potessero aumentare, prima o poi. Ma ad oggi così non è stato. Il contratto è stato prorogato, ma il monte ore è rimasto lo stesso, purtroppo».
Il «micro lavoro»
tabella paghe minime
Si chiama «micro lavoro» ed è la nuova frontiera del precariato. Quando la domanda supera l’offerta, si è disposti ad accettare qualunque impiego a qualunque condizione pur di scrollarsi di dosso il peso della disoccupazione.
«Questo non è l’unico caso del genere che ho dovuto trattare – aggiunge Perrone -. Ad Asti come in altre parti d’Italia. Soprattutto nell’ultimo periodo assistiamo ad un moltiplicarsi di questa forma di lavoro disumana in cui la persona è chiamata ad esercitare pratiche di vita estreme per arrivare alla fine del contratto di lavoro, per quanto indecente questo possa essere».
Una recente indagine dell’università di Oxford ha mappato il microlavoro nel mondo. I Paesi con la più alta concentrazione di microlavoratori sono Filippine, India, Bangladesh e Pakistan. «Come fare a pagare l’affitto, le bollette, con 8 ore e 44 minuti al mese? – chiede Perrone – siamo in presenza di condizioni di lavoro disumane in cui la persona è chiamata ad accettare condizioni di vita estreme per arrivare alla fine del contratto di lavoro. Chi si affaccia ora al mondo del lavoro, così come chi ci si ritrova improvvisamente dopo 20-30 anni di servizio, può trovarsi a dover valutare queste offerte indecenti».
 
Qualche dato
« Proprio oggi (ieri, 10 dicembre, ndr) sono stati pubblicati i dati sul lavoro precario della Fondazione Di Vittorio – aggiunge Perrone –. Sono 4 milioni 492mila gli italiani che si trovano nella cosiddetta area del disagio occupazionale (vale a dire coloro che in modo involontario svolgono un lavoro temporaneo o a tempo parziale), con un incremento del 45,5% rispetto al 2007». Il più alto degli ultimi dieci anni.
Pubblicato il 12/12/2017 Ultima modifica il 12/12/2017 alle ore 17:39 laura secci
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La Borsalino è fallita: il crac deciso da un giudice del tribunale di Alessandria per motivi finanziari

SAVE borsalinobeata la toga che tanto il suo a fine mese se lo aggiudica e nessuno lo metterà mai in pericolo. Chi perde il lavoro non ha vitto ed alloggio gratuito. Quando si dice elites…
 
Così si sono presentate quasi 300 persone, quasi tutte con un copricapo e qualcuno pure con cartelli con scritto “#saveBorsalino”. Pochi giorni fa la storica azienda alessandrina, che dà lavoro a circa 130 persone, è stata dichiarata fallita dal tribunale, nonostante una richiesta di concordato e un piano di rilancio presentato dal businessman elvetico Philippe Camperio. FONTE
 
La Borsalino è fallita: il crac deciso da un giudice del tribunale di Alessandria per motivi finanziari
 
Il magistrato Caterina Santinello ha emesso oggi il verdetto rigettando la seconda richiesta di concordato preventivo presentata dal consiglio di amministrazione
 
La Borsalino è fallita. Il giudice Caterina Santinello, presidente del tribunale civile di Alessandria, ha emesso oggi la sentenza rigettando la seconda richiesta di concordato preventivo presentata dal cda della società (Marco Moccia, Saverio Canepa, Raffaele Grimaldi): la prima era stata revocata un anno fa, dopo che a marzo 2016 lo stesso tribunale aveva ammesso Borsalino alla procedura.
Il paradosso è che l’azienda non fallisce per ragioni di mercato, ma esclusivamente finanziarie: coinvolta nel maxi-crac del astigiano Marco Marenco, aveva appunto tentato la strada del concordato, trovando anche un investitore, l’italo svizzero Philippe Camperio. Con la prospettiva di acquisire l’azienda al termine della procedura, l’aveva presa in affitto, aveva saldato i debiti con l’Agenzia delle entrate sborsando oltre 4 milioni, poi aveva investito sia in macchinari che nella rete commerciale e in promozione. Ha anche acquistato per 18 milioni il marchio che diversi anni fa era stato dato in pegno alle banche in cambio di soldi freschi: su questa operazione si è concentrata per altro la requisitoria del pm.
 
 
Comunque il contratto d’affitto scade a giugno, starà al curatore nominato dal tribunale decidere che fare. È probabile un periodo di stallo non breve: il cda è intenzionato a ricorrere contro la sentenza in appello a Torino, la causa si prevede che possa essere definita da febbraio in poi, salvo eventuali giudizi di terzo grado.
 
Se restasse il fallimento, la Borsalino andrebbe all’asta. La sentenza ha lasciato nell’incertezza i 134 dipendenti, che ora temono per la prosecuzione dell’attività: i sindacati sarebbero pronti a dare battaglia, visto che il cappellificio è stato risanato e ha grandi potenzialità di sviluppo. La legge è stata applicata, la giustizia è ancora tutta da discutere.
18/12/2017 Ultima modifica il 18/12/2017 alle ore 19:16 Piero Bottino Alessandria

L’Italia è il Paese con più poveri in Europa, seguono Francia e Romania

senza lavoro 1chissà chi dobbiamo ringraziare per questi grandi traguardi. La Ue non era il templio del benessere? Chissà come siamo arrivati a questo punto, con tutti questi guardiani della democrazia, dei signori lotta dura senza paura, per il popolo. Secondo il pennivendolo de La stampa, chi ci ha messo in questa situazione ora parrebbe voler magicamente “rimediare”. L’importante è importarli da fuori i poveri per “salvarli”, noi possiamo anche morire di stenti, chi se ne frega.


L’Italia è il Paese che ha più poveri in Europa. Sono loro quelli ad avere maggiori difficoltà a far fronte a spese impreviste, a garantire che la propria casa sia sempre adeguatamente riscaldata, a far sì di avere almeno due paia di scarpe (estive e invernali), o ancora evitare di finire in arretrato con l’affitto o sostituire abiti lisi con capi più nuovi. Tutti indici di quelle che vengono definite «privazioni sociali e materiali», ma che al netto di espressioni politicamente corrette rilevano il grado di povertà delle famiglie. A livello europeo e nazionale il fenomeno si sta riducendo, ma nell’Ue ci sono ancora 78,5 milioni di persone che vivono stentatamente, e più di dieci milioni di loro sono italiani.
I dati Eurostat diffusi oggi e relativi al 2016 indicano il tasso di privazioni sociali e sociali. Cifre percentuali che lette così come presentate vedrebbero l’Italia undicesima in questa graduatoria. Romania (49,7%) e Bulgaria (47,9%) sono gli Stati membri in condizioni più problematiche, dove praticamente una persona su due ha difficoltà economiche. Ma in termini assoluti, il 17,2% italiano indica più di 10,4 milioni di persone (10.457.600) alle prese coi sintomi di povertà. Letti in quest’altro modo i numeri mostrano un’altra Europa, con l’Italia, sempre pronta a rivendicare la sua grandezze economica, a fare più fatica di tutti. Gli italiani soffrono anche più dei romeni (9,8 milioni) che pure in termini percentuali si trovano davanti a tutti quanto a privazioni. Salta all’occhio, in questa classifica, anche il dato francese. I cittadini d’oltralpe sono i terzi più in difficoltà a livello Ue (8,4 milioni, dietro Italia e Romania).
 
Dati alla mano non c’è da stare allegri, ma ci sono comunque motivi per guardare la situazione con spirito ottimistico. La buona notizia è che tutto questo, seppure a fatica, si sta invertendo. A livello europeo il tasso di persone con privazioni sociali e materiali si sta riducendo, e questo vale anche per l’Italia. Tra il 2015 e il 2016 si sono contati nel territorio dell’Unione europea circa 8,9 milioni di persone con difficoltà economiche in meno. Nello Stivale l’indice si è contratto del 4,4%, un dato che si traduce in 2,6 milioni in meno di cittadini alle prese con ristrettezze economiche. Un segnale che mostra come la ripresina per qualcuno c’è stata, ma che per qualcun altro deve ancora arrivare.
Pubblicato il 12/12/2017 Ultima modifica il 12/12/2017 alle ore 17:55 emanuele bonini

L’Italia del rancore

censis rancoreUn sentimento di rancore diffuso pervade l’Italia: la ripresa alimenta i profitti ma non i redditi di una popolazione afflitta da disoccupazione, precarietà del lavoro, declassamento sociale.
 Il Censis certifica: l’Italia è affetta da rancore, diagnosticato come un male sociale che alimenta populismo e sovranismo, se non il fantasma ricorrente del fascismo. I dati macroeconomici evidenziano una crescita del Pil nel 2017 intorno all’1,5%, ripresa trainata dal settore manifatturiero, dall’export e dal turismo. Tuttavia, cresce anche il dissenso sociale, si accentuano le diseguaglianze e il rancore diffuso contro le istituzioni, i partiti, l’Europa.
Questa ripresa, peraltro assai contenuta e non strutturale, dato che il tasso di crescita italiano è inferiore a quello degli altri paesi della UE, non ha dato luogo ad incrementi del reddito nella popolazione, né rimesso in moto la mobilità sociale, bloccata da decenni. Emerge infatti dal rapporto del Censis che oltre l’80% degli italiano ritiene assai improbabile salire nella scala sociale e circa il 70% teme ulteriori declassamenti.
La crisi ha determinato trasformazioni sistemiche: ha generato un modello socio – economico neoliberista, con evidenti sconvolgimenti nel corpo sociale, data la scomparsa progressiva del ceto medio e spinto sotto la soglia di povertà larga parte del vecchio proletariato.
Un diffuso senso di rancore pervade la popolazione, che, secondo il Censis nella società “è di scena da tempo, con esibizioni di volta in volta indirizzate verso l’alto, attraverso i veementi toni dell’antipolitica, o verso il basso, a caccia di indifesi e marginali capri espiatori, dagli homeless ai rifugiati. È un sentimento che nasce da una condizione strutturale di blocco della mobilità sociale, che nella crisi ha coinvolto pesantemente anche il ceto medio, oltre ai gruppi collocati nella parte più bassa della piramide sociale”. Inoltre, come viene rilevato da tale rapporto, “se la crisi ha avuto effetti psicologici regressivi con la logica del “meno hai, più sei colpito”, la ripresa finora non è ancora riuscita a invertire in modo tangibile e inequivocabile la rotta . La distribuzione dei suoi dividendi sociali appare finora adeguata a riaprire l’unica via che potrebbe allentare tutte le tensioni: la mobilità sociale verso l’alto”.
La gente comune non percepisce la ripresa, i cui effetti sembrano solo incrementare i profitti delle elites. Il disagio sociale, le tensioni latenti, alimentano un rancore generalizzato, che esprime un dissenso misto a rassegnazione, non prospettandosi soluzioni alternative ad un declassamento sociale che appare inarrestabile.
Contestare i partiti, la casta, i governi, è ormai considerato irrilevante. La politica è subordinata ai diktat della oligarchia finanziaria europea, quasi scomparsa la critica sociale e la militanza, perché non si riesce a concepire un futuro diverso da quello del capitalismo assoluto. La totale sfiducia nella politica è così espressa nel rapporto del Censis: “l’84% degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78% nel Governo, il 76% nel Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni. Il 60% è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese, il 64% è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75% giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici”.
I governi del PD e la destrutturazione del mondo del lavoro
 
E’ tuttavia errato sostenere che i governi targati PD, ossia Letta, Renzi e Gentiloni siano stati i governi dei grandi proclami e delle promesse mancate. Il programma di riforme dell’economia e della società imposto dalla UE è stato in larga parte realizzato, determinando rilevanti trasformazioni nella società italiana.
E’ stata infatti attuata una riforma strutturale del lavoro in Italia, mediante l’introduzione del Job Act. E’ stato abolito nei fatti, insieme con l’articolo 18, il contratto di lavoro a tempo indeterminato, estendendo la precarietà a tutti i settori occupazionali. Il contratto collettivo di lavoro è stato ormai quasi del tutto soppiantato dalla contrattazione aziendale che deroga in modo sostanziale alla normativa generale, i diritti sindacali sono di fatto largamente compressi. I casi di lavoratori sottoposti a sfruttamento intensivo con retribuzioni ai limiti della sopravvivenza sono all’ordine del giorno.
Il tasso di occupazione registra una debole risalita, ma trattasi nella stragrande maggioranza di lavoro precario. I voucher, introdotti dal governo Renzi per il lavoro occasionale, hanno in realtà legalizzato il lavoro nero e compresso al minimo le retribuzioni. L’abolizione dei voucher ha tuttavia comportato l’incremento esponenziale del lavoro intermittente o a chiamata. Si è estesa a macchia d’olio la cosiddetta “gig economy”, ossia i piccoli lavori offerti dalle piattaforme, svolti da lavoratori formalmente autonomi, ma pagati a cottimo e senza alcuna tutela retributiva e previdenziale.
Non a caso viene rilevato dal Censis l’aumento degli addetti alle vendite e servizi personali (+ 10,2%), il personale non qualificato (+11,9%), gli addetti alla logistica e al trasporto delle merci(+11,4%). Registrano invece un calo gli impiegati, gli artigiani, i liberi professionisti (specie tra i giovani).
 
Tra le riforme renziane va annoverata anche “la buona scuola”, con la quale viene introdotta l’alternanza scuola – lavoro, che, col pretesto di agevolare l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, comporta l’utilizzo dei giovani per lavori non qualificati presso le imprese senza alcuna retribuzione. Questo è l’ennesimo aspetto della formazione infinita cui sono sottoposti giovani che, effettuando continui stage presso le aziende, sono in realtà utilizzati come manodopera gratuita o quasi. Tale forma di sfruttamento è particolarmente diffusa presso la pubblica amministrazione. I giovani sono destinati ad arricchire infinitamente i loro curricula, senza altre prospettive di occupazione, se non quella del precariato a vita.
Occorre rilevare inoltre che l’innovazione tecnologica ha avuto un impatto decisamente negativo sull’occupazione e ha penalizzato soprattutto i gruppi sociali più disagiati. Ma il progresso tecnologico non ha oggi alcuna ricaduta sociale, produce solo l’incremento del profitto del capitale a danno del lavoro.
Scrive a tal proposito Marta Fana in “Non è lavoro è sfruttamento – Laterza 2017″: ” Livellare verso il basso i diritti e il lavoro non farà altro che aumentare i già inquietanti livelli di povertà in Italia (ma non solo), per tutti quelli che non hanno potere in questo sistema economico. Bisognerà tenerne conto senza distrazioni quando si discute di crescita economica, perché in un contesto simile, nella migliore delle ipotesi, lo sfruttamento di molti produrrà un aumento del reddito nazionale, del Prodotto interno lordo sulle spalle di quella maggioranza che non trarrà alcun beneficio da tale crescita. Quel che viene negato è il progresso sociale. Questo sistema deflattivo che impoverisce il lavoro è direttamente proporzionale alle disuguaglianze, nel lavoro e nella società, che si perpetuano nel tempo e aggrediscono l’intera sfera riproduttiva: dal welfare al consumo”.
Il rancore come condizione esistenziale permanente
La destrutturazione del welfare e la devoluzione alla UE della sovranità economica e monetaria degli stati, attuate mediante un processo riformatore tuttora in progressiva avanzata, hanno determinato l’abolizione di tutti i meccanismi di redistribuzione del reddito creati dagli stati onde preservare degli equilibri sociali consolidati.
In realtà, il declassamento dei ceti medi non è dovuto tanto alla fine delle politiche di redistribuzione del reddito (politiche abrogate dalla UE al fine di contenere la spesa pubblica, il deficit, ridurre il debito), ma al progressivo decremento del potere di acquisto delle retribuzioni. Alla classe lavoratrice non sono stati distribuiti negli ultimi 20 anni gli incrementi di produttività e di reddito scaturiti dalla innovazione tecnologica nella produzione, che sono invece stati assorbiti dai profitti e dalle rendite finanziarie.
Il capitalismo non è inclusivo, ma elitario, non genera progresso né emancipazione sociale. La classe lavoratrice non ricava alcun beneficio da questa ripresa: ecco la causa del rancore diffuso nel popolo italiano. Il rancore è il prodotto dell’individualismo strutturale prodotto dalla società neoliberista. Il rancore non determina rabbia sociale, ma è solo conseguenza dell’interiorizzazione di un disagio individuale, una sorta di permanente astio interiore scaturito dal senso di impotenza che pervade una società frantumata dall’atomismo sociale. Esso non conduce alla organizzazione politica del dissenso sociale, ma esprime uno stato esistenziale depressivo, un senso di individuale incapacità a realizzare un cambiamento della propria condizione umana e sociale.
Il rancore è un fenomeno degenerativo del dissenso, spesso generatore di guerre fra poveri tra loro in lotta per la sopravvivenza. Conduce a forme di aggregazione politica con falsi obiettivi, quali gli immigrati: trattasi di forme di dissenso del tutto funzionali al sistema. Il rancore alimenta la conflittualità tra individui disagiati, è un fenomeno connaturato all’ordine oligarchico del capitalismo.
Senso di impotenza e rancore sono stati esistenziali tipici di un individuo smarrito, di una collettiva solitudine di massa, di una condizione di una umanità priva di valori comuni di riferimento. Il fondamento di ogni comunità si individua nei valori etico – morali di riferimento, in cui l’individuo perviene al proprio riconoscimento, sia individuale che sociale. E’ questa assenza di valori che genera la mancanza di riconoscimento.
La società di mercato riconosce solo il valore economico del lavoro – merce e quindi l’esclusione dal mercato determina l’emarginazione, l’isolamento dell’individuo – massa. Essere fuori mercato significa inoltre essere escluso anche dai diritti politici: le masse escluse dal mercato del lavoro non sono portatrici di interessi economici degni di rappresentanza politica. Gli esclusi dal mercato sono quindi politicamente ininfluenti.
Il rancore dominante, non può condurre di per sé forme di aggregazione politica alternative al capitalismo, ma comunque determina un distacco dal sistema di un dissenso non più governabile: dal rancore nasce il rifiuto di questo sistema, rifiuto irreversibile potenzialmente produttivo di nuovi orizzonti di dissenso sistemico.
 
di Luigi Tedeschi – 04/12/2017 Fonte: Italicum

Merano: 57mila euro di soldi pubblici per dare lavoro ai migranti

RISTORANTE africanoaltro business con i soldi dei contribuenti,  chi incassa ovviamente LE COOP……PER OFFRIRE LAVORO TEMPORANEO POI Si spendono tanti soldi per trovare lavoro al 40% dei giovani italiani disoccupati?!? Ah giusto, sono choosy non vogliono lavorare.
Merano: 57mila euro di soldi pubblici per dare lavoro ai migranti
venerdì, 11, agosto, 2017
In Alto Adige si assumono richiedenti asilo. Di fatto i migranti saranno impiegati nella frutticoltura e anche nella gestione di un ristorante di cucina africana.
 
A segnalare l’iniziativa è la stessa Provinca Autonoma dalla Ripartizione Lavoro. Il ristorante, con uno stanziamento di 57.000 euro da parte dello Stato a favore del Comune di Merano, sarà gestito da una cooperativa sociale con il sostegno della federazione cooperative di una banca altoatesina.
“L’utilizzo di persone richiedenti asilo per la raccolta della frutta rappresenta un’opportunità sia per i datori di lavoro che per i lavoratori – ha detto Helmuth Sinn, direttore della Ripartizione lavoro della Provincia -. In questo senso l’utilizzo di persone richiedenti asilo nel campo della raccolta della frutta può essere senz’altro considerata un’utile misura di integrazione“.
Secondo la Provincia “se per i richiedenti asilo il lavoro nell’ambito della raccolta della frutta può offrire l’opportunità di conoscere meglio l’ Alto Adige, di migliorare le loro conoscenze linguistiche e di avere per alcuni mesi un’occupazione e quindi un reddito, per i datori di lavoro si tratta di un’occasione per conoscere da vicino queste persone provenienti da altri Paesi e fuggite da situazioni di povertà o dalla guerra”.

Migranti, sentenza choc: permesso di soggiorno speciale per i non rifugiati

migranti-in-barca

IL DUMPING SOCIALE E’ LEGGE.

oltre a mafia capitale international finanziata dai contribuenti italiani, ORA SI AGGIUNGE IL SETTORE FORMAZIONE, chissà appannaggio di chi, non ci vorrà una scienza per indovinarlo. Così.le COOP che “ospitano” a spese nostre questi migranti, fanno anche da ufficio di collocamento offrendoli ad un costo promozionale completano il cerchio dell’ingrasso. Peccato non paghino vitto e alloggio ai ragazzi disoccupati italiani, ma non è razzismo e discriminazione, E’ SERVILISMO CAPITALISTA.


Sarebbe bello per chi si occupa di economia poter parlare di come superare l’attuale modello economico tanto fallimentare quanto tenuto artificiosamente e ostinatamente in vita. Sarebbe bello e soprattutto utile concentrarsi sui modelli di sviluppo alternativi, ma purtroppo la situazione di emergenza che stiamo vivendo impone al nostro senso civico e morale di non abbassare la soglia di attenzione sulla questione dei migranti.

Già perché non c’è “solo” il vaso di Pandora delle ONG che è stato scoperchiato, con tanto di business collaterale di gommoni cinesi venduti on line come “refugee boat”, lo ius soli sempre in agguato pronto per essere approvato. No, mentre tutti siamo basiti dalle prove delle organizzazioni pseudo umanitarie che trattano amichevolmente con gli scafisti , come se fossero dei colleghi, da Torino arriva, piuttosto in sordina, una notizia choc: il rilascio dei permessi di soggiorno speciale per i migranti che lavorano con il riconoscimento dei “percorsi di integrazione sociale attraverso gli inserimenti lavorativi”. Si tratta di protezione umanitaria della durata di due anni a migranti che non rispondono ai requisiti per ottenere il diritto allo status di rifugiato.

E’ la prima volta in Italia. Un precedente pericoloso e esplosivo, che apre la strada a quello che da tempo si temeva: la legalizzazione di un esercito industriale di riserva pronto per essere sfruttato. L’iniziativa è partita da cento aziende torinesi che hanno scritto una lettera al prefetto, al sindaco e al governatore: “Metteteci nelle condizioni di assumere i migranti”.

Migranti avviati al lavoro
Dietro l’iter che in pochi mesi ha portato le richieste da parte dei datori di lavoro a essere accettate e ad aprire la strada a un nuovo percorso giurisprudenziale c’è, come di consueto, il lavoro di mediazione di un’organizzazione no profit, Senzastrada, che si batte per dare lavoro ai clandestini. Cosa avrà spinto le aziende e gli operatori commerciali torinesi a offrire lavoro a degli immigrati che non fuggono da guerre e condizioni tali da giustificare lo status di rifugiato, preferendoli al 40% di giovani disoccupati italiani? Una nuova forma di razzismo al contrario -per cui italiano è brutto mentre nero è sinonimo di progressismo e filantropia- o condizioni di lavoro ai limiti del disumano che solo chi non ha mai conosciuto lo stato di diritto del lavoratore può accettare?

Forse entrambe le motivazioni, di certo ora esiste il precedente giuridico per realizzare quell’esercito di lavoratori/schiavi, sottopagati e senza diritti, che dalla caduta del keynesismo rappresenta l’obiettivo ultimo degli economisti neoliberisti.

Disoccupati italiani in fila all’Ufficio di Collocamento
Si importano masse di giovani aitanti e disposti a tutto, si concede un permesso di soggiorno di due anni, vengono sfruttati senza diritti e con paghe da Terzo Mondo e, una volta esaurito il loro compito, vengono rimpiazzati con flussi migratori sempre vigorosi, che intanto generano profitti e speculazioni su cui si arricchisce il nuovo floridissimo mercato nero. Per i disoccupati italiani non c’è speranza, la legge della concorrenza applicata alla merce umana non fa sconti e per i prodotti fuori mercato non resta che la sostituzione.

di  Ilaria Bifarini Fonte: Scenari Economici- Ago 08, 2017
http://www.controinformazione.info/migranti-sentenza-choc-permesso-di-soggiorno-speciale-per-i-non-rifugiati/

Umbertide, un imprenditore si suicida in azienda: non poteva pagare gli stipendi

bartolinicomboma non c’era la ripresa? A qualcuno dei tanto solidali interessa la sorte dei 130 dipendenti? Qualcuno paga loro vitto alloggio e corsi di formazione per altri lavori? Le banche in democrazia, quella da proteggere dai brutti e cattivi, DEVE ESSERE SALVATA. Le vite umane italiane NO.

Un imprenditore di 61 anni si è suicidato nella sua azienda metalmeccanica a Umbertide, in provincia di Perugia. Poco prima l’uomo aveva lasciato un biglietto con il quale spiegava di volersi togliere la vita perché non riusciva a pagare gli stipendi ai suoi 130 operai. L’imprenditore si è tolto la vita nel sottoscala dello stabilimento, dove è stato ritrovato senza vita da un collaboratore. Nella lettera l’uomo ha raccontato che secondo lui non aveva più alternative dopo che la banca gli aveva negato altro credito. Il giorno prima nell’azienda era stato proclamato uno sciopero, organizzato proprio per protesta sul ritardo del pagamento degli stipendi. Questa mattina l’imprenditore avrebbe dovuto firmare un accordo con i sindacati.
4 Agosto 2017

Istat: “In Italia cinque milioni di poveri assoluti”

Poverta-assoluta-raddoppiata-in-9-anniaggiungiamo a questo numero anche chi vive in condizioni di povertà relativa e peggio ancora i working poors (ossia i lavoratori che percepiscono un reddito incapace di garantire una minima sopravvivenza)?. Non contiamoli, fingiamo che non esistano mi raccomando, noi dobbiamo salvare i profughi economici da altrove. Questo sì che è civile. Bisogna poi salvare le BANCHE, GUAI A “SPRECARE” SOLDI PER IL REDDITO DI CITTADINANZA.
Abbiamo un tasso di occupazione del 57% (sorvoliamo sul fatto che vengano inclusi anche chi lavora 1 ora in un anno con i voucher et similia) chi se ne frega di come vive SENZA REDDITO il 43%, saran tutti ricchi figli di papà, con le LAUTISSIME PENSIONI elargite agli italiani c’è di che spassarsela, 63% delle pensioni SOTTO I 750 EURO.
In questo quadro, si deve ancora subire anatemi e paternali da parte di politicanti da 20 MILA EURO AL MESE sulla loro indignazione a fronte delle basse cifre dichiarate nei redditi da parte degli italiani? Ma cos’è scherzi a parte? Ormai pare che lo sport che le sanguisughe al potere amano di più sia OFFENDERE gli italiani mentre li condannano a morte per fame.
 
In 6 anni 85 MILIARDI ALLE BANCHE, solo nel DEF 2017 quasi 5 MILIARDI (sono molti di più considerate le voci scorporate per le varie operazioni collegate) per gli indigenti italiani? 2 miliardi per 400 mila famiglie, per essere un reddito di inclusione DI POVERI NE ESCLUDE PARECCHI.
 
L’Istat ha stimato in 17 milioni 469 mila le persone a rischio povertà o esclusione sociale in Italia nel 2015. Una percentuale pari al 28,7% degli abitanti. Secondo la Strategia Europea contro la povertà, entro il 2020, l’Italia dovrebbe ridurre gli individui a rischio sotto la soglia dei 12 milioni 882 mila FONTE
Istat: “In Italia cinque milioni di poveri assoluti”
 
In situazione di indigenza 1,6 milioni di famiglie. Peggiora la situazione dei giovani
 
La povertà in Italia non scende. Anzi per le famiglie con tre e più figli aumenta in maniera drammatica. La fotografia dell’Istat, in attesa che decollino concretamente le nuove iniziative del governo (il nuovo Sia, il Sostegno di inclusione attiva andrà a regime solo dopo l’estate), è desolante. Nel 2016, infatti, si stima siano ancora 1 milione e 619 mila le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta, nelle quali vivono 4 milioni e 742 mila individui. Rispetto al 2015 si rileva una sostanziale stabilità della povertà assoluta in termini sia di famiglie sia di individui, segno che la situazione economica del paese stenta a migliorare. Tant’è che l’incidenza di povertà assoluta sul totale delle famiglie è pari al 6,3%, praticamente in linea con i valori stimati negli ultimi quattro anni. Per gli individui, l’incidenza di povertà assoluta si porta al 7,9% rispetto al 7,6% del 2015, una variazione che però l’Istat definisce “statisticamente non significativa”.
Tra le famiglie con tre o più figli minori l’incidenza della povertà assoluta aumenta quasi del 50% passando dal 18,3 al 26,8%. Ad essere coinvolte sono così 137.711 famiglie ovvero 814.402 individui. Aumenta anche l’incidenza fra i minori che sale dal 10,9% al 12,5% e nel complesso interessa 1 milione e 292 mila soggetti. L’incidenza della povertà assoluta, specifica l’Istat nel suo ultimo rapporto, aumenta al Centro in termini sia di famiglie (5,9% da 4,2% del 2015) sia di individui (7,3% da 5,6%), a causa soprattutto del peggioramento registrato nei comuni fino a 50mila abitanti al di fuori delle aree metropolitane (6,4% da 3,3% dell’anno precedente).
 
Rispetto al 2015 la povertà relativa risulta stabile: nel 2016 riguarda il 10,6% delle famiglie residenti (10,4% nel 2015), per un totale di 2 milioni 734mila, e 8 milioni 465mila individui, il 14,0% dei residenti (13,7% l’anno precedente). Anche questa condizione è più diffusa tra le famiglie con 4 componenti (17,1%) o 5 componenti e più (30,9%) e colpisce di più i nuclei giovani: raggiunge infatti il 14,6% se la persona di riferimento è un under 35 mentre scende al 7,9% nel caso di un ultra sessantaquattrenne. Ultimo dato: l’incidenza di povertà relativa si mantiene elevata per gli operai e assimilati (18,7%) e per le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione (31,0%).
Pubblicato il 13/07/2017
Ultima modifica il 13/07/2017 alle ore 15:58 paolo baroni

L’Inps secondo Boeri

Non tutto quello che versano i lavoratori stranieri si trasforma in pensioni
 
Valgono 70 miliardi di contributi in 20 anni. Il presidente dell’istituto di previdenza: “Chiudere le frontiere significherebbe una manovra economica in più ogni anno”
 
Sicuro Boeri che non crolla perché invece di togliere le pensioni d’oro NON mandate in pensione  i comuni mortali? Se li mandate in pensione, che prima allungate e poi chiamate “ANTICIPATA” FATE PAGARE LORO i contributi INDEBITANDOSI con le banche?
 Sicuro che non crolla anche PER GLI SCARSI E SCANDALOSI SUSSIDI CHE NON EROGATE PIU’ COME il certo non isolato caso di Concetta Candido che avete spinto al Concetta Candidosuicidio dimostra?
 
Quindi il futuro prospettato da Mastrapasqua nel 2010 E’ SCONGIURATO?
Il presidente dell’Inps dice che l’istituto non permetterà a chi è iscritto alla “gestione separata” di poter fare online una “simulazione” della propria pensione: “Si rischierebbe un sommovimento sociale”. Rivolta in Rete dei precari, ma i sindacati rimangono in un imbarazzante silenzio
di Eleonora Bianchini | 13 ottobre 2010
 
Hai detratto le truffe e i circa 2 miliardi l’anno NON RENDICONTABILI di tangente a Mafia capitale, detta anche ACCOGLIENZA? Nel solo 2017 tra quanto stanziato e previsioni di aumento si presume di arrivare a 4,6 MILIARDI
Quindi quando ci vengono a fare il panegirico (Gassman docet) su come noi senza loro non avremmo manco i pomodori sul tavolo, lavorano a busta paga regolare?
Non in nero e quindi “sfruttati”?
 
Cari parassiti politici e menestrelli della penna, le bugie hanno le gambe corte, decidetevi per una versione da raccontare, senza contraddizioni se volete essere credibili.
Porte chiuse agli immigrati? Boeri: “Ci costerebbe 38 miliardi”
Rapporto Inps: senza i lavoratori dall’estero in 22 anni si avrebbero 35 miliardi in meno di uscite, ma anche 73 in meno di entrate. Il presidente: “Si completino le riforme del lavoro e della previdenza: serve un reddito minimo d’inclusione, un salario minimo e il ricongiungimento gratuito dei contributi”. Una proposta: “L’Inps eroga 440 prestazioni, solo 150 sono di natura pensionistica: lo si chiami Istituto della Protezione sociale”. L’abuso della Cig: per il 20% delle imprese dura cinque anni o più
di ROSARIA AMATO
Porca miseria, un ringraziamento a Spagna, Francia e Austria per questo REGALO è doveroso