La grande sconfitta

Stranamente, il risultato elettorale testè uscito dalle urne, ha lasciato ammutoliti e silenti i coribanti e le ochette del buonismo a gogò. Forse certe persone si credevano che, a suon di antifascismo, jus soli, accompagnati dallo spauracchio degli “estremismi”, di fronte ad un atteggiamento di rancido moderatismo e di simil-responsabilità gli elettori, dal nord al sud della nostra penisola, li avrebbero amorevolmente e doviziosamente premiati. E non sono certo bastate le facili suggestioni di un voto di scambio all’insegna di fritture di pesce e quant’altro, a modificare quanto uscito dalle urne, né i nervosismi e le rampognette euro-globaliste di Frau Merkel e dei Dem d’Oltreoceano.

Quanto sinora uscito dalle urne, prospetta la predominanza di due blocchi che, con tutte le differenze che li contraddistinguono, sono accomunati da uno spiccato atteggiamento anti-sistemico: la Lega di Matteo Salvini da una parte ed il Movimento Cinque Stelle, dall’altra. Mentre, però, la Lega è divenuta la forza politica preponderante di una coalizione di “centro-destra” (termine questo, sempre più svuotato dei suoi originari significati ideologici, sic!), formata da altri soggetti politici, il Cinque Stelle da solo, ha ottenuto il trenta e più per cento dei voti del corpo elettorale nostrano, affermandosi sì quale primo partito del quadro politico, quanto a numero di voti, ma pur sempre privo di quella maggioranza, per legge, necessaria a poter governare da soli.

Pertanto, dallo scenario che ne vien fuori, delle due ipotesi l’una: o Lega e Cinque Stelle, siglano un accordo per spartirsi il governo del paese in nome di un mix di sovranismo, identitarismo, contestazione e radicale rivisitazione di quanto fatto dagli ultimi governi in materia di economia, previdenza sociale e quant’altro oppure, un mandato esplorativo ed un conseguente “governo di scopo”, al fine di espletare le più immediate ed urgenti priorità istituzionali, sino al conseguimento di una appropriata legge elettorale. A complicare ulteriormente il quadro, la poca disponibilità, almeno a parole, da parte dei vari soggetti in giuoco, Lega in primis, (ma anche i Pentastellati, sino a poco tempo fa…e non è detto che, more solito, non ci ripensino…) a condividere con altri il governo del paese.

Comunque la si voglia mettere, ad uscire clamorosamente sconfitta da questo confronto elettorale, non è solamente la “sinistra” intesa quale aggregazione politica o partitica che dir si voglia, quanto una mentalità, un’assetto di pensiero che si sviluppa in una modalità di agire dalle molteplici implicazioni e che noi, per una questione di brevità semantica, definiremo “moderata”.  Sì, perché se non si fosse capito, a creare le premesse ed a portare l’Italia sul baratro di un disastro politico, economico e sociale, sono stati proprio loro, i “moderati” di tutte le salse e le risme.

Moderazione. Questa sembrava esser divenuta la parola d’ordine di tutte le formazioni politiche nostrane verso la metà degli anni ’90, a seguito della “vaporizzazione” della Cortina di Ferro e dell’euforia liberista da ciò ingenerata ed indotta e di cui gli scritti di un Francis Fukuyama, preconizzanti una quanto mai improbabile “Fine della Storia”, fecero da battistrada.

In Italia, la necessità di innestare un profondo processo di cambiamento e rinnovamento dell’intero assetto istituzionale e politico di un paese, rappresentato dal sorgere della Lega di Bossi e dal crollo del pentapartito a seguito delle inchieste di “Mani Pulite”, si tramutò ben presto in uno scontro senza soluzione di continuità tra due schieramenti sorti proprio al fine di contenere quelle istanze di cambiamento di cui abbiamo detto: la Sinistra buonista e “democratica” PDS/DS/PD e la Destra berlusconista.

I “ma”, i “però”, i “distinguo”, i contorsionismi politici, pronunciati al fine di non turbare troppo il nuovo assetto globale neoliberista, assursero ad irrinunciabile assioma, accompagnato dall’idea di un’economia liberista che tutto avrebbe risolto e felicemente regolato, a patto che ne fossero codinamente seguiti i dettami. Una crisi finanziaria dopo l’altra e ci si accorse che così non era, anzi.

Il generale peggioramento delle condizioni di vita degli Europei e degli Italiani, in particolare, accompagnati da un progressivo inasprirsi della pressione fiscale, le folli spese militari per spedizioni all’estero, in ossequio ai diktat della “Comunità Internazionale (leggi Usa…), lo strapotere e la sostanziale impunità delle istituzioni finanziarie, accompagnato da consistenti tagli alla spesa pubblica e previdenziale, l’impossibilità di perseguire delle autonome politiche di bilancio, accompagnate da incisive politiche di tutela delle proprie industrie, la pratica della delocalizzazione di queste ultime, al fine di abbassare il costo del lavoro, il tutto realizzato grazie ad accordi-capestro, impunemente sottoscritti sia a livello europeo (Maastricht, Lisbona, Direttiva Bolkenstein, etc.) che internazionali (Wto, etc.), la folle pratica di apertura delle frontiere e dell’ingresso di orde multietniche, al fine di sostituire la mano d’opera locale, con una servile d’importazione,a basso costo, priva di diritti, più facilmente manovrabile, al fine di stravolgere e snaturare pericolosamente i già fragili equilbri di un paese…

Questo mix di insicurezza sociale, rabbia e paura, è stato, da una parte, intercettato da alcuni settori di quello che era il raggruppamento moderato della destra “moderata”, ovverosia Lega e Fratelli d’Italia/An che, ripresentatisi al corpo elettorale all’insegna di un approccio “duro”, di tipo sovranista ed identitario, imponendo, pertanto, un radicale cambio alla tabella di marcia a formazioni prima ammantate di moderatismo.

Dall’altra parte, per il Cinque Stelle, il discorso è differente. Sorto improvvisamente sullo scenario politico nostrano, sotto gli auspici del duo Grillo-Casaleggio, al di là delle iniziale sparate anti sistema e delle garanzie di affidabilità conclamate a gran voce, permane un’entità politica proteiforme, in grado di smentire a piè sospinto, quanto poco prima proclamato, lasciando così in forte dubbio un avveduto osservatore politico. Dubbio rinforzato dall’esempio della pessima non-gestione della Capitale da parte della giunta Raggi. Non solo. Sono in non pochi a dubitare sull’autenticità delle intenzioni dei Cinque Stelle. Frasi di Grillo sulla funzione di “contenimento” della sua creatura politica, rispetto a spinte “estremiste” sullo scenario nostrano, la voce di una sua presenza sul panfilo “Britannia”, durante la fatidica riunione del ’94, la mai chiarita funzione della Casaleggio ed Associati, sino al sospetto di rapporti con alcuni settori della massoneria britannica, contribuiscono ad incrementare tutti quei dubbi precedentemente esposti.

A questo punto, diviene d’obbligo il classico “che fare?”.  Ad onor del vero, in un simile scenario non ci si può più affidare a forze minoritarie, dell’ una o dell’altra parte, troppo spesso ammantate di sterili nostalgismi ed ancora immerse in contrasti ed aporie tali, da non renderne più credibile l’azione politica se non ad un livello settoriale, “di nicchia”, quale può essere quello prettamente giovanile, tanto per fare un esempio. Rimane, invece, molto più realistica e sicuramente praticabile, l’idea di un’interazione con quella, tra le forze maggioritarie presenti sullo scenario, che più può avvicinarsi a tematiche autenticamente sovraniste ed identitarie.

Tra tutte quelle forze che oggi si presentano quale alternativa al sistema, la Lega è, al momento, quella che maggiormente sembra voler portare avanti certe tematiche. Certo, anche qui, il condizionale è d’obbligo, viste le cadute del passato. Ma proprio in virtù di quella discontinuità di cui abbiamo parlato e  di cui la “gestione” Salvini sembra essere il classico esempio, è da qui che si dovrebbe ripartire per iniziare un reale percorso di cambiamento, spingendo per emarginare e ricacciare nei retroscala della Storia, qualunque tentazione “moderata”.

Non sarà una battaglia facile. Troppi pregiudizi, troppe pressioni, troppi interessi, ancora brigano in tal senso. Ancora si debbono iniziare le trattative per un governo. I grandi sconfitti della contesa, i “moderati” di sinistra e di destra, non si lasceranno certo togliere senza far storie, l’amata poltrona. L’Europetta di Frau Merkel, dell’ubriacone Juncker e del presuntuoso ed ipocrita Macron, oltre ai servetti del Financial Times, con vari toni, hanno detto che non gradiscono

Resta comunque che, di queste elezioni, i grandi sconfitti sono loro, i moderati, i buonisti, i liberal-progressisti da salotto, gli slavati europeisti da Master alla Luiss. Un segnale molto forte, in tal senso, è pervenuto anche agli altolocati papaveri globalisti, alla Soros. E non è una sconfitta da poco, momentanea. E’ la prima, cocente batosta, per un contesto politico ed ideale, che ha avuto tutte le occasioni di questo mondo per dimostrare che la ragione stava dalla propria parte ed invece ha, a più riprese, “toppato”, uscendo in modo irrimediabile dall’orizzonte ideale dei popoli europei.

Un’altra era va, dunque, profilandosi. Un’era i cui esiti sono, se vogliamo, ancor più incerti di quella del benessere a gogò, che ci ha appena preceduto. Si tratta di riuscire ad evitare il declino dell’Europa e dell’Italia e di riconquistare il benessere materiale e spirituale che fu di quell’Europa, che ebbe un ruolo centrale nella Storia del mondo. Ora, a dispetto di Francis Fukuyama e di tutta la corte dei tartufi buonisti e progressisti, la ruota della Storia, per l’Europa, sta ricominciando, pian piano, a girare. E non è cosa da poco.

di Umberto Bianchi – 09/03/2018 Fonte: Ereticamente

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La grande sconfittaultima modifica: 2018-03-21T09:00:20+01:00da davi-luciano
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