Francia: vendita di 445 milioni di armi all’Arabia Saudita per bombardare lo Yemen

bambini, yemeniti, sempre musulmani ma non sono vittime di un nemico degli Usa. L’indignazione non è permessa. Il compagno Hollande contribuisce alla causa dello sterminio dei musulmani yemeniti. E’ cosa giusta in quanto politically correct.

 
Bambini fra le rovine in Yemen
 
PARIGI (Pars Today Italian) – Il presidente francese Francois Hollande ha approvato la vendita di armi all’Arabia Saudita, intenta all’aggressione dello Yemen.
Secondo il sito del settimanale Le Point, lunedi Hollande ha emesso l’ordine di vendita di 455 milioni di euro di armi alla monarchia saudita, che dal 26 marzo 2015 a questa parte ha ucciso oltre 14 mila yemeniti, quasi totalmente civili, proprio grazie alle armi ed alle bombe acquistate dalle potenze occidentali.
La Francia, nel 2016, ha ricevuto ordini militari per un ammontare di 20 miliardi di euro, un qualcosa che ha suscitato proteste anche all’interno della nazione.
NotaFrancois Hollande, il presidente socialista che si erge spesso e volentieri a garante dei “diritti umani” e che sale sul piedistallo per dare lezioni a quelli che lui (e l’Occidente) considera “dittatori” da Valdimir Putin a Bashar Al-Assad, ancora una volta si distingue per la sua colossale ipocrisia.
La Francia di Hollande si dimostra come sempre alleata e complice dell’Arabia Saudita, il paese governato dalla Monarchia dei Saud, che sta attualmente conducendo, assieme agli Stati Uniti e con la complicità di altri paesi europei, una campagna di bombardamenti indiscriminati contro la popolazione indifesa dello Yemen, il più povero paese del Medio Oriente.
La Francia fornisce le bombe e gli armamenti, garantendosi mega contratti con i sauditi, indifferente al fatto che quelle bombe e quegli armamenti vengono impiegati per bombardare le case, le scuole, i mercati e persino gli ospedali nello Yemen dove sauditi e statunitensi stanno attuando quella che si può ben definire una “macelleria messicana”. Uno sterminio della popolazione civile che, oltre ai bombardamenti, deve subire un blocco aereo navale che sta portando la popolazione letteralmente alla fame con circa 5 milioni di persone, in maggioranza donne e bambini, che sono sull’orlo della morte per inedia, privi di alimenti, di medicinali e di acqua potabile.
 
Un disastro umanitario, denunciato anche dall’ONU, di grandi proprorzioni e totalmente ignorato dai media, stampa e TV occidentali. Non ci sono le organizzazioni come “Amnesty International” o “Human Right Wath”, quelle che lanciavano grandi appelli per i bombardamenti russi/siriani su Aleppo est, non ci sono servizi sulle TV europee sul dramma che vive la popolazione yemenita, come avveniva invece quando si volevano “salvare” i civili di Aleppo, mentre in realtà si volevano salvare i mercenari armati dall’Occidente e dall’Arabia Saudita che erano rimasti intrappolati nei quertieri est della città.
Ospedale nello Yemen bombardato dall’Arabia Saudita
Per lo Yemen e le sue vittime civili non si leva una voce, sembra si tratti di vittime di serie C per l’Occidente, mentre si sta completando il massacro con la complicità di tutti i leaders occidentali, incluso il nuovo presidente USA che continua tutte le guerre iniziate dal suo predecessore.
 
Di una cosa possiamo però essere sicuri: come spesso accade nella Storia, il sangue dei vinti ricadrà un giorno su tutti quelli che sono stati complici e che hanno chiuso gli occhi davanti alla strage della popolazione yemenita.
 
Fonte: Pars Today Nota di Luciano Lago Mar 21, 2017

Il colonialismo di oggi si chiama globalizzazione

global brand

Forse il primo compito di un pensiero autenticamente critico dovrebbe consistere oggi nel favorire la deglobalizzazione dell’immaginario. Impiego questa formula – “deglobalizzazione dell’immaginario” – richiamandomi a Serge Latouche, che ha parlato a più riprese di “decolonizzazione dell’immaginario”: su questo punto, condivido la sua prospettiva, precisando però che oggi il nuovo colonialismo si chiama globalizzazione.
È, per così dire, il “colonialismo 2.0”: con cui si coartano tutti i popoli del pianeta all’inclusione neutralizzante del modello unico liberal-libertario globalista. Si tratta – come ho detto – di una “inclusione neutralizzante”, giacché la mondializzazione include e insieme neutralizza: include, giacché tutto riassorbe e nulla lascia fuori di sé (ciò che ancora non è incluso è diffamato come antimoderno, reazionario, populista, totalitario, ecc.); e neutralizza, perché, nell’atto stesso con cui annette, disarticola le specificità plurali dei costumi, delle culture, delle lingue. Le sacrifica sull’altare livellante del modello unico classista e reificante del consumatore individuale e senza radici, anglofono e senza identità.
Il mondialismo si caratterizza, in effetti, anche per questo: aspira a vedere ovunque il medesimo, ossia se stesso, il piano liscio del mercato senza barriere e senza frontiere, nei cui spazi stellari tutto scorre senza impedimento nella forma della merce e dei capitali finanziari: è anche e soprattutto per questa ragione che la tarda modernità assume la forma, per citare il compianto Zygmunt Bauman, di una “società liquida” a scorrimento illimitato dei capitali, delle merci e degli esseri umani ridotti a “merci” o a “capitale umano”.
Deglobalizzare l’immaginario – sia chiaro – non significa tornare alla società di “ancien régime”: non significa, cioè, far tornare indietro la ruota della storia. Significa, al contrario, riscontare l’insufficienza e le contraddizioni del mondo globalizzato: e, di lì, articolare un pensiero che si ponga a base di una nuova fondazione del vivere comunitario, andando al di là tanto della cattiva universalità del globalismo, quanto delle forme premoderne nel frattempo tramontate. Ben sapendo, ovviamente, quant’è difficile sistematizzare ciò che ancora non c’è.
di Diego Fusaro – 22/01/2017
Fonte: Fanpage