FINALMENTE QUALCOSA “DAL BASSO”: LA MOSSA DELLE GIUMENTA DI RAZZA, GIULIETTO E ANTONIO

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MONDOCANE

MERCOLEDÌ 22 NOVEMBRE 2017

Scricchiolio, brusio, vocio, brulichio, ronzio, cicaleccio, pissi pissi, perfino flatulenze revansciste … Le ultime settimane ci hanno lanciato nella contesa elettorale. Sono quelle in cui i cancelli si aprono e ogni genere di botolo si lancia ringhiando all’inseguimento del coniglio di pezza. Più che il tifo tonitruante di scommettitori e drogati di corse fine a se stesse, sono questi rumorii ad aver fatto vibrare etere, cronaca e storia. Degni di quella che appare come una gara non proprio tra levrieri. (Quei levrieri che consolarono lo zar Nicola II quando, nel 1905 a San Pietroburgo, dovette far abbattere dalla guardia imperiale alcune migliaia di operai e contadini straccioni  che ai suoi levrieri osarono contendere i bocconi. Quegli operai e contadini straccioni che, nella storiografia della Mosca attuale, sono diventati turba di farabutti violenti  che attentavano alla vita di uno zar buono e saggio, finalmente in procinto di essere proclamato santo nel plauso dei nipoti dei servi della gleba dagli zar così amorevolmente curati).

Sto digressando. Torniamo al brulichio. Brulichio per noi, ché per coloro che lo hanno emesso parrebbe avere il volume e la risonanza delle trombe di Gerico. Sembra che oggi basti riempire un teatro, occupare il palco di una conferenza stampa, vedersi in quattro amici al bar, per ricavarne investiture popolari con la stessa naturalezza e automaticità in cui i re erano tali per grazia di dio e volontà del popolo. Se in Ernest Hemingway la campana di Spagna suonava per l’umanità, qui trillano campanelle per ribaltare il destino di qualche circoscrizione.

La zattera della Medusa

C’era una volta… un MDP, diranno subito i miei piccoli lettori (piccoli nel senso dei numeri). E anche un Fassina, un Fratoianni, addirittura un Pisapia. No, ragazzi, avete sbagliato (Collodi mi  perdoni). C’era una volta un Brancaccio, con un Montanari e una Falcone, che a quelli sopra citati intendevano fornire il connotato nobile della “società civile”, il marchio DOC e DOP che, come da statuto del politicamente corretto,  provengono solo “dal basso”. E autodissoltasi questa ennesima reincarnazione dei belli, buoni, bravi e politically correct, persi tra i sanpietrini delle piazze e tra le fodere dei teatri di Roma gli ultimi brusii, ronzii, pissi pissi dell’annunciata palingenesi nazionale e continentale dal basso, dal medio e dall’alto, c’è rimasto il vuoto. Ma horror vacui, come ammonisce Aristotele, la natura aborrisce il vuoto e, infatti, subito si è manifestato un fenomeno naturale di proporzioni tali da non solo colmare i vuoticini  dai quali erano fuorusciti quei brusìì e scricchiolii, ma dei vuoti di proporzioni spaziali.

Trascuro qua volutamente un altro suono, un po’ più corposo, almeno in prospettiva, dei mormorii di questi soliti che vengono e, soprattutto, vanno. Il falcone che s’invola, il montanaro che si perde tra picchi rocciosi. Dei Bersani e Pisapia non mette conto seguire le traccia. Trascuro invece al momento il rumore levatosi dal Teatro Italia, sempre in Roma, ma garrulo di inflessioni da Forcella e Torre Annunziata. Dove l’ex Opg je so’ pazzo ha dato un senso, magari meno chic, ma assai concreto e credibile (a dispetto della presenza di alcune mummie revisioniste e trotzkiste), al concetto “dal basso”, con tanto di voci operaie, precarie, disoccupate, militanti con cicatrici di piazza e argomenti come Jobs Act, Buona Scuola, pacchetto Treu, riforma Fornero, guerre imperialiste. Se usciranno dalla morta gora dell’ipocrisia dirittoumanista che mimetizza  la strategia colonialista dell’operazione migranti, da questa  “zattera della Medusa” si potrebbe anche intravvedere un lembo di terra.

Quello che, invece, pinocchiescamente c’era una volta, ma che non ha voluto privare di sè il genere umano, il presente e il futuro della patria, la convivenza tra i popoli e l’equilibrio degli astri, è Giulietto Chiesa. E, con lui, Antonio Ingroia. Da autentici cavalli di razza quale altro motto potevano far cavalcare a una creatura che prometeicamente accenderà il fuoco nei nostri animi e sotto i fondoschiena dei nostri nemici, tinteggiando di futuro purpureo l’orizzonte meglio del sol dell’avvenir, se non “la mossa del cavallo”, che è quella con la quale Bluecher annichilì Napoleone?

Cogliendo fiore da fiore

Non scherziamo. Si tratta di galantuomini di sicuro affidamento, garantito da impeccabile passato. Uno già magistrato, apprezzato PM accanto a Borsellino e Di Matteo nel processo allo Stato mafizzato e, per converso, alla mafia statizzata (gliene restiamo grati). Prezioso ma volatile. Dopo un rapido andata-ritorno tra Palermo e Guatemala per conto ONU, in meno tempo di quanto occorra per farsi Roma-Ostia-Roma, dopo uno scazzo con il CSM, lo si è visto saettare in altrettanto rapido andirivieni tra candidatura politica a capo di Rivoluzione Civile e ritorno in magistratura ad Aosta e nuovo ritorno alla politica come capo della più tranquilla Azione Civile. Ma l’uomo non ha pace, un po’ si avvicina al governatore PD Crocetta, che gli fa continuare il carosello ruotandolo tra capo di “Sicilia Servizi” e commissario della Provincia di Trapani, un po’ lo si vede alle assise del fu PdCI. Intanto fa l’avvocato, a non disdegna di tracciare la penna sul “Fatto Quotidiano” dove a volte perde la brocca e si aggroviglia in questioni che da ex Pm dovrebbe approfondire meglio. Tipo quando s’intruppa con la solita veemenza nelle brigate del “Giulio Regeni Martire”, scordandosi di indagare sui trascorsi del giovanotto alle dipendenze di masskiller e spioni e trascurandone le implicazioni geopolitiche di non limpidissima trama.

L’altro cavallo di razza è il giornalista dal lungo e variato passato professionale Giulietto Chiesa. Riassumo e noterete la linearità del percorso: Federazione PCI di Genova, scazzo con il partito ligure, passaggio all’Unità  di cui è inviato a Mosca per le Olimpiadi del 1980. Da lì in poi brillante carriera di russologo da una sponda all’opposta: La StampaGalateaMegachipMicroMegaIl manifestoLatinoamerica. Importante è stata anche la sua lunga collaborazione con il Tg5. Quella di cui poco ama parlare è stata, ai tempi di Eltsin, la collaborazione a Radio Liberty/Radio Free Europe, l’emittente CIA per i paesi dell’Est europeo. L’attenuante che adduce e che non è possibile provare che ne sia stato compensato. Sempre che attenuante sia il volontariato per simile testata. Scrive un libro e realizza un dvd in cui trasferisce in italiano le validissime riserve, perplessità e controdeduzioni che negli Usa si avanzano nei confronti della vulgata ufficiale sugli attentati dell’’11 settembre. Ma se in quel momento condivide la tesi dell’autoattentato e della demolizione controllata, successivamente recepisce quella, propalata da Washington, del lavoro a guida saudita, con tanto di dirottatori in volo. 

Lo incontro per un viaggio di tre ore tra Roma e Gubbio in cui mi informa, per 120 minuti, della prossima nascita di una sua TV satellitare all-news che sarà la CNN italiana. I fondi stanno arrivando. Dopo un po’ nasce la web-tv Pandora. Di CNN italiana non si parla più. Ma, come in Ingroia, l’uzzolo della politica politicata infetta l’uomo e gli prospetta orizzonti non meno grandiosi della CNN italiana. Con “La mossa del cavallo” siamo al terzo tentativo di imporsi con un partito sulla scena politica nazionale, dopo ”Bene Comune”  e “Alternativa”, il cui esercito di followers a livello nazionale è sempre rimasto quello dei passeggeri di un autobus. Si estingue, purtroppo rapidamente, sotterrato dall’ego eccessivamente misurato del creatore, la positiva iniziativa anti-Nato lanciata con il concorso di alcuni parlamentari fuorusciti dai 5 Stelle, presto defilatisi. Ma ecco ora, finalmente, il fatto palingenetico, appunto la mossa del cavallo, il “partito non partito contro tutti i partiti” (così Ingroia) che si farà partito per le prossime elezioni. Roba da far tremare i polsi e cambiare, capovolgere, riscattare lo scenario politico nazionale, non solo.

Vediamo chi c’è. I dioscuri, ovviamente, Chiesa e Ingroia. Poi l’avvocato Diotallevi, prezioso per eventuali controversie legali,  il generale dei carabinieri Nicolò Gebbia e l’ex-generale dell’esercito Fabio Mini, una doppia garanzia patriottico-securitaria, lo scrittore Nikolai Lilin, la realtà romanzata al potere (“Educazione siberiana”), l’illustre medievalista Franco Cardini, l’attore, scrittore e umorista David Riondino, che aggiunge l’ilare nota comica e riduce di un tantinello un’età media che viaggia verso gli 80, e, incredibile dictu,l’ex-sostenitore di Beppe Grillo e del M5S Aldo Giannuli (Incredibile dictu est quam celeriter Hannibal, apud Zamam a Scipione victus, Hadrumetum pervenerit. Dove Cicerone rimane perplesso della velocità con cui  Annibale sia passato da un posto all’altro). Resta uno dei misteri d’Italia cosa di meglio Giannulli, che nella compagnia spicca luminoso, abbia trovato in questo campioncino di salvatori della patria rispetto ai 5 Stelle di cui è stato per anni saggio amico e puntuale critico.

Come si può già intuire, questo mazzetto di virgulti, devoti al moto di Mao “che mezza dozzina di fiori fiorisca”, non si cura di obsoleti requisiti, tipo omogeneità ideologica , affinità culturale, sintonia politica. Abbiamo due cattolici, conservatori fino all’integralismo, come Cardini e Diotallevi. Si fondono un eversore dell’establishment come Giannuli, con un avventuriero  della penna e dello spionaggio occidentale come il sedicente siberiano Lilin, dalla biografia fantasmagorica tra combattente in Cecenia, migrante siberiano di stirpe Urca, testa di cuoio in Iraq (un critico l’ha definito “la bufala che venne dal freddo”). Poi uno scavezzacollo della satira come Riondino e due generali: un carabiniere che spara a zero sui massoni e l’altro che ha il merito indiscusso di pettinare contropelo le strategie della NATO, però lisciando il pelo alla visione del mondo sancita nelle sacre scritture della civiltà occidentale come intesa alla Nunziatella..   

Fondi, fondi e vedrai che scappa fuori l’oro

Tra i microrganismi  del paleolitico che stanno proliferando in luoghi che ci si ostina a definire di sinistra, questo mi affascina più degli altri. Compensa una inesistente e probabilmente ormai obsoleta omogeneità politico-culturale e di vita vissuta con una fantasiosa varietà di efflorescenze (come auspicato da Mao) ed esperienze che, nell’abraccio dell’immenso ego di Giulietto Chiesa, troveranno sicuramente una felice composizione. Alle quattro severe stellette dei generali in marcia fanno da controcanto le acrobatiche e spigliate invenzioni di un narratore di ambienti ed eventi equivoci, peraltro più volte sbugiardato, per quanto invece accreditato dal noto Roberto Saviano, forse in cambio di qualche tatuaggio siberiano. Stessa fantasmagorica diversità tra i puntuti sberleffi dell’umorista Riondino  e le solenni liturgie del trappista Cardini (vedi un suo testo sacro in calce). E che dire dei fuochi d’artificio che esplodono nell’incontro tra un magistrato capace di saltabeccare di mestiere in mestiere, per un totale di mezza dozzina in un battere d’anni e un giornalista che sa muoversi con grazia e perizia tra testate di opposte fedi politiche, tipo L’Unità e Radio Liberty e che nasce nella Federazione del PCI e finisce candidato al governo d’Europa in Lituania.

Il mondo è bello perché vario, ma il tasso di varietà che a questa  armonia di difformi  porta l’avvocato Alessandro Diotallevi rasenta il sublime: incontro tra un sax e un’ocarina in un concerto di Coltrane. Chi è Alessandro Diotallevi ?E’ tantissime cose.Tutte indispensabili a caratterizzare in modo incisivo, al limite del lapidario, l’intero drappello in marcia verso quella che a buona ragione si potrà prevedere una Terza Repubblica. Intanto è un italiano libero e forte, a dispetto dell’età e dei 17 anni trascorsi come consigliere alla Camera dei deputati, in quanto presidente del Comitato Tecnico Scientifico degli “Italiani Liberi e Forti” (ILEF). Al “cavallo della mossa” ne verranno forza e anelito di libertà.

Poi è socio fondatore di DEconflict, un organismo che “si propone di contribuire alla crescita della cultura della pacificazione”, cultura  che, viste le diversità che s’incontrano nel nuovo movimento, non potrà che fargli del bene. E siccome la pacificazione, seppure nel fuoco della palingenesi annunciata, deve essere un pranzo di gala (e qui la rivoluzione ingroian-giulettiana rinnega Mao) ecco che risulta determinante che Diotallevi sia socio anche dell’Accademia del Cerimoniale, alto consesso dei capi del Cerimoniale del Quirinale e di Palazzo Chigi. In quanto a protocollo nazionale, comunitario e diplomatico, qualsiasi altra formazione politica farà la figura del bifolco a fronte della mossa di un cavallo addestrato da Monsignor della Casa.

Non finisce qui. Diotallevi è un vaso di Pandora. Accanto al generale Repetto (qui le stellette sono una galassia) nel CLM, Comitato di Liberazione Municipale, lo sostenne nella corsa al Campidoglio contro Virginia Raggi. Corsa che neanche i radar ci dissero mai dove fosse finita. L’elenco non finisce qui, l’uomo una ne fa e cento ne pensa. Chiudiamo con la sua partecipazione a “Persona è Futuro”, titolo criptico solo per chi non è addentro alle cose di Giulietto e Antonio, perché di politica qui si tratta, tale da investire di sé l’intero cavallo e la sua mossa.

“Persona è Futuro” è un consesso che ci tiene a questa UE, per quanto Giulietto, alla conferenza stampa ci abbia fatto sapere che l’Europa va rifatta da capo a coda. Ma sono contraddizioni interne al popolo. Come lo sono il principio di PèF secondo cui “i cardini della democrazia europea sono i partiti, perché contribuiscono a formare la coscienza politica europea e a esprimere la volontà dei cittadini”, a fronte del proclama di Ingroia: “Non siamo un partito, non saremo mai un partito, siamo contro tutti i partiti”. Se poi poniamo la celebrata russofilia giuliettiana accanto alla diotalleviana analisi geopolitica sulla deprecabile “assertività di Putin in politica estera, la sua presidenza muscolare”, o sull’altrettanto deprecabile “disimpegno dalla regione di Obama” di fronte alle “ambizioni imperiali della Russia in Medioriente”, memori “dell’alto valore ideale che dalla Prima Guerra Mondiale accompagna l’interventismo americano nei teatri di conflitto (sic! sic! sic!), abbiamo capito tutto. O niente.

La capacità di comporre gli opposti in un unico canto mette in ombra quanto i democristiani, classe politica che, sotto varie denominazioni, ha tenuto in mano e per mano il paese dalla sua fondazione (salvo per un intervallo di vent’anni), hanno saputo raggiungere in termini di convergenze parallele. Chi dovesse adontarsene è solo un meschino dall’ego modesto, invidioso di autentici titani di una dialettica in cui tesi e antitesi raggiungono una sintesi di fronte alla quale a Hegel non rimarrebbe che dire chapeau!

Qualcuno, alla luce delle sue variazioni sui temi, di Giulietto ha detto che non si sa mai con chi sta. Ma anche se stesse con qualcuno, nessuno se ne accorgerebbe.

Comunque continuate a guardare PandoraTV: qualcosa di buono ne esce.

Spunto ideologico della Mossa del cavallo

« La nuova primavera coranica, alla quale stiamo assistendo in questi anni, è una benedizione per il mondo: anche, e soprattutto, per le altre due fedi abramiche. La Modernità occidentale ha provocato un dilagare dell’agnosticismo e dell’ateismo che peraltro ha messo in crisi la fede in Dio, ma non ha affatto debellato forme di paganesimo che sono risorte (…) I credenti nel Dio di Abramo di tutto il mondo non possono che salutare nel rinascimento musulmano -al di là dei fenomeni politici che lo accompagnano ma che restano solo equivocamente collegati a esso- una riscossa della fede che solo alcuni lustri or sono era insperabile. (…) I fedeli non possono che guardare con speranza e fiducia a ogni luogo nel quale si adori e si preghi Iddio onnipotente, Creatore del Cielo e della Terra, e si rinsaldi giorno per giorno il patto che Egli ha stipulato con Abramo e al quale è rimasto fedele. Il Dio di Abramo, di Mosè, di Gesù e di Muhammad. » (Franco Cardini)

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 18:57

 

LE CLAN MAFIEU DE GRACE ‘GUCCI’ MUGABE ENTRAINE LE PRESIDENT DANS SA CHUTE (II) : LA LIGUE DES JEUNES DE LA ZANU-PF EXIGE LA DEMISSION DE MUGABE

PANAFRICOM/ 2017 11 19/

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“Le vieux chef de l’Etat pourra ainsi se reposer”

– La ligue des jeunes de la Zanu-PF.

Zimbabwe: La ligue des jeunes de la Zanu-PF “exige” ce samedi la démission de Mugabe !

L’influente ligue des jeunes de la Zanu-PF, le parti au pouvoir au Zimbabwe, a appelé dimanche le président Robert Mugabe à “démissionner” de la présidence de la République, et demandé “l’expulsion” de son épouse Grace du mouvement.

“Nous exigeons l’expulsion à tout jamais de Mme (Grace) Mugabe de la Zanu-PF et exigeons du président Mugabe qu’il démissionne de son poste de président et premier secrétaire du parti et du poste de président de la République du Zimbabwe”, a indiqué la ligue dans un communiqué. “Le vieux chef de l’Etat pourra ainsi se reposer”, a-t-elle ajouté au lendemain de manifestations monstres contre le président, placé en résidence surveillée par l’armée cette semaine. La ligue a également “fermement condamné” l’expulsion du parti et du gouvernement du vice-président Emmerson Mnangagwa et “recommandé” qu’il soit “immédiatement rétabli” dans ses fonctions.

La destitution le 6 novembre de M. Mnangagwa, ennemi juré de la Première dame, a provoqué l’intervention de l’armée, qui n’a pas accepté la perspective que Grace Mugabe se retrouve en position favorite pour succéder, le moment venu, au chef de l’Etat. C’est elle qui a obtenu du président que M. Mnangagwa, un des plus fidèles alliés du chef de l’Etat, soit démis de ses fonctions “Il est fâcheux que le président lui ait permis d’usurper son autorité, détruisant ainsi le parti et le gouvernement”, a estimé la ligue.

La pression n’a jamais été aussi forte sur le président Mugabe, au pouvoir depuis 1980, pour qu’il démissionne. Le comité central de la Zanu-PF s’est réuni ce dimanche pour le destituer de ses fonctions au sein du parti. M. Mugabe doit aussi à nouveau rencontrer dans la journée l’armée pour tenter de trouver une issue honorable à la crise.

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LE CLAN MAFIEU DE GRACE ‘GUCCI’ MUGABE ENTRAINE LE PRESIDENT DANS SA CHUTE (I) : MUGABE LACHE PAR TOUS SES PAIRS

PANAFRICOM/ 2017 11 19/

“L’armée du Zimbabwe, voix du peuple”

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– des affiches brandies par des manifestants à Harare ce samedi.

Mugabe en passe d’être lâché par tous ses pairs !

Le règne du président du Zimbabwe Robert Mugabe ne semblait plus dimanche tenir qu’à un fil après les manifestations de la veille exigeant son départ et la perte de ses derniers soutiens au sein de son parti, qui s’apprêtait à l’écarter de sa direction.

Jusque-là un des piliers de son régime, les anciens combattants de la guerre d’indépendance, très influents, lui ont lancé un ultimatum sans équivoque dimanche. “Il ferait mieux de renoncer”, a lancé leur chef, Chris Mutsvangwa, “s’il ne le fait pas, l’armée doit en finir avec lui aujourd’hui”.

Depuis le coup de force de l’armée qui l’a placé mercredi en résidence surveillée, Robert Mugabe, 93 ans, a catégoriquement refusé de quitter la présidence. Il devait s’entretenir dimanche une deuxième fois avec les militaires aux commandes du pays, qui tentent de lui arracher une reddition en douceur. “Il cherche à trouver une sortie digne”, a expliqué M. Mutsvangwa.

LA ZANU-PF S’EST REUNIE DANS LA MATINEE POUR SE PRONONCER SUR LA REVOCATION DE SON CHEF ROBERT MUGABE ET LA DESTITUTION DE SON EPOUSE GRACE

La direction du parti présidentiel, la Zanu-PF, s’est réunie dans la matinée pour se prononcer sur la révocation de son chef Robert Mugabe et la destitution de son épouse Grace, présidence de la puissante ligue des femmes du parti.

Avant-même le coup d’envoi de cette séance cruciale, l’influente ligue des jeunes du mouvement a donné le ton et “exigé” la démission de chef de l’Etat de la présidence de la République et “l’expulsion à tout jamais” de son épouse. La pression n’a jamais été aussi forte sur le président Mugabe, qui dirige le pays d’une poigne de fer depuis trente-sept ans.

Samedi, le pays a connu l’une des plus grandes manifestations jamais organisées depuis son indépendance en 1980. Des dizaines de milliers de personnes ont déferlé dans les rues d’Harare pour appuyer l’intervention de l’armée et demander au vieux dirigeant de partir. “Repose en paix Mugabe”, “Non à la dynastie Mugabe”, “L’armée du Zimbabwe, voix du peuple”, proclamaient des affiches brandies par des manifestants euphoriques.

L’armée est intervenue dans la nuit de mardi à mercredi après la destitution le 6 novembre du vice-président Emmerson Mnangagwa, ennemi juré de la Première dame. Les militaires n’ont pas accepté la perspective que Grace Mugabe se retrouve en position de favorite pour succéder, le moment venu, à son mari, le plus vieux dirigeant en exercice au monde.

“Il est fâcheux que le président lui ait permis d’usurper son autorité, détruisant ainsi le parti et le gouvernement”, a déploré dimanche la ligue des jeunes du parti.

Grace Mugabe et ses “proches associés ont profité ces cinq dernières années de la santé fragile” du président pour piller”, a déclaré”, a renchéri dimanche un cadre du parti, Obert Mpofu, en ouvrant la réunion de sa direction.

Son adversaire, Emmerson Mnangagwa (dit le « crocodile », dirigeant de la guerre de libération, leader de la Fraction « Lacoste » de la ZANU-PF) , est désormais pressenti pour prendre la tête d’une éventuelle transition politique. A 75 ans, cet ancien fidèle du président Mugabe n’a pas été vu en public depuis son éviction. Mais ses portraits ont été acclamés samedi dans les rues de la capitale, où des manifestants arboraient fièrement tout objet en forme de crocodile, le surnom de l’ancien vice-président.

Jusqu’à présent, l’armée tente de négocier à l’amiable le départ du président Mugabe. Elle l’a même laissé se rendre vendredi à une cérémonie de remise de diplômes universitaires à Harare. L’armée tente de “le traiter avec respect et dignité”, selon Anthoni van Nieuwkerk de l’université de Witwatersrand à Johannesburg, afin de mettre au plus vite un terme à ce coup de force militaire.

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SOFT POWER (III): LE ‘SOFT POWER’ AMERICAIN ‘BRAS CULTUREL’ DU PENTAGONE ET DU STATE DEPARTMENT

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Flash géopolitique – Geopolitical Daily/

2017 11 18/

LM.GEOPOL - SOFT POWER III usa (2017 11 18) FR 2

« Le soft power est l’art de faire passer la puissance des Etats-Unis sans qu’on s’en rende compte, via la culture, la télé, le cinéma, de manière plus efficace qu’une bombe. C’est comme cela que nous consommons tous à travers la planète les valeurs américaines, véhiculées par Disney – entre autres – ou par la télévision »

– Frédéric Martel (auteur de Mainstream), Le spécialiste du softpower en France et producteur à France Culture.

« Ce terme de soft power possède une connotation particulière : il sous-entend l’expansion, la violence, la contrainte. Ce n’est pas par hasard que cette notion va de pair avec le hard power. Et ce n’est pas par hasard, non plus, que ce terme nous vient des États-Unis »

– Alexandre Orlov, ambassadeur de la Fédération de Russie en France.

Les USA sont les concepteurs de la notion de « soft power », conçu comme un des moyens de la domination impérialiste américaine, le « bras culturel » du Pentagone (ce qu’était déjà depuis longtemps Hollywood) et du State Department. Et son côté obscur la « guerre cultutelle » …

L’INVENTEUR DU ‘SOFT POWER’ AMERICAIN : JOSEPH NYE, THEORICIEN DE L’HEGEMONIE ET DU LEADERSHIP DES USA

L’inventeur de la notion de « soft power », version américaine, est Joseph Nye. Il sert comme adjoint au sous-secrétaire d’État dans l’administration Carter et il occupa le poste de secrétaire adjoint à la Défense sous l’administration Clinton (1994-1995) (donc un membre dirigeant de l’appareil militaro-industriel), « il était considéré par beaucoup de personnes comme le probable conseiller à la sécurité nationale en cas d’élection de John Kerry lors de la campagne présidentielle de 2004 ». Il est reconnu comme « l’un des plus éminents penseurs libéraux de la politique étrangère et est considéré par plusieurs comme l’homologue libéral du politologue conservateur Samuel P. Huntington » (le « choc des civilisations »).

Pour Joseph Nye, « la position hégémonique des États-Unis diminuerait sous l’effet d’une combinaison de facteurs (concurrence commerciale, spatiale, enlisements militaires au Viêt Nam et en Irak…) ». C’est l’annonce des « théories déclinistes » sur l’impérialisme américain (Paul Kennedy et en France Emmanuel Todd et ses suiveurs). « Bien que l’avance américaine amoindrisse la perception de ce déclin, Joseph Nye propose de restituer la puissance américaine dans un contexte d’interdépendance de plus en plus incontournable ». Énonçant « l’impossibilité d’un retrait unilatéral des États-Unis des relations internationales » (comme Trump, prisonniers des généraux et des lobbies qui l’ont fait élire, s’est vu immédiatement imposer un renoncement à ses opportunistes promesses électorales, dès janvier 2017), Joseph Nye prône « le leadership face à l’hégémonie ». Ceci l’amène à développer le concept du « soft power ».

THEORIES DU « SOFT POWER » AMERICAIN : UN CONCEPT ANGLO-SAXON

Le « soft power » (traduisible en français par la « manière douce » ou le « pouvoir de convaincre », opposé à la puissance brutale du « hard power ») est un concept utilisé en relations internationales. « Développé par le professeur américain Joseph Nye, il a été repris depuis une décennie par de nombreux dirigeants politiques ». Colin Powell l’a employé au Forum économique mondial en 2003 « pour décrire la capacité d’un acteur politique — État, firme multinationale, ONG, institution internationale (comme l’ONU ou le FMI), voire réseau de citoyens (comme le mouvement altermondialiste) — d’influencer indirectement le comportement d’un autre acteur ou la définition par cet autre acteur de ses propres intérêts à travers des moyens non coercitifs (structurels, culturels ou idéologiques) ».

Si le concept a été développé aux États-Unis vers 1990, la notion est née au XIXe siècle au Royaume-Uni. C’est, en partie, à travers la culture britannique, sa littérature (Shakespeare, les enquêtes de Sherlock Holmes, Lewis Carroll ou Alice au pays des merveilles) ou, par l’adoption par de nombreux pays, de normes comme les notions de « fair-play » (que l’on doit à Thomas Arnold, un préfet des études du collège de Rugby), que le Royaume-Uni a pu exercer au XIXe siècle et au début du XXe une forte influence. Ne pas oublier que l’impérialisme britannique (auquel à succédé l’américain, les « cousins », entre 1917 et 1943) étai dirigé par des gentlemen utilisant des voyous et des pirates pour une politique mondiale de voyous et de pirates !

LE « SOFT POWER » CONTRE LE DECLIN DES USA ET LES THEORIES « DECLINISTES »

Le concept fut proposé par Joseph Nye en 1990 dans « Bound to Lead » (*), « un ouvrage écrit en réaction aux thèses qui évoquaient le déclin de la puissance américaine » (notamment de Paul Kennedy, dans son ouvrage « Naissance et déclin des grandes puissances : transformations économiques et conflits militaires entre 1500 et 2004 »). Nye affirmait que « la puissance américaine n’était pas en déclin puisque le concept de puissance n’était plus le même et devait être reconsidéré. D’une part, les États-Unis étaient et resteraient longtemps la première puissance militaire, et d’autre part le « rattrapage » économique par l’Europe et le Japon était une conséquence prévisible d’un retour à la normalité après les inégalités dues à la Seconde Guerre mondiale » (à l’époque, les USA, qui avaient gagné la Guerre froide et fait imploser l’URSS et le Bloc de l’Est, voyaient l’ennemi dans la cadre des « guerres commerciales » dans l’UE et le Japon. Et pas dans une Russie pas encore rétablie ou une Chine pas encore émergée).

Mais surtout, Joseph Nye soutient que « désormais les États-Unis disposent d’un avantage comparatif nouveau et amené à jouer un rôle croissant à l’avenir : la capacité de séduire et de persuader les autres États sans avoir à user de leur force ou de la menace ». Pour Joseph Nye, il s’agit « d’une nouvelle forme de pouvoir dans la vie politique internationale contemporaine, qui ne fonctionne pas sur le mode de la coercition (la carotte et le bâton), mais sur celui de la persuasion, c’est-à-dire la capacité de faire en sorte que l’autre veuille la même chose que soi ». Selon Joseph Nye, le « soft power » ou la « puissance de persuasion » reposent sur « des ressources intangibles telles que l’image ou la réputation positive d’un État, son prestige (souvent ses performances économiques ou militaires), ses capacités de communication, le degré d’ouverture de sa société, l’exemplarité de son comportement (de ses politiques intérieures mais aussi de la substance et du style de sa politique étrangère), l’attractivité de sa culture, de ses idées (religieuses, politiques, économiques, philosophiques), son rayonnement scientifique et technologiques ».

LE « SOFT POWER » AU SERVICE DE LA DOMINATION DE L’ACTEUR INTERNATIONAL LE PLUS PUISSANT, LES USA

Le soft power ne correspond pas à « une qualification de la nature du pouvoir exercé dans l’économie mondiale, il décrit un type de ressources particulières parmi d’autres, mais dont le poids est devenu prépondérant. Les ressources de pouvoir dont dispose un acteur lui permettent ensuite d’exercer différents types de pouvoir tout au long d’un continuum ».

Le « pouvoir de commandement », « capacité de changer ce que les autres font, peut s’appuyer sur la coercition ou l’incitation » (par la promesse d’une récompense). Le « pouvoir de cooptation », « capacité de changer ce que les autres veulent, peut s’appuyer sur la séduction ou sur la possibilité de définir la hiérarchie des problèmes politiques du moment de façon à empêcher les autres d’exprimer des points de vue qui paraîtraient irréalistes face aux enjeux du moment ». La place d’un État au sein des institutions internationales lui permettant de contrôler l’ordre du jour de ses débats (et donc de décider de ce qu’il est « légitime » de discuter ou non) et de « figer des rapports de puissance au moment où ils lui sont le plus favorables ».

Alors que la « théorie des régimes »avait été inventée « pour comprendre comment le monde pouvait être stable en l’absence de leader mondial ». Nye affirme que « es États-Unis n’ont en fait jamais cessé d’être l’acteur international le plus puissant » ! Le « soft power compléterait ainsi la puissance traditionnelle de contrainte (hard power) et serait aujourd’hui la forme de puissance ayant le plus d’importance, notamment du fait des bouleversements liés à la mondialisation » (ouverture des frontières, baisse du coût des communications, multiplications des problèmes transnationaux auxquels on ne peut qu’apporter une réponse globale : terrorisme, réchauffement climatique, trafic de drogue, pandémies internationales …).

CARACTERISTIQUES ET ETAT DES LIEUX DU « SOFT POWER » AMERICAIN

  1. Un modèle mondial :

* La culture et le mode de vie américains, l’« American way of life », largement diffusés par le cinéma (Hollywood) et la télévision (séries) sont devenus une référence pour l’essentiel de la population mondiale. Les industries culturelles américaines (symbolisées par Hollywood, Disney, mais aussi Mc Do et Coca Cola) sont fortement exportatrices et dominent l’essentiel des marchés mondiaux avec leurs « blockbusters » à forte rentabilité et leurs habitudes culturelles américaines (la « malbouffe »). Sur la plupart des marchés mondiaux développés, le cinéma américain oscille entre 50 et 80 % de parts de marché.

* Cette puissance de l’image est relayée par la publicité des firmes américaines et l’emploi de l’anglais comme langue véhiculaire. « Les États-Unis exercent ainsi une influence prédominante sur l’imaginaire mondial ». Le modèle américain est largement diffusé dans le monde et les pseudo « valeurs américaines » — ou du moins revendiquées par les États-Unis, comme la liberté de pensée ou d’expression, la propriété privée, la libre entreprise, la recherche du bonheur — sont communément partagées.

* L’aide américaine notez qu’une des « vitrines légales de la CIA » est l’US AID), le plus souvent bilatérale (c’est-à-dire directe, sans passer par les institutions internationales), aux pays les plus pauvres est aussi un élément d’influence. Cette aide est parfois publique, d’origine gouvernementale, mais aussi souvent privée. Bon nombre de milliardaires américains mettent en œuvre des fondations dites « philanthropiques » (le but réel étant l’évasion fiscale et l’influence politique, en liaison avec les dites « vitrines légales de la CIA »), organisations non gouvernementales à but caritatif. La fondation Bill et Melinda Gates, par exemple, fondée en 1994 par le créateur et l’ancien patron de Microsoft — qui a été l’homme le plus riche du monde — , où les réseaux du spéculateur Georges Sorös. Le spéculateur Warren Buffet, autre célèbre multimilliardaire américain, lui « a donné 37 milliards de dollars en 2006. Cette fondation est ainsi devenue la fondation la plus richement dotée de la planète. Ses dépenses d’intervention annuelles sont supérieures à celles de l’Organisation Mondiale de la santé, l’agence spécialisée de l’ONU ! »

  1. Une attraction planétaire :

* Les États-Unis sont le premier pôle d’immigration au monde, avec plus d’un million d’entrées annuelles. Le pays attire des migrants et des étudiants du monde entier, qui viennent y chercher du travail, de meilleures conditions de vie ou d’étude : 22 % des migrants internationaux dans le monde se rendent aux États-Unis. L’arrivée au pouvoir du Régime Trump a lourdement écorné cette attraction !

* Les universités américaines trustent d’ailleurs 17 des 20 premières places du classement mondial des universités (classement de l’université Jiao Tong de Shanghai) : « le monde entier rêve d’aller faire ses études supérieures à Harvard, Stanford ou au MIT ». L’immigration qualifiée est une forte composante de l’immigration totale vers les États-Unis : le « brain drain » (« drainage des cerveaux ») assure un flot constant de jeunes cerveaux formés ou à former dans un pays où, prétend la propagande US, « l’économie de la connaissance » prend tout son sens.

III. Un soft power en déclin ?

  • Le « soft power américain » semble cependant marquer le pas. Il existe des contre-modèles, pas tous universels, mais qui remettent en question l’hégémonie culturelle américaine : le « Cool Japan », l’ « exception culturelle française », le nouveau « ésoft power russe » ou, sur un plan plus politique, l’islamisme ou le « socialisme de marché » chinois. Il existe donc, dans le monde, de la place pour des modèles qui ne sont pas américains. La mondialisation qui se veut « une américanisation sans limite », et la « guerre culturelle » ont généré des anti-coprs mondiaux.
  • « L’élection du président Obama aurait pu marquer le retour du soft power, après le hard power dont avait fait preuve l’administration précédente » (mandats Bush II). Mais l’image des États-Unis dans le monde a souffert de la brutalité et de l’immoralité de certains gestes, de certaines décisions : la prison de Guantanamo et sa législation spéciale, les traitements dégradants infligés à des détenus dans la prison irakienne d’Abou Ghraib, les expéditions guerrière d’Obama et d’Hillary Clinton ‘Libye, Syrie, Afrique) qui valenbt celles du régime Bush II, etc.

DE LA « GUERRE CULTURELLE » AU « SOFT POWER » : HOLLYWOOD AU SERVICE DE L’IMPERIALISME AMERICAIN

Le cinéma constitue ainsi un exemple majeur d’outil du « soft power » :

« Par exemple, le long-métrage ‘Zero Dark Thirty’ de l’américaine Kathryn Bigelow — la première réalisatrice à remporter l’Oscar du meilleur film à Hollywood pour Démineurs, en 2010 —, raconte la traque, et la mort, du chef d’Al-Qaïda, Oussama ben Laden, entamée par les Américains il y a dix ans, après les attentats du 11 septembre 2001. Alors que la sortie du film est prévue le 12 octobre 2012, soit, à temps pour participer aux Oscars, mais également trois semaines avant l’élection présidentielle qui verra Barack Obama dans la course pour un second mandat, les milieux conservateurs américains polémiquent sur le timing d’un film qui se termine sur la décision présidentielle d’un raid victorieux des Navy Seals et la mort du terroriste ».

Le Pentagone a une longue tradition de collaboration avec les cinéastes d’Hollywood, « par exemple pour le film ‘Top Gun’ où l’armée vantait les forces de ses troupes à la sortie des projections ». Les militaires ont l’habitude de fournir des conseils ou du matériel de guerre. « Par exemple pour le tournage de ‘La Chute du faucon noir’ (Black Hawk Down, 2001) de Ridley Scott, montrant un revers des soldats américains en Somalie, l’armée a même prêté ses hélicoptères et ses pilotes. Cependant parfois, l’armée a refusé d’apporter son aide. Ce fut le cas d’ ‘Apocalypse Now’ de Francis Ford Coppola, qui a alors dû trouver d’autres soutiens financiers et politiques dans d’autres pays ».

(*) Cfr. J. Nye, Bound to Lead: The Changing Nature of American Power, New York, Basic Books, 1990.

Photo :

USA 2016 : Joseph Nye, inventeur du concept de softpower à une conférence de Chatham House, London (une des « vitrines légales du Mi5 et du Mi6 », la version britannique des « vitrines légales de la CIA »).

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LUC MICHEL DENONCAIT SUR AFRIQUE MEDIA DES AVRIL 2017 LA MISE EN ESCLAVAGE DES NOIRS EN LIBYE !

La mise en esclavage des noirs dans la Libye post-Kadhafi made in USA-NATO, aux mains des islamistes, n’est pas un scoop de CNN !

Je la dénonçais sur AFRIQUE MEDIA dès avril 2017 …

Capture

*Voir sur PCN-TV & JAMAHIRIAN-TV/

LUC MICHEL DENONCE L’INSECURITE EN LIBYE, LE TRAFFIC DES ETRES HUMAINS ET L’ESCLAVAGE DES NOIRS

sur https://vimeo.com/213445167

VOIR AUSSI :

CHASSE AUX NOIRS DANS LA « NOUVELLE » LIBYE:

ENTRETIEN DE SPUTNIK (MOSCOU, DEC. 2013) AVEC LUC MICHEL

Extrait :

Sputnik :

Autre point. Depuis l’assassinat de Kadhafi, un véritable racisme à l’encontre des Africains sub-sahariens est devenu pratique courante dans ce pays. On a notamment vu plusieurs vidéos très choquantes et barbares où l’on voit des exécutions des Africains noirs par les « rebelles », amis de l’Occident. Qu’en est-il ?

Luc Michel : 

Le racisme anti-noir, contre ce qu’ils appellent les « aziz » ou les « esclaves », est une des constantes de l’islamisme. Qui rappelons-le, est une idéologie réactionnaire, un fascisme islamiste. Il s’est développé avec le CNT et a surfé sur un sentiment anti-africain chez une partie de la population libyenne, mécontente du panafricanisme sincère de Kadhafi et qui avait ouvert la Jamahiriya à de nombreux Africains. Ajoutons que les libéraux libyens comme les islamistes avaient déjà utilisé le racisme anti-noir dans la dernière décennie de la Jamahiriya comme moyen de déstabilisation. Le coup d’état de Benghazi n’a fait qu’amplifier, à hauteur de crimes de guerre, ce racisme.

Il faut savoir que celui-ci n’a pas seulement frappé les ressortissants d’autres pays africains résidant en Libye mais aussi les Libyens noirs. La Libye a une population mêlée, il y a des Libyens à peau claire, de type maghrébin, voire sud-européen. Et il y a des Libyens noirs de peau, venus du Fezzan et du Sud saharien (notamment d’origine Toubou). Mais qui avec le développement et la prospérité de la Libye sous Kadhafi sont aussi allés habiter les régions côtières. Des fiefs islamistes – Al-Baida, Derna, Misrata ou Zinten – sont parties de véritables expéditions punitives. Des déportations, des massacres de masse, des crimes de guerre sans nom ont été commis. Des villes ont même été vidées et pillées, comme Tarawoua (ville à population libyenne noire). Dans le silence coupable des spécialistes auto-proclamés des droits de l’homme (occidental) alimentaires. BHL en tête.

A cela s’est ajoutée la sinistre résonance des articles irresponsables des médias de l’OTAN, évoquant sans arrêt de fantomatiques « mercenaires africains de Kadhafi ». Information provenant souvent d’officines de désinformation israéliennes, comme DEBKA, liées à Tsahal ou au Mossad. Tout cela a conduit à une chasse permanente aux noirs. Qui a culminé avec des massacres de masses lors de la prise de Tripoli en août 2011, tortures et exécutions sommaires, charniers et prisons secrètes à l’appui. On estime qu’il reste encore plus de 10.000 Africains dans les geôles des milices.

A cela s’ajoute aujourd’hui, comme l’a révélé le drame de Lampedusa, l’exploitation des Africains noirs par les filières mafieuses de traite d’humains vers l’Europe, aux mains des islamistes en Libye et au Sahel. Des camps existent en Libye, où viols, pillages et exécutions sommaires sont la règle. L’enquête sur le drame de Lampedusa a aussi révélé que les nouveaux « boat people » africains ont été victimes de tirs criminels venant de corvettes « libyennes », bâtiments de guerre tombés aux mains de gangs ou milices, nouvelle piraterie aux portes de l’Italie.

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AXE WASHINGTON – RIYAD – TEL-AVIV : LA VIEILLE ALLIANCE HONTEUSE ENTRE SAOUDS ET ISRAELIENS NE SE DISSIMULE PLUS !

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Flash géopolitique – Geopolitical Daily/

2017 11 17/

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« Israël prêt à échanger des informations avec l’Arabie saoudite » dit la presse soudienne !

« Israël est prêt à partager des informations en matière de renseignement avec l’Arabie saoudite car les deux pays ont en commun de vouloir s’opposer à l’Iran sur la scène régionale », a déclaré le chef d’état-major de l’armée israélienne. L’interview avec le chef de l’armée israélienne, dit Etaph, a été effectuée dans son bureau à Tel Aviv par un journaliste arabe israélien.

Dans un entretien accordé à la publication en ligne saoudienne Etaph, sa première interview semble-t-il avec un organe de presse arabe, le général Gadi Eizenkot déclare « qu’Israël n’a pas l’intention d’attaquer la milice chiite du Hezbollah au Liban ». Mais, dit-il à propos de l’Arabie saoudite, « nous sommes prêts à partager des informations, si cela est nécessaire. Nous avons beaucoup d’intérêts en commun ».

« L’élection de Donald Trump à la présidence des Etats-Unis et la pression renouvelée que Washington exerce sur l’Iran ont rebattu les cartes dans la région » (comme je l’annonçais dès les premiers jours de la Présidence Trump), ajoute-t-il, et « permettent à de nouvelles alliances, jadis improbables, d’apparaître ». « Il faut mettre en place un plan majeur et général pour stopper le danger que représente l’Iran », souligne le général israélien. « Nous sommes disposés, face à l’Iran, à partager notre expertise avec des Etats arabes modérés et à échanger de l’information en matière de renseignement ».

Le ministre saoudien des Affaires étrangères, Adel Joubeïr, a assuré jeudi que « l’Arabie saoudite se trouvait contrainte depuis des semaines de répondre à  l’agression de l’Iran et estimé que cette situation devait cesser ».

LA GEOPOLITIQUE DE TRUMP OFFICIALISE LE NOUVEL AXE STRATEGIQUE USA-SAOUDS-ISRAEL

Je dévoilais dès mai 2017 le dessous des cartes de la grande tournée de Trump à Riyad, Tel-Aviv, Jérusalem, mais aussi Bruxelles, et j’analysais le contexte et les projets géopolitiques de l’Administration Trump … Je parlais de la première grande tournée diplomatique de Trump, via Riyad, Bruxelles, Tel-Aviv et j’exposais le grand projet géopolitique et géostratégique que l’Administration Trump (et au sein de celle-ci le noyau dur de ses généraux arrivés au pouvoir à Washington) visait à mettre en route avec ce premier voyage.

* Voir sur PCN-TV/GEOPOLITIQUE.

LUC MICHEL: LA TOURNEE DE TRUMP A RIYAD-TEL AVIV-BRUXELLES ET LE NOUVEL AXE STRATEGIQUE USA-SAOUD-ISRAEL

sur https://vimeo.com/218768964

(Sources : Parsi – Etaph – PCN-TV – EODE Think-Tank)

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CRISE POLITIQUE AU ZIMBABWE: ‘LA PARTIE EST FINIE’, LANCE LE CHEF DES ANCIENS COMBATTANTS A MUGABE

LM/ PANAFRICOM/ 2017 11 17/

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« Les généraux ont fait un travail fantastique, c’est fini, les jeux sont faits, il (Mugabe) doit démissionner (…) selon les termes fixés par les gars en uniforme. Nous voulons rétablir notre fierté, demain est le moment de le faire (…), nous pouvons finir le travail commencé par l’armée »

– M. Mutsvangwa,

chef des anciens combattants de la guerre d’indépendance du Zimbabwe

Mugabe, en écoutent les mauvais conseil de sa femme, a perdu le soutien de l’Armée, de la Ligue des anciens combattants et d’une partie de laZANU-PF (Fraction Lacoste, mais pas elle seule).

Emmerson Mnangagwa (surnommé “le Crocodile”, d’où le nom de sa fraction au ZANU-PF, le Teal Lacoste), vice-président démis il y a 8 jours (et empoisonné) suite aux manœuvres de Grâce Mugabe, apparaît comme le « nouvel homme fort du Zimbabwe ». L’armée fait état d’arrestations dans l’entourage de Mugabe.

« NOUS LANÇONS UN AVERTISSEMENT FERME A MUGABE ET A SA FEMME (GRACE): LA PARTIE EST FINIE »

Le chef des anciens combattants de la guerre d’indépendance du Zimbabwe a exhorté ce vendredi le président Robert Mugabe « à quitter le pouvoir » et appelé la population « à manifester samedi à Harare pour soutenir l’armée » qui a pris le contrôle du pays. « Nous lançons un avertissement ferme à Mugabe et à sa femme (Grace): la partie est finie », a lancé le très influent Christopher Mutsvangwa lors d’une conférence de presse dans la capitale Harare.

“Les généraux ont fait un travail fantastique, c’est fini, les jeux sont faits”, a martelé M. Mutsvangwa, “il doit démissionner (…) selon les termes fixés par les gars en uniforme”. “Nous voulons rétablir notre fierté, demain est le moment de le faire (…), nous pouvons finir le travail commencé par l’armée”, a-t-il ajouté, en appelant la population à se mobiliser en masse samedi dans les rues de la capitale.

Traditionnels piliers du régime avec l’armée, les anciens combattants se sont récemment opposés à Robert Mugabe, 93 ans, dont 37 au pouvoir, et à son épouse Grace, 52 ans, qui ne cachait plus sa volonté de lui succéder. L’armée a pris le contrôle de Harare dans la nuit de mardi à mercredi quelques jours après l’éviction du vice-président Emmerson Mnangagwa, longtemps considéré comme le principal dauphin de Mugabe. Celui-ci est immédiatement rentré d’Afrique du Sud …

L’ARMEE NEGOCIE UNE SORTRIE EN DOUCEUR DE MUGABE

Robert Mugabe, assigné à résidence par l’armée, a fait vendredi sa première apparition depuis le coup de force militaire. Son parti, la ZANU-PF, a annoncé « qu’il pourrait engager une procédure de destitution s’il refusait de quitter le pouvoir ». S’agit-il de la dernière apparition de Robert Mugabe en tant que chef d’État ? Le parti au pouvoir au, la ZANU-PF, a en tous cas fait savoir à Reuters qu’il se préparait à mettre à l’écart et qu’il engagera une procédure de destitution s’il refuse de démissionner.

La direction de la formation se réunit ce vendredi pour mettre au point une motion qui prévoit l’éviction du chef de l’État au cours du week-end. “On ne reviendra pas en arrière”, a indiqué un haut responsable du parti à l’agence de presse. L’armée du Zimbabwe négocie avec le vieux président pour une transmission en douceur du pouvoir à Emmerson Mnangagwa, ex-vice-président limogé le 6 novembre par Mugabe. Mais, pour l’heure, le chef de l’État refuse toujours de démissionner.

Selon l’AFP, citant des sources au sein de son entourage, l’ancien vice-président zimbabwéen Emmerson Mnangagwa, dont l’éviction a provoqué le coup de force de l’armée, est quant à lui rentré jeudi au Zimbabwe. “Oui, il est de retour”, a rapporté sous couvert de l’anonymat une source proche de l’ex-numéro deux de l’exécutif. Emmerson Mnangagwa avait fui le Zimbabwe dans la foulée de son éviction le 6 novembre, mais avait promis de défier le président Mugabe et son épouse Grace, sa rivale pour la succession à la fonction suprême.

Son nom revient désormais avec insistance pour diriger la transition politique qui s’annonce, si Robert Mugabe accepte de rendre les clés du pays. Ce scénario constituerait un aboutissement pour ce fidèle serviteur du régime, aux rêves de pouvoir longtemps contrariés.

Dès l’indépendance du Zimbabwe en 1980, Robert Mugabe a mis Emmerson Mnangagwa sur orbite en lui confiant d’importants postes ministériels, à la Défense et aux Finances, notamment. En 2004, il avait été victime une première fois de son ambition. Accusé d’intriguer pour le poste de vice-président, il avait perdu son poste de secrétaire à l’administration de la Zanu-PF au bénéfice de sa rivale Joice Mujuru. Ce n’est finalement qu’en 2014 qu’il avait accédé à la vice-présidence, lorsque Joice Mujuru fut victime de la campagne de dénigrement orchestrée par Grace Mugabe …

COMPRENDRE :

* Voir sur PANAFRICOM-TV/ LUC MICHEL:

COUP D’ETAT AU ZIMBABWE. LE DESSOUS DES CARTES ET LA CRISE DE LA ZANU-PF (SUR ‘LIGNE ROUGE’)

sur https://vimeo.com/243265444

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SOFT POWER (II): CONCEPTIONS RUSSES DU SOFT POWER

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Flash géopolitique – Geopolitical Daily/

2017 11 16/

LM.GEOPOL - SOFT POWER II conceptions russes (2017 11 16) FR 1

« Ce terme de soft power possède une connotation particulière : il sous-entend l’expansion, la violence, la contrainte. Ce n’est pas par hasard que cette notion va de pair avec le hard power. Et ce n’est pas par hasard, non plus, que ce terme nous vient des États-Unis »

– Alexandre Orlov, ambassadeur de la Fédération de Russie en France.

Il y a une conception russe du « soft power », basée sur la dimension culturelle ou ce que les Français appellent « la diplomatie culturelle ». Bien loin de la version agressive du « soft power » américain, dimension de la puissance géopolitique agressive et de la guerre culturelle. C’est l’agression occidentale qui a mené Moscou à développer une dimension du « soft power » qui réponde à cette agression, en matière de riposte médiatique, ou encore de contre-mesure aux tentatives inlassables de « révolutions de couleur » (voir la première partie de moin analyse) en Russie ou dans les autres pays de l’OTSC (L’Organisation du Traité de Sécurité Collective, la contre-OTAN de l’Est).

CONCEPTIONS DU « SOFT POWER »

Le soft power (puissance douce, pouvoir de convaincre) est un concept utilisé en relations Internationales au départ, puis en Géopolitique. Développé par le professeur américain Joseph Nye, il a été repris depuis une décennie par de nombreux dirigeants politiques. Colin Powell l’a employé au Forum économique mondial en 2003 pour décrire la capacité d’un acteur politique – État, firme multinationale, ONG, institution internationale (comme l’ONU ou le FMI), voire réseau de citoyens (comme le mouvement altermondialiste) ; c’est là les « nouveaux acteurs transnationaux non-étatiques » de la scène géopolitique avec leur intrusion dans la « diplomatie parallèle » – d’influencer indirectement le comportement d’un autre acteur ou la définition par cet autre acteur de ses propres intérêts à travers des « moyens non coercitifs » (structurels, culturels ou idéologiques).

Si le concept a été développé aux États-Unis vers 1990, la notion est née au XIXe siècle au Royaume-Uni. C’est, en partie, à travers la culture britannique, sa littérature (Shakespeare, les enquêtes de Sherlock Holmes, Lewis Carroll et Alice au pays des merveilles) ou, par « l’adoption par de nombreux pays, de normes comme les notions de fair-play et d’amateurisme », que le Royaume-Uni a pu exercer au XIXe siècle et au début du Xxe une forte influence. Le concept a permis aux USA de développer un « impérialisme culturel » (via les productions d’Hollywood notamment), qui a débouché sur une « guerre culturelle » (l’imposition de la civilisation de Hollywood, Disney, Coca Cola et Mc Do », selon les principaux vecteurs de cet « impérialisme culturel yankee »), bien avant qu’on ne théorise la notion de « soft power ».

« L’URSS d’hier nous a habitués à la pratique du hard power… La Russie d’aujourd’hui, au-delà des démonstrations de force (Géorgie, Crimée), s’initie aux vertus des nouveaux pouvoirs. Pouvoir de convaincre plus que de vaincre. Agence d’informations plus que VPK. Dans les deux cas, un même dessein : restaurer les valeurs impériales de la Russie », commente un analyste. La Russie, elle, a donc développé une conception culturelle du « soft power », basée sur la prestigieuse Culture russe. C’est ce qu’explique Alexandre Orlov, ambassadeur de la Fédération de Russie en France …

DOCUMENT :

AMBASSADEUR ORLOV : « DU SOFT POWER RUSSE » (LA RUSSIE FRANCOPHONE, SEPT. 2016)

« Commençons par une déclaration, qui pourrait paraître paradoxale : la Russie n’a pas de soft power. La Russie a une culture, des idéaux et des valeurs, des traditions séculaires et, bien sûr, des intérêts. Mais elle n’a pas de soft power. Ce terme de soft power possède une connotation particulière : il sous-entend l’expansion, la violence, la contrainte. Ce n’est pas par hasard que cette notion va de pair avec le hard power. Et ce n’est pas par hasard, non plus, que ce terme nous vient des États-Unis. Ces dernières années, à plusieurs reprises, les États-Unis ont fait usage du soft power pour promouvoir, voire imposer, leur idéologie, en faire un instrument de domination géopolitique, d’élargissement de leur sphère d’influence, de diabolisation des « régimes incommodes ». Et si le soft power ne suffisait pas, le hard power était là pour l’épauler. Aujourd’hui, les conséquences en sont visibles en Irak, en Libye, en Syrie ou encore en Ukraine.

La Russie moderne, elle, n’impose rien à personne. Elle n’est pas moins attachée que les États-Unis aux idéaux de la démocratie et aux principes de l’économie de marché. Contrairement aux années de guerre froide, lorsqu’il s’agissait d’une confrontation de deux systèmes socio-politiques différents, la Russie, aujourd’hui, n’a aucun antagonisme idéologique avec l’Occident. Elle est respectueuse des particularités historiques et culturelles des autres peuples et considère qu’aucune valeur, aucun modèlesocial ne peut être imposé par une décision arbitraire. Chaque pays est libre de choisir et de suivre son propre chemin. Les particularités et les traditions russes doivent être, elles aussi, respectées. Il est inutile de vouloir imposer une vision du « bien » et du « mal ». L’expérience de l’Union soviétique, de ses ambitions d’exporter ses valeurs  idéologiques partout dans le monde, ne doit pas être occultée – rien de bon n’en est sorti. La Russie est prête à défendre ses intérêts et sa sécurité, mais cela ne signifie pas qu’elle suit une logique de lutte pour les sphères d’influence.

Du soft power au rayonnement :

C’est pourquoi le terme soft power  est inapproprié pour évoquer la Russie contemporaine. Il est d’ailleurs à noter que, ces derniers temps, les hommes politiques français cherchent, eux aussi, à  éviter cette expression, lui préférant la formule du « rayonnement de la France ». Contrairement aux instruments du soft power qui visent une expansion politique et idéologique, le sens du terme rayonnement est tout à fait différent. Il sous-entend la création des conditions propices pour le développement de relations mutuellement avantageuses avec d’autres pays. Ainsi, le rayonnement de la Russie en France s’appuie sur des bases historiques solides, sur des liens séculaires et une sympathie mutuelle entre nos peuples, sur l’interpénétration profonde de nos cultures.

Notre mémoire historique commune nous est chère. Sans remonter à l’époque du Moyen Age et à la princesse russe, Anne – fille de Iaroslav le Sage, devenue il y a presque 1 000 ans reine de France –, il suffit de rappeler qu’au cours des deux derniers siècles la Russie a sauvé la France pas moins de trois fois : en 1814 – lorsque Alexandre Ier a empêché la division de la France, la maintenant dans ses frontières historiques ; en 1914 – quand l’offensive de l’armée russe sur le front de l’Est a rendu possible le « miracle » de la Marne ; et, enfin, durant la Seconde Guerre mondiale, lorsque l’URSS a joué le rôle décisif dans la victoire sur le nazisme. Il y a un an, une salle dédiée au légendaire régiment Normandie-Niemen, rappelant ainsi une page glorieuse de la fraternité d’armes franco-russe, a été inaugurée au Musée de l’air et de l’espace du Bourget. Cette année, ce sont les 100 ans de l’arrivée en France du corps expéditionnaire russe qui seront célébrés. Des stèles commémoratives seront inaugurées à Marseille et à Brest, les deux ports français où ont débarqué les brigades russes. Il est important de ne pas oublier que la Russie a toujours été une alliée fidèle et fiable de la France. Force est de reconnaître pourtant que la majorité des Français connaissent assez peu les réalités russes. L’image de la Russie est systématiquement ternie, pour ne pas dire diabolisée, par les médias français. C’est pourquoi la Russie attache, aujourd’hui, tant d’importance à la diffusion internationale de ses médias audiovisuels. Ceci n’est pas dans un but de « propagande », mais tout simplement pour rendre accessible une information objective sur le pays, pour expliquer le sens et les raisons de son action sur la scène internationale (…)

Pour une image objective :

Un bon moyen de donner aux Français une vision objective et réaliste de la Russie d’aujourd’hui est incontestablement le tourisme. Un adage russe dit : « Mieux vaut voir une fois, qu’entendre cent fois. » Nous travaillons beaucoup avec nos partenaires français pour faciliter les formalités de visa, anachronisme au XXIe siècle. Les années 2016-2017 ont aussi été proclamées « années croisées du tourisme culturel et du patrimoine ». Il est à espérer que ce projet contribuera à augmenter le nombre de touristes français en Russie. Il est largement connu que le cinéma est d’une efficacité redoutable pour promouvoir sa culture. Hollywood en est la meilleure des preuves. Le cinéma russe suscite de plus en plus d’intérêt chez les Français et le nombre de festivals du cinéma russe en France ne cesse de croître – Honfleur, Paris, Bordeaux, Strasbourg, Marseille. Un autre projet hautement significatif pour les relations franco-russes est la construction, à Paris, d’un grand centre spirituel et culturel. Espérons qu’il devienne un vrai pôle d’attraction pour tous ceux qui s’intéressent à la Russie, à sa culture, à son histoire, à ses traditions et à son présent.

L’avenir des relations franco-russes se construit aujourd’hui, y compris par l’enseignement aux jeunes de la langue et de la culture de l’autre. Malheureusement, ces dernières décennies, l’enseignement de la langue russe dans le système éducatif français recule. Nous essayons de remédier à cela.

Aujourd’hui, il existe en France une diaspora russe importante : ce sont les descendants de ceux qui avaient quitté le pays après la révolution de 1917, et aussi ceux qui ont cherché une vie meilleure lors des années troubles de 1990 ; ce sont souvent des familles mixtes. Comme toutes les diasporas, la nôtre fait le pont entre la France et la patrie historique, contribue à renforcer la compréhension entre nos peuples et à promouvoir l’image positive de la Russie. Les citoyens russes de France sont en quelque sorte, eux aussi, des « ambassadeurs » de Russie. Ces dernières années, on a pu constater une croissance rapide des échanges entre les sociétés civiles russe et française. » (A. Orlov)

ANATOMIE DU SOFT POWER RUSSE

Voir mon Entretien à bâtons rompus accordé le 13 mai 2017 à une étudiante de l’ULB (Université libre de Bruxelles), Jekaterina J., pour son mémoire sur « le soft power russe » :

* Sur EODE-TV/ LUC MICHEL:

A BATONS ROMPUS SUR LE ‘SOFT POWER RUSSE’ ET LA ‘DIPLOMATIE PARALLELE’ D’EODE – (SOFT POWER PARTIE 1) sur https://vimeo.com/242079030

* Sur EODE-TV/ LUC MICHEL:

A BATONS ROMPUS SUR LE ‘SOFT POWER RUSSE’ ET LA ‘DIPLOMATIE PARALLELE’ D’EODE – (SOFT POWER PARTIE 2)

sur https://vimeo.com/242637227

(Sources : La Russie Francophone – EODE Think-Tank)

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SOFT POWER (I): LA GUERRE MEDITIATIQUE CONTRE LA RUSSIE ET LE ‘SOFT POWER’ RUSSE ET LA RIPOSTE DE MOSCOU

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Flash géopolitique – Geopolitical Daily/

2017 11 15/

LM.GEOPOL - SOFT POWER I russie guerre mediatique (2017 11 15) FR 1

« Les instruments de diplomatie publique sont destinés à des audiences étrangères, afin de les influencer en propageant une certaine vision du monde (“objective”, “alternative”…), en soutenant un agenda politique précis (vision d’un monde multipolaire), en diffusant des valeurs données (liberté d’expression, droits de l’homme, valeurs “traditionnelles”…), ou en tentant d’améliorer l’image du pays émetteur. Sur ce point formel, RT rejoint dans l’espace médiatique international les grands médias transnationaux que sont BBC World, Al Jazeera, Voice of America, CNN International, CGTN (Chine), France 24 ou la Deutsche Welle »

– Maxime Audinet (doctorant spécialiste du soft power russe, Les Inrocks).

« La création et le soutien d’ONG qui (…) défendent les intérêts d’États étrangers ainsi que l’implantation d’enseignants occidentaux dans le système éducatif (…) menacent sérieusement la souveraineté de la Russie (…) L’ingérence dans les affaires intérieures de la Russie ne se fait pas uniquement via une propagande directe, effectuée par des médias comme Radio Svoboda (financée par Washington, ndlr), mais aussi avec des programmes éducatifs impliquant des journalistes russes

– Rapport de la Commission pour la protection de l’indépendance nationale du Conseil de la Fédération de Russie.

On parle beaucoup du “soft power” ces jours derniers, à propos de l’ouverture du Louvre à Abou Dabi (sur laquelle je reviendrai dans une prochaine analyse). Occasion de beaucoup de contre-sens sur ce même Soft power, que l’on oppose au hard power et à la géopolitique agressive. Comme si ce “soft power” n’était que le « pouvoir d’influence sans recours à la force » (dixit le Monde). C’est oublier que le “soft power”, conçu initialement par et pour l’Impérialisme américain, a aussi pour dimensions la Guerre culturelle et la guerre médiatique, et qu’il accompagne les fameuses « révolutions de couleur ». Tout le discours de propagande actuel sur la soi-disant « ingérence russe » n’a qu’un double but : dissimuler des décennies d’agressions médiatiques américaines et d’autre part, précisément, de conter les succès du « soft power russe ». On est bien conscient à Moscou, où on organise la riposte à l’agression américano-occidentale …

ANATOMIE DU SOFT POWER RUSSE

Voir mon Entretien à bâtons rompus accordé le 13 mai 2017 à une étudiante de l’ULB (Université libre de Bruxelles), Jekaterina J., pour son mémoire sur « le soft power russe » :

* Sur EODE-TV/ LUC MICHEL:

A BATONS ROMPUS SUR LE ‘SOFT POWER RUSSE’ ET LA ‘DIPLOMATIE PARALLELE’ D’EODE – (SOFT POWER PARTIE 1)

sur https://vimeo.com/242079030

* Sur EODE-TV/ LUC MICHEL:

A BATONS ROMPUS SUR LE ‘SOFT POWER RUSSE’ ET LA ‘DIPLOMATIE PARALLELE’ D’EODE – (SOFT POWER PARTIE 2)

sur https://vimeo.com/242637227

RUSSIE: LA ‘LOI DE RIPOSTE SUR LES MEDIAS ETRANGERS’ VOTEE CE MERCREDI

Les députés russes ont voté ce mercredi une loi permettant à tout média international opérant en Russie d’être désigné comme “agent de l’étranger”, riposte à l’enregistrement sous cette désignation de sa chaîne RT aux Etats-Unis, a indiqué mardi un responsable parlementaire. “Le texte de loi ne comporte aucune liste (de médias visés, ndlr), il donne la possibilité au pouvoir exécutif de considérer comme agents de l’étranger les médias qui reçoivent des financements de l’étranger”, a expliqué le vice-président de la Douma, la chambre basse du Parlement russe, Piotr Tolstoï, sur la chaîne publique Rossia-24.

Formellement, les députés amenderont une loi datant de 2012, qui ne concerne jusqu’à présent que les ONG, pour qu’elle puisse s’appliquer aux médias. La décision de déterminer quels médias, américains ou d’autres pays, devront s’enregistrer en tant qu'”agent de l’étranger” revenant au ministère russe de la Justice. Ces amendements ont été adoptés en deuxième et troisième lecture mercredi, selon M. Tolstoï. Ils seront ensuite envoyés au Conseil de la Fédération, la chambre haute du Parlement, pour être validés, ce qui relève généralement de la formalité. Enfin, Vladimir Poutine devra les promulguer.

Des parlementaires ont estimé que la nouvelle loi pourrait s’appliquer aux fleurons de la guerre médiatique atlantiste :  Voice of America et Radio Free Europe/Radio Liberty, deux radios financées par le Congrès américain, voire aux chaînes américaine CNN ou allemande Deutsche Welle (la propagandastaffel de Berlin).

La loi de 2012 sur les “agents de l’étranger” oblige déjà les organisations non gouvernementales bénéficiant d’un financement de l’étranger et ayant une “activité politique” – une formule aux contours flous – à s’enregistrer sous cette dénomination controversée, qui rappelle celle utilisée par les USA depuis les Années 50 pour qualifier les communistes. Une autre loi, votée en 2015 et qui complète la première, permet de qualifier d'”indésirables” des organisations étrangères actives en Russie. Elles peuvent ensuite être interdites, qu’il s’agisse d’ONG, de fondations ou d’entreprises.

Plusieurs ONG ont dû renoncer, depuis l’adoption de ces deux lois en Russie, à un financement étranger qui leur était indispensable, tandis que d’autres ont cessé leurs activités.

La plupart étaient les fourriers d’une « révolution orange » en Russie.

LA RIPOSTE AUX LOIS AMERICAINES

La chaîne de télévision RT, contrôlée par l’Etat russe, a annoncé lundi s’être pliée aux exigences des autorités américaines en se soumettant à la loi dite FARA (Foreign agents registration act), qui oblige toute société représentant un pays ou une organisation étrangère à rendre régulièrement des comptes aux autorités américaines concernant ses relations avec cet Etat ou cette institution sous peine de voir ses comptes gelés. Ces exigences avaient provoqué la colère de Moscou, le président Vladimir Poutine dénonçant une “attaque contre la liberté d’expression” qui appellerait une “riposte adéquate et similaire”.

Le ministre russe des Affaires étrangères, Sergueï Lavrov, a répété mardi que les représailles russes seraient “rapides et réciproques”. Les mesures prises par Washington contre RT “montrent les projets de nos partenaires d’outre-atlantique (sic), dont l’objectif est d’interférer de manière grossière dans nos affaires internes, de contenir la Russie et au final de provoquer un changement de régime”, a dénoncé le sénateur pro-Kremlin Andreï Klimov lors d’une conférence de presse à Moscou.

Selon RT, qui émet en plusieurs langues, « le ministère américain de la Justice lui a demandé de se soumettre à la loi dite FARA » (Foreign agents registration act), obligeant toute société représentant un pays ou une organisation étrangère à rendre régulièrement des comptes aux autorités américaines concernant ses relations avec cet Etat ou cette institution.

« L’OCCIDENT MENACE LA SOUVERAINETE DE LA RUSSIE », SELON UN RAPPORT RUSSE

« L’Occident finance des ONG russes, incite les jeunes à manifester et discrédite l’État russe via les médias », dénonçait ce 11 octobre dans un rapport la chambre haute du Parlement russe qui estime « la souveraineté de la Russie menacée ». Au cœur du Rapport, la guerre culturelle et le ‘soft power’ des USA.

« La création et le soutien d’ONG qui (…) défendent les intérêts d’États étrangers ainsi que l’implantation d’enseignants occidentaux dans le système éducatif (…) menacent sérieusement la souveraineté » de la Russie, estime ce rapport de la Commission pour la protection de l’indépendance nationale du Conseil de la Fédération. Cette commission, créée en juin dernier, estime par ailleurs que “l’engagement des jeunes dans des actions de protestation”, incitées par l’Occident selon le rapport, constitue aussi une menace, de même que « les médias et les réseaux sociaux qui discréditent » la Russie et l’Église Orthodoxe russe. « L’ingérence dans les affaires intérieures de la Russie ne se fait pas uniquement via une propagande directe, effectuée par des médias comme Radio Svoboda (financée par Washington, ndlr), mais aussi avec des programmes éducatifs impliquant des journalistes russes » ou via « la formation de cadres politiques russes à l’étranger », poursuit ce rapport.

En 2016, l’antenne russe du mouvement politique ‘Open Russia’ (Russie ouverte), financée par l’opposant en exil en Europe et ex-oligarque Mikhaïl Khodorkovski (sur le modèle des ‘Opezn Society’ de Georges Sorös, auquelle elle est liée), « a investi plus d’un million de dollars (…) dans la campagne électorale et les manifestations non-autorisées de l’opposition », affirme la Commission.

« Les autorités américaines et leurs satellites de l’OTAN » (notamment les « vitrines légales de la CIA » et les Fondations atlantistes allemandes, Frierdrich Ebert Stiftung et cie) sont montrés du doigt par cette Commission, dirigée par le vice-président de la Commission des affaires étrangères du Conseil de la Fédération, Andreï Klimov, et créée en réponse aux accusations de Washington sur « l’ingérence russe dans l’élection présidentielle américaine ».

Le rapport préconise d’interdire toutes les activités d’ONG financées depuis l’étranger, à l’exception de celles qui sont coordonnées avec l’État russe. Cette recommandation intervient alors qu’une loi votée en 2012 oblige déjà les ONG bénéficiant d’un financement de l’étranger et ayant une “activité politique”, un concept très flou, à s’enregistrer comme “agent de l’étranger”. Une autre loi, votée en 2015 et qui complète la première, permet de désigner des organisations étrangères actives en Russie comme “indésirables”. Plusieurs organisations, principalement américaines, ont été déclarées “indésirables” et plus d’une centaine d’autres ont été désignées “agents de l’étranger”, selon les données du ministère russe de la Justice.

La Russie a donc en outre adopté une Loi visant les médias américains opérant sur son territoire de leur imposer de nouvelles restrictions en réponse aux plaintes de la chaîne de télévision russe RT, qui estime que ses activités sont entravées aux Etats-Unis.

(Sources : PCN-SPO – AFP – Tass – EODE Think-Tank)

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