Cosa dite, gli accoglienti svedesi adesso avranno capito che non è la Russia il nemico alle porte ?

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Al netto di una situazione in Siria ridimensionata nell’aspetto meramente bellico dell’attacco dell’altro giorno (un Tomahawk costa 1,81 milioni di dollari, mandarne a bersaglio 23 su 59 non pare un risultato dei più brillanti) ma non in quello politico tra USA e Russia, tutto da valutare in base alle prossime mosse (la CNN ha sentenziato che “l’altra notte Donald Trump è diventato davvero presidente” e il Senato americano si è detto certo di avere le prove del coinvolgimento russo nell’attacco chimico, vedremo se come al solito solo a parole), la giornata di venerdì ci ha regalato un’altra perla: ovvero, lo stupore generale nel constatare che il paradiso del multiculturalismo non sia affatto esente da attentati d matrice estremista.
Insomma, la Svezia felix tanto felix non è. Certamente nessuno dei frequentatori di questo blog è stato colto di sorpresa, visto che mi sono scordato il numero di articoli che ho dedicato alla Svezia e alla devastante situazione di degrado sociale creata da decenni di accoglienza senza limiti e welfare a pioggia. Basta mettere in fila qualche dato, d’altronde. E’ stato accolto dall’aperta società svedese Fuad Mohammed Khalad, somalo divenuto capo degli estremisti di Al-Shabaab, così come il capo di Al Qaeda in Iraq: di più, il Paese scandinavo è terzo per numero di foreign fighters in relazione al numero di musulmani residenti, dopo Belgio e Danimarca. E nonostante il governo lo neghi, le forze dell’ordine hanno stilato una lista di cosiddette “no-go areas”, zone in cui la polizia di fatto non entra, se non in casi di conclamata emergenza e in numero massiccio, ovviamente con assetto anti-sommossa: si trovano soprattutto nelle periferie delle grandi aree urbane, Malmoe in testa.
Insomma, il lassismo ha generato un microclima perfetto non solo per l’estremismo islamista ma anche per la creazione di ghetti dove la legge che impera è quella delle gang legate allo spaccio: nemmeno a dirlo, la gran parte dei membri è straniero di seconda o terza generazione.
E’ il caso di Rinkeby, sobborgo proprio di Stoccolma di cui vi ho già parlato in passato e balzata agli onori delle cronache lo scorso anno, quando la troupe del programma “60 minutes” svelò al mondo la quotidianità di questo quartiere composto all’80% da stranieri di prima, seconda e terza generazione, la gran parte dei quali somali dediti ad attività criminali, tanto che in gergo la zona è conosciuta come “piccola Mogadiscio”. Diciamo che l’accoglienza per i giornalisti USA non fu delle migliori.
Nel 2014, tanto per capire l’andazzo, la stazione di polizia del quartiere fu chiusa: il motivo? Essendo stata costruita per servire una comunità svedese, ovvero dedita principalmente a far attraversare la strada ad anziane signore o ritrovare cani smarriti, con gli anni era diventata non solo insicura per i poliziotti ma, addirittura, oggetto di attacchi continui al pari di un fortino assediato dagli indiani: ogni fine settimana, specialmente d’estate, auto in fiamme e pietre e molotov contro la stazione. E nonostante le negazioni formali dell’emergenza da parte delle autorità, il fatto che la situazione a Rinkeby sia fuori controllo lo dimostra questo,
il rendering della nuova stazione di polizia, la quale sarà pronta nel 2019 e costerà 40 milioni di dollari, oltre a un affitto annuale di 1,6 milioni. Le particolarità? Vetri anti-proiettile ovunque, filo elettrificato a protezione, mura e infissi rinforzati e lo status di “luogo a protezione speciale, il che significa che tirare un sasso costa automaticamente un anno di carcere.
Ma non basta: al suo interno lavoreranno 250 persone per una comunità di 15mila, di fatto una ratio di un poliziotto ogni 60 residenti. A Chicago quella ratio è di 270 a 1. Ma tranquilli, non c’è alcuna emergenza legata al degrado e alla criminalità nei quartier svedesi a maggioranza straniera: sono invenzioni, sono solo fake news dei blog populisti come questo.
Insomma, nessuna sorpresa per quanto accaduto nel centro pedonale di Stoccolma. Questo però non vuol dire che non ci siano i soliti dubbi al riguardo, perché il timing appare davvero sospetto. Ammetterete che per riuscire a depotenziare una notizia come quella dell’attacco USA in Siria ce ne volesse ma, alla fine, il risultato è stato ottenuto. Direte voi: se anche si trattasse di un’azione organizzata da qualche centrale del disordine per alzare una cortina fumogena, i tempi per organizzarla sarebbero stati davvero da record. Organizzare cosa? A Nizza, il depresso tossico aveva fatto più di un sopralluogo, aveva rubato il camion usato per la strage e si era creato una via di fuga. A Berlino, stando alla versione ufficiale, Amis Amri aveva preso in ostaggio il camionista polacco da ore, potendo contare su un mezzo con il quale compiere l’azione non appena giunto nella capitale tedesca. Lo stesso per l’attacco con il suv a Westminster due settimane fa, preso diligentemente a noleggio a Birmingham.
 
A Stoccolma il camion è stato rubato “in corsa”, mentre consegnava la birra in un ristorante: insomma, il presunto jihadista, di cui si sono perse ovviamente le tracce, ha atteso che l’autista scendesse per scaricare, è salito sul mezzo e ha dato vita all’operazione. Un po’ campato per aria, come piano: quante ore avrebbe potuto dover attendere, magari invano?
 
C’è poi l’uomo con la felpa grigia e il giubbotto verde, di cui la polizia svedese ha diramato la foto identificativa, premurandosi di dire che non lo riteneva responsabile dell’atto ma voleva parlargli perché, forse, in grado di identificare l’autore: anche qui, diciamo che siamo nel solco investigativo di “Scuola di polizia”. Poi, la svolta: l’uomo è un uzbeko di 39 anni ed è stato fermato, potrebbe essere lui l’attentatore. A suo carico, abiti sporchi di detriti e fuliggine e un “like” messo alla foto dell’attentato alla maratona di Boston (un amante del vintage). Infine, sarebbe saltata fuori anche una bomba artigianale. Per ora, nessun documento d’identità dimenticato nel camion. Insomma, poco lineare l’insieme ma resta un dato di fondo: se fai entrare chiunque, poi è difficile sapere chi ti sei messo in casa. E controllarlo.
Comunque sia, l’effetto panico è stato raggiunto, proprio in quella Svezia che a metà febbraio scorso Donald Trump descrisse come vittima di un attentato legato all’islamismo estremista, facendo andare su tutte le furie il governo di Stoccolma, il quale chiese delle spiegazioni e delle scuse. All’epoca, l’entourage del presidente disse che il tycoon si era confuso, avendo visto recentemente in televisione un servizio dedicato a un attacco compiuto a Sehwan, in Pakistan, dove rimasero uccise 85 persone. Insomma, Sehwan e Sweden suonano più o meno uguali, non vi pare? A voler pensar male, un’altra ipotesi – altrettanto originale, magari – salta fuori. Soprattutto se uno, invece che un telegiornale, guarda un memorandum. Si scherza, ovviamente.
Ma la questione a mio avviso più inquietante è un’altra, perché non più tardi dello scorso inizio di marzo la Svezia aveva tracciato con chiarezza le sue priorità in materia di sicurezza, dimostrando grande risolutezza da parte del governo. Per la prima volta dopo la fine della Guerra Fredda, infatti, la pacifica e neutrale Svezia reintroduceva il servizio militare obbligatorio, abolito sette anni fa. E, in onore del mantra del gender, lo stesso servizio militare riguarderà sia donne che uomini: per il governo di sinistra a guida socialdemocratica del premier Stefan Loefvén, tutti i cittadini nati dal 1999 in poi saranno chiamati a prestare servizio nelle forze armate. Preveggenza per quanto accaduto ieri? No, la ragione della decisione è spiegata chiaramente dai portavoce governativi: la Russia di Putin fa paura.
Ecco come raccontava la decisione “Repubblica”: “Continue violazioni delle acque territoriali da parte di sottomarini-spia della Voyenno-Morskoj Flot, frequenti sconfinamenti di caccia e persino di bombardieri atomici della Voyenno-Vozhdushnye Silij Rossii, fino a grandi aerei strategici vettori di armi nucleari che a transponder spento si mettono a volare sulla rotta d’atterraggio di Arlanda (il più grande dei 4 aeroporti della capitale svedese) con rischi di collisioni e stragi nei cieli. E ancora: propaganda ostile, fake news, spionaggio, cyberwar. Alla fine, Stoccolma ha deciso di reagire. In corsa”. Me cojoni, come dicono a Goteborg.
 
Ma non basta. “Allo stesso tempo, il governo rossoverde è pronto ad accogliere subito l’appello urgente dello stato maggiore interforze delle forze armate reali per un rapido, consistente aumento delle spese militari. Per dotare le forze svedesi – modernissime ma puramente difensive – di più armi dell’ultima generazione: i supercaccia Saab JAS 39 Gripen continuamente aggiornati, i nuovi sottomarini invisibili che Saab-cantieri sta sviluppando in corsa, e carri armati pesanti: la versione già in servizio prodotta su licenza e migliorata dai tecnici svedesi del Lopard 2 tedesco è ritenuta un’arma che forse è nel campo dei tank quanto di meglio il mondo libero schieri in risposta al temibilissimo T-14 Armata, il più nuovo panzer delle forze della federazione russa”. Me cojoni bis, siamo alle prove generali di scontro. Ora, al netto che Mosca potrebbe invadere il Baltico e la Scandinavia in due giorni, se davvero volesse, vi pare che con la situazione interna della Svezia, la priorità assoluta sia la deterrenza verso la Russia di Putin? A quanto pare sì, perché queste fotografie ci dimostrano come la russofobia sia diventata ormai patologica in Svezia, tanto i 65mila bunker anti-atomici costruiti durante la Guerra Fredda stanno subendo in questi giorni lavori di manutenzione e miglioramento, il tutto in caso di invasione russa del Paese.
Già oggi, i rifugi proteggono da esplosioni, radiazioni e agenti chimici ma le esercitazioni militari russe sul confine hanno spinto le autorità a farli ulteriormente migliorare, rendendoli soprattutto immediatamente pronti all’uso. Di fatto la Svezia, una nazione di 9,5 persone, riattiva la leva obbligatoria e fa revisionare in fretta e furia i bunker anti-atomici per timore di Mosca. Delle due, l’una: o il rischio è imminente come ci dice l’operazione sui rifugi o è di medio termine, come suggerirebbe la mossa del servizio militare, visto che non si addestra la gente nell’arco di due settimane. Soprattutto per fronteggiare l’esercito russo. Tant’è, il governo svedese aveva trovato un nemico da additare alla popolazione e un motivo per espandere il budget difensivo, nonostante lo status di neutralità. Che dite, dopo ieri gli svedesi avranno rivisto le loro priorità in fatto di sicurezza? E, cosa più importante, sapranno rispondere come si deve ai loro governanti, quando torneranno alle urne il prossimo anno?
Mauro Bottarelli – 08/04/2017 Fonte: Rischio Calcolato

C’è poco da fare, a Londra come Parigi, il mercato adora gli attentati. Anzi, ne adora le conseguenze

comedonchisciotte-controinformazione-alternativa-london4-660x330Mentre scrivo, ho un’unica certezza rispetto a quanto accaduto a Londra: il mercato adora gli attentati terroristici. Anzi, con quasi certezza, posso dire che adora le conseguenze politico-sociali che spesso e volentieri portano con sè. Il computo dei morti, per ora, è di due persone: un poliziotto ucciso mentre tentava di fermare l’assalitore e una donna investita dal suv lanciatosi sulla folla lungo Westminster Bridge. Un medico dell’ospedale St. Thomas, raggiunto dalla BBC, ha parlato di “ferite catastrofiche” per molti dei feriti ricoverati.

Il Parlamento è ancora in lockdown, fino alla fine della bonifica interna, non entra e non esce nessuno: i servizi segreti hanno messo immediatamente in salvo la premier Theresa May, mentre i deputati sono stati invitati in un primo momento a sdraiarsi per terra, mentre ora attendono di potersene andare. Poco fa Scotland Yard ha emanato un comunicato in cui parla di diversi morti, anche tra i poliziotti e invita la popolazione a stare alla larga dall’area di Westminster. Qualcun altro è entrato in azione, oltre al 40enne con barba e aspetto asiatico ucciso dagli agenti, mentre coltello alla mano ha assalito un loro collega nel tentativo di entrare dentro la House of Commons?

Ripeto, è presto per trarre conclusioni. Troppa incertezza, troppa confusione, troppi particolari che mancano. Ad esempio, gli assalitori erano due o uno solo? C’era l’attentatore a piedi armato di coltello e quello alla guida dell’automobile usata stile Nizza oppure si tratta della stessa persona? Nel secondo caso, è morto e non potrà dirci nulla. Nel primo caso, ci troviamo di fronte a un terrorista mancante, in fuga od ormai “fuori servizio”. Anche perché i prii lancia di agenzia parlavano di un assalto a colpi di arma da fuoco a Westminster, mentre ora si tratterebbe di un suv lanciato sulla folla e di un assalitore all’arma bianca: i colpi uditi erano quelli della polizia che ha fatto fuoco o qualcun altro ha sparato, magari per aprire il varco al suv?

Il fatto che ci siano parecchi morti e che anche i feriti presentino ferite gravissime, ci dice che il suv ha attraversato Westminster Bridge ad altissima velocità: chiunque sia stato a Londra anche solo una volta in gita scolastica, sa di quale area della città si tratti. Passato il ponte si arriva a Parliament Square e, girando a destra, a Whitehall, la via dei ministeri dove si trova il 10 di Downing Street, la residenza del primo ministro. La dinamica non pare quella di un attacco posto in essere da professionisti, però l’area colpita ci dice il contrario: il cuore politico di Londra, nel corso di una seduta del Parlamento e in presenza del premier. Non c’erano pattuglie o posti di blocco nell’approssimarsi al Parlamento che potessero intercettare il suv, se davvero andava a velocità sospetta?

Lo scopriremo con lo svilupparsi dell’inchiesta, così come scopriremo con quanti terroristi abbiamo a che fare, se uno o due. Se poi Rita Katz rivendicherà a nome dell’Isis, tutto apparirà più chiaro.

Una cosa è certa: lunedì il governo britannico ha annunciato per il 29 marzo prossimo l’attivazione dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona per cominciare il percorso del Brexit e ieri, con velocità siderale, ha seguito la scelta statunitense di vietare laptop e altri devices elettronici sugli aerei in partenza da alcuni Paesi arabi e mediorientali verso il Regno Unito: tutto in stiva, da Yemen e Nigeria arrivano voci di possibili attacchi con batterie caricate di esplosivo.

C’erano segnalazioni di rischio imminente? Oggi, anniversario della strage all’aeroporto di Bruxelles, l’attentato a Westminster. E poco fa, le seguenti parole del presidente turco Erdogan, riportate dalla Reuters: “Se l’Europa continuerà a comportarsi in questo modo, nessun europeo potrà camminare per la strada in maniera sicura in nessuna parte del mondo. Come Turchia, chiediamo all’Europa di rispettare i diritti umani e la democrazia”. Ridete pure, vi capisco. E’ una risata isterica, perché qui la situazione sta impazzendo come una maionese giorno dopo giorno e c’è davvero poco da stare tranquilli. Ma è troppo presto, per quanto mi riguarda, per trarre conclusioni definitive. Ho una sola certezza: il mercato gode. E non è un bel segnale.

Mauro Bottarelli  Fonte: www.rischiocalcolato.it 22.03.2017

Link: https://www.rischiocalcolato.it/2017/03/ce-poco-londra-parigi-mercato-adora-gli-attentati-anzi-ne-adora-le-conseguenze.html