Dopo gli incendi, come stanno i nostri boschi?

http://www.piemonteparchi.it/cms/index.php/natura/biodiversita/item/2152-dopo-gli-incendi-come-stanno-i-nostri-boschi

Pascoli bruciati nel Vallone di Bellino (Cn)
Foto V.M.Molinari

Elicottero della Regione Piemonte iin azione anticendio
Foto V.M. Molinari

Una porzione del Bosco dell’Alevè
Foto T. Farina| arc CeDrap

Le Oasi xerotermiche dopo il passaggio del fuoco
Foto arc LIFE Xerograzing

Operazioni di spegnimento nelle Oasi xerotermiche
Foto arc LIFE Xerograzing

  • Emanuela Celona
Martedì, 07 Novembre 2017 14:02

Gli incendi dei giorni scorsi hanno cambiato le condizioni naturali presenti ma, non necessariamente, hanno lasciato un suolo improduttivo. Perché c’è bosco e bosco

Piove, finalmente, sul Piemonte: ma speriamo non intensamente. Gli incendi boschivi divampati di recente nella nostra Regione hanno infatti ridotto la copertura forestale del suolo montano, rendendo più soggetto a erosioni il terreno nelle zone bruciate e più facilmente trasportabili i materiali accumulati.

Dal punto di vista di geologico, la pioggia che cade a seguito degli incendi non è mai una buona notizia – poiché va a incrementare il rischio di smottamenti e lave torrentizie -, però è comunque positivo che sia arrivata: è infatti anche grazie a queste previsioni meteorologiche che la Regione Piemonte – già venerdì scorso, 3 novembre – ha potuto comunicare che i vasti incendi boschivi si avviavano alla conclusione.

Rimane però ancora elevato il grado di allerta e attiva la sorveglianza sul territorio, tanto che tutta la popolazione è invitata a mantenere comportamenti di particolare attenzione e a non tenere comportamenti incauti o scorretti che possano innescare nuovi focolai.

I boschi del Piemonte, del resto, di fuoco ne hanno già visto abbastanza: incendi che, d’improvviso, hanno cambiato pesantemente le condizioni naturali presenti ma che, non necessariamente, hanno lasciato un suolo improduttivo.

Il bosco, dopo il passaggio del fuoco

«Tutto dipende dal tipo di biomassa che è bruciata nel sottobosco, spiega Vincenzo Maria Molinari, dirigente del settore Biodiversità e Aree naturali della Regione Piemonte. La grave situazione di siccità che ha vissuto la nostra regione ha sicuramente reso la biomassa presente molto più esposta al pericolo d’incendio.
Il fuoco, in alcuni ambienti, è infatti un fenomeno a cui la natura riesce a contrapporsi, continua Molinari, e in alcuni casi – come ad esempio nelle zone caratterizzate dalla macchia mediterranea – la vegetazione brucia con maggiore difficoltà: basti pensare al sughero delle querce (Quercus suber L.) dove questo strato esterno è in grado di difendere la pianta dal fuoco radente; oppure al rosmarino, che tramite la produzione di olii essenziali si protegge dalle scottature. Parliamo di macchia mediterranea non a caso, ovvero di una realtà boschiva in cui si possono verificare, seppur molto di rado, fenomeni di autocombustione, cioè nel bosco si possono verificare incendi non causati dall’uomo».

Quelli scoppiati in Piemonte, però, non sono un fenomeno naturale, né hanno coinvolto una vegetazione in grado di difendersi.
«Sicuramente i boschi travolti dal fuoco nei giorni scorsi avevano raggiunto un livello di necromassa bruciabile importante, dovuto al lungo periodo di siccitàche abbiamo attraversato. Se è vero che, in determinati contesti, il fuoco può agire anche da fertilizzante quando è radente – pensiamo alla pratica del debbio, vecchia come l’uomo – non vale lo stesso discorso se passa in chiomadove distrugge completamente la pianta. Inoltre, dove i focolai sono rimasti attivi per più giorni anche solo nel sottobosco, con più picchi di ripresa, è presumibile pensare che ci siano stati dei danni. Il fuoco potrebbe essere andato in profondità e aver interessato gli apparati radicali delle piante, soprattutto in zone montante come le nostre, in cui spesso pini cembri, larici, abeti e faggi sviluppano apparati radicali importanti ma superficiali, dato il terreno di matrice pietrosa», spiega il forestale.

Salvo il Bosco dell’Alevè

Solo con la prossima primavera, osservando la ripresa vegetativa dei boschi, si potrà fare una stima dei danni. Danni che, fortunatamente, hanno risparmiato il Bosco dell’Alevè – la più grande foresta di Pino Cembro (Pinus cembra) d’Italia e una delle più grandi d’Europa, nonché ZSC (Zona Speciali di Conservazione)– nonostante il fuoco sia arrivato fino ai confini del parco. «Tutte le conifere hanno una forte componente resinosa, infiammabile che contribuisce a far divampare incendi che, velocemente, passano in chioma, a maggior ragione in condizioni di vento: un rischio corso ma che, fortunatamente, in Alevè abbiamo scampato grazie a un efficace intervento dei Vigili del Fuoco e delle squadre A.I.B. della Regione», spiega Molinari, che precisa che i boschi coinvolti non erano altrimenti raggiungibili visto il terreno impervio «a conferma del fatto che soltanto l’intervento dei mezzi aerei poteva essere risolutivo, e non la presenza di più piste forestali, come talvolta sostenuto».

Danneggiate le Oasi xerotermiche in Valle di Susa

Se gli incendi ha risparmiato il Bosco dell’Allevè, lo stesso non si può dire per le ZSC (Zona Speciali di Conservazione) Oasi xerotermiche e Rocciamelone della Valle di Susa: qui sono stati risparmiati i sentieri didattici LIFE Xero-grazing ma lecci e ginepri – caratteristici di una vegetazione relitta mediterranea che milleni fa era dominante sul territorio – hanno subìto l’impeto del fuoco ma, attenzione, perché c’è bosco e bosco.

«Negli ultimi 60 anni, le aree un tempo coltivate e pascolate sono state progressivamente invase da quegli alberi e arbusti che tanto facilmente hanno preso fuoco e che con fatica AIB, cittadini e volontari hanno cercato in parte di tagliare per evitare il propagarsi dell’incendio e proteggere case e persone», si legge sulla pagina Facebook del progetto LIFE Xerograzing 
All’indomani dell’incendio, sono molte «le iniziative, più o meno autogestite, volte a incoraggiare il rimboschimento delle due ZSC (Zone Speciali di Conservazione) piantando alberi (spesso a caso) al posto di quelli bruciati. A tal proposito – si legge nel post – vorremmo sia chiaro che a livello ecologico e gestionale occorre distinguere tra soprassuoli forestali bruciati (per intenderci, a esempio, la preziosa pineta del Pampalù) e boscaglie di invasione bruciate (come quelle presenti in abbondanza sui vecchi terrazzamenti). Insomma, quegli stessi alberi che molti ora piangono, sono presenti perché l’uomo ha abbandonato e smesso di gestire il territorio sia dal punto di vista agro-pastorale, sia selvicolturale; rappresentano una delle principali minacce per la biodiversità quando vanno a sostituire gli originari habitat a prateria importanti per la sopravvivenza di molte specie vegetali e animali e hanno giocato un ruolo fondamentale nel determinare la propagazione dell’incendio» che non ha trovato prati e pascoli a interromperne l’avanzata, unito al vento incessante.

Spetterà dunque ai tecnici recuperare i boschi (quelli veri) andati distrutti, mentre ciò che l’uomo non esperto potrebbe fare è assicurare «la continuazione delle attività agro-pastorali e selvicolturali» sebbene siano diverse le variabili che determinano la capacità delle superfici forestali di resistere ai molti fenomeni di disturbo (più o meno naturali) cui sono sottoposte, tra cui gli incendi.

Una di queste è la resilienza dei boschi, ovvero la capacità di ripristinare le condizioni precedenti la perturbazione, in tempi adatti. In linea generale, da un punto di vista della gestione selvicolturale, questa resilienza può essere favorita ripristinando condizioni naturaliformi dei boschi che spesso, nel tempo, viene meno a causa delle necessità dell’uomo che ha reso i boschi più fragili. Il ripristino delle condizioni naturali boschive dovrebbe essere alla base della gestione selvicolturale di oggi per ricreare una maggiore stabilità e una migliore resilienza che non può proteggere dagli incendi, ma sarebbe una buona base da cui ripartire.

Si ringraziano per la consulenza forestale, Luca DeAntonis e Luca Marello, funzionari del settore regionale Biodiversità e Aree Naturali.

Lettera dei Consiglieri dell’Unione Montana Alta Valle di Susa

TG Valle Susa - Informazione indipendente

Sembra che i promotori dell’opera nella nostra Valle abbiano bisogno di comprare il consenso verso la NLTL con ogni mezzo, anche approfittando di emergenze e disastri ambientali.

 
Unione Montana Alta Val di Susa.
 
Pubblichiamo di seguito risposta alla lettera inviata dal Commissario di Governo Foietta inerente la proposta di destinare parte delle compensazioni CIPE ai comuni interessati dagli incendi di questi giorni e sulla relativa risposta del Presidente dell’UMAVS Piero Nurisso.
 
Lettera messa agli atti del Consiglio dell’Unione UMAVS del 30 ottobre 2017 firmata da 12 consiglieri dell’Unione.
I firmatari Consiglieri dell’Unione UMAVS:
  • Bianco Franca,
  • Comba Paolo,
  • Capella Leonardo,
  • Gagliardi Monica 

I firmatari Consiglieri Comunali Valsusini:

  • Ronsil Roberto,
  • Pozzato Enrico ,
  • Longo Valeria Maria,
  • Nurisso Germano Andrea,
  • Joannas Giuseppe,
  • Guglielmo Giorgio,
  • Bonnet Angelo,
  • Martinuz Ivano,

Di seguito la lettera:

In riferimento alla lettera inviata dal Commissario Straordinario di Governo per l’asse ferroviario Torino -Lione, Architetto Paolo Foietta al Presidente dell’Unione Montana Alta Valle Susa dr. Piero Nurisso ,nonchè al presidente dell’Unione Montana Valle Susa ing.Sandro Plano e per conoscenza al Prefetto di Torino dr. Renato Saccone, al Presidente della Regione Piemonte dr. Sergio Chiamparino e all Assessore all Ambiente dr.Alberto Valmaggia in data 26 ottobre 2017 ci preme fare alcune semplici considerazioni:

Esistono due tipi di Commissario di Governo: quelli con “portafoglio” e quelli senza. Nel nostro caso l’Arch. Foietta appartiene al secondo tipo cioè senza portafoglio. E infatti il Commissario propone “per quanto di sua competenza”.

Fatta questa precisazione, riteniamo deplorevoli le affermazioni del Presidente dell’Unione Montana Alta Valle Susa Piero Nurisso al “giornale” online “L’Agendanews”che qui riportiamo “Non ho ancora avuto modi di rispondere formalmente alla nota del Commissario, che ho invece raggiunto telefonicamente e ringraziato. Io credo che come istituzioni – di fronte a gravi emergenze quali stanno vivendo la nostra Valle e le altre zone colpite dagli incendi – si debba reagire in termini di solidarietà e concreta e pratica visione. E aggiungo con massimo senso di responsabilità verso tutti i cittadini. Ben venga lo stato di calamità chiesto dalla Regione, per avere rapidamente fondi destinati alle aree colpite per gli interventi, ma se è possibile in via straordinaria utilizzare soprattutto per opere durevoli di prevenzione dei rischi anche i fondi CIPE della Torino-Lione perché dire di no per motivi ideologici?”.

Ricordiamo con forza al Presidente Nurisso che nel suo ruolo istituzionale rappresenta una intera Comunità ma pare che troppo spesso se ne dimentichi.
Questo atteggiamento da parte di un amministratore pubblico non giova certo all’immagine dell’Unione in quanto la sostituzione delle vecchie Comunità Montane con la creazione delle Unioni dei Comuni ha avuto come risultato un ente snaturato, con precari finanziamenti da parte della Regione che male permettono di occuparsi del territorio montano. Qualcuno vorrebbe che le Unioni servissero solo ad accorpare le funzioni. Le esigue entrate e la non conoscenza/volontà da parte delle municipalità di accedere a bandi e finanziamenti europei portano sempre più spesso a pensare che solo in altri modi si possono trovare i soldi per andare avanti. Sarebbero anche questi i motivi ideologici a cui si riferisce nella dichiarazione Nurisso? I soldi che non vengono messi a disposizione della prevenzione e della manutenzione ordinaria del territorio dove vanno a finire?

Ma elargire denaro (ipotizzandolo, promettendolo) per venire incontro alle esigenze basilari delle popolazioni non è un dovere che compete ai promotori di grandi opere. Chi realmente è deputato a questo ruolo sta venendo volontariamente meno ai suoi doveri verso la popolazione in territori come il nostro: sembra che i promotori dell’opera nella nostra Valle abbiano bisogno di comprare il consenso verso la NLTL con ogni mezzo, anche approfittando di emergenze e disastri ambientali. In un momento storico delicato come quello che stiamo vivendo dove non vengono stanziati fondi per l’acquisto di canadair, assunzioni di VVFF, ampliamento dell AIB e della Protezione Civile, da parte di Stato e Regione pare che solo accettando la benevolenza di aziende pubbliche ma con diritto d’azione privato (come una normale impresa) si possa far fronte alle carenze.
La situazione dei roghi in Val Susa è stata sottovalutata dalla Regione Piemonte, mentre VVFF e Volontari sostenuti anche economicamente dai cittadini rischiano senza sosta per difendere il territorio oggi e il suo futuro domani.

Firmata

LA SOI-DISANT ‘GUERRE AU TERRORISME’ (II): QUAND LES USA PROJETTENT LA ‘PAKISTANISATION’ DE L’ALGERIE

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Flash géopolitique – Geopolitical Daily/

2017 11 10/

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« Les Etats-Unis veulent transformer l’Algérie en « Pakistan » de l’Afrique du Nord », analyse Maghreb Intelligence (ce 7 nov.) :

« C’est un projet qui remonte à Robert S. Ford, le diplomate américain qui a roulé sa bosse  dans les capitales les plus « chaudes » du monde arabe, notamment Damas et Bagdad. Lorsqu’il était en poste à Alger en 2006, ce diplomate chevronné a procédé à une étude approfondie des services de sécurité algériens et de son institution militaire. Le diplomate américain a rencontré dans la discrétion la plus totale de nombreux chefs des services secrets, de la police algérienne (DGSN) et de hauts responsables de l’armée algérienne. A partir de toutes ces rencontres, il dressera en 2007 une feuille de route remise au Département d’Etat américain sous l’administration Bush, avec l’orientation suivante: faire de l’Algérie le « Pakistan » de l’Afrique, à savoir l’allié militaire au Maghreb et dans le Sahel. L’objectif du diplomate américain est de pousser les autorités algériennes à renforcer leur coopération militaire avec les Etats-Unis, et de mener le plus régulièrement possible des opérations sur le terrain, à condition toutefois que l’Algérie s’aligne sur le programme politique américain dans la région.

Un plan qui n’a pas soulevé l’enthousiasme des décideurs algériens, tandis que pour Robert S.Ford une forte « sécuritocratie » en Algérie est un précieux rempart contre l’avancée de l’islamisme radical dans la région, d’autant que la diplomate américain craignait un développement dangereux du fanatisme en Algérie, en Mauritanie, en Libye, ainsi que dans les pays du Sahel.  Cette option devait contraindre les dirigeants algériens à des concessions pour se conformer à l’agenda américain.

Depuis 2014, Joan Polaschik, ancienne ambassadrice des Etats-Unis à Alger, a tout tenté pour concrétiser ce projet. Mais en dépit de la prédominance du président Abdelaziz Bouteflika sur les dignitaires de l’armée et du DRS, la « pakistanisation » ne convainc toujours pas une Algérie qui se méfie de l’Amérique, et qui demeure attachée à ses relations militaires particulières avec la Russie. Joan Polaschik peinera à organiser des rencontres fructueuses entre les militaires algériens et américains.

Cependant, les troubles qui éclatent au nord du Mali et les avancées inquiétantes de Boko Haram au nord du Nigéria ainsi que les événements sanglants en Libye  vont faire évoluer l’Algérie, qui va céder aux sirènes de l’administration américaine en renforçant la coopération avec la CIA et les diverses agences de renseignement américain. Les services algériens vont même fournir des informations précieuses aux militaires américains qui se déploient en toute clandestinité au Niger, au Mali et en Libye.

L’Algérie devient petit à petit le phare sécuritaire des Etats-Unis, et les professionnels américains forment des officiers à Alger et leurs conseils sont religieusement écoutés et appliqués. Même si Alger refusera d’envoyer des soldats en Libye, elle acceptera tout de même de mettre ses réseaux au service des Etats-Unis qui traquent les terroristes alliés avec Daech.

PAS D’INTERVENTION MILITAIRE DE L’ARMEE ALGERIENNE EN LIBYE : ALGER REFUSE DE SE JETER DANS LE GUEPIER LIBYEN COMME LE VOUDRAIENT LES USA !

Alger refuse en effet une deuxième demande de Washington d’intervenir en Libye !

L’Algérie a opposé une fin de non-recevoir à une deuxième demande américaine l’invitant à intervenir en Libye. Se référant à des sources diplomatiques à Alger, le site français spécialisé dans le renseignement Maghreb Intelligence, qui rapporte l’information, explique que Washington a, par deux fois, approché les dirigeants algériens afin qu’ils conduisent une force multinationale ou qu’ils interviennent seuls chez leurs voisins de l’Est. «Aussi bien le département d’Etat que le Pentagone ont essayé de pousser l’armée populaire algérienne à dépêcher un contingent en Libye afin de pacifier la capitale, ainsi que le long de la frontière avec la Tunisie», affirme cette source diplomatique.

Selon le site, «l’Algérie, toujours très influente en Libye où elle maintient un équilibre prudent entre les différentes factions rivales, sait qu’une intervention directe serait difficile à faire passer à l’opinion publique algérienne. D’autant que  la Constitution et la doctrine militaire du pays ne permettent pas une projection des forces armées en dehors de ses frontières».

ALGER CIBLE INITIALE DU « PRINTEMPS ARABE »

« Ce n’est pas un Printemps arabe mais un déluge sur les Arabes et cela se confirme chaque jour (…) C’est la colonisation de l’Irak, la destruction de la Libye, la division du Soudan et l’affaiblissement de l’Egypte » (Ahmed Ouyahia, Premier ministre algérien et leader du RND, en 2011)

« Le pouvoir ne semble pas avoir tiré les leçons de ce qui s’est passé chez nos voisins (…) l’Algérie a reporté son printemps arabe et elle ne l’a pas annulé » (Bouguerra Soltani, président du MSP, branche algérienne des Frères musulmans, en 2011)

Rappelons l’indécence et la perversité de ces demandes américaines pour que l’algérie intervienne en Libye. Car l’Algérie était la cible initiale du soi-disant « printemps arabe » et l’un des buts de la destruction de la Jamahiriyah était de « découvrir » l’Algérie …

Mon analyse est simple et elle est constante depuis 2003 (1) :

* La cible de l’Axe américano-sioniste est la même que celle du Régime Bush en 2003 et le « printemps arabe » n’est rien de plus que l’actualisation depuis 2009 par le Régime Obama du projet dit du « Grand Moyen-Orient ». Cette cible c’est le Nationalisme révolutionnaire arabe et les vestiges des états socialistes arabes.

* L’ultime étape de l’assaut occidental sera l’Algérie et le « printemps arabe » ne sera accompli pour ses promoteurs qu’avec cette dernière étape. Seule la Résistance de la Kadhafi en 2011 – qui a tenu 8 mois alors qu’on lui donnait deux semaines – et la Résistance de la Syrie ba’athiste a retardé une agression déjà esquissée en janvier 2011 et septembre 2011, puis en 2013.

Relire mes nombreuses analyses :

*Sur le coup d ‘état rampant de septembre 2011, cfr :

Luc MICHEL / ASSAUT ORGANISE CE 17 SEPTEMBRE 2011 CONTRE L’ALGERIE : COMME EN LIBYE ET EN SYRIE LE MEME COMPLOT AMERICANO-SIONISTE !

sur : http://www.elac-committees.org/2011/09/17/luc-michel-assaut-organise-ce-17-septembre-2011-contre-l%e2%80%99algerie-comme-en-libye-et-en-syrie-le-meme-complot-americano-sioniste/

* Lire mes analyses – « Le Monde arabe est en feu » (sur PCN-TV) – exposant la nature véritable du soi-disant « printemps arabe » dès début février 2011. Cfr :

PCN-TV, “Le Monde arabe est en feu” : Entretien en Français de Luc MICHEL pour PCN-TV, sur les soit-disant « révolutions arabes » (Tripoli, 7 février 2011).

VIDEO sur Vimeo : http://vimeo.com/26435385

VERBATIM sur le Website THE JAMAHIRIYAN RESISTANCE NETWORK : http://www.elac-committees.org/2011/08/03/6-fevrier-2011-luc-michel-annonce-depuis-tripoli-l%E2%80%99agression-occidentale-contre-la-libye-et-la-syrie/

* Cfr. Luc MICHEL, OU VA L’ALGERIE ? / I : ALGER DANS L’ŒIL DU CYCLONE DU GRAND MOYEN-ORIENT … sur http://www.elac-committees.org/2012/09/28/luc-michel-ou-va-l%e2%80%99algerie-i-alger-dans-l%e2%80%99oeil-du-cyclone-du-grand-moyen-orient-%e2%80%a6/

* Sur le contentieux entre l’Algérie et les islamistes radicaux, vu au prisme du chaos libyen :

Luc MICHEL / LIBYE-ALGERIE : ALGER VERSUS LE SOI-DISANT « CNT ». OU COMMENT LES FANTOCHES DE BENGHAZI PREPARENT LA PROCHAINE AGRESSION DES USA ET DE L’OTAN …

Sur : http://www.elac-committees.org/2011/09/08/luc-michel-libye-algerie-alger-versus-le-soi-disant-%c2%ab-cnt-%c2%bb-ou-comment-les-fantoches-de-benghazi-preparent-la-prochaine-agression-des-usa-et-de-l%e2%80%99otan-%e2%80%a6-2

NOTE :

(1) Lire Luc MICHEL, « L’AGRESSION AMERICANO-SIONISTE EST UNE GUERRE IDEOLOGIQUE CONTRE LE NATIONALISME ARABE : APRES BAGDAD, DAMAS ET TRIPOLI SONT EN LIGNE DE MIRE ! », éditorial du 7 octobre 2003, LE QUOTIDIEN DU PCN – N° 765, sur :

http://www.pcn-ncp.com/editos/fr/ed-031007.htm

et http://www.syria-committees.org/rediffusion-dune-analyse-importante-de-luc-michel-sur-le-monde-arabe/

(Sources : Maghreb Intelligence – Algérie Patriotique – ELAC Website – EODE Think-Tank)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

* PAGE SPECIALE Luc MICHEL’s Geopolitical Daily https://www.facebook.com/LucMICHELgeopoliticalDaily/

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* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

WEBSITE http://www.lucmichel.net/

PAGE OFFICIELLE III – GEOPOLITIQUE

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TWITTER https://twitter.com/LucMichelPCN

* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

WEBSITE http://www.eode.org/

STAVOLTA DAVVERO VERSO UN’ALTRA GUERRA – MEDIORIENTE, QUEL CHE SI VORREBBE E QUEL CHE PURTROPPO E’

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/11/stavolta-davvero-verso-unaltra-guerra.html

MONDOCANE

GIOVEDÌ 9 NOVEMBRE 2017

Partiamo con una notizia esaltante. Liberata Abu Kamal, città al confine siro-iracheno, dalla vittoria congiunta dell’Esercito Libero Siriano e dalle truppe irachene, esercito e Forze di Mobilitazione Popolare. Una vittoria di altissimo valore simbolico, che vede uniti due paesi che l’imperialismo-sionismo, insieme ai clienti satrapi del Golfo, avevano tentato di distruggere. Un nuovo inizio di unità nazionale araba con il concorso della Russia, dell’Iran e delle forze antimperialiste libanesi. Che questa, per oggi, ci paia l’unica notizia buona non diminuisce la nostra gioia e gratitudine.

Trump e Mohamed bin Salman: verso l’abisso

E’ un antico vezzo di intellettuali, tra cui carissimi amici di notevole livello teorico, attenti alle profondità degli eventi e, come insegnava Montessori, ai dettagli e alle connessioni (vedere gli alberi nel bosco), quello di cucire un vestito e metterlo addosso al soggetto di cui trattano, convinti che gli stia bene, benché una manica sia corta e le spalle caschino.  Succede in particolare da chi scatta dagli stessi blocchi di partenza, anche quando sono cambiati, anche quando non ci sono proprio. Tipo Stati Uniti democrazia liberatrice, o URSS comunque dalla parte di classi e nazioni oppresse. Ruolo che qualcuno poi trasferisce alla successiva Federazione russa. A volte adottando la sineddoche dove la parte per il tutto è la salvezza della Siria dalla disintegrazione programmata dai suoi nemici e il tutto (discutibile) è il ruolo salvifico di Mosca ovunque si aprano contraddizioni e pericoli.

Se qualcuno non fa quel che dice Mosca, allora gli Usa fanno bene a sgretolarlo

Ricordo, a proposito, come si infilarono nella trappola delle mistificazioni propagandistiche imperialiste quelli di Rifondazione quando, alla mia difesa dell’Iraq di Saddam maciullato, ripetevano a pappagallo la balla secondo cui il leader iracheno era stato per anni “l’uomo degli americani”, da loro armato, per cui ben gli stava (dagli Usa i dati e le immagini confermarono che in Iraq non era mai arrivato niente che non fosse vecchio armamentario sovietico e cecoslovacco). A questa balla occidentale sommarono quella sovietica, secondo cui Saddam non meritava nessuna solidarietà poiché aveva rotto la coalizione di governo con comunisti e curdi e di comunisti ne aveva poi uccisi 5000 (Il PC iracheno, all’atto dell’aggressione iraniana del 1980, su ordine di Mosca si schierò con Tehran. Nell’emergenza bellica, Saddam sciolse la coalizione a tre e impose ai comunisti la scelta tra entrare nel Baath, o andare in esilio in Siria. La maggioranza si schierò con il Baath e con la difesa della patria. Alcuni dirigenti, credo 150, che erano andati a combattere con gli iraniani, furono catturati, processati e giustiziati per alto tradimento). Essendo per i compagni l’URSS buona, Saddam era cattivo e gli Usa avevano ragione. Dove si vede l’eterogenesi dei fini degli schemi preordinati in cui incastrare la realtà.

Siria, Iraq: sembrava fatta. Una cippa.

In Medioriente sta succedendo un ambaradan che fa di Casamicciola  una festa di capodanno e rischia di dare ai sette anni di indicibile sconvolgimento siro-iracheno la qualifica di prodromo di qualcosa di peggio.

Ho tutta la stima per Putin e per il suo ruolo decisivo nel contrasto all’espansionismo necroforo degli psicopatici agli ordini dell’élite occidentale. Per i sacrifici che i militari russi hanno subito nell’impedire che la Siria fosse cancellata dalla faccia della Terra. Questo, a dispetto del fatto che certi mezzi di comunicazione dell’establishment russo, ci parlino di un Lenin “psicopatico sifilitico”, “terrorista e traditore”, di una Chiesa Ortodossa pilastro centrale ed eterno di tutte le Russie e di una “rivoluzione bolshevica che ha spazzato via l’illuminato e umano regime zarista e costituito per la Russia la più grande catastrofe di tutti i tempi”. Roba che fa leggermente barcollare e che ci fa capire che ogni questione morale o ideologica è ormai completamente esclusa dai rapporti internazionali.

Mohamed bin Salman: colpo di Stato e apertura delle porte dell’inferno

Hariri-re Salman

Sapete quel che è successo. Su ordine dei suoi padrini sauditi, si è dimesso un manigoldo di primo ministro libanese, Saad Hariri, cittadino libanese ma anche saudita e, come il padre Rafik, grande farabutto palazzinaro e speculatore, ammazzato da Cia e Mossad nel 2005. Come lui, infeudato ai petromonarchi di Ryad e fiduciario di Israele e Usa per la destabilizzazione del Libano.  Dimissioni fattegli dare vergognosamente a Riyad, abbinando alla mossa l’insulto al paese che governava. Le ha giustificate accusando Hezbollah, partner di governo, di rovinare il paese per conto di un Iran che si propone di divorare l’intero Medioriente ingabbiandolo nell’ “Arco scita”. Lo ha dichiarato da fantoccio del ventriloquo Mohamed Bin Salman, figlio del re in carica, ma in effetti nuovo uomo forte della satrapia. Mohamed lo aveva richiamato in “patria”, appena compiuto quel colpo di Stato con il quale aveva rimosso qualche dozzina di principi della casa reale, ministri, parlamentari, tycoon miliardari ed eventuali rivali nella successione. MBS è anche colui che ha fortissimamente voluto il genocidio yemenita, realizzato con il concorso di Usa e Nato (decisivo per uno Stato militarmente tanto armato quanto inetto come la Saudia); che ha ostracizzato il Qatar, l’ex-compare di sterminio, tramite mercenari jihadisti, di siriani e libici, perché troppo tenero con  l’Iran. E’ colui che ha annunciato  la “modernizzazione dell’Arabia Saudita e dell’Islam”, non tanto mediante attenuazione della dittatura delle decapitazioni, quanto con miliardi da investire in orrende espansioni  urbanistiche e tecnologiche, ovviamente gradite alle multinazionali Usa e occidentali in genere.

Tutto bene, madama la marchesa?

Tutto questo, nell’analisi di taluni, non inficerebbe minimamente “il visibile avvicinamento tra Arabia Saudita e Russia”. Rapprochement che “getterebbe scompiglio” nel fronte che include Usa, Nato, Turchia, Saudia, Qatar, Israele, UE. E prezzemoli vari. Scompiglio, ovviamente, per via diplomatica, ché l’alternativa sarebbero bombe su tutto e tutti e, inesorabile, l’olocausto nucleare. Tutto questo sarebbe favorito da quell’”avvicinamento” tra Ryad e Mosca. Non solo, ma addirittura dai “rapporti di odio-amore (sic) tra russi e israeliani”. Sarà pure scocciante che, a ogni tentativo di fermare il Golem che si avventa su ogni cosa, ci si debba appendere alle volatili armi diplomatiche perché sennò scatta il ricatto nucleare.

Sarebbe bello…

Sarebbe bello che gli asini volassero…

Alla base c’è una considerazione un po’ apodittica, un po’ frutto di grandissimo ottimismo della volontà: “Il tempo è contro l’Impero statunitense e Russa e Cina devono guadagnare tempo. Così diventerà impossibile, anche per i più folli, pensare a una guerra totale”. Direi un pio auspicio. I folli mica pensano. Mentre Russia e Cina guadagnano tempo, quegli altri militarizzano l’Africa, l’Oceano Pacifico, preparano qualcosa di brutto alla Corea del Nord, svuotano l’Africa dei suoi abitanti per riversarli, via Ong, su di noi, si radicano militarmente in Siria chiamando le loro basi Kurdistan, strappano al mappamondo lo Yemen…..

Stesso ottimismo della volontà afferma il “Progetto Isis in frantumi”. No, semplicemente sospeso o rivestito di altri panni.In frantumi lo sarà in Siria e in Iraq dove, sputtanato oltre ogni misura dalle sue pratiche orripilanti che dovevano servire a terrorizzare ogni resistenza fino alla resa e militarmente sconfitto  da forze ben altrimenti motivate e capaci, siriane, russe, Hezbollah, iraniane, l’Isis è stato sostituito dai “democratici, laici, ecologici e femministi” curdi. Curdi capaci di entusiasmare di più le vivandiere “sinistre” dell’imperialismo, in quanto aguzzini di siriani e nemici di Assad, dei troppo bigotti jihadisti. Si parla compiaciuti di “rimasugli dell’Isis”. Rimasugli?  Aspettiamo a vedere come verranno utilizzati in Libano, ma più probabilmente in  Afghanistan, Cecenia altre repubbliche ex-sovietiche. Questi mica si sono fatti l’11 settembre e inventati la guerra mondiale al terrorismo per piantarla lì tra Tigri ed Eufrate.

Esprimo stupore per la fiducia di alcuni nelle mosse diplomatiche della Russia che si spinge  fino a considerare che lo scapriciatiello al fulmicotone che ha liquidato metà della tribù del nonno fondatore, si sarebbe scavato la fossa perchè¸ pur di avvicinarsi a Mosca avrebbe fatto incollerire la Cia, Trump, il proprio esercito, Israele, e sarebbe dunque a un centimetro dalla fossa. Il resto del paese, invece, veleggerebbe sereno verso i lidi del Gruppo di Shanghai  (Russia, Cina, altri minori, da cui, peraltro, si va staccando un’India sempre più amerikana). E qui diventa clamorosa una contraddizione: ma se l’erede al trono si è alienato Cia, esercito, tre quarti dell’establishment reale, è lui, o sono quelli che ha voluto far fuori a “slittare verso Mosca, Shanghai, Eurasia”? Il bandolo della matassa sta nel conflitto tra Cia e Trump? Con  Mohamed filorusso che, per il suo golpe, avrebbe addirittura ricevuto una qualche copertura aerea da Mosca!!! A me parrebbe il contrario. Golpe amerikano contro il partito della moderazione e del dialogo. MBS sarà una testa calda, ma non si mette contro il mondo senza copertura, aerea o altra. Ma quella di Washington.

Torniamo al pessimismo della ragione e, ahinoi,  ai mostri della guerra

Vado in visibilio. Da giornalista di strada, spesso obnubilato dai fumi delle battaglie, sono spesso in soggezione davanti alla preparazione teorica e alla capacità di analisi dei miei interlocutori amici. Ma da mezzo secolo sul campo del Medioriente e dello scontro imperialismo-altri, sono anche abbastanza attrezzato a vedere le fratture tra quel che si vede dal tavolino e quel che succede nel quadrante. E mi sembra che ci sia perfetta  e lineare continuità nelle nuove vicende innescate dall’ “avventuriero” di Ryad.  Al suo assalto allo Yemen in rivolta scita gli americani hanno fornito supporto logistico, militare, di sorveglianza, di blocco aereonavale. All’operazione dimissioni di Saad Hariri, con annessa accusa a Libano-Hezbollah-Iran di aver dichiarato guerra ai sauditi avendo, loro, lanciato un missile nei cieli di Riad, Trump non può non aver dato il proprio avallo, dato che pochi giorni prima era lì a firmare con Mohamed bin Salman accordi economici e militari per miliardi. Un Trump che, dopo aver riassunto in pieno, sotto ricatto Russiagate, impeachment e peggio, gli obiettivi e i modi da Armageddon dei neocon hillariani, sarebbe ora tornato sui suoi passi concilianti e multipolari? Ma dove? Ma come? E sarebbe felice di vedere la fine dello storico legame tra i massimi fornitori e massimi consumatori di idrocarburi e di armi del mondo? Sogno o son desto?

Mohamed bin Salman e amici

Dunque, la nuova direzione saudita, vistasi con il presidente Usa, potenzia il suo sbranamento dello Yemen, alleato dell’Iran e di tutto l’Arco scita, ribadisce che Assad se ne deve andare, vistasi sorvolare da un razzo promette distruzione e lutto a Libano e Iran e allo scopo defenestra il premier libanese. Tutto questo d’intesa, non solo con un Trump totalmente alla mercè dello Stato Profondo Usa, ma con Israele, da tempo strettissimo alleato, in perfetta sintonia. Da tempo né Usa, né Israele, sapendo il valore dei propri soldati (buoni più che altro per Abu Ghraib, o per il fosforo su Falluja) e le ricadute delle bare imbandierate che rientrano, non attaccano nemici potenti e non rischiano le proprie truppe.

Che l’Idra a tre teste Saudia-Usa-Israele attacchi direttamente l’Iran è fuori discussione ed è improbabile che assalga il Libano in prima persona. Lo farà assalire. Siamo nel tempo dei “proxy”, delle deleghe, dei surrogati. I sauditi e subalterni manderanno denari, gli Usa forze speciali e droni, Israele insegnerà ai suoi ascari libanesi come si fanno attentati e stragi.

In Siria l’Idra non ha perso, ma non ha neanche raggiunto l’obiettivo prefissato della distruzione del paese, del suo sminuzzamento, della cacciata di Assad. In compenso gli Usa si sono insediati nel Nordest dove costruiscono basi  dopo basi per non andarsene più, come in Kosovo con Bondsteel. Ai riabilitati Al Qaida-Al Nusra, battezzati “moderati”, hanno condiviso che venissero assicurate ampie enclavi di autogoverno.(per future guerre civili). I turchi, alleati Nato che fanno giri di valzer con i russi, si sono assicurati una bella fetta del Nordovest siriano con la scusa di frenare i curdi, ma con l’effetto di essersi mangiati un pezzo di Siria. I curdi, il più fetido mercenariato USraeliano, sono usciti dalla loro ridotta e si sono fatti pulitori etnici e proconsoli degli Usa nel Nordest. La Siria non è stata rasa al suolo, non è stata squartata, ma è stata ridotta a pelle di leopardo e Mosca, sperando di irretire i curdi a stelle e strisce e con stella di David, sostiene un futuro assetto federale (premessa per ogni nequizia secessionista o spartitoria). Chi ha vinto? Con 300mila siriani morti e 4 milioni sradicati? Una cosa certamente non è vera, per quanto detta da un generale russo, quella che l’85% della Siria è stata liberata. E lo sarà, ora che Mosca ha annunciato il suo disimpegno militare?

 Ma non è contento neanche il branco degli aggressori. Sentono il peso di uno stallo che può tornare utile solo se si riprende l’iniziativa. E fatto togliere di mezzo al principe con le zanne i dubbiosi ed esitanti di fronte all’accelerazione, sfasciata la convivenza nel governo di coalizione libanese tra Hezbollah e destra filo imperialista e filoisraeliana (“Futuro” di Hariri,  falangisti di Geagea), invocata la santa alleanza contro Iran e Hezbollah, Usa, Israele e Sauditi riprendono l’iniziativa persa in Iraq e menomata in Siria, per asserirsi dominatori del Medioriente, delle sue fonti e condotte energetiche a spese di Russia, Iran, Qatar, Iraq, Libano.

Questo mi sembra lo stato delle cose. Ho lasciato fuori dalle considerazioni la Turchia, troppo inaffidabile e, dunque, imprevedibile. Non certo un elemento che correrà in soccorso al Libano, o che contrasterà la presa militare Usa su buona parte della Siria,  per quanto in combutta con gli odiati curdi,  o che si compiacerà a veder  ricostituirsi un forte Iraq, seppure a spese dei meno odiati curdi iracheni. Tra i due poteri che, con rispettivi alleati, si contendono l’egemonia sul Medioriente, Iran e Saudia, uno con mezzi pacifici, l’altro, debole e inetto, con le armi altrui, la Turchia fa la parte del terzo incomodo. Si deve barcamenare. Non gli affiderei neanche la mia pianta di Ficus.

Previsioni non ne faccio di solito. Ma a me pare che la buona intenzione dei russi, di seminare subbuglio nell’alleanza Usa-Israele-Saudia, sia svaporata di fronte al cordone ombelicale che unisce in un fronte necessitato geopoliticamente e geoeconomicamente queste tre teste dell’Idra assassina. Possibile che, molto presto, se la prendano con l’anello più debole, il Libano. La defenestrazione di Hariri prefigura un ritorno alla guerra civile che impegnerà gli Hezbollah su un nuovo fronte (indebolendo lo schieramento patriottico siriano), rifarà entrare in funzione l’Isis, potrà richiedere, nel caso che le cose non vadano per il verso giusto, l’intervento di Israele. E qui diventa difficile che non si muova anche l’Iran. La Russia insisterà con il tram ammaccato della diplomazia? Tutto può succedere.

In Libano mi son fatto la guerra civile, la prima e la seconda invasione israeliana e, nel 2006, la vittoria di Hezbollah sugli aggressori israeliani. Mi dispiace che stavolta non sarò in condizione di esserci.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 18:57

LE SOI-DISANT ‘RAPPROCHEMENT RUSSO-TURC’(II) : COMMENT LES PROJETS GEOPOLITIQUES NEOEURASISTE RUSSE ET TURC (INTEGRATION DANS L’UE OU PANTOURANISME) SONT ANTAGONISTES !?

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Flash géopolitique – Geopolitical Daily/

2017 11 08/

LM.GEOPOL - Neoeurasisme vs pantouranisme (2017 11 08) FR 3

Deux projets turcs s’opposent au Néoeurasisme russe :

D’une part la volonté (maintenue) d’intégrer l’UE ; D’autre part son alternative turque, le « Pantouranisme »…

* Lire aussi :

LUC MICHEL’S GEOPOLITICAL DAILY/

LE SOI-DISANT ‘RAPPROCHEMENT RUSSO-TURC’(I) :

COMMENT LA QUESTION DE CRIMEE OPPOSE ERDOGAN ET MOSCOU sur http://www.eode.org/luc-michels-geopolitical-daily-le-soi-disant-rapprochement-russo-turci-comment-la-question-de-crimee-oppose-erdogan-et-moscou/

I- LE PROJET D’INTEGRATION DE LA TURQUIE DANS L’UNION EUROPEENNE VS L’UNION EURASIATIQUE

J’ai publié en décembre 2006 la première version de mes « Thèses géopolitiques sur la ‘Seconde Europe’ unifiée par Moscou » (1). Analyse révolutionnaire qui renouvelait la vision géopolitique, mais aussi idéologique, des rapports Est-Ouest entre la Russie et ses alliés, et aussi la vision de la nature géopolitique de l’Union Européenne.

L’EURASIE DE POUTINE : UNE SECONDE EUROPE

Idée centrale, idée-force : L’Europe ne se limite pas à l’Union européenne ! Ni même aux états qui lui sont maintenant associés, comme la Moldavie ou la Serbie. La Russie, qui a retrouvé son indépendance avec Vladimir Poutine est aussi l’Europe ! Une SECONDE EUROPE, une AUTRE EUROPE eurasiatique se dresse désormais à Moscou face à l’Europe atlantiste de Bruxelles. Depuis il y a eu le « Discours de Valdai » de Poutine lui-même (2) …

Cette analyse se situe directement dans la perspective des thèses et des analyses développées entre 1982 et 1991 par les théoriciens de l’« Ecole de Géopolitique euro-soviétique » (Thiriart-Cuadrado Costa-Luc Michel) (3) – d’où est aussi issu après 1991 le « néo-Eurasisme russe » (4) (avec bien des déviations) – , qui prônait une unification européenne d’Est en Ouest. Une Grande-Europe de Vladivostok à Reykjavik, déjà autour de Moscou. Mes Thèses de 2006 actualisent les analyses « euro-soviétiques » après la disparition de l’URSS. Dès 1983, j’affirmais « La Russie c’est aussi l’Europe »…

Ce long détour pour faire comprendre que le projet eurasiste (ou Grande-Europe de Vladivostok à Reykjavik) et l’UE (petite-europe de Bruxelles et Berlin) sont deux visions antagonistes de l’avenir du continent eurasiatique. L’UE représentant par sa sujétion aux USA va l’OTAN la trahison même du projet européiste. Aujourd’hui en 2016, on ne peut plus être à la fois partisan de l’UE et soutenir le projet néoeurasien de Moscou. Par la voix de son ambassadeur à Bruxelles la turquie d’Erdogan a fait son choix. Et ce n’est pas celui du projet russe !

MAIS CETTE TURQUIE SOI-DISANT DEVENUE « EURASISTE » (DANS LES REVES DE CERATINS JOURNALISTES ET INTELLECTUELS) VEUT INTÉGRER L’UNION EUROPÉENNE D’ICI 2023 …

« Ankara ambitionne de rejoindre l’Union européenne d’ici 2023 », a en effet déclaré ce 19 août Selim Yenel, l’ambassadeur turc auprès de l’UE lors d’un entretien accordé au quotidien allemand DIE WELT. Le président de la Commission européenne, Jean-Claude Juncker, a toutefois prévenu que « le pays était loin d’être prêt ». « Cette date marquera le 100e anniversaire de la fondation de la République turque, a souligné le diplomate. Ce serait une consécration pour mon pays d’en devenir membre à ce moment-là. » « Un statut de membre à part entière est très important pour la Turquie, a-t-il ajouté. A long terme, la perspective de ne pas être admis dans l’Union est inacceptable ».

Le président de la Commission européenne, Jean-Claude Juncker, a toutefois précisé que « les négociations entre la Turquie et les États membres de l’UE devrait prendre plusieurs années » dans une interview donnée quotidien autrichien TIROLER TAGESZEITUNG jeudi dernier. Il a indiqué que « la Turquie ne devrait pas rejoindre l’UE bientôt parce que le pays ne remplit tout simplement pas les conditions. Quoi qu’il en soit, il ne faut pas arrêter les négociations », a-t-il ajouté. « Nous ne sommes pas seulement en discussion avec (le président turc Recep Tayyip) Erdogan et son gouvernement, mais nous visons une solution globale qui bénéficiera au peuple turc ». L’Autriche, en tête de la Turcophobie dans l’UE, avait appelé à « la fin des négociations avec Ankara pour rejoindre l’UE en raison de l’absence de normes démocratiques » à la suite du coup d’État raté le mois dernier. Mais « la demande a été peu soutenue lors d’une rencontre des ambassadeurs de l’UE cette semaine », ont indiqué les diplomates. La Turquie est officiellement candidate à l’Union européenne depuis 1999. Mais le dossier est ouvert depuis le début des Années 80. L’UE, qui est de facto un « club chrétien » (lire les anciens présidents français Giscard d’Estaing et Sarkozy) et singulièrement catholique, lanterne Ankara depuis des décenies.

Mais ironie de l’histoire, alors que Bruxelles a toujours rejeté la Turquie kémaliste et laïque, au destin européen assumé, elle a tissé une alliance politique étroite avec Erdogan. Jusqu’au coup d’état avorté de l’Eté 2016 ! Précisément entre les islamo-conservateurs néo-ottoman de l’AKP (proche des Frères Musulmans) et la Démocratie-chrétienne pilier fondateur de l’UE. L’AKP est en effet membre observateur … du PPE, le « Parti populaire européen » qui unit les partis démocrates-chrétiens de l’UE (CDU-CSU, CDH et CDNV belges, etc) ! Angela Merkel avait alors qualifié le lien entre l’Allemagne et la Turquie de « spécial », malgré les récentes tensions entre les deux pays. « Ce qui rend la relation germano-turque si spéciale est que plus de 3 millions de personnes d’origine turque vivent en Allemagne », a-t-elle précisé au groupe médiatique Redaktionsnetzwerk Deutschland. Binationaux (l’électorat étant cadenassé par le contrôle des associations turques exercé par l’AKP en alliance avec les « Loups gris » d’extrême-droite), ils y votent et sont un enjeu de politique intérieure. La situation est la même en Belgique, singulièrement en région de Bruxelles-Capitale …

… Mais Néoeurasisme et Union Européenne sont deux projets paneuropéens rivaux et incompatibles a court terme !

II- NON LE « PANTOURANISME » N’EST PAS UNE « VERSION TURQUE DE L’EURASISME » MAIS BIEN SON CONTRAIRE !

Aux sources du Pantouranisme (ou « Panturquisme ») : l’échec des « Jeunes Turcs » d’Enver Pacha et la défaite de l’Empire ottoman en 1918 …

L’AVENTURE D’ENVER PACHA

Il est Membre du Comité Union et Progrès (CUP), aussi appelé Mouvement Jeune-Turc. Ce mouvement, qui naît et se développe dans les écoles supérieures militaires de Constantinople, prône le retour à la constitution ottomane de 1876 abolie par le sultan Abdulhamid II et critique la politique servile de ce dernier à l’égard des occidentaux. En 1908 éclate la révolution jeune-turque à Salonique et Enver devient très rapidement un des leaders du mouvement qui parvient à renverser le sultan et installer la seconde ère constitutionnelle de l’Empire Ottoman. Très proche de l’Allemagne où il a étudié et où il retourne très régulièrement, il est l’un des artisans du rapprochement germano-ottoman et de la réforme de l’armée turque sur le modèle allemand.

Devant la défaite des jeunes-turcs aux élections de 1912 au profit de l’Union Libérale et encouragé par le discrédit du nouveau gouvernement à la suite de la crise des Balkans, Enver décide de prendre le pouvoir par la force. Il prend violemment d’assaut la Sublime Porte, le siège du gouvernement turc, et installe un triumvirat dont il fait partie à la tête de l’Empire. Il est de fait le seul maître du pays, n’accorde que très peu d’intérêt au Parlement et exécute ses opposants politique. Auréolé de ses victoires en Tripolitaine (guerre Italie-Empire ottoman) et en Bulgarie (guerres balkaniques), juste avant la première guerre mondiale, lié politiquement à une Allemagne qu’il admire (c’est l’époque des grands projets géopolitiques de l’Allemagne de Guillaume II au Proche-Orient), Enver choisit naturellement l’alliance des puissances centrales lorsque le premier conflit mondiale éclate.

ESSOR DU PANTOURANISME …

« DU BOSPHORE AU BAÏKAL » !

A la fin de la guerre, poursuivi pour le génocide arménien, Enver prend la fuite en l’Allemagne puis en Asie Centrale où il essaie de faire renaître son rêve de toujours : le Panturquisme (ou Pantouranisme). Il récupère un Courant politique visant à la réunion de tous les peuples finno-ougriens et turcophones, dont l’inventeur est Ziya Gögalp (1875-1924), un intellectuel turc à l’origine d’une doctrine, le « pantouranisme », qui prône le regroupement au sein d’une entité politique commune de tous les individus de race et langue turques qui vivent « du Bosphore au Baïkal ».

En s’appuyant sur les turcophones d’Asie Centrale il tente d’établir un Turkestan indépendant en s’alliant avec l’URSS contre des rebelles locaux, puis en se retournant contre les soviétiques. Il meurt le 4 août 1922 dans une bataille contre l’Armée Rouge dans l’actuel Tadjikistan, après quelques succès militaires. En 1996 sa dépouille est rapportée à Istanbul, où elle repose depuis.

GEOPOLITIQUE DU PANTOURANISME

Contrairemant à ce qu’avancent les eurasistes russes de droite, le Pantouranisme n’est pas une « version turque de l’Eurasisme », mais un projet géopolitique opposé, celui d’un empire turc en Asie centrale et au Caucase qui empêcherait par son existence même toute unification eurasiatique.

Le combat d’Enver Pacha perdu contre les bolchéviques qui entendaient restaurer de facto l’empire russe (selon la vision de Staline qui annonce déjà la « Troisième Rome nationale-bolchévique » de la fin des Années 20) (5) s’inscrit dans l’opposition fondamentale entre les deux projets géopolitiques. Les rêveries ésotériques et mystiques orientales, dont les eurasistes russes de droite ont encombré la géopolitique néoeurasiste, celle de Thiriart, expliquent cette incompréhension fondamentale du Pantouranisme.

NOTES :

(1) Cfr. Luc MICHEL, EODE THINK TANK/ GEOPOLITIQUE / THESES SUR LA « SECONDE EUROPE » UNIFIEE PAR MOSCOU sur http://www.eode.org/eode-think-tank-geopolitique-theses-sur-la-seconde-europe-unifiee-par-moscou/

(2) Voir sur EODE-TV :

EODE-TV & AFRIQUE MEDIA/ LE GRAND JEU (3) : POUTINE A VALDAI DECRYPTE Coproduction Luc MICHEL – EODE-TV – Afrique Media Sur https://vimeo.com/111845727

Luc MICHEL, décrypte la façon dont le Président russe Poutine conçoit la Géopolitique mondiale vue d’Eurasie. Il nous explique aussi d’où viennent les concepts géopolitiques derrière la vision russe du Monde et ses implications. Il aborder ce dossier au travers du grand discours de géopolitique que le Président Poutine a livré au Club Valdai, à Sotchi, ce 25 octobre 2014 …

(3) Au début des Années 80, THIRIART fonde avec José QUADRADO COSTA et moi-même l’« Ecole de géopolitique euro-soviétique » où il prône une unification continentale de Vladivostok à Reykjavik sur le thème de « l’Empire euro-soviétique » et sur base de critères géopolitiques.

Théoricien de l’Europe unitaire, THIRIART a été largement étudié aux Etats-Unis, où des institutions universitaires comme le « Hoover Institute » ou l’ « Ambassador College » (Pasadena) disposent de fonds d’archives le concernant. Ce sont ses thèses antiaméricaines « retournées » que reprend largement BRZEZINSKI, définissant au bénéfice des USA ce que THIRIART concevait pour l’unité continentale eurasienne.

Sur l’Ecole de géopolitique euro-soviétique, cfr. :

* José CUADRADO COSTA, Luc MICHEL et Jean THIRIART, TEXTES EURO-SOVIETIQUES, Ed. MACHIAVEL, 2 vol. Charleroi, 1984 ;

* Version russe : Жозе КУАДРАДО КОСТА, Люк МИШЕЛЬ и Жан ТИРИАР, ЕВРО-СОВЕТСКИЕ ТЕКСТЫ, Ed. MACHIAVEL, 2 vol., Charleroi, 1984.

Ce recueil de textes fut édité en langues française, néerlandaise, espagnole, italienne, anglaise et russe.

* Et : Жан ТИРИАР, « Евро-советская империя от Владивостока до Дублина », in ЗАВТРА ЛИ ТРЕТЬЯ МИРОВАЯ ВОЙНА ? КТО УГРОЖАЕТ МИРУ ?, n° spécial en langue russe de la revue CONSCIENCE EUROPEENNE, Charleroi, n° spécial, décembre 1984.

(4) Cfr.

* PCN-TIMELINE / IDEOLOGIE / 1984 : LE PCN REINVENTE L’‘EURASISME’ MODERNE http://www.lucmichel.net/2014/05/30/pcn-timeline-ideologie-1984-le-pcn-reinvente-leurasisme-moderne/

* Et PCN-SPO / L’EURASIE EST UNE IDEE EN MARCHE. MAIS QUI PARLAIT DE L’EURASIE ET DE L’EURASISME IL Y A 30 ANS ?

http://www.lucmichel.net/2014/05/31/pcn-spo-leurasie-est-une-idee-en-marche-mais-qui-parlait-de-leurasie-et-de-leurasisme-il-y-a-30-ans/

(5) Cfr. les travaux de Mikhail AGURSKY sur la « Troisième Rome » et le « National-bolchevisme russe » et mes nombreuses conférences sur le sujet. Il ne faut pas confondre le « national-bolchévisme allemand » (Nationalbolchevismus, 1918-1937) phénomène nationaliste avec le « national-bolchévisme russe », né au début du XXe siècle au sein d’une des fractions d’ultra-gauche (« V-Period ») du Parti Bolchévique de Lenine et devenu l’idéologie officieuse du Stalinisme dès la fin des Années 20.

(Sources : EODE Think Tank – Luc MICHEL)

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GEOPOLITICS SEEN FROM USA : ‘MOSCOW’S ‘NEW GRAND STRATEGY’ FOR THE INTERNATIONAL ORDER ‘IS STILL IN GESTATION’ (PRO US MOSCOW TIMES)

 

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

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2017 11 07/

LM.GEOPOL - Moscow grand strategy (2017 11 07) FR 3

Russian Scholar Dmitry Trenin For The Moscow Times, a pro western newspaper (1): “Moscow’s ‘New Grand Strategy’ For The International Order ‘Is Still In Gestation’.”

For The Moscow TimesRussian Russian scholar and ‘Carnegie Moscow Center director’ (2) Dmitry Trenin argues that Russia’s foreign policy has come “full circle” in the last 25 years. After the collapse of the Soviet Union, he says, Russia tried to “dock” with the West. Russia’s attempts failed, he adds, because it refused to “buy the admission fee for joining the Western club” – that is, accepting U.S. leadership.

Nevertheless, Trenin states that Russia’s new grand strategy for the international order has not been halted; instead, it is slowly emerging. He writes: “Moscow’s new grand strategy is still in gestation. It seeks to maximize connectivity with all, while putting Russia’s own interests first. Managing a large number of very different partners is difficult, but not impossible, as Moscow’s recent experience in the Middle East shows.”

Below are excerpts of Trenin’s article (3)

RUSSIAN SCHOLAR DMITRY TRENIN :

“MOSCOW REFUSED TO ‘BUY THE ADMISSION FEE FOR JOINING THE WESTERN CLUB: ACCEPTING U.S. LEADERSHIP’”

“Russia’s foreign policy has come full circle in the last 25 years. It started with the rejection of the Soviet Union’s superpower posture, its global geopolitical ambitions, and its ideology.

“The Russian Federation positioned itself as a ‘new Russia’ — no longer a superpower, with modest ambitions beyond its borders, and willing to go along with the Soviet Union’s former adversaries who became Moscow’s new friends and mentors. “It was not immediately clear what this new Russia’s national interests were – and whether or how they differed from those of its American and European friends. “But armed conflicts on the outskirts of the former USSR, the wars in the Balkans and NATO’s enlargement to the east, taught Russia’s elites and public some pretty hard lessons about the country’s post-Soviet role.

“NATO enlargement, the Kosovo crisis and the war in Chechnya marked the end of the early benign attitude toward the West, and above all the United States. It dawned on the Kremlin that, in the final count, Russia could only rely on nuclear weapons to protect its vital security interests.

“The financial default after the collapse of the Soviet Union demonstrated that Russia’s economic dependence on the West made it a much-diminished actor on the global scene, while giving foreigners every opportunity to meddle in Russian politics and economics.

“Russia made two more attempts to ‘dock’ with the West. After 9/11, it pledged support to the United States and sought an alliance with NATO, based on counter-terrorism, even as it proclaimed its ‘European vocation’ and a desire to integrate with the European Union.

“Toward the end of the decade, it proposed a ‘common defense perimeter’ with the U.S. and its allies, built around joint missile defenses, and worked with the EU on modernization partnerships.

“These attempts have failed, essentially over Moscow’s unwillingness to buy the ‘admission fee’ for joining the Western club: accepting U.S. leadership.”

“RELATIONS BECAME PROGRESSIVELY MORE STRAINED. GEORGIA WAS A WARNING SHOT”

“Relations became progressively more strained. Georgia was a warning shot. Ukraine marked a final break with past unrealistic assumptions and dispelled unfulfilled ambitions. Western integration on terms acceptable to Russia, until now a central pillar of Russia’s post-Soviet foreign policy, came crushing down.

“Ironically, the alternative to that course, re-integration of former Soviet borderlands around Russia did not survive the Ukraine crisis either. Just as Moscow could not accept U.S. tutelage, neither could its ex-Soviet partners give up their sovereignty to an entity dominated by Russia.

“EUROPEAN UNION AND UKRAINE ARE ALSO PART OF GRAND EURASIA, AND THE MISSION WILL NOT BE ACCOMPLISHED BEFORE EUROPE AND RUSSIA REACH A NEW NORMAL BASED ON EMPATHY IN DIVERSITY”

“Suddenly, the Russian Federation saw both its Plan A and Plan B foreign policies collapse simultaneously. And there was no Plan C. It appears however that the new grand design is slowly emerging. Russia is alone, but it is free to move. Its geographical position in the north and center of the great continent of Eurasia both allows and compels it to have a 360 degrees vision of its gigantic neighborhood, from Norway to North Korea, and from Murmansk to Mumbai.

“It has the two powerhouses of the continent, the EU and China, as direct neighbors, and it does not have to choose between them.

“Moscow’s new grand strategy is still in gestation. It seeks to maximize connectivity with all, while putting Russia’s own interests first. Managing a large number of very different partners is difficult, but not impossible, as Moscow’s recent experience in the Middle East shows.

“Keeping relations with China on an even keel will be a major long-term task. Creating a new regional order with China, India, Iran, Turkey and others will not be easy either. However, the European Union and Ukraine are also part of Grand Eurasia, and the mission will not be accomplished before Europe and Russia reach a new normal based on empathy in diversity.”

* Read (in french) on EODE THINK TANK/

GEOPOLITIQUE / THESES SUR LA « SECONDE EUROPE » UNIFIEE PAR MOSCOU sur http://www.eode.org/eode-think-tank-geopolitique-theses-sur-la-seconde-europe-unifiee-par-moscou/

NOTES :

(1) The Moscow Times is an English-language weekly newspaper published in Moscow. It is distributed free of charge at places frequented by English-speaking tourists and expatriates such as hotels, cafés, embassies, and airlines and is also available by subscription. The newspaper is popular among foreign citizens residing in Moscow and English-speaking Russians. In 2006, the paper began its alliance with the International Herald Tribune (USA), while 2009 saw the launch of the themoscowtimes.com website.

In the aftermath of the Ukrainian crisis, The Moscow Times was criticized by a number of journalists including Izvestia columnists, who in December 2014 called it a “militant anti-Putin paper, a digest of the Western press with extreme bias in covering events in Russia”.

(2) Un Think Tank américain, très hostile à la Russie dePoutine.

(3) Themoscowtimes.com, October 24, 2017.

(Source: Moscow Times – Twitter.com/DmitriTrenin)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

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* Luc MICHEL (Люк МИШЕЛЬ) :

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* EODE :

EODE-TV https://vimeo.com/eodetv

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LA SOI-DISANT ‘GUERRE AU TERRORISME’ (I): LA SOMALIE, LABORATOIRE DE LA GEOSTRATEGIE AMERICAINE DU CHAOS

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

Flash géopolitique – Geopolitical Daily/

2017 11 09/

LM.GEOPOL - Guerre au terrorisme I somalie (2017 11 09) FR 2

Dans une Somalie démembrée, livrée au chaos, les Shebab islamistes achèvent un pays à l’agonie assassiné par Washington et ses complices, ONU, NATO, UE et cie …

SOMALIE, NOUVELLES DU LABORATOIRE DU NOUVEL ORDRE AMERICAIN EN AFRIQUE ET AU « GRAND MOYEN-ORIENT »

Attentats sans fin à Mogadiscio, chaque semaine, depuis des années, des victimes tuées par des attaques suicides à la voiture piégée, revendiqués par les insurgés islamistes shebab  Une actu qui passe inaperçue dans les médias occidentaux et même africains … Des nouvelles sans fin d’un état disparu qui a servi de laboratoire à l’impérialisme mercantile américain – il faut cesser de qualifier stupidement d’ « empire » la thalassocratie marchande américaine qui n’est que la nouvelle Carthage (*) – pour concevoir son projet de Nouvel Ordre en Afrique et au « Grand Moyen-Orient ».

Qui se souvient aujourd’hui de l’Etat somalien en développement du régime socialiste de Siyaad Barre ?

I / LA DESCENTE AUX ENFERS DE LA SOMALIE

En octobre 1969, un Conseil révolutionnaire suprême (CRS), dirigé par les généraux Salad Gabeire Kediye et Mohamed Siyaad Barre, pren,d le pouvoir à Mogadiscio. Le CRS entend bâtir un nouveau régime et surtout un véritable état, qui mettrait fin au tribalisme, au népotisme et à la corruption. Aligné sur l’URSS, le gouvernement somalien lance des plans de réorganisation du territoire et d’alphabétisation de la population. Des cours nationales de sécurité sont instituées et opèrent en dehors du système judiciaire civil corrompu. En juin 1976, le CRS est dissous et un parti unique, le « Parti révolutionnaire socialiste somali », est créé.

Comme dans l’Afghanistan socialiste, allié à l’URSS, la gangue du destin clanique et tribal est brisée. Le destin de la Somalie sera aussi similaire à celui de l’Afghanistan socialiste. Une descente aux enfers provoquée par l’impérialisme américain et ses manipulations des tribus, des ethnies, des clans et des islamistes. Sans oublier le feu attisé des querelles entre la Somalie et ses voisins.

Première fissure, la guerre avec le voisin éthiopien :

En 1977 et 1978, la guerre de l’Ogaden, qui oppose la Somalie à l’Éthiopie voisine, également soutenue par l’URSS, amène Siyaad Barre à rompre avec l’URSS et à recevoir l’aide intéressée des États-Unis, tout en maintenant officiellement une idéologie marxiste-léniniste. Une nouvelle constitution est promulguée en 1979.

Affaibli sur les plans diplomatique et économique, le régime de Siyaad Barre perd son assise sociale. À la fin des années 1980, des mouvements de rébellion, habilement manipulés par Washington, voient le jour et prennent le contrôle d’une partie du territoire. Le 26 janvier 1991, Siyaad Barre doit fuir sa capitale.

Deuxième faille, la guerre civile somalienne, qui amorce le démembrement du pays :

En mai 1991, le nord du pays, où l’ethnie Issak est majoritaire, déclara son indépendance sous le nom de « Somaliland ». De facto indépendant, il ne fut reconnu par aucun gouvernement étranger. Le successeur de Siad Barre, Ali Mahdi Muhammad (janvier-novembre 1991) n’arrive pas à s’imposer sur l’ensemble du territoire, déchiré entre les seigneurs de guerre et les différents clans somalis.

Troisième brisure, l’intervention étrangère, ONU et USA, qui provoque le démembrement total :

En avril 1992, l’ONU envoie la première mission humanitaire « afin d’endiguer la famine », l’ONUSOM. Celle-ci est un échec. Le 3 décembre 1992, le Conseil de sécurité des Nations unies adopta à l’unanimité la résolution 794, qui approuvait la mise en place d’une force de maintien de paix sous l’égide de l’ONU, l’UNITAF. Organisée par Washington, l’opération prend le nom de « Restore Hope ». Les troupes atterrirent en 1993 et restèrent en poste durant deux ans.

De nombreux Somalis étaient hostiles à une présence étrangère. En octobre 1993, après l’arrestation par les forces spéciales américaines de proches de Mohamed Farrah Aidid, le leader du « Congrès de la Somalie unifiée » – une des factions armées -, plusieurs échauffourées éclatèrent à Mogadiscio, ce qui causa la mort de 24 soldats pakistanais et de 19 soldats américains. C’est le scénario du film BLACK HAWK, le « Faucon noir »…

L’Opération Restore Hope est officiellement un fiasco. Mais dans la pratique, c’est la « théorie géostratégique du chaos » qui est mise en place pour la première fois.

Au nord-est, le « Puntland » se déclara à son tour indépendant en 1998, déclarant « qu’il participerait à tout effort de réconciliation visant à reformer un pouvoir central » (sic). Le « Jubaland » fit à son tour sécession la même année. Il est actuellement englobé dans la « Somalie du sud-ouest ».

MILICES ET SEIGNEURS DE GUERRE :

ECLATEMENT ET PRIVATISATION DU DEFUNT ETAT SOMALIEN

Après le départ des troupes de l’ONU en 1995, la guerre civile en Somalie a progressivement décliné, avec l’arrêt de la plupart des conflits entre clans et l’apparition d’accords maffieux entre les divers groupes armés. « Diverses milices se sont reconverties en agences de sécurité privées occupant des territoires délimités parfois à quelques quartiers de villes. La paix n’a pas été rétablie (…) Depuis la fin des années 1990, la Somalie constitue un assemblage de territoires sous domination clanique, où tous les services sont fournis par le secteur privé ou par les clans traditionnels. Les institutions gouvernementales sont ainsi remplacées par des institutions privées ». Un scénario qui annonce les drames afghan, irakien ou libyen.

Ces factions armées, qui prospèrent de la piraterie et des trafics, dont celui de la Drogue, se sont partagées le territoire du défunt état somalien. Une « conférence de réconciliation » aboutit en juillet 2003 à un projet de « charte nationale » prévoyant le fédéralisme et mettant sur pied des institutions fédérales « de transition » (le grand concept occidental pour faire basculer les états). Nouvel échec.

En octobre 2004, le « Parlement fédéral de transition de la République de Somalie », exilé au Kenya en raison des affrontements entre seigneurs de la guerre à Mogadiscio, et formé en nombres égaux de représentants de chacun des quatre grands clans somalis, a élu en tant que président intérimaire Abdullahi Yusuf Ahmed, président du « Pays de Pount », qui tente de former un gouvernement de coalition avec les différents chefs de guerre du pays. « Les institutions somaliennes siègent au Kenya par mesure de sécurité à l’égard de la situation intérieure de la Somalie. Les institutions en exil n’ont aucun contrôle sur le pays en dehors de certains quartiers de la capitale Mogadiscio, leur autorité n’est pas reconnue à l’intérieur du pays, mais uniquement par les gouvernements étrangers ».

L’EMERGENCE DES ISLAMISTES SUR FOND D’INTERVENTION ETRANGERE

De ce chaos vont émerger les islamistes, « Tribunaux islamiques » et ensuite milices Shebab (« les jeunes », qui sera aussi le nom des premières milices du CNT à Benghazi en Libye, en février-mars 2011). Une situation qui rappelle aussi l’Afghanistan des Talibans.

En juin 2006, les affrontements entre les membres de « l’Alliance pour la restauration de la paix et contre le terrorisme » (ARPCT), « une alliance entre des chefs de guerre et le gouvernement fédéral de transition », soutenu par Washington, et l’ « Union des tribunaux islamiques », soutenus par de nombreux entrepreneurs de la capitale – islamisme et business sont inséparables on le verra en Libye, à Misrata en 2011) -, ont vu la victoire de ces derniers pour le contrôle de Mogadiscio. Le nouveau régime est soutenu par l’Érythrée, l’Iran et divers pays arabes, tandis que le gouvernement fédéral de transition, replié sur Baidoa, bénéficie de l’appui militaire de l’Éthiopie.

« Le rétablissement de l’ordre se fait au nom de la seule structure législative stable et consensuelle du pays, la jurisprudence chaféite ». Le chaféisme , parfois orthographié shafiisme ou chafiisme , est l’une des quatre écoles de jurisprudence de l’ islam sunnite. Parmi ces tribunaux islamiques, le plus important, celui de Mogadiscio, sert de pouvoir judiciaire (civil et pénal), en jugeant les affaires en appliquant la charia.

Depuis 2006, les voisins de la Somalie – Kenya, Ouganda, Soudan, Djibouti, Éthiopie et Érythré -, qui soutiennent le « gouvernement de transition de Somalie » dépendant de Washington, interviennent de plus en plus directement. S’y ajoute le rôle de l’ONU, qui organise en décembre 2006 une « force de maintien de la paix », composée de 8 000 hommes, sous l’égide de l’Union africaine (résolution 17254). Fin décembre 2006, l’armée éthiopienne intervient et les tribunaux islamiques fuient Mogadiscio. L’Ethiopie, vieil ennemi géopolitique de la Somalie, « prend ainsi le contrôle de la majeure partie du pays et le gouvernement de transition se déclare le gouvernement de facto du pays », et entre en guerre contre l’Union des tribunaux islamiques.

En janvier 2007, les États-Unis interviennent dans le sud de la Somalie pour « pourchasser des membres présumés d’Al-Qaida », vieux prétexte qui a bien servi et reservira.

Les troupes éthiopiennes commencent officiellement à se retirer de Somalie. Peu fréquent auparavant, les attentats-suicides se multiplient …

En décembre 2008, le président Abdullahi Yusuf Ahmed démissionne. Le Parlement, « réuni à Djibouti en raison du désordre en Somalie », élit alors le cheikh Sharif Ahmed, ancien dirigeant de l’Union des tribunaux islamiques, à la présidence de la République.

« Dès février 2009, divers groupes islamistes fusionnèrent au sein du Hizbul Islam et déclarèrent la guerre au gouvernement modéré de Sharif Ahmed. Cette coalition inclut « l’Alliance pour la nouvelle libération de la Somalie », dirigée par Hassan Dahir Aweys, l’un des chefs radicaux de l’Union des tribunaux islamiques, Hassan Abdullah Hersi al-Turki, un autre chef de guerre de l’Union des tribunaux islamiques et leader des » brigades de Ras Kamboni » et le groupe « Muaskar Anole ».

Cette nouvelle coalition islamiste est, avec le groupe al-Shabaab, la plus active dans le conflit. « De plus, en mars 2009, Ben Laden appelait dans un enregistrement au renversement de Sharif Ahmed ».

AL-SHABAAB : VOILA L’ISLAMISME RADICAL

Al-Shabbaab – ou les Shebab, « les jeunes » – « est un groupe islamiste somalien issu de la fraction la plus dure de l’Union des tribunaux islamiques, qui milite pour l’instauration de la charia et s’est déclaré en 2009 en guerre contre le gouvernement de Sharif Ahmed », qui paraît « modéré (sic) à côté d’eux. « C’est l’une des deux grandes organisations islamistes somaliennes, avec le Hezb al-Islamiya du cheikh Hassan Dahir Aweys ». L’organisation est placée sur la liste officielle des organisations terroristes des Etats-Unis depuis 2008. Les Shebab sont liés à al-Qaida et des cadres du Réseau de Ben Laden sont soupçonnés d’avoir rejoint la Somalie pour les encadrer.

Les Shebab obtiennent une grande victoire militaire lors de la bataille de Kismayo, en août 2008, reprenant le port, qui est situé près du Kenya et est la troisième ville du pays, à un chef de guerre, l’ex-ministre Barre Adan Shire Hiiraale. Sur un scénario qui rappelle une fois encore l’émergence des Talibans en Afghanistan, « après avoir pris contrôle de Kismayo, ils ont désarmé les milices locales afin de rétablir l’ordre. Parallèlement, ils instauraient la charia dans sa version la plus radicale, y compris pénale (lapidation d’une adolescente de 13 ans, coups de fouet pour des femmes portant des soutien-gorges9 et pour hommes ayant fumé du haschisch. Ils y ont aussi détruit des sites religieux (chrétiens et soufis) … Comme dans la Libye du CNT.

Fin 2008, les Shebab contrôlent la majeure partie du sud de la Somalie. À partir de 2011, ils subissent une série de revers faces aux offensives des forces gouvernememtales somaliennes, de la Mission de l’Union africaine en Somalie et de l’armée kenyane. Ils ont dû abandonner Mogadiscio en aout 2011 puis les principales villes qu’ils contrôlaient en 2012.

« En octobre 2011, l’armée kényane, appuyée par les troupes somaliennes, intervient dans le conflit, lançant l’opération Linda Nchi (« protéger le pays » en swahili) contre les positions d’Al-Shabaab. »

II / ACTUALITE DU CHAOS SOMALIEN : LES SEBAB INVAINCUS

Et nous voilà revenus au cœur de l’actualité.

Le terrorisme aveugle, celui des kamikazes et des attentats-suicide est en effet la première réponse des Shebab à leur défaite militaire sur le terrain classique.

En 2013, affirmait à l’AFP Ali Mohamud Rage, porte-parole des insurgés islamistes : «Les attaques contre ce type d’individus continueront jusqu’à ce qu’ils (les mécréants) soient éliminés du territoire sacré de Somalie »…

Les shebab ont depuis 4 ans multiplié les actions de guérilla et les attentats, notamment à Mogadiscio, depuis qu’ils ont été chassés en août 2011 de la capitale par une force de l’Union africaine (Amisom). Ils ont ensuite essuyé une série ininterrompue de revers militaires et avaient dû abandonner progressivement la totalité de leurs bastions du sud et du centre somaliens à l’Amisom et à un contingent éthiopien, entré en novembre 2011 en Somalie.

Mais en 2017, ils sont toujours là et à l’offensive dans la région de Mogadiscio alors que l’Amison va quitter le pays, impuissante … Les rebelles islamistes shebab, liés à Al-Qaïda, sont donc repassés à l’offensive en Somalie !

Les forces gouvernementales somaliennes et milices alliées ont, elles suivi le contingent éthiopien, laissant le champ libre aux insurgés dès 2013.

Le retour offensif des Shebab (comme celui des talibans en Afghanistan), que les médias occidentaux affirmaient « en déroute », est une leçon que devraient méditer les généraux français de l’OTAN engagés dans le bourbier malien …

Ce sera l’objet de la troisième partie de notre analyse (dans une prochaine édition)

NOTE :

(*) Je peste souvent contre cette absurdité historique et géopolitique sans nom !  Beaucoup d’écrivains aujourd’hui à l’extrême-gauche commettent un contresens de même nature que celui des Spartakistes allemands en 1916-19, se déclarant « spartakistes », et qui relève de la même erreur d’analyse sur l’Empire romain. Parce qu’ils ne connaissent mal l’Histoire et la géopolitique. Et parce que le Gauchisme développe, singulièrement depuis Mai 1968 en France, Italie ou Belgique, un discours anti-étatique sentimental. Notamment, des gens comme l’idéologue italien Toni NEGRI, qui parlent des Etats-Unis comme « d’un nouvel Empire romain » (sic). Contresens copié-collé de chez les Altermondialistes par certains idéologues néofascistes ou pro islamistes français et italiens.

Les Américains, c’est Carthage !!! Avec l’impérialisme carthaginois, ils partagent le recours à des armées de mercenaires, la domination par une oligarchie, non pas politique, mais économique et une vision qui consiste non pas à diffuser une culture, mais à piller la planète.

LES EMISSIONS SUR « LA GEOSTRATEGIE DU CHAOS » QUI COMPLETENT L’ANALYSE :

* Sur PANAFRICOM-TV/

LUC MICHEL: GEOSTRATEGIE DU CHAOS (I):

LE LABORATOIRE SOMALIEN 1990-2016 ( SUR AFRIQUE MEDIA)

https://vimeo.com/172971204

* Sur PANAFRICOM-TV/

LUC MICHEL: GEOSTRATEGIE DU CHAOS (II):

LA SOMALISATION DE LA LIBYE ( SUR AFRIQUE MEDIA)

https://vimeo.com/172973881

* Posdcast sur PCN-TV / GÉOPOLITIQUE /

Luc MICHEL SUR RADIO CAMEROUN :

MALI, SAHEL, LIBYE, PROCHE-ORIENT … LA STRATÉGIE DU CHAOS EN ACTION!

https://www.youtube.com/watch?v=Z1xpNkxuctY

* Podcast sur RADIO MOSCOU/ LA VOIX DE LA RUSSIE/ LA STRATÉGIE DU CHAOS EN ACTION ! (PAR LUC MICHEL) https://www.youtube.com/watch?v=CH4OodyNIIE&t=7s

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L’INDE ENTRE GEOECONOMIE – L’INTEGRATION EURASIATIQUE ET LES ‘NOUVELLES ROUTES DE LA SOIE’ – ET VIEILLE GEOPOLITIQUE (CONTENTIEUX AVEC LA CHINE ET ALLIANCE AMERICAINE)

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE/

Luc MICHEL pour EODE/

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2017 11 06/

LM.GEOPOL - Inde chine usa (2017 11 05) FR 1

« L’Inde ne se laisse pas entrer dans la rivalité avec la Chine » titrait hier Press TV (Iran) … La « révolution géopolitique » que représente l’intégration géoéconomique de l’Asie, concrétisée par les suites géopolitiques de la visite de Poutine en Iran, mais aussi par Pékin « qui courtise Téhéran » (dixit Foreign Affairs, USA), n’a pas fini de bouleverser l’échiquier du « nouveau Grand jeu ». Le tout s’inscrit dans le cadre des grands projets de Xi Jinping, « NOUVELLES ROUTES DE LA SOIE » (Silk Road) et « ONE BELT ONE ROAD » (OBOR). Des projets où l’Inde (terminus des routes) occupe une grande place, en particulier avec le « Corridor Helsinki – Bombay ». Sans oublier les BRICS dont New-Delhi fait partie, avec pourtant toutes les limites de ce concept. Et qui donc s’éloigne de Washington.

* Voir sur # PCN-TV/ GEOPOLITIQUE/

LUC MICHEL ET FABRICE BEAUR: VERS L’AXE EURASIATIQUE MOSCOU-PEKIN-TEHERAN sur https://vimeo.com/241417074

POURQUOI LE STATE SECRETARY TILLERSON EST ALLE EN INDE ?

Le quotidien South China Morning Post, publié à Hong Kong, a fait paraître, ce dimanche 5 novembre, un article, rédigé par le directeur du ‘Centre for Policy Alternatives’, Mohan Guruswamy, avec pour titre « L’Inde ne joue pas le jeu américain de rivalité avec la Chine » : « La politique d’autonomie stratégique de l’Inde signifie qu’elle agira toujours dans ses propres intérêts et mènera ses propres batailles.

« Les relations entre les États-Unis et la Chine restent tendues en raison des critiques que formule Donald Trump contre les politiques économiques de la Chine et les exigences excessives de Washington, qui demande que Pékin contribue largement à la neutralisation des menaces de la Corée du Nord. C’est totalement le contraire du processus qui est en cours entre les États-Unis et l’Inde », car Washington cherche absolument à élargir ses coopérations avec New Delhi. « Il n’est plus caché à personne pourquoi le secrétaire d’État américain Rex Tillerson s’est rendu en Inde. Il y est allé pour montrer au monde entier que Washington était en quête du soutien indien, face à l’influence et à la puissance croissantes de Pékin en Asie et en Océanie ».

Sans oublier les raisons géoéconomiques exposées en début de cette analyse, « les Indiens n’aiment nullement que l’essor de leurs relations avec les États-Unis soit fondé sur la puissance croissante de Pékin et non pas sur un sentiment d’amitié envers l’Inde. La politique étrangère de New Delhi est largement fondée sur le réalisme. C’est-à-dire que l’Inde ne se soucie que d’assurer ses intérêts momentanés et de protéger ses ressources à long terme. La politique non alignée, que l’Inde a poursuivie pendant les dernières décennies, a toujours très bien fonctionné pour une nation aux revenus modestes qui fait face à une avalanche de problèmes économiques ».

L’Inde, un pays aux revenus modestes, mais qui dispose du troisième PIB du monde et qui bénéficie d’un bon pouvoir d’achat, « ne voit donc aucune raison pour être le valet d’un pays tiers ».   L’Inde sait bel et bien qu’en cas d’exacerbation des tensions le long de ses frontières de 3 500 km avec la Chine, « ce sera le peuple indien qui devra en payer le prix ». Elle sait, de même, que le Japon et la Chine constituent deux importants partenaires économiques des États-Unis et que Washington ne se laissera jamais entraîner dans un conflit direct avec Pékin. C’est une raison suffisante pour que les Indiens, eux aussi, refusent de jouer le jeu de Washington. » Il est vrai que la délégation américaine, qui s’est récemment rendue en Inde, a fait de son mieux pour convaincre les autorités indiennes de rivaliser avec la Chine, mais cela n’a nullement modifié les politiques impartiales de New Delhi. »

MAIS CAR IL Y A UN MAIS !

… LE CHEVAL DE TROIE ISRAELIEN …

Il y a un cheval de Troie dans la position géopolitique de l’Inde, ce sont ses liens étroits avec Israël, au niveau de leurs industries d’armements !

« Israël a cherché à renforcer les liens dans le domaine de la défense avec New Delhi ces dernières années, en particulier dans les domaines de la défense aérienne et anti-missile », commentait  le Times of Israël (23 février 2017).

Comprendre que les BRICS ne sont pas une réalité géopolitique et encore moins une alliance. La vision des BRICS comme une unité géopolitique est une des nombreuses illusions de la « géopolitique de l’émotion » (qui est tout sauf de la Géopolitique et est basée sur une lecture biaisée de l’actualité immédiate) pratiquée par certains milieux conservateurs russes et français). La réalité géopolitique mondiale est extrêmement complexe : voici Israël, grand allié des USA, lié à l’Inde … dans la course aux armements opposant New-Dehli au Pakistan, lui-même proche allié de Washington (mais qui s’en éloigne lui aussi pour les mêmes raisons géoéconomiques, car Pékin a associé Islamabad à ses « nouvelles routes ») !

* Lire sur EODE. ORG/ GEOPOLITIQUE/

UNE REALITE MECONNUE : L’AXE STRATEGIQUE ET MILITAIRE INDE-ISRAEL sur http://www.eode.org/eode-geopolitique-une-realite-meconnue-laxe-strategique-et-militaire-inde-israel/

Photo :

Le secrétaire d’État américain Rex Tillerson et le Premier ministre indien Narendra Modi à New Delhi, le 25 octobre 2017.

LUC MICHEL (ЛЮК МИШЕЛЬ) & EODE

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CONTRE LA BRUTALITE DE LA REPRESSION NEO-FRANQUISTE DE MADRID : 200 BOURGMESTRES CATALANS DEBARQUENT A BRUXELLES CE MARDI !

 

Luc MICHEL/En Bref/ 2017 11 06/

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200 bourgmestres catalans débarquent à Bruxelles ce mardi !

Voici leur programme :

Demain/mardi quelque 200 bourgmestres catalans se rendront à Bruxelles pour “expliquer [eux]-mêmes” la situation en Catalogne, rapporte lundi le journal catalan La Vanguardia.

Ils reviendront sur l’incarcération d’une partie de l’ex-gouvernement régional et sur l’application du fameux article 155 de la Constitution espagnole, qui met la Catalogne sous tutelle fédérale. Le bourgmestre de la commune de Premià Mar (Barcelone) et président de l’Associació Catalana de Municipis (ACM), Miquel Buch, ainsi que la bourgmestre de Vilanova i la Geltrú (Barcelone) et présidente de l’Associació de Municipis per la Independència (AMI), Neus Lloveras, ont annoncé lundi leur venue à Bruxelles dans une interview à Catalunya Radio. La décision de se rendre ensemble à Bruxelles a été prise vendredi lors d’une réunion conjointe des deux exécutifs communaux.

L’OCCASION D’ABORDER “LA VIOLENCE POLICIERE, JUDICIAIRE ET POLITIQUE” CONTRE LES PARTISANS DE L’INDEPENDANCE CATALANE

L’aller-retour, qui se fera dans la journée de mardi, sera l’occasion d’aborder “la violence policière, judiciaire et politique” contre les partisans de l’indépendance catalane, explique M. Buch. Ce dernier affirme également qu’ils auraient pu être “le double” à se rendre dans la capitale européenne.

Une plainte du parquet espagnol vise Neus Lloveras et Miquel Buch ainsi que plusieurs centaines de bourgmestres catalans pour avoir collaboré à l’organisation du référendum du 1er octobre.

Au programme : deux événements

LaLibre.be « a appris à bonne source que les 200 bourgmestres se réuniront au rond-point Schuman, en face du Berlaymont, dès 13 heures ce mardi. L’objectif sera d’être vu et entendu par l’Europe entière. Plus tard, aux environs de 17 heures, ils tiendront une réunion à Bozar ».

Il s’agit aussi de répondre à la « Conférence de presse des opposants », en fait les patrons catalans proches de madrid !

« L’association catalane des entrepreneurs » (liés au patronat espagnol, qui mène de concert avec Madrid une sale guerre économique contre la Catalogne), opposée à l’indépendance de la région, se réunira également à Bruxelles mardi. Elle donnera une conférence de presse à 12h30 au Parlement européen. Plusieurs eurodéputés y prendront aussi la parole, affirme Empresaris de Catalunya. Ils pensaient venir répandre leurs médiamensonges sans contestation. C’est plutôt raté …

LUC MICHEL/ ЛЮК МИШЕЛЬ/

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