Torino, la città più bombardata d’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale

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TORINO. A partire dagli Anni Venti del Novecento Torino stava diventando un centro industriale, sede dell’innovazione tecnologica del Paese, e si andavano strutturando complessi manifatturieri, alcuni di una certa rilevanza, quali la Fiat per la produzione di veicoli civili e militari, o l’Upa, una cellula dell’Unpa (l’Ufficio nazionale di protezione antiaerea che si occupava di attuare i provvedimenti relativi all’oscuramento, la protezione, il rifugio e il soccorso della popolazione.), istituito tra il 1936 e il 1937, e soppresso dopo la fine del conflitto nel 1946, che aveva il compito di fornire alla popolazione approvvigionamenti di maschere antigas, materiali sanitari, costruzione rifugi.

Queste furono alcune delle ragioni per cui bombardare Torino, iniziando il 12 giugno del 1940, due giorni dopo la dichiarazione del duce, Benito Mussolini, riguardante l’entrata dell’Italia in guerra contro Francia e Inghilterra, e il cambiamento delle vie i cui nomi contenevano riferimenti al nemico, come corso Inghilterra, che diventerà corso Costanzo Ciano, e via Marna, che diverrà via Bligny.

Da quel momnento, e fino al 1945, la città sarà la più bombardata d’Italia. L’8 novembre del 1943, poi, Torino subirà la prima grande incursione diurna, compiuta da un centinaio di aerei, che farà 202 morti e 346 feriti durante il primo giorno di scuola per elementari e medie. A seguito delle distruzioni che colpiranno strade, edifici, case, monumenti e quant’altro, arando completamente alcuni quartieri, la fisionomia della città cambierà. «Sembra che una nuvola di fuoco, resa ancor più luminosa dall’oscurità, gravi su Torino»: è in questo modo che Emanuele Artom, partigiano e storico italiano di origine ebraica, vittima dell’Olocausto, descriverà uno dei numerosi bombardamenti.

Questi alcuni tra i luoghi bombardati: monumento dell’Artigliere, isolato compreso tra le vie Bonafous, Gioda (ora via Giolitti) e lungo Po Diaz, Stabilimenti Gilardini, corso Giulio Cesare, via Roma, via monte Bianco, Accademia Albertina delle Belle Arti, via Accademia Albertina 6, Istituto Salesiano Maria Ausiliatrice in Valdocco, via Cibrario, cinema Massimo, via Scarlatti 18, stazione Porta Nuova, ospedale Mauriziano, Casa Benefica, via Principi d’Acaja 40, via San Massimo angolo via Maria Vittoria, Azienda Tranvie Municipali, deposito di corso Regina Margherita 14, corso Orbassano, Palazzo delle Corporazioni, via Mario Gioda (ora via Giolitti) 28, corso Racconigi 60, Galleria Subalpina, piazza Cesare Augusto, corso Regina Margherita angolo via Macerata, corso Vittorio Emanuele II 94.

E ancora: chiesa della Crocetta (Beata Vergine delle Grazie), corso Peschiera (ora corso Luigi Einaudi), piazza Castello e via Pietro Micca, ospedale Molinette, campo sportivo “Torino Calcio”, via Filadelfia, Scuola elementare Michele Coppino, corso Duca degli Abruzzi 45, via San Secondo angolo via Legnano, Teatro Alfieri, piazza Statuto, corso San Martino, via Boucheron, Istituto Magistrale Regina Margherita, via Belfiore 46, Tempio israelitico, via Pio V 12, corso Peschiera, corso Gabriele d’Annunzio (ora corso Francia) angolo via Pietro Bagetti, Aeronautica, corso Italia (ora corso Francia) 366, via Filiberto Pingone, via San Quintino, via Maria Vittoria angolo via san Massimo, via Vassalli Eandi angolo via Bagetti, via Carlo Capelli 33-35, via Sacchi angolo via Pastrengo, via Santa Teresa angolo via San Tommaso, via Lodi, Caffè Raymondi, via Rodi 2 bis, farmacia dell’Ospedale Maria Vittoria, via Cibrario angolo via Medail, via Po, piazza Palazzo di Città, Fiat Lingotto.

In cinque anni la città sarà bombardata più di cinquanta volte. Tra i rifugi antiaerei, il Museo della Resistenza, in corso Valdocco 4, negli Anni Quaranta fu il rifugio aziendale del quotidiano “La Gazzetta del Popolo”, e una mostra multimediale, allestita fino al 30 dicembre prossimo, fa rivivere i momenti dei bombardamenti.
La Seconda Guerra Mondiale, con la firma della resa tedesca nel 1945, e la conseguente entrata degli americani a Torino, sarà ricordata tristemente dalla città anche per un altro terribile fatto: i deportati in treno verso il campo di concentramento di Mauthausen, che una targa commemorativa all’interno della stazione di Porta Nuova non farà mai dimenticare.

Dove si è nascosta l’Intelligence militare russa che operava in Europa

https://www.startmag.it/mondo/intelligence-russi-assassini/

di 

intelligence russa

L’approfondimento di Giuseppe Gagliano sul gruppo d’élite di ufficiali dell’intelligence militare russa che ha partecipato ad omicidi in tutta Europa

Secondo un’inchiesta del Times, un gruppo d’élite di ufficiali dell’intelligence militare russa, che hanno partecipato ad omicidi in tutta Europa, hanno utilizzato i resort nelle Alpi francesi come basi logistiche e di approvvigionamento. L’inchiesta riguarda l’unità russa speciale, nota come 29155, che appartiene al servizio segreto russo delle forze armate noto come GRU.

Questa unità è in funzione da almeno 10 anni. Tuttavia, le agenzie di intelligence occidentali hanno iniziato a concentrarsi su di essa solo nel 2016, dopo che è stato accertato che un gruppo d’élite di spie russe ha cercato di organizzare un colpo di stato nel piccolo paese balcanico del Montenegro. 

Si ritiene che l’unità 29155 sia composta da un gruppo affiatato di ufficiali dell’intelligence guidati dal maggiore generale Andrei V. Averyanov, un veterano delle guerre cecene della Russia. Secondo quanto riferito, l’esistenza dell’unità è così segreta che è improbabile che anche altri agenti del GRU ne abbiano sentito parlare. I membri dell’unità viaggiano spesso in Europa per condurre campagne di sabotaggio e disinformazione, uccidere obiettivi o condurre altre forme di ciò che alcuni esperti descrivono come la guerra ibrida del Cremlino. Si ritiene che siano responsabili dell’attentato alla vita di Sergei Skripal, un ex ufficiale dell’intelligence del GRU che disertò in Gran Bretagna. Morì nel marzo 2018, quando due membri russi dell’Unità 29155 lo avvelenarono nella città inglese di Salisbury.

Mercoledì scorso, un nuovo rapporto apparso sul quotidiano francese Le Monde ha sottolineato che l’Unità 29155 utilizzava le Alpi francesi come base per effettuare operazioni clandestine in tutta Europa. Secondo il documento, le informazioni sulle attività dell’unità in Francia sono emerse a seguito di indagini sulle attività dei suoi membri svolte da parte delle agenzie di intelligence britanniche, svizzere, francesi e americane. Nello stesso articolo, Le Monde ha pubblicato i nomi di 15 membri dell’Unità 29155, che presumibilmente sono rimaste in varie città alpine francesi tra il 2014 e il 2018. Le presunte spie russe sarebbero rimaste nell’Alta Savoia francese, al confine con la Svizzera che è tra le destinazioni turistiche invernali più popolari d’Europa.

L’area comprende la famosa catena montuosa del Monte Bianco e le pittoresche città alpine di Annemasse, Evian e Chamonix. Diversi membri dell’unità hanno visitato ripetutamente la regione mentre altri agenti sono entrati in Francia una o due volte con il compito di condurre specifiche missioni. Si ritiene che la principale ragione in base alla quale hanno compiuto i loro viaggi nelle Alpi francesi sia stato quello di fondersi con il gran numero di turisti internazionali che viaggiano nella regione durante tutto l’anno. Tuttavia, l’unità ha anche utilizzato diverse altre aree geografiche dell’Europa orientale come basi, tra cui alcune città in Moldavia, Montenegro e Bulgaria.

Il ponte di Albiano aveva 112 anni e fu progettato dal pioniere del cemento armato

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Ecco chi è Attilio Muggia, il papà del viadotto crollato

mercoledì 08 aprile 2020
Il ponte di Albiano aveva 112 anni e fu progettato dal pioniere del cemento armato

AULLA – Cinque arcate ribassatissime in cemento armato distanziate l’una dall’altra cinquanta metri, le pile furono costruite grazie all’utilizzo dei cassoni ad aria compressa sottofondati con uno speciale sistema di agglomeramento pneumatico. Il papà del ponte di Albiano crollato in Toscana è stato l’ingegnere e architetto veneziano Attilio Muggia pioniere in Italia delle costruzioni in cemento armato. L’inaugurazione del ponte, lungo 258 metri, avvenne il 25 ottobre 1908. Mentre il bando fu vinto nel 1903.

Muggia progettò e costruì molte opere d’ingegneria civile tra cui si ricordano la scalea della Montagnola a Bologna e nel 1900 il primo ponte in cemento armato, con otto arcate, sul Po, a Piacenza. Dal 1912 al 1935 Muggia tenne la cattedra di architettura tecnica alla scuola d’ingegneria di Bologna. Muggia inoltre condivide con l’ingegner Porcheddu l’autonomia progettuale del ‘Sistema Hennebique’, ovvero il conglomerato cementizio armato internamente con profilati di ferro disposti e rafforzati con apposite staffe. L’utilizzo di questa tecnica, che prese il nome di ‘cemento armato’, fu ideato e brevettato nel 1892 dall’ingegnere francese François Hennebique.


  Per la costruzione del ponte di Albiano furono impiegati circa 300 operai. L’opera come racconta la cronaca giornalistica dei tempi fu “sottoposta a rigorose prove di carico statiche e dinamiche con rotabili, una tramvia a vapore e una locomotiva trainante pesanti carichi”. Il ponte fu ricostruito nel secondo dopo guerr ed è entrato unitamente a tutta l’arteria in gestione ad Anas a novembre del 2018. L’opera serviva ad attraversare il fiume Magra all’interno del comune di Aulla, in Lunigiana, territorio toscano. I comuni liguri di Bolano e Santo Stefano distano poche centinaia di metri dal ponte crollato oggi a distanza di quasi 112 anni dalla sua inaugurazione.

Coronavirus: quando l’epidemia di peste spinse Newton a scoprire le leggi dell’ottica

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Nel 1666 Isaac Newton compì gli esperimenti che portarono alla formulazione delle rivoluzionarie teorie sulla luce e sulla gravità. Ma tutto ciò avvenne in circostanze molto particolari: era l’anno della grande epidemia di peste che decimò la città di Londra e per sfuggire al contagio lo scienziato, allora 24enne, si era rifugiato nella sua tenuta di campagna. Una “quarantena volontaria” che rivoluzionò per sempre il mondo della scienza.

CULTURASTORIA 11 MARZO 2020 12:29di Federica D’Alfonso

Pelagio Palagi, "Newton scopre la rifrazione della luce" (1827), Musei Civici di Arte e Storia, Brescia.
in foto: Pelagio Palagi, “Newton scopre la rifrazione della luce” (1827), Musei Civici di Arte e Storia, Brescia.

Può una situazione di emergenza come quella attuale, di isolamento e quarantena a causa del Coronavirus, divenire un’occasione per fare qualche scoperta innovativa? Guardando alla storia della scienza, questo è proprio quello che accadde nel XVII secolo quando, a causa dell’epidemia di peste che scoppia a Londra, un giovanissimo Isaac Newton si mise in quella che oggi chiameremmo “quarantena volontaria”, elaborando così le sue teorie rivoluzionarie sulla luce e il movimento: ecco cosa accadde nel 1666 quando Newton, per sfuggire al morbo nero, si isolò nella sua tenuta di Woolsthorpe.

La peste di Londra del 1666 e l’Annus mirabilisArtista anonimo, "La piaga di Londra" (1665), collezione privata.
in foto: Artista anonimo, “La piaga di Londra” (1665), collezione privata.

Nel giro di poco più di un anno l’Inghilterra rischiò di essere messa in ginocchio da una terribile epidemia di peste che scoppiò fra il 1665 e il 1666 a Londra. Dopo quello del Trecento, il contagio del morbo nero è ricordato come uno dei più devastanti della storia: si conteggiarono fra le 75 e le 100 mila vittime, più di un quinto della popolazione della città. La peste arrivò, con ogni probabilità, a bordo delle navi mercatili olandesi che commerciavano cotone con l’Inghilterra, e si estese per tutta l’area da Londra fino a Cambridge.

Soltanto un altro grande evento tragico riuscì a mettere un freno all’epidemia: nel settembre del 1666 scoppia, infatti, il Grande Incendio, che distrusse gran parte della città ma che ebbe, con ogni probabilità, il merito di distruggere definitivamente il bacillo del morbo.

La storia ricorda il 1666 come l’Annus Mirabilis, “l’anno delle meraviglie”, secondo la definizione data dal poeta John Dryden nel suo omonimo poema storico. Un anno denso di accadimenti tragici, che il poeta interpretò però in modo positivo, “miracoloso”: atteso da molti come un periodo funesto, in riferimento alla simbologia apocalittica che individua il triplo 6 come “numero della Bestia”, Dryden lo salutò come anno meraviglioso poiché, stando alla sua poetica interpretazione, l’intervento divino aveva evitato tragedie ben peggiori.

Newton: la quarantena e gli esperimenti sulla luceGli esperimenti di Isaac Newton sulla rifrazione della luce in una stampa d'epoca.in foto: Gli esperimenti di Isaac Newton sulla rifrazione della luce in una stampa d’epoca.
Perché a quei tempi ero nel pieno della mia età (…) e pensavo alla matematica e alla filosofia più che in qualsiasi altro momento.

Ma Dryden considerò meraviglioso l’anno del 1666 anche per un’altra ragione, collegata strettamente a questa frase che sir Isaac Newton pronuncerà quando ormai era al tramonto della sua vita. Fu infatti in questo periodo, e proprio a causa dell’epidemia di peste, che lo scienziato elaborò alcune delle teorie rivoluzionarie che lo porteranno ad essere considerato una delle menti più brillanti dell’età moderna.

Quando scoppia la peste a Londra Newton aveva 24 anni, ed era appena stato insignito del titolo di Bachelor of Arts dall’Università di Cambridge. Per sfuggire al contagio il giovane scienziato pensò bene di rifugiarsi nella sua casa di campagna a Woolsthorpe, in una sorta di “quarantena volontaria” che lo salvò dal contagio che nel frattempo in città continuava a mietere vittime. Libero dalle pressanti attività accademiche (l’università era stata chiusa a causa dell’emergenza), Newton poté dedicarsi a tempo pieno agli studi e agli esperimenti che lo porteranno a sviluppare le sue teorie sul calcolo, sull’ottica e sulla gravità.

A questo periodo risale la leggenda della mela caduta dall’albero, che diede allo scienziato lo spunto per studiare più a fondo e da una prospettiva diversa, le leggi del movimento gravitazionale. E a questo stesso periodo risalgono gli esperimenti in camera oscura che permisero a Newton di comprendere la natura della luce: studiando ciò che accade ad un raggio di luce bianca che attraversa un prisma di vetro, intuì che il colore non è una qualità dei corpi (come si riteneva all’epoca) bensì una caratteristica della luce stessa.

Ci vollero 44 esperimenti in camera oscura e un’epidemia di peste per giungere alla conclusione che rivoluzionerà la storia della scienza: ma fu proprio in questo periodo di isolamento forzato che Newton elaborò gran parte degli scritti accademici che gli conquistarono l’apprezzamento della Royal Academy, e che lo resero una delle menti più importanti del XVII secolo e oltre.

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ALDO MORO NON ERA INSIEME ALLA SCORTA TRUCIDATA

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   16 Marzo 2020  

(mb. importantissima ricostruzione:  dalle lettere, si intuisce che  Moro non sapeva la fine tragica dei suoi agenti)

IL GEN. LAPORTA: ALDO MORO NON ERA A VIA FANI IL 16 MARZO 1978.

16 Marzo 2020 Pubblicato da  1

Marco Tosatti

Carissimi Stilumcuriali, oggi, 16 marzo, ricorrenza del rapimento di Aldo Moro e della strage della scorta a via Fani, il generale Piero Laporta ci fa il regalo di una ricostruzione di ciò che accadde quel giorno, tanto clamorosa nelle sue conseguenze quanto realistica e dettagliata. Buona lettura. 

§§§

Questo articolo lo dedico a quanti erigono immagini del presidente Aldo Moro con l’Unità in tasca e ai sedicenti esperti, ricercatori e registi, seminatori di falsità.

Costoro insultano consapevolmente la sua memoria e la sua dignità. Aldo Moro fu sinceramente e lealmente democristiano, atlantico, fedele alla Costituzione e vocato a cercare la collaborazione fra l’Italia, i suoi grandi gruppi industriali (come la Fiat) il Partito Comunista Italiano, il Dipartimento di Stato, l’Europa e il Medio oriente. Fu tradito da tutti, anche da quanti si dissero favorevoli alla trattativa. Fu una cinica commedia. Il risultato oggi è sotto gli occhi di tutti.

Aldo Moro non è stato rapito in via Fani, il 16 marzo 1978, alle ore 09.02, com’è stato sempre raccontato dagli uomini dello Stato, dagli investigatori, dai magistrati, dai politici, dalla stampa e dalla tivvù. Ce lo assicura lo stesso presidente Aldo Moro. Vediamo come.

In via Fani furono rinvenuti 91 bossoli, 49 dei quali d’una sola arma, d’un tiratore mai identificato, d’altissima perizia, peculiare a militari delle forze speciali, «un gioiello di perfezione», secondo un testimone, intervistato da “Repubblica” il 18 marzo 1978.

91 bossoli, 42 dei quali sparati dai rimanenti sei brigatisti. A detta di Valerio Morucci, «l’unica prova dell’azione era stata compiuta nella villa di Velletri». Ammesso che abbiano sparato, impossibile che abbiano acquisito perizia da tiratori, neppure lontanamente accostabile a quella del professionista. I brigatisti sono assassini buoni a sparare alle spalle di vittime inermi a brevissima distanza, niente di più.

Il presidente Aldo Moro, come si sa, sarebbe uscito indenne dalla tempesta di fuoco, quindi rapito e trasportato sull’auto che poi l’avrebbe portato alla “prigione del popolo”.

I suoi assassini potevano permettersi un ostaggio ferito? No, perché sarebbe diventato un problema logistico d’asperrima gestione.  I suoi assassini potevano permettersi di uccidere, sia pure casualmente, il presidente Aldo Moro? No, perché tutta la finzione successiva, ruotata intorno a una “finta trattativa” – e dimostreremo che fu una finzione – non sarebbe rimasta in piedi. Aldo Moro doveva dunque essere rapito incolume. Perché la sua incolumità fosse certa, egli non doveva essere sulla scena della strage.

Per capirci circa l’impossibilità di garantire l’incolumità di Aldo Moro, mentre i sette assassini sparavano:  supponete di impugnare una pistola e mirare a un bersaglio posto a 2 metri e mezzo da voi. Sparate dal fianco, senza mirare, confidando proprio sulla prossimità del bersaglio, esattamente come fecero i sette assassini. Se la vostra pistola o la mitraglietta, nel momento in cui sparate, devia di solo 4 centimetri, il colpo sul bersaglio è deviato di mezzo metro. Quattro centimetri sono nulla per un tiratore non addestrato. Se poi i centimetri fossero sei, solo due in più, perché il primo colpo vi ha spostato la mano, la deviazione finale sarebbe di 75 centimetri. D’altronde anche il precisissimo tiratore professionista, che spara senza minima dispersione, nulla potrebbe fare se l’ostaggio, come sarebbe naturale, si muovesse scompostamente e improvvisamente, ponendosi sulla traiettoria dei suoi colpi. Insomma, il presidente Aldo Moro, incolume, a via Fani non c’era.

Da tutte le lettere che Aldo Moro ha scritto, quelle fatteci ritrovare, risalta la totale assenza di interesse per la sorte della scorta. Non una sillaba viene spesa da Aldo Moro. Questo dettaglio fu utilizzato da eminenti esperti per assicurare che Aldo Moro aveva scritto quelle lettere sotto dettatura, dunque non era più lui.

In realtà tale assenza di interesse per la morte dei cinque sventurati sarebbe inspiegabile per chi ha conosciuto Aldo Moro, un cattolico profondamente credente, d’assoluta bontà, compassionevole come un vero cattolico deve essere.

Aldo Moro, riferendosi alla scorta, scrisse solo che era stata inadeguata, nient’altro. Aveva ragione di scrivere così. Egli era infatti ignaro della sorte della scorta, sebbene fosse del tutto consapevole che essi si erano lasciati ingannare da chi lo aveva “prelevato”.

Nel libro “Aldo Moro, Ultimi Scritti, 16 marzo -9 maggio 1978”, a cura di Eugenio Tassini, ed. Piemme, 1998, a pagina 13, nella lettera a Francesco Cossiga, diffusa il 29 maggio 1978, Aldo Moro scrive:

«Benché non sappia nulla né del modo né di quanto accaduto dopo il mio prelevamento, è fuori discussione – mi è stato detto con tutta chiarezza – che sono considerato un prigioniero politico…» E più avanti continua, riferendosi a questo brano: «Soprattutto questa ragione di Stato nel mio caso significa, riprendendo lo spunto accennato innanzi sulla mia attuale condizione, che io mi trovo sotto un dominio pieno e incontrollato…»

….

A pagina 159 dello stesso libro, Aldo Moro fornisce la chiave di quanto accaduto, con un messaggio tanto inequivocabile quanto terribile, in una forma del tutto morbida, com’è nel suo stile.

Quando conclude la lunga lettera, scritta all’adorata moglie, nel giorno della Santa Pasqua, il 27 marzo 1978, butta lì alcune raccomandazioni, apparentemente inoffensive: «Ed ora alcune cose pratiche. Ho lasciato lo stipendio al solito posto. C’è da ritirare una camicia in lavanderia.

Data la gravidanza e il misero stipendio del marito, aiuta un po’ Anna. Puoi prelevare per questa necessità da qualche assegno firmato e non riscosso che Rana potrà aiutarti a realizzare. Spero che, mancando io, Anna ti porti i fiori di giunchiglie per il giorno delle nozze» e poi arriva il punto esplosivo «Sempre tramite Rana, bisognerebbe cercare di raccogliere cinque borse che erano in macchina. Niente di politico ma tutte attività correnti, rimaste a giacere nel corso della crisi. C’erano anche vari indumenti di viaggio».

Aldo Moro è quindi convinto che l’auto su cui ha viaggiato, quel mattino sicuramente sino alla chiesa di Santa Chiara, sia giunta a destinazione, senza di lui ma con le sue borse e quindi con la scorta in buona salute. Tutte le mattine Aldo Moro, scendendo dalla sua abitazione di via Cortina D’Ampezzo, si fermava alle otto e trenta alla chiesa di Santa Chiara, per una breve preghiera prima di dirigersi al lavoro.

Aldo Moro ha quindi visto coi suoi occhi la sua scorta andare via, portandosi le sue borse e i suoi indumenti di viaggio e chiede alla moglie di recuperarli.

Fin qui i fatti. Ora andiamo alle deduzioni.

Aldo Moro è stato allontanato dalla sua scorta. Questo può essere avvenuto solo per opera d’un drappello di carabinieri o poliziotti (finti o veri non sta a noi dirlo) comandati da un ufficiale ben noto al capo scorta, Oreste Leonardi, il quale mai avrebbe abbandonato il suo Presidente in mani sconosciute.

«Signor Presidente, mezz’ora fa Radio Città futura ha annunciato il suo rapimento» quindi rivolgendosi anche a Leonardi, il delinquente in uniforme avrebbe potuto aggiungere: «Abbiamo quindi pensato a un piano diversivo. Lei, signor Presidente, potrebbe venire con noi con auto blindata e scorta adeguata. Tu, Leonardi fai il tragitto prestabilito. All’incrocio fra via Fani e via Stresa troverai dei nostri in uniforme dell’Alitalia. Rallentate e fatevi riconoscere. Anzi, per evitare equivoci, perché non so bene da quale reparto arrivino, mettete le mitragliette nel portabagagli, caso mai le tirate fuori dopo. Ci vediamo in Parlamento».

In Parlamento, dove Aldo Moro pensava che la sua scorta fosse giunta indenne e con le sue cinque borse, gabbata dai rapitori veri, quelli che lo avevano “prelevato”, com’egli scrive a Cossiga. Una scorta inadeguata, dopo tutto, ha ragione Aldo Moro di lamentarsene. Come dite? Potevano telefonare al comando per sincerarsi che tutto fosse regolare? Non c’erano cellulari e quel mattino la SIP ebbe un’avaria; tutte le comunicazioni telefoniche erano bloccate. E’ verosimile che a Leonardi fosse consegnato un ordine scritto autentico nella sua falsità. Il resto è noto? Non è detto. Aldo Moro non poteva tornare vivo dalla prigionia, altrimenti avrebbe testimoniato, e sarebbero saltati tutti a cominciare dai fautori della linea intransigente della DC e del PCI, oltre ai fedeli servitori dello Stato prestatisi a questa porcheria. La trattativa aveva dunque un unico sbocco possibile: la morte di Aldo Moro, non la trattativa.

I suoi assassini, i pochi individuati, fanno una vita agiata.

Piero Laporta

BERLINO KAPUTT (e sono stati gli americani, di nuovo)

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La Germania che  di colpo stacca un assegno da 550 miliardi,  e si rimangia il decennio di politica economica “zero null” di Schauble e di Merkel? “La decisione di stampare  550 miliardi è etero diretta”.   “Due giorni fa la Merkel è stata avvertita della fine del suo mandato e dall’incarico”.E da chi? Sentite questa ipotesi straordinaria: sono stati gli americani.

“Il contingente [di Europe Defender 2020]  si trova sul territorio tedesco e di fatto ha esautorato il governo”.

Il generale comandante dell’esercitazione si è avvalso delle clausole  di armistizio del 1945,  con la resa incondizionata della Germania.  Infatti,

“La Germania perdente dopo la fine della guerra si dotò di una Costituzione temporanea ovviamente scritta dagli americani e dai russi. Doveva restare vigente per un breve periodo poi la Germania avrebbe dovuto Indire un’assemblea Costituente e darsi una vera e propria Costituzione cosa che non fece mai.

Doveva restare vigente per un breve periodo poi la Germania avrebbe dovuto Indire un’assemblea Costituente e darsi una vera e propria Costituzione cosa che non fece mai. infatti la Germania non è uno stato Ma allo stato attuale alla forma in diritto di una Confederazione di Lander.  Giuridicamente non possiede il titolo di Stato né tantomeno di nazione e quindi tra le altre cose non avrebbe potuto aderire all’Unione Europea e siglare Patti”

E  guarda caso, il comandante generale dell’esercitazione “Europe Defender 2020”, General Christopher Cavoli,   è  probabilmente stato esposto  al coronavirus   (dopotutto  “il generale italiano dello stato maggiore Salvatore Farina ha contratto il virus, dice Reuters”)  e quindi non può tornare subito in USA, causa le misure dettate da Trump. Resterà qui per un po’, a fare la quarantena. In  Germania.  Con le sue truppe.

L’impero del quarto Reich tedesco ha esalato l’ultimo respiro e con esso Verrà giù un bel po’ di roba marcia”

Questa ricostruzione non è mia. Viene da una twitterista con intuizioni eccezionali, che  conosco solo dal suo pseudo:

Valeria KindQ

@VNotKind

Una che il Deep State non lo regge proprio!

Non so su cosa ella basi la sua ricostruzione, se su informazioni riservate a lei accessibili o pura (e  geniale) immaginazione  politica.  Né io ho la minima informazione aggiuntiva che confermi questa ricostruzione di ValeriaKindQ.  Salvo una: la sua plausibilità.

Nel momento in cui la Federal Reserve, ben conscia del collasso imminente di tutto il sistema occidentale basato sul dollaro, annunciava l’iniezione di 1500 MILIARDI di dollari dal nulla,  la Lagarde con la sua frasetta sugli spread italiani ha fatto crollare   tutte le borse europee, del  -16, del -14%.  Non c’era tempo da perdere; la banca centrale europea stava per far collassare  il sistema, e proprio nel momento in cui la Cina giganteggia di nuovo: uscita dall’epidemia, manda “aiuti”  e soccorsi  all’Italia che l’Europa ha abbandonato.

Il Deep State americano,  con fulminea capacità di decisione, ha esautorato la Merkel per salvare il salvabile. I due  ministri tedeschi Scholz e Altmaier   l’hanno palesemente sostituita quando hanno annunciato i  550 miliardi,  e aiuti di Stato “illimitati”  alle aziende, e ri-nazionalizzazioni di processi produttivi strategici;  hanno  seppellito trent’anni di dottrina politica fasulla  Schauble-Merkel.  E Scholz  è quello che, giorni fa, ha rifiutato di dare la mano alla Cancelliera, con la scusa del coronavirus.

Sono i curatori fallimentari per conto dell’America. E se davvero “l’America” l’ha fatto facendo valere le  clausole dell’armistizio  del’45 ,  è veramente la disfatta dal Quarto Reich UE. La Germania è tornata  alla casella del ’45, firma di nuovo la resa, dopo aver di nuovo ridotto l’Europa in macerie.

Che le cose stiano così, lo conferma  il tweet di Donald, che Bagnai ritwitta  :

Donald J. Trump

 

@realDonaldTrump

THE UNITED STATES LOVES ITALY!

Video incorporato

 

“Il crepuscolo dei Babbei” (cit.)

Se  le cose stanno  così, la disfatta è  anche quella del governicchio italiano, di Conte, di Gualtieri,  di Mattarella,  di Visco e di Zingaretti, di tutti coloro che, nel deep state italiota, stanno al potere  solo  in quanto servi della UE. La UE “di prima”, che non c ‘è più.

Non è, sia chiaro, un Crepuscolo degli dei. E’ il Crepuscolo dei Babbei, come titola gongolante  Alberto Bagnai su goofynomics.

(Qui, da leggere: https://goofynomics.blogspot.com/2020/03/il-crepuscolo-dei-babbei.html)

Babbei perché proprio lui, il senatore dell’opposizione, aveva suggerito in parlamento, giorni fa, “di fronte a un’aula semideserta, quale fosse la strategia più corretta da seguire e perché l’emergenza offrisse una opportunità tattica:”.

Fate un deficit  del 7 per cento, promettendo che negli anni seguenti diminuite il deficit di mezzo punto, fino a  tornare al 3 per centro sacro. Quel che ha fatto per anni la Francia. L’epidemia e  il blocco economico che ne consegue vi danno l’opportunità di farlo, vincendo le resistenze di Bruxelles”.

Era il regalo di un successo politico, quello che Bagnai offriva ai piddini. I piddini non hanno voluto. Per viltà.

Scrive il senatore: “I piddini, in riunione, non volevano saperne: “Non possiamo dare al Governo l’impegno a fare qualsiasi cosa sia necessaria, non possiamo rilasciare deleghe in bianco… Noi, come al solito, imbecilli subalterni”. Ed in braghe di tela, obbedienti a un Reich che non esiste più. Per stupidità. Per mancanza di palle. Per incapacità previsionale. E  peggio.

E questo peggio, ben lo delinea Bagnai: “La débâcle cui stiamo assistendo non è solo la sconfitta di un governante dissimulatore, narcisista e accentratore, che diffidente come un imperatore della decadenza affastella sulla propria scrivania tutte le pratiche per non risolverne nessuna; non è solo la rotta di una maggioranza variegata e incompetente, incapace di decisione perché incapace di visione; ma è anche e ahimè soprattutto la rovinosa disfatta del deep state italiano, di quel cordone sanitario di civil servant di alto bordo posti dal potere a perimetro e custodia dei politici, il tracollo di quegli uomini che effettivamente sono, anche quando non lo rivendicano con amabile alterigia, il potere”.

Quello è il vero peggio: l’incompetenza dei tecnocrati, lo scadimento dell’apparato burocratico e  dei grand commis che una volta  assistevano i politici (i politici passano, loro restano), ne traducevano la raffazzonata ed approssimativa volontà politica in testi legislativi corretti e coordinati con il quadro legislativo storico, ne scongiuravano con consigli discreti dietro le quinte, gli errori.

Questa classe non esiste più.  I suoi stipendioni li  prendono gente come Ignazio Visco: prototipo del tecnocrate incompetente e, proprio per questo, servile: verso il Quirinale, verso Bruxelles, verso la Merkel, verso la Lagarde  – verso qualunque donnetta tra Francoforte e Berlino.

“Dove sono i capi ufficio legislativo competenti, i capi di gabinetto callidi e lungimiranti, le segreterie tecniche agguerrite e reattive di una volta?”, chiede Bagnai.

Trent’anni di “nomine”  piddine a questi posti, hanno fatto scomparire questa classe assolutamente necessaria, i sapienti degli “arcana imperi”  in nome di quella continuità che è la patria. Sostituendoli con gente del partito e vicina al partito, magistrati di area, incompetenti  ma “europeisti”  e fedeli – esattamente come sono incompetenti i Gualtieri e i Mattarella.

E questa è una tragedia. Ha ragione Bagnai a preoccuparsi, perché  l’assenza dei “capi di gabinetto callidi e lungimiranti”  danneggerà anche il governo dell’attuale opposizione. Quando sarà.

La secessione di fatto più vicina

Per ora, il gigantesco 550 miliardi di Scholz & Altmaier rispetto ai (forse) 27 di Conte §  Gualtieri,  avrà un ovvio effetto: che il Nord ferito e impoverito dal coronavirus graviterà ancor più verso la Germania  economica e industriale –mentre il Sud arretrerà ancor più verso il reddito di cittadinanza permanente,  senza studiare né lavorare  quindi primitivizzandosi intellettualmente, riducendosi culturalmente al Neanderthal, perdendosi anche questa ulteriore rivoluzione produttiva che si annuncia con gli aiuto di Stato tedeschi.

Il fato che Fontana abbia assunto, per gestire l’emergenza in Lombardia, quel Bertolaso da tutti invocato e che i piddini non hanno voluto, è un chiaro sintomo del futuro.

Questo è ciò che ha ottenuto il  governo piddino per servile timore di  sforare il deficit dettato dal Reich.

Se la ricostruzione è vera, certo ci saranno conseguenze  malvage  per i rapporti europei con la Russia. Gli “americani”  ci venderanno il gas di scisto, i  gasdotti Est-Ovest saranno obliterati? Vediamo. Per ora ci basti questa giornata.

8 Marzo festa della Donna – Perchè 8 Marzo?

 Molte fantasie e mistificazioni si sono fatte sulla data dell’8 marzo.

Innanzi tutto si hanno notizie delle prime “feste della donna” nel 1907 in Germania e nel 1908 in USA e poi a seguire, in molti altri stati ma con date diverse.

I più fanno risalire questa  data quale ricorrenza di un incendio avvenuto nel 1908 a New York, facendo probabilmente cponfusione con una tragedia realmente verificatasi in quella città il 25 marzo 1911, l’incendio della fabbrica Trianglenella quale morirono 146 lavoratori (123 donne e 23 uomini, in gran parte giovani immigrate di origine italiana ed ebraica). Altre versioni citavano la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857mentre altre ancora riferivano di scioperi o incidenti avvenuti a Chicago, a Boston o a New York.

Invece la storia è molto più semplice: l’8 marzo è la ricorrenza di quando le donne di San Pietroburgo scesero in piazza, il 23 febbraio 1917 (secondo il calendario Giuliano che corrisponde appunto all’8 marzo secondo il calendario Gregoriano, il nostro)  per protestare essenzialmente contro la guerra e contro le condizioni di vita da questa causate, dando così origine alla rivoluzione che portò alla deposizione dello Zar ed alla costituzione di un governo “socialdemocratico” di coalizione presieduto da Kerenskii da non confondere con la rivoluzione di ottobre (sempre 1917) detta Boscevica.

La data dell 8 marzo « Giornata internazionale dell’operaia » fu fissata il 14 giugno 1921 durante la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenuta a Mosca una settimana prima dell’apertura del III congresso dell’Internazionale comunista.

Per molti anni la vera motivazione storica è stata, prima occultata e poi dimenticata; probabilmente per motivi politici: agli “occidentali” ricordava il comunismo ed ai comunisti ricordava che non furono loro a deporre lo Zar, bensì una rivoluzione popolare spontanea iniziata appunto dalle donne.

Con questo credo che finalmente GIUSTIZIA Storica è stata fatta!!!

AUGURI a TUTTE le Donne!

La foto di Alessandro Barbero per la No Tav Nicoletta Dosio: «Libertà»

https://torino.corriere.it/cronaca/20_marzo_01/foto-alessandro-barbero-la-no-tav-nicoletta-dosio-liberta-397b95b6-5bd0-11ea-ae74-e93752023e91_amp.html?fbclid=IwAR3T8MXWeUevkgybcJP2TDKxV9OtjQm6OluG_o6rDs3qVCg7eMf72SZjD1I

Articolo Img

2 marzo 2020 – 14:58

di Valeria Catalano

Alessandro Barbero per Nicoletta Dosio, la pasionaria No Tav ora in carcere. Sabato lo storico torinese ha preso parte ad un incontro all’ex Opg occupato di Napoli. Al termine della discussione si è lasciato immortalare con un cartello «Io sto non Nicoletta. Libertà».

«Il professore – raccontano gli attivisti napoletani su Facebook – conosce benissimo la storia e la vicenda di Dosio. Ed ha voluto dimostrarle solidarietà e vicinanza ricordandola in un passaggio della bella lezione che ha tenuto davanti a tanti e tante giovani all’ex Opg occupato».

Notissimo volto tv nonché docente dell’università del Piemonte orientale, Alessandro Barbero ha parlato alla folta platea di «sovranità popolare e rivoluzioni». Il centro sociale che ospitava il dibattito è lo stesso in cui nel 2018 è nato il movimento nazionale «Potere al popolo», presente alle ultime elezioni politiche.

CHI CONTROLLA LA NARRAZIONE, CONTROLLA IL MONDO —– SIRIA, UNA LIBERAZIONE MANIPOLATA IN CATASTROFE UMANITARIA —– BERGOGLIO, DI MAIO, AMNESTY, NATO: VAI CON AL QAIDA

https://fulviogrimaldi.blogspot.com/2020/02/chi-controlla-la-narrazione-controlla.html

MONDOCANE

VENERDÌ 28 FEBBRAIO 2020

I meglio fichi del bigoncio in soccorso al carnefice

Quaquaraquà e uomini

https://twitter.com/i/status/1230448143973732352   Colonna prima di russi e di turchi pattuglia il confine turco-siriano. Notare la differenza tra come la popolazione accoglie i russi e poi i turchi

Una novena per Al Qaida

Che il papa argentino (che in Argentina non mette piede), connivente dei generali dei Desaparecidos e il suo Segretario di Stato Parolin, motore della Chiesa antichavista venezuelana e ospite di Bilderberg, si inserissero, anzi, prendessero la guida morale della campagna contro la Siria e in difesa del terrorismo erdoganian-jihadista, non stupisce. Bergoglio si era già qualificato con i suoi “appelli”, ispirati all’inversione zanotelliana della verità, a denunciare le “violenze”, non del carnefice invasore e terrorista, ma del difensore della pace, della civiltà, del diritto, Bashar el Assad. Niente di sorprendente neanche qui, se si guarda al ruolo di protagonista assoluto che la Chiesa globalizzante di quest’uomo assume nel promuovere lo sradicamento dei popoli dal Sud del mondo, per fornire a lui pecorelle tramite tanto Caritas quanto Ong e, ai suoi affini laici, materiale schiavistico per incrementare gli utili.

Sapendo abbastanza della Chiesa Cattolica, cristiana tutta, e dei suoi 2000 anni di collusione con i più brutali, sanguinari e manipolatori sistemi di dominio sugli umani normali, non è tanto questo allineamento con gli odiatori ontologici di vittime potenziali e effettive che sconvolge. E’quell’omino incolto, disconoscente, di un’ambizione e una pretenziosità pari solo all’incontrollato opportunismo, della cui continua esistenza politica e del cui continuo, disastroso ruolo nel Movimento Cinque Stelle, mi scandalizzo. Avete presente un guscio d’uovo vuoto, su cui qualcuno ha dipinto una faccia? Ecco Di Maio.

Tra Di Maio e Di Battista….

Metto al confronto, che è di una abbagliante evidenza, con la recente vergognosa uscita dell’omino Di Maio, i reportage che Alessandro Di Battista ci ha fatto dall’America Latina, prima e, ora, dall’Iran. Dimostrano studio, osservazione diretta, sensibilità umana, consapevolezza storica, conoscenza dei termini del particolare e del generale, enorme rispetto per i giusti e deboli e capacità di valutare chi è vittima e chi è aggressore, a dispetto delle deformazioni di un sistema politico-mediatico odiosamente prostituito ai distruttori di nazioni e popoli. E questo al netto della sua azione politica a casa che, segnano la maturità politica del popolo 5Stelle, gli ha meritato, a grande maggioranza, il primo posto nei favori del movimento.

Gli sguatteri dei padroni e i pifferai della menzogna si sono precipitati ai ripari di quella che prometteva di essere la liberazione di uno degli ultimi pezzi di terra strappato alla Siria dalla cospirazione militare e terroristica Usa-Nato-Turchia-Golfo, la vera Coalizione del Male che imperversa oggi sul Globo. Spicca tra i meglio fichi sopra nominati questo geopolitico, perfettamente consapevole di chi è oppresso e chi sfruttato, cui una congiunzione astrale nella galassia del Muselide, di quelle che capitano ogni par di milioni d’anni, ha concesso la nomina di ministro degli esteri, non del Lichtenstein, del paese crocevia nel Mediterraneo tra Nord e Sud, Est e Ovest.  ll diversamente anglofono che per virus dice “vairus”.

Un appello per Erdogan e Al Qaida

L’appello della vergogna (ingrandire), da assolutamente leggere e provando a non rimettere

Luigi Di Maio, di cui nessuno metterebbe in discussione la potenzialità di ottimo sindaco di Pomigliano, brilluccica addirittura primo nella lista dei 14 ministri degli esteri europei che hanno firmato un appello degno delle loro divinità #MeToo agli Esteri, come Madeleine Albright (“500mila bambini da noi uccisi in Iraq valgono la candela”), o Hillary Clinton (“Gheddafi linciato, Libia massacrata, che ridere!”). L’ominicchio anticasta e antisistema capeggia una fila di maitre del banchetto imperiale che vanno a stracciarsi le vesti di sicari, insanguinate dalle vittime siriane, perché a Idlib ci sarebbero stragi di civili, scuole, ospedali, donne, bambini (ricordate Aleppo alla vigilia della liberazione?), addirittura le ampiamente smentite armi chimiche, tutte ovviamente di Assad. Per cui, spapagallando Pompeo, ci vorranno altre sanzioni a Damasco, se non la smette e si ritira. E ha ragione Erdogan, quando rivendica il suo diritto di capo-tagliagole, a impazzare con soldati e bruti mercenari in casa altrui e far fuori chi gli dice di togliersi dai maroni. Un tempo il M5S chiedeva la fine delle sanzioni e condannava la guerra alla Siria.

L’inversione della colpa

Sull’attacco degli Alleati in Europa, carnefici di guerra vincenti contro carnefici di guerra vinti, ma detto della “liberazione”, chi oserebbe condannare i “liberatori” per le vittime che lo scontro ha comportato? E, anche dopo, in Algeria, Vietnam, Cuba, Cina, si sono addossate ai liberatori dai predatori colonialisti i caduti, i profughi, le distruzioni? Avevamo ancora una minima capacità di individuare colpe e chi ne era colpito. Delle apparenti 500mila vittime del crimine antisiriano, di tutte indistintamente le distruzioni, di ogni atrocità commessa da chiunque, tutta la responsabilità risiede esclusivamente su chi ha aggredito. E’ scientifico.

Al Qaida al lavoro su prigionieri siriani

Un grottesco concentrato d’odio per la Siria, in procinto di ricuperare, a costo di oceani di sangue versato dai suoi eroici figli e dalle sue figlie in armi, o sotto le bombe, una parte della sua terra amputata dalle più orrende orde di subumani che impero abbia mai saputo mettere in campo. Quelli che i mandanti e loro presstitute, e anche qualche testa di minchia “democratica” che si ritiene pacifista, chiamano, strizzando l’occhio, “ribelli”, o (“il manifesto”), “opposizione islamista”. Per Di Maio, che forse, spostando Pinochet dal Cile al Venezuela, non sa di cosa parla, ci sarebbe da ridere. Solo che quella voglia si disintegra a vedere attraverso la lettera, in trasparenza, le centinaia di siriani morti e il grande paese fatto a pezzi. Non gliela perdono, a Giggino.

Due M5S

A parte tutto il resto, come anche i punti di programma ultimamente indicati da Alessandro Di Battista, basterebbe la voragine tra questo Di Maio delle sanzioni a chi difende patria, diritto, civiltà, vita, l’umanità intera, dalla cospirazione USA-NATO, e il Di Battista della penna puntata sui misfatti di questa coppia di moloch, per rendere chiara l’esistenza, ormai, di due movimenti 5Stelle. Quello della resa e dell’inserimento nel sistema e quello della terza via, fuori dall’establishment, dai suoi somari di razza e dalle sue turpitudini. A me paiono inconciliabili e che una scelta si imponga a tutti, pena la fine. Oblio al primo, affogato nelle polverose poltrone, lunga vita al secondo, nelle strade, piazze e case d’Italia. Purchè ci si muova! Si fallirà, si verrà fatti secchi. Ma  si andrà contenti di averci provato. E’ il messaggio che si lascia, che conta.

Libertà come “disastro umanitario”

Da un paio di mesi, l’Esercito Arabo Siriano è alla riconquista e liberazione della provincia di Idlib, a nordovest. Con il nord-est petrolifero occupato dagli americani e dai loro ascari curdi, la zona di Afrin al centronord, invasa dai turchi e una base americana nel Sud, ad al-Tanf, sono gli ultimi territori della Siria che le forze armate del popolo, assistite da russi, Hezbollah e iraniani, dopo vent’anni di guerra d’aggressione da parte di mezzo mondo, con il corredo delle atrocità più terrificanti prodotte dalla manipolazione degli esseri umani, non hanno ancora ricuperate.

Aleppo ora in corso di ricostruzione dopo le devastazioni turco-jihadiste

Come al tempo della liberazione di Aleppo, la legittima, sacrosanta, operazione che uno Stato conduce per ricuperare integrità e sovranità e restituire al proprio popolo una società in pace, un cammino di civiltà da riprendere, una ricostruzione da mettere in campo e una vita giusta, libera e serena, dovrebbe suscitare approvazione, gioia, concorso. In Occidente suscita collera e invocazioni a supporto dei carnefici. Sono politici della stazza di Di Maio, guardioni di palazzo come tutti i nostri governanti, o informatori venduti che si abbeverano alle fonti tossiche manovrate dagli aguzzini, i famigerati “Elmetti Bianchi” creati e pagati dai servizi britannici, o tale “Osservatorio dei Diritti Umani” installato dagli stessi servizi e gestito da una spia siriana a Coventry sulla base di telefonate e dispacci di amici.

Indecente, la vittima predestinata resiste

L’allarme è scattato quando l’esercito siriano e le forze aeree russe si sono permesse di reagire a mesate e mesate di attacchi da parte della feccia terroristica rastrellata da Nato, turchi e petrodespoti dal Marocco alla Cecenia alla Bosnia e allo Xinjang. Incessanti bombardamenti e incursioni nelle zone liberate di Aleppo e della stessa Idlib, perfino sulla base aerea russa di Khmeimim. Il sultano che ha eletto il ricatto di tutti a strumento del proprio imperialismo ottomano e fondamentalista, aveva finto di concordare con i russi, a Sochi e ad Astana, la demilitarizzazione di Idlib ed il disarmo e ritiro dei jihadisti di Al Qaida (poi al Nusra e Hayat Tahrir al-Sharm, per mimetizzare la propria identità di crocifiggitori, stupratori, scuoiatori, torturatori ed essere chiamati “opposizione” dai media). Ingolositi dalla prospettiva di creare crepe tra Turchia, Usa e Nato, ovviamente a vantaggio della Siria e del loro ruolo in Medioriente, ma dimentichi di quel loro Sukhoi abbattuto nel 2015, da due F16 turco, a titolo di avvertimento, i russi si sono fidati. E il loro ambasciatore, minacciato e vessato, ne sta facendo le spese adesso.

Uno dei 12 presidi armati turchi in Idlib

E questa specie di terminator, il cui scopo è sempre stata l’annessione di larga parte della Siria (a partire dalla zona “di sicurezza” lunga 100 km e larga 35, concessagli in Siria dai russi), e l’abbattimento della repubblica laica di Assad, ne ha approfittato per riarmare, rimpinzare e rafforzare con propri uomini e mezzi militari la provincia in cui la marmaglia Al Qaida e Isis, cacciata dal resto, si era rintanata ed esercitava, insieme alla Sharìa, il regime del terrore sulla popolazione. Da miserabile ladro, s’è portato via anche tutti gli impianti industriali e idraulici dalle aree invase.

Ma è solo ora, quando i combattenti siriani, accolti da popolazioni festanti che nessuno vi fa vedere, ha liberato decine di città e paesi, centinaia di km quadrati e la strada strategica che collega Damasco ad Aleppo, che l’Occidente responsabile di una della più terribili tragedie del nostro tempo, su cui ultimamente taceva nella speranza che Erdogan e tagliagole prevalessero, si sveglia e grida alla “tragedia umanitaria”, alla fuga di “un milione di profughi” (alcune decine di migliaia di bruti psicopatici, con la cui invasione l’energumeno Fratello Musulmano, la genìa cara al “manifesto” e a Soros, ora ricatta gli europei). E berne fa la Grecia a bloccare tutto. Sentirete gli strilli di papa e “manifesto”! Intanto il papa pianta la sua bandiera accanto a quella di Al Qaida

Scontro finale? 

Pompeo, Di Maio, Salvini, Zingaretti, Renzi, Von der Leyen,….Ed è proprio il disastro umanitario, quello vero, quello inflitto agli umani, cui, dopo 10 anni di indicibili sofferenze e sacrifici, i siriani e i loro alleati stanno mettendo fine. Cosa dirà di questa gente e dei loro carnefici la Storia se, stavolta, saranno le gazzelle, e non i leoni, a scriverla?

Anche la Nato, fin lì in speranzosa attesa che Erdogan rientrasse a pieno titolo nell’alveo (da cui aveva solo fatto finta di uscire, benedetti russi!), ha colto l’occasione. Se Assad, se un popolo che ha voluto restare libero, vincono anche qui, cambia qualcosa nella direzione del mondo. E forse anche nella sua regia. E allora, visto che un paese Nato attaccato (sic!”), seppure da liberatori della terra che ha occupato, comporta che la Nato accorra in sua difesa, assisteremo a qualcosa che altro che “disastro umanitario”. Sarà interessante, forse drammatico, vedere cosa succede dopo le promesse di Pompeo di “soccorrere” il compare co-sbranatore di Siria e Libia. Erdogan pensa di sapere su quale lato della sua fetta di pane sia spalmato il burro. Quella di sempre. Quella di gente come lui. E Putin lo sa?

Il corollario paradigmatico che forniscono alla nostra, così rinnovata, valutazione del bene e del male le invocazioni a interventi “umanitari” contro la “tragedia umanitaria”, fatte dal papa e dai vari nanetti da giardino imperiale, significa una cosa enorme. Che umani sono solo quelli cari al papa e ai nanetti, anche se tagliano gole, o violentano nel nome di un dio pervertito nel suo contrario. Implicitamente, disumani, anzi, non umani, sono gli altri. Nella fattispecie, i siriani e i loro difensori. Un giochino già fatto 75 anni fa, a Norimberga. Ce la sentiamo di vivere in un mondo in cui il monopolio dell’umano ce l’hanno gli assassini?

Donne dalla parte giusta. Asma, moglie del presidente Assad, con combattenti siriane

Ne vedremo delle belle. Qui, a casa, la più bella sarebbe il ritorno di Di Maio al San Paolo, lavoro degnissimo, senza rischi di ignominia. Prima che quanto resta del MoVimento muoia. E che 14 ministri degli Esteri, sfregiati dalla benedizione del papa, vadano a chiedere scusa a 17 milioni di siriani.

E ai quattro milioni e mezzo che non ci sono più, ammazzati, o in fuga da coloro per i quali hanno scritto l’appello più schifoso dai tempi dell’editto di Costantino, o, se mi volete al passo, dalle leggi razziali del ‘38).

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 21:33

Perché l’Italia non si è mai liberata davvero del fascismo

http://contropiano.org/interventi/2019/04/27/perche-litalia-non-si-e-mai-liberata-davvero-del-fascismo-0114877?fbclid=IwAR2D4BqIWiod0vj6uokb11dazWyAQ0YmshQhzz_WzaaIOEJD02E6ebitdSI

Podhum è una piccola località croata, 8 km a nord di Fiume. Intorno alle 7 del mattino del 12 luglio 1942 truppe regolari dell’esercito italiano entrarono nel villaggio, accompagnate dai Carabinieri e dalla milizia fascista. Avevano l’ordine di giustiziare tutti gli uomini tra i 16 e i 60 anni, e lo eseguirono con fucilazioni di gruppo.

Neanche cinque ore dopo gli italiani avevano bruciato quasi tutte le 320 case del villaggio, mentre il resto della popolazione, oltre 800 persone tra donne, vecchi e bambini, venne spedita nei campi di concentramento in Italia. Oggi a Podhum c’è un monumento che ricorda quell’eccidio, riporta 91 nomi di vittime.

L’eccidio di Podhum è uno degli episodi più tragici accaduti in Jugoslavia in quegli anni, e va inserito all’interno di un disegno generale, un’operazione preparata con cura dagli italiani, il cui scopo era lo sterminio delle popolazioni slave dei territori annessi della Slovenia e della Croazia. Gli ordini erano chiari.

Mario Roatta era il comandante della II Armata operante in quei territori, il suo soprannome era la “bestia nera”. Il primo marzo 1942 aveva diramato la Circolare (aggiornata e stampata il primo dicembre, in un opuscolo di circa 200 pagine distribuito a tutti gli ufficiali dell’esercito). Si trattava di un documento programmatico con il quale si dava il via alla cosiddetta Operazione Primavera.

Cardine di quella circolare era il principio di spopolamento attraverso la deportazione e il massacro. Bisognava attuare una pulizia etnica, bisognava colonizzare, e farlo usando i mezzi più brutali. In quella circolare venivano definiti da Roatta i dieci punti che i quadri dell’Armata dovevano tenere “costantemente presente”, due dei quali esemplari per comprendere la totale infondatezza del mito degli ”italiani brava gente”.

Un mito che lo stesso Roatta cercava di allontanare il più possibile: al primo punto della Circolare, infatti, si esigeva il “ripudio delle qualità negative compendiate nella frase “bono taliano”. Gli italiani non potevano e non dovevano essere buoni. Per questo, come si specificava al punto 6, “il trattamento da fare ai partigiani” non doveva essere sintetizzato “dalla formula ‘dente per dente’ ma bensì da quella ‘testa per dente’!”

So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori”. Così scriveva nel 1943 Benito Mussolini ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia. Per volere del duce – quello che, grazie al meccanismo di cancellazione della memoria, secondo troppi “a parte la guerra, ha fatto cose buone” – e guidate da generali come Roatta, Graziani, Badoglio, le nostre truppe hanno ucciso centinaia di migliaia di civili, usato gas tossici, deportato donne e bambini nei campi di concentramento, bombardato la Croce Rossa. Tutto per distruggere culture che ritenevamo inferiori, noi che eravamo “i discendenti dell’Impero romano”.

Se non bastasse, dopo aver commesso tali atrocità abbiamo fatto di tutto per cancellarle dalla memoria collettiva. Tutta la storia della giovane Repubblica italiana si fonda sull’inganno che ci ha permesso di considerarci vittime della guerra, anche quando eravamo carnefici. I crimini perpetrati durante e dopo la Seconda Guerra mondiale sono stati coperti, così come i responsabili.

Erano più di mille i presunti criminali di guerra, accusati dai Paesi dell’Africa e dei Balcani, ma nessuno di questi ha mai affrontato la giustizia, per due motivi: da una parte la volontà di creare un mito nazionale, quello degli “italiani brava gente”, che da decenni ormai ci permette di confrontarci moralmente – e autoproclamarci vincitori – con il “rigore” tedesco o lo snobismo inglese e francese. Perché alla fine “l’italiano ti aiuta sempre”. Dall’altra quella di scagionarci e assolverci per sempre, cancellando le atrocità compiute mentre si “onorava la patria”, passando alla storia come vittime della guerra e non carnefici. E in questo siamo stati aiutati dagli Alleati, in particolare da Stati Uniti e Gran Bretagna.

In seguito all’armistizio di Cassibile, con il quale il Regno d’Italia cessava le ostilità verso gli Alleati, dal 18 ottobre all’11 novembre 1943 si tenne la terza conferenza di Mosca: in quell’occasione i rappresentanti degli Alleati – il britannico Anthony Eden, lo statunitense Cordell Hull e il sovietico Vyacheslav Molotov – stipularono la Dichiarazione di Mosca. Gli Alleati dichiaravano di voler agire affinché “I capi fascisti e generali dell’esercito, noti o sospettati di essere criminali di guerra” venissero “arrestati e consegnati alla giustizia.”

Il 20 ottobre venne costituita presso le Nazioni unite la United Nations Crimes Commission, con la partecipazione di 17 Paesi alleati (Francia, Grecia, Norvegia, Paesi Bassi, Australia, Canada, Stati Uniti, Regno Unito, Polonia, Jugoslavia, Cecoslovacchia, Belgio, Cina, India, Nuova Zelanda, Lussemburgo): il suo compito sarebbe stato quello di creare una lista dei criminali di guerra per facilitare l’azione dei governi in tutto il mondo.

Nei suoi Crowcass (Central register of war criminals and security sospects) entrarono così un migliaio di presunti criminali di guerra italiani, richiesti da Jugoslavia, Grecia, Francia, Inghilterra – l’Etiopia aveva tentato di partecipare ai lavori della Commissione per denunciare i numerosi delitti perpetrati sul suo territorio dalle forze di occupazione fasciste, ma non era stata ammessa in quanto la War Crime Commission si occupava solamente dei crimini commessi durante la seconda guerra mondiale.

Eppure, proprio quel generale Badoglio che il 13 ottobre aveva dichiarato guerra alla Germania ottenendo dagli alleati lo stato di “co-belligeranza”, aveva, per esempio, pianificato e messo in atto vari bombardamenti con gas tossici durante le guerre di annessione del ‘35 in Etiopia. Lo stesso Badoglio che poi fu a capo del governo che firmò l’armistizio del ’43; lo stesso in onore del quale Grazzano Monferrato, paese natale del generale, cambiò il nome in Grazzano Badoglio.

Una discussione fra gli Alleati sulla figura di Badoglio si aprì, ma il caso venne abbandonato grazie anche alla pressione del Foreign Office inglese: in un telegramma cifrato spedito all’ambasciatore inglese a Roma nel settembre 1945, si legge: “Dovrebbe cercare di portare all’attenzione dell’onorevole Parri [allora Presidente del Consiglio dei ministri] in maniera confidenziale e ufficiosa, il prezioso contributo che Badoglio ha fornito alla causa alleata, esprimere la speranza che questo contributo venga sottoposto alla attenzione della corte prima dell’udienza”.

È comprovato che gli anglo-americani fossero a conoscenza dei crimini italiani e della loro crudeltà, ma negli anni che seguirono l’armistizio li coprirono, ritenendo utili e affidabili per la lotta anticomunista molti dei nomi compresi in quelle liste. Paese nemico arresosi senza condizioni, l’Italia dopo l’8 settembre 1943 stava subendo l’occupazione tedesca, con numerose vittime fra la popolazione civile; per contro, negli anni di guerra combattuta a fianco della Germania le truppe italiane si erano macchiate di gravi crimini e molti loro ufficiali erano richiesti da Paesi che appartenevano alle Nazioni Unite. E così, pressati dalla necessità di decidere, si decise di prender tempo.

Viste le continue proteste per la mancata estradizione dei criminali di guerra italiani degli ex Paesi occupati, in particolare quelle della Jugoslavia, nel febbraio del 1946 il ministro della Guerra Manlio Brosio propose al presidente del Consiglio De Gasperi di istituire una “Commissione d’inchiesta” che indagasse sui “presunti” criminali di guerra italiani, col fine di “poter giudicare, con i propri normali organi giudiziari e secondo le proprie leggi, quelli che risultassero fondatamente accusati da altri Stati”, onde “eliminare la possibilità di arresti e di consegne di italiani agli Stati richiedenti, senza il concorso dello Stato Nazionale”. D’altronde, come si dice, i panni sporchi si lavano in casa.

È chiaro che Alleati e governo italiano volessero attuare una resistenza passiva alle richiesta dei Paesi esteri. Per questo, nel febbraio del 1948, con la Jugoslavia che continuava a chiedere l’estradizione dei crimini di guerra italiani, l’allora segretario generale del ministero degli Esteri Vittorio Zoppi propose alla Presidenza del Consiglio di “guadagnare tempo evitando di rispondere alle richieste jugoslave, mantenendo un atteggiamento temporeggiante”. La risposta a nome del Presidenza arrivò il 16 febbraio, firmata dal sottosegretario Giulio Andreotti: “Concordiamo con le vostre conclusioni”.

Anche la Commissione italiana non prese neanche in considerazione le azioni svolte dai militari italiani in Libia, Eritrea, Etiopia e Somalia, dove anche contro i civili vennero usate bombe a gas, torture ed esecuzioni sommarie, o la deportazione in campi di concentramento.

Sono parecchi gli italiani che si sono resi tragicamente celebri nei Paesi del Nord Africa, come il generale Rodolfo Graziani, soprannominato il “macellaio di Libia”: era uno che attaccava vecchi e malati disarmati e che poi si faceva fotografare con in mano le teste dei “nemici”. Non fu mai processato per questi crimini, perché nessun processo nei confronti delle centinaia e centinaia di criminali di guerra fascisti è stato mai celebrato.

Come sottolineato da Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer in un saggio del 2001 su Contemporanea, “nessuno dei criminali di guerra italiani fu mai giudicato. Nei confronti di alcuni fu spiccato un mandato di cattura da parte della magistratura italiana, ma venne dato a tutti il tempo di mettersi al riparo.”

Questa vicenda è solo parte dell’insabbiamento dei crimini nazifascisti, che vede un ulteriore, assurdo quanto oscuro, capitolo in quello che è stato rinominato da Franco Giustolisi “l’armadio della vergogna”. Nel 1994 venne ritrovato in via degli Acquasparta a Roma, dentro palazzo Cesi-Gaddi, sede della Procura generale militare, un vecchio armadio. Aveva le ante rivolte verso il muro. Così, per quasi 50 anni erano stati tenuti al segreto 695 fascicoli d’inchiesta e un Registro con 2274 notizie di reato, relative a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazifascista.

Quell’armadio era la manifestazione in legno, carta e inchiostro dell’occultamento degli orrori perpetrati dai nazifascisti, in Italia e fuori. E oggi più che mai dovrebbe far riflettere la motivazione che si addusse: quella di Stato. Stava infatti iniziando la Guerra fredda, vi era la necessità di evitare problemi alla Germania federale, che in quel periodo stava ricostituendo il proprio esercito e si sarebbe dovuta inserire in maniera forte nell’Alleanza Atlantica, e il governo italiano, così come gli alleati, aveva bisogno di ripulire il più possibile il passato fascista italiano, per utilizzare il Paese nella lotta al blocco sovietico.

Per questo hanno operato insieme per evitare sia di consegnare, ma anche di giudicare, i presunti colpevoli delle stragi.

L’Italia ha così consapevolmente rinunciato al diritto di richiedere la consegna e di perseguire i militari tedeschi accusati di strage in Italia: come sottolineato anche dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause dell’occultamento di fascicoli relativi a crimini nazifascisti, “il governo italiano si trovava nell’imbarazzante situazione da un lato di negare l’estradizione di presunti criminali italiani, richiesta da altri Paesi, e dall’altro di procedere alla richiesta, proveniente dalla magistratura militare italiana, per l’estradizione di militari e criminali di guerra tedeschi”. Così si decise di non fare né l’una né l’altra cosa.

A prevalere fu quindi una particolare convergenza di intenti tra l’Italia e gli Alleati. Da una parte, infatti, questi comprendevano l’importanza della pedina italiana nella spartizione in blocchi del mondo. Da parte nostra invece c’era la necessità di difendere i presunti criminali di guerra italiani richiesti da altri Stati. Secondo la relazione della Commissione, la difesa a oltranza dei presunti criminali italiani attuata dal nostro Paese fino al 1948 “è responsabilità dei governi dell’epoca, che condivisero la difesa ad oltranza dei presunti criminali italiani, e sacrificarono sull’altare dell’onore dell’esercito italiano la punizione dei gravi crimini commessi dai nazifascisti in Italia.” Dal ’48 in poi a questo si aggiunse una necessità di carattere internazionale, “non mettere in imbarazzo la Repubblica Federale tedesca, tassello essenziale del blocco occidentale. Con la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta, così, anche per l’Italia la stagione dei processi per crimini di guerra poteva dirsi conclusa.”

Ecco su cosa si fonda il mito dell’Italiano brava gente, quello del simpatico colonizzatore, del docile conquistatore. Un mito che ha la necessità però di essere costantemente alimentato. E così negli anni il nostro Paese ha continuato a rifiutarsi di analizzare con serietà, con il dovuto distacco, gli orrori commessi in nome e per la gloria della Patria.

Uno degli esempi più grotteschi, quasi ridicoli, è datato 1991. Quell’anno nelle sale italiane veniva presentato Mediterraneo, di Gabriele Salvatores. Il film è uno spaccato di un’ipotetica occupazione italiana su un’isola greca: il contingente italiano, goffo e impreparato, familiarizza con gli abitanti dell’isola, fino ad affezionarcisi e decidendo, in alcuni casi, di abbandonare l’Italia stessa. Mediterraneo vincerà anche il premio Oscar, consacrando in patria e all’estero il mito del buon italiano. Quello che va a prostitute ma poi se ne innamora e torna le rende “donne per bene”. Quello che sì, magari è un po’ nazionalista, ma alla fine, se gli dai da fumare un po’ d’hashish diventa un compagnone, e poi si fa pure fregare i vestiti dai turchi. Quello che “una fazza una razza”, insomma.

Proprio nel 1991 la Rai decise di acquistare dalla Bbc un documentario. Lo comprò, ma non per mandarlo in onda, anzi per il motivo opposto. Una decisione incomprensibile, almeno fino a quando non si legge il titolo di quel documentario: Fascist Legacy.

Era andato in onda due anni prima in Inghilterra, e raccontava degli ottocento criminali di guerra italiani responsabili della morte di circa un milione di civili e di come fossero sfuggiti a qualsiasi processo perché inglesi e americani avevano bisogno di loro per mantenere i comunisti fuori dal governo. Raccontava gli orrori dell’occupazione italiana in Jugoslavia, Albania, Grecia, della Libia, Etiopia. Narrava in che modo questi erano venuti finalmente a galla grazie a un’indagine compiuta negli archivi diplomatici americani e inglesi e in quelli della Commissione delle Nazioni unite per i crimini di guerra.

Già nell’89 il documentario aveva suscitato accese polemiche: l’allora ambasciatore italiano a Londra Boris Biancheri inviò addirittura una lettera di protesta al presidente della Bbc Marmaduke Hussey, accusando il programma di prendere di mira l’Italia su un tema che ha in realtà dimensioni ben più ampie; quando poi il consulente storico del programma, Michael Palumbo, chiese di discutere la sua trasmissione con l’ambasciatore italiano, questo si rifiutò sostenendo che i giudizi globali devono essere lasciati agli storici. Per questo era meglio che nessuno in Italia vedesse quel documentario. Solo nel 2004 La7 ne trasmise degli stralci durante il programma Altra Storia.

Come per le discariche sommerse di cui è pieno il nostro territorio, anche la storia dell’occultamento dei crimini nazifascisti ogni tanto torna a galla, attraverso episodi che sembrano marginali. Come quando, ancora nel 2001, l’Etiopia accusava l’Italia di non rispettare gli accordi internazionali rifiutandosi di comunicare la posizione dei suoi depositi segreti di armi chimiche risalenti al periodo dell’occupazione. Qualche settimana prima durante alcuni lavori in una scuola nella regione settentrionale del Tigray, i muratori avevano trovato un deposito nascosto con munizioni e granate. Avevano dovuto sospendere i lavori per paura che si trattasse delle armi con gas tossico.

È anche grazie a questa enorme operazione di insabbiamento che oggi un ministro può permettersi di dire che a lui “interessa poco il derby fascisti-comunisti”. Per questo può permettersi di non celebrare la Liberazione dell’Italia. Perché del fascismo in realtà l’Italia non si è mai liberata.

* Per ulteriori approfondimenti, Contropiano consiglia la lettura di Criminali di guerra italiani,  di Davide Conti e Il caso Roatta, di Laura Bordoni, entrambi editi da Odradek.