La strategia della Elite dominante a Washington per portare Trump ad un conflitto con la Russia

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Forze speciali USA in Siria
 
Ci sono forti dubbi e varie ipotesi che circolano fra alcuni analisti, circa quali siano le reali intenzioni della Elite di potere a Washington nei prossimi passi di politica estera decisi da Trump sui teatri di guerra in Siria ed in Ucraina.
Di sicuro il Presidente Donald Trump si trova sotto ricatto da parte del gruppo dominante dei Neocons che sono indirettamente collegati con la campagna di delegittimazione del neo presidente che viene condotta a tutti i livelli dal sistema mediatico e dalle ONG (persino da Hollywood) che mobilitano le piazze con svariate manifestazioni anti-Trump.
Trump al momento sembra deciso a lottare e tenere duro ma la pressione si fa sempre più forte ed il gruppo dei neocons sembra che gli stia preparando qualche trappola sul teatro di guerra più delicato e complesso: in Siria.
Il tentavivo di creare il fatto compiuto, la provocazione che avrebbe potuto portare alla scintilla del conflitto diretto con la Russia, c’era già stato durante l’Amministrazione Obama ed avvenne precisamente 17 Settembre del 2016, quando l’aviazione USA e quella della coalizione alleata effettuò il bombardamento delle postazioni dell’Esercito siriano a Deir el Zor nella zona centrale della Siria, con un bilancio di 62 vittime ed un centinaio di feriti fra i reparti dell’Esercito siriano. Il bombardamento aveva permesso l’avanzata delle forze dell’ISIS che palesemente l’aviazione USA stava favorendo (come poi ammesso dallo stesso John Kerry).
 
Dalla ricostruzione degli eventi, oggi possiamo essere sicuri (ed i russi lo sanno) che quello non fu un “errore” come da giustificazione fornita dal Comando USA ma una azione voluta ed ordinata dal Pentagono per forzare la mano ad Obama e creare la scintilla del confronto diretto con la Russia. In sostanza si trattava del frutto di una lotta interna fra gruppo dei neocons ed il Pentagono, alle spalle di Barack Obama e di John Kerry che in quel momento non avevano interesse a provocare una reazione russa. Vedi: L’attaco USA a Deir Ezzor non è stato un errore
Fino ad oggi non si è saputo se, fra i reparti a Deir el Zor ci fossero militari russi (sarebbe stato facilmente possibile) e questa sarebbe stata a tutti gli effetti una azione di guerra contro le forze russe in Siria, schierate a difesa del Governo di Damasco.
Risulta ormai chiaro a tutti gli osservatori che, di fatto, le forze della coalizione USA svolgevano il ruolo di facilitatori dell’ISIS e degli altri gruppi terroristi come Al Nusra (quest’ultimo sostenuto ed armato direttamente dagli USA), con l’obiettivo di rovesciare il Governo di Damasco e procedere ad uno smembramento del paese arabo, importante per la sua posizione strategica, per le risorse di gas e petrolio scoperte di recente davanti alle sue coste. Il piano era chiaro e il Comando USA si muoveva in questa direzione fino all’arrivo delle forze russe che hanno “messo allo scoperto” il doppio gioco di Washington e fatto fallire i suoi piani.
 
Nelle prossime settimane, una volta che l’Amministrazione Trump decida come muoversi ed uscire dall’ambiguità, ordinando l’arrivo di nuove truppe USA sul terreno in Siria, non invitate dal Governo di Damasco e quindi illegali secondo la legge internazionale, ufficialmente per concquistare la roccafore dell’ISIS a Raqqa e per puntellare le truppe dell’Esercito siriano Libero, una formazione appoggiata dagli USA, sostenute anche dall’Esercito Turco, si vedrà come intende muoversi il nuovo comando USA.
 
In quel contesto, mentre le forze russe e siriane hanno ripreso il controllo della città di Palmira e Deir el Zor, le forze USA potrebbero decidere di muoversi con l’appoggio aereo e tentare una sortita contro le postazioni siriane-russe nella zona settentrionale della Siria per spianare la potenziale zona di occupazione, altrimenti denominata “zona di sicurezza”.
I russi non accetteranno mai di ritirarsi dalla Siria e rinunciare alle loro basi ed alle enormi risorse investite per mantenere la loro stretta alleanza con Damasco e sostenere l’integrità del paese. Ne sono la prova le installazioni missilistiche create di recente (documentate dai satelliti spia USA) nel paese che lasciano indicare la possibilità che Mosca voglia utilizzare la Siria anche come trampolino avanzato sul Mediterraneo per i suoi missili balistici di medio raggio puntati conto le basi Anglo-USA nel Mediterraneo. Questo senza contare le forze aeronavali schierate a Latiaka ed a Hmeimim, già dichiarata base permanente da Mosca.
 
Risulta quindi chiaro che un attacco contro le forze russe-siriane in Siria scatenerebbe la reazione russa ad ampio raggio ed il conseguente conflitto nucleare in un momento in cui Mosca si sente assediata dalla dislocazione delle truppe NATO presso i suoi confini.
In questo scenario si è inserita anche Israele che, mediante l’incontro di Trump con Netanyahu, ha sicuramente fornito a Trump l’urgenza di muovere le pedine contro l’Iran e di conseguenza di intervenire in Siria contro la presenza delle forze iraniane ed Hezbollah che sono vicine ai confini di Israele e che Tel Aviv considera una “minaccia alla sua sicurezza”.
Nel contesto attuale non è possibile nè realistica una qualsiasi pressione su Putin per convincere la Russia a staccarsi dall’alleanza con l’Iran e tanto meno ad abbandonare il sostegno alla Siria di Bashar al-Asad dove in questo momento è vincente.
Da qui l’idea nefasta dei neocons di creare una provocazione bellica per mettere con le spalle al muro Trump e la sua pretesa di normalizzare i rapporti con la Russia. Questa provocazione potrebbe concretizzarsi nel teatro siriano con un improvviso bombardamento missilistico ed aereo contro il quartier generale delle forze dell’Esercito siriano. Una azione di forza che scatenerebbe immediatamente la reazione russa che dispone delle rampe dei missili SS 300 ed SS 400 oltre ad alcune postazioni di missili SS-21 Tochka, missili tattici muniti di testata convenzionale che sono stati di recente inviati al porto di Tartous.
 
In questa ipotesi, possiamo essere sicuri che, dalle basi russe in Siria e nel Caucaso, come dalle unità navali nel Mediterraneo e nel Mar Caspio partirebbe una risposta bellica distruttiva da parte dei russi che andrebbe sicuramente a colpire le basi USA in Medio Oriente, le unità della VI flotta e le forze USA dislocate in Siria. nel giro di pochi minuti si avrebbe una mobilitazione delle forze nucleari russe e statunitensi da una parte e dall’altra dell’Atlantico con lo scoppio di una Terza Guerra Mondiale combattuta con armi termonucleari.
La domanda d’obbligo è quella se i personaggi dell’Elite di Washington siano consapevoli di quale sarebbe il risultato di un conflitto nucleare che non avrebbe vincitori ma causerebbe la distruzione totale di buona parte del pianeta e ricaduta radiottiva generale su tutte le regioni incluse quelle degli Stati Uniti. Alcuni sostengono che, nella mente distorta di questi signori (criminali), vi sia la convenzione di riuscire a dare il primo colpo (“first strike”) sulle difese russe che lascerebbe indenni per un 80% quelle USA. Da qui la convinzione di una mossa azzardata per arrivare ad un “redee rationem” con Mosca prima che diventi impraticabile un conflitto. Tutti gli specialisti militari dissentono da questa tesi che oltre tutto non tiene conto dell’elemento della triade, quello dei sottomarini nucleari che, da soli, sarebbero sufficienti a distruggere oltre la metà degli obiettivi militari e industriali negli USA.
Nel frattempo, nel clima di mobilitazione generale causato dalle manovre della NATO ai confini russi, le più massicce mai effettuate dalla Seconda Guerra Mondiale, circolano voci accreditate da fonti informate secondo cui il presidente Vlady Putin avrebbe già ordinato l’evacuazione del Cremlino, in vista di un conflitto, e lo spostamento dei comandi strategici in altra postazione, probabilmente in appositi rifugi bunker fra i monti Urali.
Putin sembra che abbia “mangiato la foglia” e stia preparando le sue difese, come si preparano i russi che sono già entrati in un clima di pre guerra.
 
Gli europei invece, ignari, continuano con i loro spensierati balli, le loro partite di calcio, ed i loro trastulli pensando che niente accadrà sul fronte orientale.
Fonti: South Front – Mar 05, 2017 di  Luciano Lago

Il Presidente egiziano Al Sisi denuncia i patrocinatori del terrorismo ed i loro piani contro l’Egitto

quando in Egitto furono “installati” i Fratelli Musulmani al potere tanto cari all’amministrazione Killlary Obama l’Egitto era un paradiso secondo i media occidentali nonostante i massacri di cristiani e musulmani moderati. Ora che c’è Al Sisi molto vicino alla Russia ovviamente l’Egitto è una dittatura che ovviamente gli Usa sono chiamati a rimuovere. Almeno questo l’intento del Premio Nobel per la pace che ha sganciato più di 26.000 bombe in 7 nazioni. E si fa puzza per Regeni, strano eh?

Chi ha interesse a destabilizzare l’Egitto?
Forse l’opinione pubblica europea potrebbe pensare che quanto avviene in paesi al sisi russiacome l’Egitto non ci riguardi, che sia un paese lontano e molto distante dall’ambiente e dalle questioni dell’Europa. In realtà l’Egitto, il più popoloso paese arabo, si trova nel Mediterraneo proprio di fronte alle coste del sud Europa ed in circa 3 ore di aereo è facilmente raggiungibile da qualsiasi capitale europea.
Risulta che l’attuale presidente egiziano, Abdel Fatah al Sisi, proprio oggi ha denunciato i piani contro il suo paese orditi e finanziati da certi paesi e dai loro servizi di intelligence, quelli che il mandatario egiziano ha chiamato come “discepoli del male”.
In dichiarazioni rilasciate alla BBC, Al Sisi ha detto che l’Egitto si trova in guerra contro il terrorismo e che questo viene finanziato con immenso denaro da alcuni paesi.
Il presidente non ha fatto nomi in concreto ma, secondo alcuni esperti, le sue dichiarazioni fanno riferimento agli stessi stati che hanno finanziato il terrorismo in Siria, in Iraq ed in altri paesi. Uno di questi, secondo i media egiziani è il Qatar.
L’Egitto ed il Qatar mantengono relazioni molto tese per causa dell’ampio appoggio fornito da Doha ai F.lli Mussulmani e per la partecipazione di questi ultimi agli attacchi terroristici contro la sicurezza che hanno afflitto l’Egitto dopo l’arrivo al potere dell’ex generale Al Sisi nel 2013.
Molti di questi attacchi contro la polizia e le forze di sicurezza, così come per quelli avvenuti contro i luoghi di culto cristiani in Egitto (dei cristiani copti) vengono attribuiti dal governo alla setta dei F.lli Mussulmani, dei quali alcuni rami si sono fortemente radicalizzati ed hanno promesso lealtà al Daesh (ISIS) ed a altri gruppi estremisti.
Da rilevare che tutti questi attentati si sono intensificati da quando il Cairo è entrato in guerra contro il terrorismo islamista ed ha partecipato, inviando un suo contingente, al conflitto in Siria sostenendo il Governo di Damasco assieme all’Iran ed alla Russia. Da quel momento si sono deteriorate le relazioni dell’Egitto con l’Arabia Saudita e con il Qatar, guarda caso i paesi, alleati dell’Occidente, che sono considerati patrocinatori ed ispiratori del terrorismo di marca salafita.
Al Sisi, in una recente intervista televisiva, si è riferito alla feroce lotta che i soldati egiziani sostengono nel Sinai contro i terroristi ed ha segnalato che i militari egiziani hanno ritrovato negli ultimi tre mesi una tonnellata di esplosivi e milioni di lire egiziane e dollari nordamericani in nascondigli che appartenevano ai terroristi, i quali, con tutta evidenza, godono di finanziamenti esterni.
Il governo egiziano di Al Sisi ha mostrato una mano dura nei confronti del movimento dei F.lli Mussulmani, in particolare con la repressione e la condanna a morte, fatto senza precedenti, di oltre 500 membri dei fratelli musulmani, in Egitto, per il loro ruolo avuto nell’attacco, tortura e omicidio di un poliziotto egiziano, e questo era avvenuto al culmine di un’illuminante e onnicomprensivo giro di vite della sicurezza nella centrale nazione araba del Nord Africa. Questa mossa ha creato un effetto raggelante che ha ammutolito le masse altrimenti violente dei fratelli musulmani e portato a mettere ordine nelle strade, con il prevenire sommosse e disordini promossi da questa setta.
La mossa dei giudici egiziani aveva attirato la condanna prevedibile del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, oltre all’ostilità manifesta di tutti i principali media occidentali che rimproverano ad Al Sisi il suo pugno di ferro contro l’opposizione radicale islamista nel paese.
Gli ambienti della sinistra europea accusano Al Sisi di violare i diritti umani e reprimere l’opposizione ma si tratta degli stessi ambienti e degli stessi media che non levano una parola nei confronti dei Governi di Arabia Saudita, Qatar e delle altre Monarchie petrolifere che reprimono ferocemente il dissenso ed applicano le pene capitali (con taglio della testa) contro i dissidenti e le persone accusate di reati quali l’apostasia e “crimini” di natura sessuale. Un evidente doppio standard quando si tratta di regimi favorevoli agli interessi occidentali.
Gli Stati Uniti appoggiavano in Egitto il precedente Governo di Mohamed Morsi , ispirato dai F.lli Mussulmani e risulta che il Dipartimento di Stato ha finanziato per anni la setta dei F.lli Mussulmani nell’evidente tentativo di spaccare il mondo islamico esacerbando la rivalità tra le masse sunnite in funzione anti iraniana e favorendo l’influenza dei loro stretti alleati, Arabia Saudita e Qatar, che cercano di prendere la guida dei paesi sunniti contrastando la crescente influenza iraniana e sciita nella regione. Vedi: Egypt, the Muslim Brotherhood and America’s War on Syria
Questo spiega il perchè gli Stati Uniti, attraverso le varie ONG, avevano finanziato le “primavere arabe” che si volevano far passare per un processo spontaneo, quando in realtà erano sobillate da agitatori esterni, dietro il pretesto dei “diritti umani ” e della “democrazia”, in funzione di un cambio di regime che gli USA hanno mirato a realizzare sia in Egitto che in Libia, in Siria ed altrove.
In Libia questo cambio di regime si è verificato grazie all’intervento della NATO, in Siria il cambio di regime, che ha dato luogo ad un sanguinoso conflitto, è fallito grazie alla resistenza di Bashar al-Assad, del popolo e dell’Esercito siriano (con l’aiuto dei russi), in Egitto il tentativo è fallito grazie al colpo di Stato militare del generale Al Sisi.
 
Questo spiega tutta la velenosa propaganda mediatica occidentale scatenatasi contro Assad, accusato di essere un “tiranno sanguinario”, per aver osato opporsi all’imperialismo anglo-USA-saudita.
 
Attualmente gli Stati Uniti continuano a fingere di sostenere il governo del Cairo, ma sono in realtà completamente dalla parte del regime della fratellanza musulmana, che era guidata di Muhammad Morsi, delle sue folle in piazza e delle numerose reti di ONG in Egitto che ne sostengono e difendono le loro attività.
L’ultima di tali ONG ad apparire era stata l’Iniziativa egiziana per i diritti personali (EIPR) che veniva citata anche dal del New York Times. L’EIPR è finanziata , tra gli altri, dall’ambasciata d’Australia a Cairo, e svolge lo stesso noto ruolo che altre ONG finanziate dagli occidentali hanno avuto durante la “primavera araba” del 2011, coprendo violenze e atrocità dell’opposizione e usando i “diritti umani” per condannare le repressioni della sicurezza effettuati in risposta dallo Stato.
Tanto più è divenuto pressante, per il Dipartimento di Stato USA, l’obiettivo di un “regime change” al Cairo, da quando l’Egitto si è riavvicinato alla Russia di Putin ed ha sottoscritto con questa importanti contratti di cooperazione nel campo civile e militare.
Non si può escludere che le centrali di potere di Washington mirino a destabilizzare l’Egitto, ripetendo lo stesso tentativo fallito in Siria, mediante l’appoggio alle sette più estremiste e la sobillazione di gruppi terroristi come il Daesh che, guarda caso, hanno iniziato ad attivarsi nel paese (in particolrae nel Sinai) da quando il Governo del Cairo ha cambiato la sua politica e la sua rete di alleanze, voltando le spalle all’Arabia Saudita ed al Qatar ed riavvicinandosi alla Siria ed alla Russia.
Le conseguenze di una eventuale destabilizzazione dell’Egitto sarebbero nefaste per tutta le regione ed in particolare per l’Europa che si troverebbe alle prese con un’altra situazione, tipo Libia, moltiplicata X 10, visto che si tratterebbe del più grande paese arabo con 82 milioni di abitanti. Le trame dei circoli di potere di Washington non si fermano davanti a nulla e contano, come sempre, sulla passiva e suicida collaborazione dei governi europei. di Luciano Lago
Gen 12, 2017  Fonti: Al Mayadeen