BUDAPEST DICE NO ALL’INVASIONE

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Il Populista

Orbán: “Resisteremo al piano Ue-Soros. L’Ungheria non sarà Paese di immigrati”

“Il progetto di sostituire etnicamente le popolazioni europee è una follia. Anche qui da noi arriverebbe il terrorismo, non sarebbe possibile difendere i confini”

di Redazione

– 19 Settembre 2017 alle 20:39

Orbán: "Resistere al piano Soros. L'Ungheria non sarà mai un Paese di immigrati"

Il premier ungherese Viktor Orbán

“Il Governo magiaro è pronto a difendere il futuro dell’Ungheria cristiana” ha affermato sabato il primo ministro Viktor Orbán, nel Parlamento di Budapest, in occasione del 9° congresso dell’Associazione degli Intellettuali Cristiani. “Dobbiamo imporci contro il progetto di Soros che vuole trasformare i Paesi dell’Europa Centrale in centri di accoglienzamulticulturali per immigrati”.

L’ideologia dei “Paesi per l’immigrazione” è sostenuta dal liberalismo, mentrel’ideologia dei “Paesi contro l’immigrazione” coincide con la sovranità nazionale e con l’insegnamento sociale cristiano, ha spiegato premier. Ha inoltre specificato che l’accoglimento del liberalismo nell’odierna Europa Occidentale “significherebbe semplicemente il suicidio intellettuale e alla fine entro breve tempo anche noi diventeremmo un Paese di immigrati con delle culture miste. Anche da noi arriverebbe il terrorismo, non sarebbe più possibile difendere i confini e al posto degli aiuti alle famiglie, l’importazione di popoli causerebbe una decadenza demografica degli ungheresi”.

“Il progetto di sostituire etnicamente le popolazioni europee con gli immigrati è una follia che nel linguaggio comune viene definita piano Soros, e si tratta di un programma di azione che descrive nei dettagli come e in che modo bisogna trasformare i Paesi dell’Europa centrale – che si oppongono – in Paesi di immigrati” ha detto il capo del governo. Secondo Viktor Orbán “non bisogna aprire crepe nel muro”, ma è necessario resistere fino alle prossime elezioni, perché il governo è pronto a difendere il futuro dell’Ungheria cristiana. “Tutti, anche Bruxelles, devono rassegnarsi ad accettare che noi non saremo mai un Paese di immigrati” ha sottolineato.

Il primo ministro ha spiegato che oggi è ancora tabù nella politica europea dire che esiste una tensione tra i Paesi pro immigrazione e quelli contro l’immigrazione e che la sfida storica dei leader europei è cercare una convivenza tra questi gruppi di Paesi. “Se non ci riescono, allora questa tensione può creare un distacco ancor più forte di quello odierno, un distacco definitivo nella storia della politica europea”. Secondo il punto di vista dell’Ungheria – ha continuato – i Paesi pro immigrazione svolgono una politica estera sbagliata, hanno perso il controllo sui propri confini e senza difendersi da una migrazione dell’epoca moderna hanno scelto una nuovissima direzione di sviluppo.

Orbán ha aggiunto inoltre che in Occidente i diritti civili degli immigrati hanno una priorità maggiore rispetto alla volontà dei cittadini europei che non vogliono farli entrare come clandestini illegali. Secondo il premier magiaro i “Paesi pro immigrazione” costituiscono l’insidia maggiore per i valori europei, perché sono in pericolo la libertà di religione, la parità tra uomini e donne, e anche la lotta contro l’antisemitismo perché degli immigrati nell’Europa Occidentale possiamo dire che “non sono per niente allineati con il popolo dell’Antico Testamento”.

“Noi seguiamo la vecchia legge secondo la quale un Paese senza confini è come un uovo senza guscio – ha detto spiegando che l’Ungheria non dimentica che durante la costruzione del “muro” i tedeschi, gli austriaci e i media occidentali “ci giudicavano con arroganza e a livello mondiale hanno diffuso delle calunnie, che non erano altro che una campagna ordinata a livello centrale, contro il nostro Paese“. Viktor Orbán ha sottolineato: “Il nostro governo vuole un’Ungheria ungherese e un’Europa europea, il che è possibile solo se continueremo ad impegnarci pretendendo un’Ungheria cristiana in un’Europa cristiana, perché solo questo può garantirci un futuro.

Il leader magiaro ha inoltre chiarito il suo punto di vista, secondo il quale nel caso di una migrazione, “i Paesi in difficoltà vanno aiutati là dove sussiste il problema ma non ha senso trasferire i clandestini qui da noi, perché in quel modo ci porteremmo qui anche i problemi”. Ha ricordato che proprio a causa di una sciagurata decisione dei grandi Paesi europei è stata bombardata la Libia che fino ad allora tratteneva l’ondata degli immigrati e anche la Siria è stata rovinata grazie all’intervento occidentale.

Circa i partiti ispirati dal cristianesimo il primo ministro ha detto: “Il compito della politica cristiana non è la difesa del cristianesimo bensì la difesa delle forme di vita umana da esso derivanti, come per esempio la dignità umana, la famiglia, la nazione e le chiese“. Questo rende possibile che i partiti di ispirazione cristiana ottengano più voti del numero dei fedeli nella società. “È una legge millenaria che l’Ungheria non può esistere senza dignità umana, senza famiglie sane, senza forti legami nazionali e senza solidi legami di fede” ha detto, spiegando: “il governo è convinto che ciò che è buono per i cristiani ungheresi sia buono anche per l’Ungheria”.

Per quanto riguarda gli intellettuali cristiani, Viktor Orbán ha detto: “Noi siamo quella parte della società ungherese che si immedesima in ciò che Dio ha creato ed il nostro interesse non è opporci alla volontà del Creatore, ma contrariamente, è nostro dovere osservare i suoi precisi insegnamenti”. Il cristianesimo è l’eredità dell’Europa di cui bisogna fare tesoro – ha detto alla conferenza Péter Erdő Cardinale, Primate, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, sottolineando che quest’eredità può essere sprecata “come fa il discendente stupido con l’eredità preziosa dei nonni”, ma può anche essere rispettata e messa al centro della nostra vita sotto una “nuova luce”.

János Latorcai, vicepresidente del Parlamento, ha chiosato: “L’Ungheria è diventata di nuovo paese di frontiera. La questione dei prossimi decenni sarà se se cadere e affondare nelle onde della migrazione della nuova era, oppure riuscire a costruire delle fortezze che non verranno trasportate dalla corrente”.

(Si ringraziano per la collaborazione András Kovács e Manuela Giovannoni)

Corte dei Conti, scoppia il caso Sabella

http://genova.repubblica.it/cronaca/2017/09/22/news/corte_dei_conti_scoppia_il_caso_sabella-176179819/

Nominato dal governo, ma sotto processo per il G8 del 2001. Lui: “Nessun conflitto di interesse”

di MARCO PREVE

22 settembre 2017
 

La sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti di Genova fra pochi giorni si pronuncerà nei confronti di 28 imputati accusati di un danno erariale da 12 milioni di euro relativo alla prigione lager di Bolzaneto al G8 2001 di Genova. Tra coloro che potrebbero essere condannati c’è anche un noto magistrato che pochi giorni fa è diventato, su espressa indicazione del Governo, consigliere della Corte dei Conti e, per ipotesi, potrebbe essere anche assegnato alla sede che lo sta giudicando. Il 15 di settembre «il Consiglio dei ministri — si legge sul sito governo.it — su proposta del Presidente Paolo Gentiloni » ha nominato «nell’ambito della quota di spettanza governativa» dodici nuovi consiglieri della Corte dei Conti. Fra di loro c’è anche Alfonso Sabella, magistrato attualmente in servizio al tribunale di Napoli ma in passato pm del pool antimafia di Palermo di Gian Carlo Caselli, consulente per gli allora Ds in Commissione parlamentare Mitrokhin, e ancora assessore alla legalità del Comune di Roma durante la giunta del sindaco Ignazio Marino.
Sabella, che nel 2001 era capo dell’Ispettorato del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap)è tra gli imputati del processo erariale in cui la procura regionale ha chiesto la condanna dei 28 citati per 12 milioni di euro, 7 per i risarcimenti pagati alle parti offese in sede penale e per le spese legali e altri 5 milioni per il danno di immagine arrecato ai ministeri della Giustiza e dell’Interno. Sabella, assieme all’ex generale Oronzo Doria sono gli unici due imputati archiviati nel giudizio penale. Anche per questo motivo la loro responsabilità è considerata «sussidiaria» rispetto agli altri. Ciò non toglie che l’allora procuratore regionale Ermete Bogetti chiese che «ciascuno dei due responsabili in via sussidiaria deve, dunque rispondere del danno di € 2.160.946,28…. nonché del danno di € 1.548.227,90, corrispondente alla metà del danno all’immagine». Nel decreto di archiviazione penale il gip definì «inadeguato e negligente» il comportamento di Sabella.
L’udienza in Corte a Genova si è svolta l’8 di marzo e si attende la sentenza. Il 5 settembre il consiglio di Presidenza della Corte dei Conti a Roma ha espresso parere favorevole alla sua nomina ufficializzata il 15 settembre. A Genova, la notizia ha suscitato reazioni polemiche. I membri del Comitato Verità e Giustizia si chiedono «come

 

 è possibile che nessuno a Roma si sia accorto del clamoroso conflitto di interesse?».
Alfonso Sabella risponde: «Nessun conflitto quanto all’opportunità lascio a voi il giudizio. Mi sembra che la sentenza non sia stata ancora emessa, io andrò a rimetterci economicamente, e sono stato scelto per le mie competenze in materia di pubblica amministrazione. Dove sarò mandato? Di certo non a Genova, penso che la mia sede sarà a Roma».

PAESE MIO CHE STAI SULLA COLLINA

http://www.notavtorino.org/documenti-14/sasso-stagno-compens-cap2-paesemio-17-9-17.html

Chiomonte e il cantiere Tav

Chiomonte è un Comune che oggi conta circa 900 abitanti, situato in Val di Susa a 750 m. di altitudine.
Da alcuni anni è all’onore delle cronache perché ospita sul proprio territorio il cantiere militarizzato della galleria esplorativa del Tav Torino-Lione. E’ nel 2011 che irrompe su Chiomonte (località La Maddalena, nella valle laterale del torrente Clarea) l’insediamento del cantiere che nel 2005 era risultato impossibile aprire a Venaus per l’opposizione popolare.

 Risorse economiche ed effetti del cantiere Tav

 Collocato in un contesto prevalentemente boschivo, negli anni del secondo dopoguerra il paese ha vissuto l’abbandono delle pur ridotte attività di agricoltura ed allevamento in favore dell’impiego in industrie della valle e del Torinese. A distanza di cinquant’anni molte di quelle stesse aziende hanno già chiuso o sono in profonda crisi.

 Una porzione del territorio chiomontino gode di un’esposizione ed un microclima che consentono, nonostante l’altitudine, la coltura della vite la (definita “eroica” per la gravosità del lavoro nelle vigne di montagna). Si tratta di un’attività che affonda le sue radici in epoca pre-romana, evocata anche nello stemma comunale in cui compaiono due grappoli d’uva; è sempre proseguita nei secoli tra alti e bassi, fino ad una crisi pressoché totale intorno al 1930. Dal 1997 è in atto un tentativo di rilancio dei vini valsusini, tra cui quelli prodotti a Chiomonte: i piccoli volumi di nicchia beneficiano ora della Denominazione di Origine Controllata. 
La presenza del cantiere Tav in val Clarea pesa sulle stagioni della viticoltura, costringendo la cooperativa dei produttori ad abbandonare la cantina sociale sita nell’area militarizzata e, per un lungo periodo, sottoponendo l’accesso quasi quotidiano alle vigne a continui controlli di polizia.

Fin dal tardo 800, ma soprattutto nella seconda metà del 900, Chiomonte, al pari di analoghi paesi montani, è stato sede di villeggiatura estiva per famiglie torinesi: questo tipo di turismo ha costituito nel periodo una significativa risorsa economica per abitanti, commercianti ed albergatori. Il fenomeno è però entrato in crisi irreversibile dopo il 2000; gli sparuti villeggianti sono stati ulteriormente allontanati dalle conseguenze locali del cantiere Tav: tensione sociale, posti di blocco militari, scontri, lacrimogeni…

Una delle poche attrazioni di natura culturale del paese era rappresentata dai resti di un villaggio neolitico costituito da “ripari sotto roccia” con annessa necropoli, sito di importanza europea adiacente al cantiere; dal 2011 l’area è parzialmente inclusa nella zona dichiarata di interesse strategico nazionale, per legge inaccessibile, mentre da anni l’annesso museo è chiuso, dopo essere stato adibito a quartier generale militare e sala di controllo del sistema di sorveglianza.
L’ulteriore danno arrecato dal cantiere al turismo culturale riguarda la Via Francigena, che fin dal Medioevo raggiungeva Chiomonte attraversando proprio quell’area della Val Clarea e che oggi è resa impraticabile da recinzioni e fili spinati.

Nella parte più elevata del territorio comunale, al Pian del Frais, fin dal 1930 si è praticato lo sci; l’accesso degli sportivi da Torino è stato favorito dalla costruzione di una seggiovia, già negli anni 50, collegata alla stazione ferroviaria del paese. Fra alterne fortune e difficoltà di bilancio la stazione di sport invernali, gestita da una famiglia di privati, ha resistito negli anni, pur contando su impianti di risalita modesti e piste adatte più che altro a bambini e principianti. Ha dovuto però chiudere dopo le olimpiadi del 2006 per riaprire poi, ma solo parzialmente, nel 2009-2010; anche perché la crisi economica, intanto, colpiva pesantemente la fascia sociale interessata alle stazioni sciistiche minori.

Le compensazioni promesse da marinaio?

L’operazione di ricollocazione del cantiere Tav da Venaus a Chiomonte è accompagnata da promesse di compensazioni per il Comune, quali la realizzazione della rete di distribuzione capillare del metano in paese e la costruzione di un paravalanghe presso la frazione Ramat. Stranamente Chiomonte era rimasto l’unico paese, tra alta e bassa Val di Susa, a non essere stato raggiunto dal metano; sembra ci volesse, paradossalmente, il danno pluriennale del Tav al territorio affinché il Comune potesse raggiungere dopo vent’anni la parità energetica. In realtà, trascorsi i 6 anni dello scavo geognostico si constata che della rete promessa non c’è (è il caso di dire) ancora un tubo, così come del paravalanghe non c’è un sasso.

Neanche la Démarche grand chantier in salsa piemontese ha premiato significativamente Chiomonte: sono stati risibili i vantaggi avuti da alberghi, ristoranti ed esercizi pubblici in paese per l’arrivo dei lavoratori del cantiere; assai più consistenti le ricadute positive per colleghi di Susa e Bardonecchia, ad esempio, per servizi di catering e soprattutto per l’ospitalità in Hotel delle milizie impegnate nel dominio del territorio.

Non si è dunque passati dalle parole ai fatti: le promesse di opere di accompagnamento e di ricadute positive non sono state mantenute ma nel frattempo (2013), per battere il ferro finché è caldo, si è provveduto a far balenare nuovi miraggi di futuribili opere compensative legate, questa volta, al progetto definitivo della tratta internazionale del Tav. 
La prima promessa è quella di regalare a fine lavori, a vantaggio del Frais, un nuovo svincolo dell’autostrada A32 Torino-Frejus, che va comunque realizzato preliminarmente per esigenze di cantiere: fin dal progetto ciò significa però che l’eventuale rilascio ad utilizzo pubblico non potrà avvenire prima del 2035. Ce la farà ciò che rimane della stazione sciistica ad aspettare tanto?
La seconda è una generica (per non dire vaga) proposta rivolta ai proprietari di case sfitte che dice: ristrutturatele con un mutuo e poi cedetene la gestione ad un ente apposito che vi garantirà di affittarle ai lavoratori del cantiere per tutti gli anni necessari a costruire l’opera.

La nuova maggioranza dell’amministrazione comunale, eletta nel Maggio 2014, non nasconde la sua delusione per il nulla di fatto e la preoccupazione per il futuro del paese e prova anche a stilare, nel 2015, un lungo elenco di richieste.

Le nuove disponibilità mostrate dall’alto, dai decisori del sistema di compensazioni, non paiono però recepire tali richieste, nonostante la prospettiva di ricadute negative della Torino-Lione sul territorio chiomontino sembri aggravarsi ulteriormente a partire dall’autunno 2016, quando inizia a concretizzarsi la proposta di ampliare notevolmente il cantiere esistente per poter scavare da questo sito, anziché da Susa, il tunnel di base. Il pericolo di maggiori impatti si fa più concreto a Luglio dell’anno successivo, quando la proposta si trasforma in variante di progetto: i cittadini sono sempre più preoccupati per la propria salute e qualità della vita, oltre che per il futuro del loro paese già in declino.

Sul terreno di questi timori cresce un’associazione che si ripromette di far arrivare a Chiomonte il massimo possibile delle risorse compensative che saranno stanziate per l’opera. Il suo attuale presidente afferma: “Di certo Chiomonte che da 5 anni subisce le conseguenze di ospitare il cantiere, con quello che accade intorno ad esso e lo dovrà fare per altri 10 e più anni, ha titolo – pressoché unico – e comunque più di ogni altro soggetto a rivendicare i fondi compensativi dell’opera”.
E’ un’associazione privata che contiene personaggi potenti, capaci di muovere finanziamenti e sponsorizzazioni, di fare azioni di lobbying e che pare proprio nasca appositamente per captare e maneggiare fondi destinati al paese: negli anni redige un ambizioso programma (il Progetto Chiomonte 2025) che intende intervenire a 360 gradi su tutte le risorse paesane per aumentarne le potenzialità: vigne, impianti sciistici, case di proprietà.

Un’associazione che, viene da pensare, fa senz’altro comodo agli stessi poteri di erogazione: si chiama Imprend’Oc.