Notizie dal fronte della CRISI CHE NON C’è – si rovinerebbe l’aurea di paradiso che l’Italia trasmette

i suicidi italiani? Luridi choosy che non meritano certo solidarietà… pure invenzioni

Ancora una vittima della crisi, si uccide nel bagno dell’Ospedale: era disoccupato da tempo
Non trovava più un lavoro da tempo dopo che una grande azienda della zona dell’eugubino-gualdese aveva chiuso i battenti. Ha raggiunto l’ospedale senza motivo e all’interno del bagno si è tolto la vita

Redazione 14 Ottobre 2013

Dramma, l’imprenditrice si dà fuoco per via di un mancato pagamento: è ancora grave
L’Umbria affamata di lavoro, i suicidi salgono del 9% ed è boom di psicofarmaci

Se questa è vita, a 52 anni non riesce a ritrovare un posto di lavoro: si impicca in casa

Ha deciso di uccidersi nel bagno dell’Ospedale di Branca che aveva raggiunto senza un reale motivo o una visita medica programmatica. A casa sua invece ha lasciato un biglietto dove ha spiegato il motivo di quel terribile gesto. A trovarlo privo di vita sono stati alcuni dipendenti dell’Ospedale che si erano insospettiti della lunga permanenza in bagno e temevano un malore. Purtroppo hanno trovato l’uomo – T.L. di Costacciaro – privo di vita. I tentativi di rianimazione dei sanitari, prontamente intervenuti, sono purtroppo risultati vani. Il 50enne è morto per asfissia a causa di un sacchetto di plastica sigillato intorno al collo.

Da quanto si apprende da fonti ospedaliere, l’uomo era disoccupato dopo aver lavorato all’Antonio Merloni ora fallita. Lascia una moglie e due figli. Sembra che abbia deciso di farla finita proprio per via della mancanza di lavoro. I carabinieri di Gubbio hanno effettuato gli accertamenti di rito.
http://www.perugiatoday.it/cronaca/gubbio-disoccupato-suicidio-ospedale.html

Finisce la storia industriale della Bartoletti: “Restano solo 10 lavoratori in cassa”
In questi giorni sono usciti dalla Bartoletti Rimorchi, aderendo al percorso di mobilità volontaria cinque lavoratori

Redazione14 Ottobre 2013 14

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In questi giorni sono usciti dalla Bartoletti Rimorchi, aderendo al percorso di mobilità volontaria cinque lavoratori. “Queste uscite – scrivono in una nota Fiom Cgil, Fim Cisl, e Uilm Uil – si sommano a quelle dei mesi scorsi, che hanno visto diversi lavoratori trasferiti in altre aziende del Gruppo Cangialeoni, prevalentemente alla San Giorgio Lamiere, azienda che ha rilevato uno spazio del sito ex Bartoletti e che vede la maggioranza societaria detenuta proprio dal Gruppo Cangialeoni. Oggi restano in Bartoletti Rimorchi 10 lavoratori ed è stata attivato fino a fine anno l’ultimo periodo disponibile di cassa integrazione ordinaria”.

“E’ evidente che siamo di fronte, anche alla luce delle recenti ultime cinque uscite, che comunque sono dei licenziamenti, – sostengono i sindacati – alla fine della storia industriale della Bartoletti per come questa città l’ha conosciuta. La Bartoletti è riuscita ad occupare anche 800 lavoratori negli anni ’80, e comunque anche nel 2004, prima del fallimento, erano 120-130 i dipendenti dell’azienda, e ad essere una tra le più importanti aziende del settore metalmeccanico forlivese, con una produzione annua tra i 1.000 e i 1.200 rimorchi. Oggi di rimorchi se ne producono 3/4 al mese”.

Sicuramente hanno pesato in questi anni le difficoltà del settore dei rimorchi e dei semirimorchi, “ma sono ormai chiare anche le responsabilità di chi ha rilevato l’azienda e che non ha mai seriamente investito per il rilancio del marchio e del prodotto della Bartoletti. – accusano i sindacati – Si poteva fare di più, anche perché, oggi, a poco più di 8 anni dall’intervento del Gruppo Cangialeoni, prima con l’affitto e poi con l’acquisto dell’area ex-Bartoletti, nei fatti l’esperienza della Bartoletti Rimorchi ha avuto più le caratteristiche di un’operazione sull’area che quelle di un progetto industriale. Il sito ex Bartoletti è stato re-industrializzato, anche con un ruolo attivo delle Istituzioni locali, grazie alla presenza della Fiorini Industries, ma la fine della storia industriale della Bartoletti segna il fatto che il declino industriale è una realtà e non più un rischio”.
http://www.forlitoday.it/economia/bartoletti-avoratori-cassa-integrazione-mobilita-volontaria.html

I dipendenti Plasmon distribuiscono biscotti in strada. Oggi l’incontro a Roma sui licenziamenti
Posted by Redazione on 15/10/2013
I dipendenti della Plasmon di Ozzano sono scesi ancora una volta in strada per protestare contro il piano di tagli al lavoro dell’azienda. Stanno distribuendo biscotti per bambini ad automobilisti e camionisti di passaggio su via Spezia fra Parma e Collecchio.
Ieri presso Assolombarda a Milano si è tenuto il primo incontro previsto dalla procedura di mobilità. Le parti hanno ribadito le proprie posizioni: la Heinz Plasmon vuole lasciare a casa un dipendente su quattro. I sindacati hanno sostenuto che i buoni bilanci di Plasmon Italia non giustificano una simile scelta e hanno proposto di contrattare soluzioni per i lavoratori alternative ai licenziamenti. L’azienda ha rimandato all’incontro di oggi al ministero dello Sviluppo economico un più ampio confronto sul piano industriale.
A questo punto si attende di sapere cosa uscirà dall’incontro odierno. Per l’occasione, i sindacati hanno proclamato due ore di sciopero.

“Auspichiamo l’inizio di una vera trattativa sullo sviluppo industriale del marchio Plasmon”, afferma la Cgil di Parma.
http://www.parmaquotidiano.info/2013/10/15/14689/

è gentaglia che non vuole lavorare ad un euro l’ora….per fortuna arrivano “risorse” da impiegare subito

Indotto Ansaldo, disastro occupazionale: 200 licenziamenti

15/10/2013
Storia della Simmi di Acerra. Dalla costruzione della metropolitana di Milano ai licenziamenti e alla chiusura definitiva di oggi.

Un dramma che si sta consumando in silenzio e che per questo appare irreversibile. La Simmi, indotto Ansaldo, ha spedito infatti le lettere di licenziamento a tutti i suoi operai e tecnici, 200 lavoratori, molti dei quali altamente specializzati.

Dipendenti che si sentono beffati. La decisione dell’azienda è stata presa prima che scadesse la cassa integrazione, il cui termine è stato fissato al 9 novembre. Una situazione occupazionale da brivido. Finora in Campania il provvedimento più duro in questa direzione era stato preso dalla Fiat, che mercoledì 9 ottobre ha deciso di spedire 421 lettere di licenziamento a casa degli operai della Irisbus, lo stabilimento di autobus fatto chiudere nel 2010. E ora è ancora una volta il settore metalmeccanico a pagare il prezzo più alto della crisi, con la seconda batosta occupazionale e produttiva di quest’autunno caldo.

Una vicenda zeppa di ombre. Il 27 luglio di quest’anno il tribunale di Nola ha emanato la sentenza di fallimento della Simmi. La magistratura civile ha accertato una situazione gravissima per l’azienda dell’imprenditore di Pomigliano Carmine Bassolino (solo omonimo del più noto Antonio, ex governatore della Campania). Un’impresa ad alto valore aggiunto, la Simmi, tutta “made in Naples”. Non solo cablaggi. Ad Acerra sono stati costruiti anche i vagoni della nuova metropolitana di Milano. Il declino dell’azienda napoletana è stato segnato due anni fa dall’improvviso dirottamento al nord, in Emilia, delle commesse fino ad allora assegnate dalla capofila Ansaldo, l’azienda di Finmeccanica che a Napoli, in via Argine, produce treni e che a sua volta si trova in difficoltà.

Clamoroso il caso scoppiato a giugno della cancellazione di ordini da mezzo miliardo di euro da parte dei governi di Belgio e Olanda. Mentre ora si parla di una vendita dell’azienda di Finmeccamica ai colossi coreani del settore. A ogni modo un intero pezzo dell’industria ferroviaria italiana è saltato e il suo naufragio sta creando l’ennesimo dramma occupazionale nell’hinterland napoletano. Nel tentativo di impedire la loro definitiva estromissione dal mondo del lavoro le tute blu dell’indotto Ansaldo hanno messo a segno una valanga di manifestazioni, blocchi stradali, cortei, occupazioni dello stabilimento. Una volta hanno anche bloccato, per ore, tutti i treni in partenza dalla stazione centrale di Napoli.

Ma non c’è stato niente da fare. La proprietà della Simmi nel frattempo è scesa sul piede di guerra contro Ansaldo: c’è una lite giudiziaria, sia civile che penale, intentata dai legali della Simmi. Nella denuncia gli avvocati dell’azienda scrivono di “ordini fantasma imposti, di false fatturazioni che avrebbero consentito di utilizzare a piacimento la manodopera dell’impresa acerrana”. L’avvocato Lucio Sena, del foro di Nola, sostiene che il tutto sarebbe stato commesso attraverso ripetuti atti di prepotenza esercitati dalla committente.

Sena per conto della Simmi ha chiesto, a giugno, un risarcimento danni di 51 milioni di euro per il dirottamento al nord delle commesse per lungo tempo lavorate nell’impianto acerrano. Ma si tratta di accuse tutte da provare. Del caso si sta occupando il pubblico ministero di Nola Ciro Capasso.
http://www.ilmediano.it/apz/vs_art.aspx?id=7095

Licenziati dopo lo sciopero
Alla Mediterraneo Trade 15 lavoratori sono stati licenziati perché avevano scioperato.
Licenziati dopo lo sciopero
Torino – E’ successo alla Mediterraneo Trade di Rondissone, in provincia di Torino.
Quindici dipendenti sono stati ieri licenziati in tronco, denza preavviso, per aver scioperato ad oltranza.
Gli uomini licenziati volevano semplicemente difendere il loro posto di lavoro sempre più traballante visto il periodo di crisi che stava passando l’azienda.
La fabbrica che un tempo si chiamava Tms Tecnologie, si occupava della produzione di componenti per auto, ma già da tempo la crisi aveva colpito la piccola fabbrica.
“Operai licenziati soltanto perché hanno scioperato, perché hanno cercato di proteggere il loro diritto, il lavoro. Una vergogna”, così commenta Iulia Vermena, sindacalista Fiom che per mesi è stata al fianco di questi lavoratori.
Parole dure anche dal segretario provinciale della Fiom, Federico Bellono: “Licenziare dei dipendenti perché scioperano è un atteggiamento indegno di un paese civile”.
http://www.ogginotizie.it/276211-licenziati-dopo-lo-sciopero/#.Ul0lJFAvm7k

Licenziato ad Acerra emigra a Varese: “Stanno peggio di noi” 15/10/2013
Storia di Raffaele Esposito, lavoratore appena licenziato dalla Simmi, indotto Ansaldo. Non riesce a trovare lavoro al nord.

“Non so che fare, sento di aver perso tutte le speranze, tutti noi abbiamo perso la speranze. Cosa potrò inventarmi?”. L’operaio Raffaele Esposito, 46 anni, moglie e tre figli piccoli, non riesce a darsi pace dopo aver firmato, a casa, la notifica del telegramma dell’azienda, la Simmi. Una lettera di licenziamento che ha spinto Raffaele a emigrare subito al nord.

Raffaele, dove si trova adesso, precisamente?
“A Venegono, in provincia di Varese, ospite di un amico che si è offerto di aiutarmi. Sono partito subito da Acerra, l’altro giorno, non appena ho firmato a casa la lettera di licenziamento”.

E’ riuscito a trovare lavoro?
“Non sono riuscito a trovare un bel niente. Ho scoperto di essere venuto in una zona del nord, e più precisamente in una zona della provincia di Varese, che, a parte la presenza dell’Aermacchi di Venegono, non offre niente. Addirittura mi appare povera questa zona: stanno peggio di noi”.

Anche il nord è in crisi…
“Già, e lo sto provando sulla mia pelle. Intanto sto sempre più male. Mi trovo qui, a novecento chilometri di distanza da casa, da mia moglie, dai miei figli. Provo solo rabbia, amarezza, delusione, soprattutto per quello che è successo con l’azienda”.

Cosa è successo?
“Ci avevano detto che dopo il fallimento sarebbe stata costituita una nuova società, che non saremmo andati a finire in mezzo alla strada. E invece ora non riusciamo a farci dare nemmeno le liquidazioni. Ci hanno detto che anche le liquidazioni sono finite nel fallimento e che i soldi non si sa dove siano. Intanto abbiamo dato mandato a un legale per tentare di recuperarle. Ma abbiamo ricevuto un’altra brutta sorpresa. L’avvocato infatti ci ha fatto sapere che il trattamento di fine rapporto è stato erogato regolarmente, in via ordinaria, dal 1999 al 2006. Poi l’azienda ha stipulato un’assicurazione, che in sette anni ha fatto maturare una liquidazione di appena duemila euro”.

Autore: Pino Neri
http://www.ilmediano.it/apz/vs_art.aspx?id=7093

Invalido e disoccupato dal 2008 «Cerco un lavoro… purché in nero»
15 ottobre 2013
Invalido e disoccupato dal 2008
None Varese –
«Cercasi lavoro di ogni genere, purché sia in nero!». “Mario” ha iniziato ad appendere questi cartelli per la città come una provocazione e per cercare di reagire alla disperazione di non trovare lavoro, nonostante le tante promesse.
«Ho sempre lavorato come meccanico – spiega – poi, qualche anno fa, ho avuto un incidente in moto, molto grave. Sono vivo quasi per miracolo».
Da quell’incidente, Mario ha iniziato ad avere seri problemi di salute: dopo qualche settimana di coma, si è risvegliato con importanti disfunzioni all’apparato audiovestibolare.
Alla fine, dopo anni di cure e diverse operazioni chirurgiche, si è dovuto rassegnare a convivere con problemi di udito e di equilibrio.
«Ho imparato a cavarmela lo stesso – racconta – ho anche provato, per qualche tempo, a continuare con il mio lavoro come se niente fosse. Ma la fatica era tanta, e i rischi troppi. Mi hanno detto che chiedendo l’invalidità e iscrivendomi al collocamento mirato per disabili avrei trovato lavoro facilmente».
Mario è stanco, e decide di provare. Abbandona l’officina dove ha lavorato per tanti anni, e si iscrive alle liste speciali.
Il risultato è quantomeno deludente: «Dal 2008 non ho un lavoro. Capita che qualcuno mi prenda, ma dopo poco tempo mi lasciano a casa, perché hanno paura che i miei problemi di equilibrio possano diventare un pericolo. Io ho imparato a gestire la cosa, ma i datori di lavoro non mi credono».
Mario non si perde d’animo, e lancia la provocazione della ricerca di un lavoro in nero perché, dice, «almeno così nessuno guarderà la pratica dell’Inps, mi pagheranno solo per quello che faccio e per come lo faccio. Mi sono pentito di aver chiesto l’invalidità, ho anche scritto all’Inps perché me la tolgano».
Una richiesta impossibile da accontentare, ma a cui l’uomo non intende rinunciare.
Perché il riconoscimento dell’invalidità, per Mario, più che un diritto conquistato è stato l’inizio dei problemi peggiori: niente lavoro significa niente indipendenza, e ora per lui la strada è tracciata.
«Ho riconsegnato anche la scheda elettorale, rispedendola al ministero dell’Interno. Perché questo Stato, invece di tutelarmi in un momento di difficoltà, mi ha illuso e poi abbandonato».
© riproduzione riservata
http://www.laprovinciadivarese.it/stories/Cronaca/invalido-e-disoccupato-dal-2008-cerco-un-lavoro-purche-in-nero_1027962_11/

Mivar, addio alla tv made in Italy Carlo Vichi: «Produrremo mobili»
La fabbrica smetterà di lavorare entro i primi di dicembre. Centinaia di cassintegrati: ne rimarranno poche decine

«Ma quale chiusura dell’azienda? Non è vero niente, i cancelli della Mivar resteranno sempre aperti». Carlo Vichi, 90 anni, il patron della Mivar, l’ultima fabbrica di televisori italiani smetterà di lavorare, dice lui, solo «quando mi trasformerò in spirito». Ma per la sua impresa, fondata nel 1945, si prepara una svolta epocale. Tra poche settimane, quando si esauriranno le scorte della componentistica, chiuderanno per sempre le linee di produzione. Anche quelle inaugurate solo qualche mese fa, che assemblano le Smart Tv con sistema operativo Android. La virata verso la tv interattiva non è riuscita a risollevare le sorti della Mivar, dove oggi lavorano 60 operai. Ma Carlo Vichi già lo sapeva. «Non posso più produrre televisori. Spendo 10 e posso vendere a 8», spiega. «E poi la Mivar non fa più televisori da anni». Le migliaia di apparecchi che uscivano in questi anni dalla sua fabbrica erano semplicemente assemblati. Mancava «il genio italiano, la tecnologia italiana» in questi televisori e per questo non li sentiva più «suoi».

Mivar, una storia di tecnologia italiana

STOP ALLA PRODUZIONE – Il 30 novembre si concluderà la cassa integrazione straordinaria. Cosa succederà dopo? «Non lo so e non mi interessa», sbotta Vichi, come è nel suo stile. Di certo si sa che quando finiranno le scorte dei componenti non ne saranno ordinate altre. È probabile che la produzione cessi entro quella data, oppure ai primi di dicembre. I sindacalisti della Cigl e della Cisl, che in questi anni sono riusciti a garantire a centinaia di operai (erano 900 negli anni ‘60) la cassa integrazione prima ordinaria e poi straordinaria, sono al lavoro per gestire la loro uscita dall’azienda. Per la prima – e unica volta – alla Mivar si parla di mobilità, spalmata su tre anni. La stragrande maggioranza dei dipendenti sono donne e l’età media si aggira sui 50 anni. «Con me ne resteranno pochissimi, una decina, per altri non c’è lavoro», dice Vichi. «Si occuperanno della manutenzione e cose del genere».

LA FABBRICA MAI UTILIZZATA – Cosa succederà alla sua «Fabbrica ideale», la nuova, grandiosa sede della Mivar, completata nel 2001 e mai utilizzata? Progettata interamente da Vichi, è vasta 120 mila metri quadrati, di cui 60 mila a parco alberato. Il patron non ha mai voluto spostare lì la produzione perché non voleva «che insieme ai lavoratori ci entrassero anche i sindacati». Vichi non è mai stato democratico, per lui «In fabbrica si dice sissignore, come nell’Esercito, nessuno può venire a comandare in casa mia». Ma al di là dei proclami e della sua ammirazione per i dittatori, nel 2001, proprio l’anno in cui la nuova sede è stata completata, è cominciata la crisi, con la concorrenza delle tv a Led che ha sancito la fine delle tv a tubo catodico. Oggi si parla di trattative per la cessione di alcuni spazi dello stabilimento in vista di Expo 2015, ma Vichi taglia corto: «Quello è un gioiello nato per fare i televisori o qualcosa di simile, non può prostrarsi a cose diverse. L’Italia se vuole ripartire deve riempire di nuovo le fabbriche. E io sono certo che tra 100 anni nella mia fabbrica qualcuno farà televisori, saranno americani, o forse cinesi»

IL FUTURO? NEI MOBILI – Nel 1998 dallo stabilimento di Abbiategrasso uscirono 917 mila televisori a tubo catodico. Quest’anno solo poche centinaia. Da mesi Carlo Vichi è al lavoro per progettare una linea di mobili, soprattutto tavoli. «Da usare nelle mense, nei self service, nei luoghi affollati come aeroporti e stazioni. E li farò al meglio, come sempre. Saranno prodotti al massimo della tecnologia. Chi non lavora non vive».

15 ottobre 2013
http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/13_ottobre_15/mivar-addio-tv-made-italy-carlo-vichi-produrremo-mobili-207063b0-3578-11e3-9c0c-20e16e3a15ed.shtml

ma sono notizie tutte false messe in giro dai razzisti xenofobi per scoraggiare gli stranieri dal cercare GRANDIOSE OPPORTUNITA’ ED UN RADIOSO FUTURO qui.

Le ditte che chiudono? Non è vero niente, malelingue per evitare di dividere queste immense ricchezze italiane con i più sfortunati. Gli italiani fingono di essere poveri per “sfuggire alle tasse”.

Eh già, e se non c’è lavoro di cosa si presume vivano?
Tutti rifugiati?

Letta militarizza mediterraneo.Ci guadagnano commesse guerra

Migranti, Letta militarizza il Mediterraneo. Ci guadagnano le commesse di guerra
Nel piano “umanitario” per prevenire nuovi naufragi come quello di Lampedusa saranno utilizzati veri e propri mezzi militari. Abbastanza per giustificare le richieste di investimenti nel settore. Mentre si spendono senza successo milioni di euro per aiutare Tripoli a prevenire i viaggi della speranza nel canale di Sicilia
di Enrico Piovesana | 14 ottobre 2013

In risposta ai naufragi di migranti, il governo Letta decide di militarizzare il canale di Sicilia mobilitando navi da guerra, elicotteri, aerei e droni per pattugliare quel tratto di mare allo scopo di “evitare nuove tragedie”. Un dispiegamento di forze militari “umanitario” che tra i suoi effetti avrà anche quello di tornare utile al capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi, per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica la sua recente richiesta di 10 miliardi di euro di investimenti pubblici per rinnovare la flotta navale italiana: a partire dall’acquisizione di dodici unità multiruolo di tipo Lcs (Litoral Combat Ship, ovvero navi da combattimento costiero) che dovrebbero rimpiazzare proprio quei pattugliatori e quelle fregate che saranno impiegati nella vetrina di Mare Nostrum.

Come ha recentemente osservato l’ammiraglio Falco Accame, ex presidente della commissione Difesa della Camera, per avvistare tempestivamente i barconi di migranti nel canale di Sicilia sarebbe più logico investire in motovedette piuttosto che in navi da guerra. Analogo discorso di marketing umanitario vale per l’utilizzo degli aerei da pattugliamento e soprattutto dei droni Predator: i velivoli senza pilota di media altitudine e lunga autonomia (Male), utilizzabili a scopo di sorveglianza aerea ma anche come bombardieri, sono in cima alla lista della spesa dell’Aeronauta militare, dopo gli F35 ovviamente.

A parte tutto questo, la missione decisa da Letta appare fortemente contraddittoria rispetto a quello che è l’attuale impegno italiano dall’altra parte del Mediterraneo, ovvero sulle coste libiche da cui salpano i barconi dei migranti. Se è sacrosanto evitare che migliaia di persone muoiano affondando davanti alle coste di Lampedusa, risulta altrettanto urgente fermare sul nascere queste traversate messe in piedi dalle organizzazioni criminali di trafficanti di esseri umani. Ma su questo fronte l’intervento dell’Italia, per quanto costoso, si sta dimostrando assolutamente inutile.
[u]Solo quest’anno, infatti, il governo italiano ha speso quasi 18 milioni di euro per aiutare il governo di Tripoli a rafforzare il controllo delle sue frontiere e delle sue coste.[/b]

La gran parte di questi soldi (7,5 milioni) è servita per manutenzione e addestramento equipaggi delle motovedette italiane regalate a Gheddafi nel 2009 “per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani”. Motovedette che i libici hanno più volte usato per abbordare, sequestrare e addirittura per mitragliare i pescherecci italiani che si spingono in acque internazionali (ultimo caso il 7 ottobre 2012), una volta (il 12 settembre 2010) in presenza degli stessi finanzieri italiani imbarcati come istruttori sulle motovedette libiche. Una pratica che viene poi ripetuta contro i barconi di migranti appena salpati, come accaduto nei giorni scorsi secondo le testimonianze dei sopravvissuti al naufragio di venerdì scorso, con un bilancio di almeno due morti e diversi feriti.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/14/migranti-governo-militarizza-canale-di-sicilia-ci-guadagnano-commesse-di-guerra/743610/

Notizie dal fronte della CRISI CHE NON C’è – si rovinerebbe l’aurea di paradiso che l’Italia trasmetteultima modifica: 2013-10-15T22:25:34+02:00da davi-luciano
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