TAV Torino-Lione: il bilancio dell’opera dopo 27 anni di progetti

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All’inizio di agosto il CIPE ha approvato i primi due lotti della tratta ferroviaria. Una “grande opera” costata già un miliardo di euro. La Francia, intanto, ha annunciato una “pausa di riflessione”. Intervista ad Alberto Poggio, membro della Commissione Tecnica a supporto dei Comuni dell’Unione Montana Valle Susa, Torino e Venaria Reale

La fresa a Chiomonte. © ANSA - ALESSANDRO DI MARCO
La fresa a Chiomonte. © ANSA – ALESSANDRO DI MARCO

Il 7 agosto di quest’anno, il CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) ha approvato i primi due lotti costruttivi della tratta transnazionale della linea ad Alta Velocità Torino-Lione, previsti dall’accordo tra l’Italia e la Francia. Altreconomia ha incontrato Alberto Poggio, ingegnere, membro della Commissione Tecnica a supporto dei Comuni dell’Unione Montana Valle Susa, Torino, Venaria Reale e del Movimento No Tav (circa 1 milione di cittadini rappresentati) per fare il punto sullo stato dei lavori, anche alla luce dell’ultimo aggiornamento. A oggi, l’unico cantiere in Italia si trova in Val Clarea, tra i comuni di Chiomonte e Giaglione, allestito per la realizzazione del tunnel esplorativo.

Ingegner Poggio, che cosa comporta la recente decisione del CIPE?
AP Negli ultimi 15 anni Italia e Francia hanno siglato svariati accordi sulla Torino-Lione, gli ultimi sono stati ratificati a fine 2016. La recente decisione del CIPE è un passaggio di attuazione, che arriva in ritardo di sei mesi, in quanto doveva essere adottata già nello scorso febbraio. Il testo non è ancora pubblico, dovrebbe riguardare il completamento dei lavori preliminari (in corso dal 2002) e lo scavo di alcuni chilometri del Tunnel di Base, attività che difficilmente potrà partire entro questo decennio. Per quanto riguarda i fondi, anche qui si tratta di una vecchia storia: furono stanziati dal governo Monti a fine 2012: 2,6 miliardi prelevati progressivamente dal bilancio dello Stato fino al 2027 (solo nel 2017 sono oltre 200 milioni). Un ingente impegno di risorse pubbliche ma ancora insufficiente a coprire gli oneri italiani per la realizzazione della Torino-Lione. Purtroppo, con l’attuale legislazione, è possibile iniziare a costruire parti di grandi opere (lotti, appunto) anche in assenza della disponibilità finanziaria complessiva. Questo è consentito anche se tali parti non saranno autonomamente in grado di funzionare (ovvero lotti costruttivi ma non funzionali), come nel caso di un troncone di una galleria sotto le montagne.

Oltre al tunnel esplorativo che cosa abbiamo della tratta dopo 27 anni di progetti e oltre 1 miliardo euro già speso?
AP 
Nemmeno un metro. Dovrebbe essere lunga 270 chilometri da Torino a Lione, e costituita da tre tronconi: la sezione italiana, quella transfrontaliera e quella francese. La parte internazionale, dovrebbe iniziare a Susa e concludersi a Saint-Jean-de-Mauirenne in Francia, coincidendo quasi totalmente con il Tunnel di Base: 57,5 chilometri sotto le Alpi. Se, come sembra dagli ultimi orientamenti politici, le tratte nazionali non saranno realizzate, il tunnel sarà collegato alle ferrovie già esistenti. Pertanto sarebbe un’opera sostanzialmente inutile perché non si avrebbe incremento della capacità di trasporto lungo il percorso ferroviario Torino Lione, che rimarrebbe pari a quelle delle linee attuali. 

Come sono ripartite le spese?
AP 
Dunque, quelle previste ammontano a 8,6 miliardi per il Tunnel di Base, più le tratte nazionali che possiamo stimare a 4,4 per l’Italia, più 2,4 miliardi, causati da una variazione al progetto che ha fatto ricadere sulla tratta nazionale italiana un pezzo di quella frontaliera. La Corte dei Conti francese ha stimato, nel 2012, un costo totale dell’opera pari a 26,1 miliardi di euro, quindi con una spesa per la Francia di 11 miliardi.Ma è importante dire che dei 57,5 chilometri solo 12,5 sono in Italia e il resto ricade sul territorio francese, ma le spese sono ripartite al 58% all’Italia e 42% alla Francia. Perché nei primi accordi nel 2004 la Francia si lasciò convincere solo a fronte della promessa italiana di sostenere la quota maggiore delle spese.

L’Europa come partecipa?
AP 
La partecipazione definitiva alle spese da parte dell’Europa non è ancora stata deliberata. Sarà oggetto di discussione dopo il 2020 e potrà arrivare al massimo a coprire il 40% sul costo del solo Tunnel di Base, meno del 13% sull’intera Torino-Lione. Inoltre, la società italofrancese titolare dei lavori, Telt, deve essere in grado di rispettare gli impegni presi. Nel periodo 2007-2013 la Commissione europea ha revocato oltre 270 milioni di euro di contributi alla Torino-Lione a causa del notevole ritardo dovuto a difficoltà amministrative e tecniche.

La Francia ha cambiato idea sulla sua tratta?
AP 
Da anni il Governo francese ha indicato come non prioritaria la realizzazione della tratta di sua competenza, che è lunga 140 chilometri, di cui il 60% in opere sotterranee, con costi di realizzazione molto alti. Recentemente il segretario di Stato ai Trasporti, Elizabeth Borne, ha annunciato in Parlamento l’intenzione di prendere una pausa nella realizzazione dell’opera.

Qual è la situazione dei flussi ferroviari?
AP 
Negli ultimi venti anni lo scambio di merci tra Italia e Francia ha avuto una discesa costante. Oggi il transito di merci sulla ferrovia della Valle è pari a 3-4 milioni tonnellate di merci all’anno. Ferrovie dello Stato ha stimato la capacità dell’attuale linea in 20-32 milioni di tonnellate annue. Quindi così com’è avrebbe un margine di incremento da sei a dieci volte. La linea è a doppio binario, elettrificata e il tunnel del Frejus, tra Bardonecchia-Modane, è stato ampliato con un investimento di centinaia di milioni per il trasporto di merci di grande sagoma. A oggi, nessuno elemento indica una tendenza di crescita dei flussi, ma qualora si verificasse, vi sarebbero tutti i margini per ospitarlo. Perché spendere miliardi quando esiste una linea idonea se non per rincorrere pervicacemente il più grande appalto d’Europa?

Tra le criticità denunciate ci sono anche le alte temperature interne alle montagne.
AP 
Nel cuore della montagna sono attese temperature superiori a 50 °C. Sarà pertanto necessario raffreddare perennemente la galleria. Uno “zoccolo” fisso di consumi energetiche, emissioni di CO2 e costi che potrebbe trovare compensazione nel minor consumo dei locomotori in salita, per la minore quota raggiunta con il Tunnel di Base, solo a fronte di una colossale crescita dei flussi di treni, come indicato nelle irrealistiche previsioni dei proponenti.

Nel mese di luglio la società Telt ha chiesto una variante ai lavori.
AP 
Il 10 luglio 2017 una variante al progetto è stata depositata ai ministeri competenti per chiedere che i lavori del tunnel inizino da Chiomonte, dove si trova oggi il cantiere, e venga scavato verso Susa ovvero in direzione opposta a quella inizialmente prevista. Questa variante richiederà modifiche consistenti.

Di che tipo?
AP 
La talpa per lo scavo dovrebbe discendere in profondità per raggiungere il tracciato verso Susa. Poi dovrebbero realizzare uno svincolo che colleghi il cantiere all’autostrada A32 per i flussi di materiali di scavo e costruzione. Ogni giorno centinaia di camion scenderebbero a Susa per poi invertire la marcia e risalire a Salbertrand, per il trasbordo sul treno. Ma un gruppo di attivisti No Tav e di naturalisti ha scoperto che nello spazio di allargamento del cantiere si trova la farfalla Zerynthia polyxena, una specie protetta dall’Unione europea tramite la “Direttiva habitat”. I ricercatori hanno già segnalato alle autorità competenti la presenza della farfalla che sembra non fosse stata esaminata nel progetto.

Che ruolo hanno le amministrazioni locali?
AP 
Noi continuiamo a produrre osservazioni tecniche fin nei minimi dettagli, ma va tenuto conto che le osservazioni presentate dai comuni sono puramente consultive per la legislazione vigente sulle infrastrutture strategiche pubblicate nel Documento di programmazione economica finanziaria (DEF).

A quanto ammonterebbero le penali se si volessero sospendere i lavori?
AP 
Nell’insieme degli accordi tra Italia e Francia stipulati dal 2001 a oggi non sono indicate penali. Gli oneri si limitano al completamento degli appalti finora assegnati.

Appendino, crisi di gabinetto

http://www.lospiffero.com/ls_article.php?id=35071

Lo Spiffero

Rapporti sempre più freddi tra sindaca e Giordana. Dal suo tavolo sono spariti i dossier principali dell’amministrazione, ormai viene tenuto nascosto in ufficio. E al posto del Richelieu spunta un Rasputin potentino: il capo ufficio stampa Pasquaretta

C’è aria di crisi nel gabinetto di Chiara Appendino. La stella del suo capo, Paolo Giordana, non brilla più come un tempo agli occhi della sindaca pentastellata. Considerato da tutti, anzitutto da se medesimo, il Richelieu della corte, custode dei più segreti pensieri della nuova inquilina del Palazzo e gran tessitore di trame e arabeschi politici, sembra se non caduto in disgrazia di certo assai più lontano dagli sguardi di chi ora ha i “tramonti negli occhi”. Al punto da ipotizzarne una collocazione diversa, più marginale rispetto al cuore del potere amministrativo. Diradate le uscite pubbliche, praticamente scomparso dagli appuntamenti ufficiali della prima cittadina, Giordana si è rintanato nel suo bunker al piano nobile.

Basterebbe l’evidente esclusione del capo di gabinetto nella delegazione al seguito della sindaca, oggi, all’incontro con Graziano Delrio, a confermare che il clima dei mesi ruggenti, fatto di amicizia e complicità (e di reciproca convenienza) è ormai un lontano ricordo. Assenza alla quale fa da contrappunto, nella trasferta romana della Appendino (insieme all’assessore Maria Lapietra) per cercare di non perdere i dieci milioni per la metro 2, la presenza di Luca Pasquaretta, ormai ben oltre i confini del suo incarico di portavoce. Lui, il Richelieu sul cui tavolo ormai non giungono più i dossier cruciali come accadeva fino a poco tempo fa, potrebbe avere presto la sua Abbazia di Cluny che la sindaca sempre più intenzionata ad allentare il rapporto con il suo uomo ombra (anche se spesso troppo sotto i riflettori) dicono stia cercando. L’ipotesi si una sistemazione di rango in Città Metropolitana del prete della chiesa autonoma del patriarcato autocefalo di Parigi (voilà, ancora, la Francia) circola con insistenza, come testimonia un interessamento diretto della sindaca nei giorni che hanno preceduto il periodo di vacanza.

Molteplici le ragioni di quello che non sarebbe un distacco, ma un allentamento strategico di un legame assai raro a trovarsi un altro sindaco di grande città, incominciando dalla stessa Virginia Raggiche su certe e non poche liaison ha inciampato più che nelle buche delle strade romane. Svelandosi ad occhi perfidi più mantide che grillina, la Appendino avrebbe meditato sui possibili inciampi in cui potrebbe incorrere  nel continuare a procedere a braccetto con l’uomo che le è stato sempre al fianco, senza fare un passo indietro neppure nella marcia trionfale lungo via Garibaldi verso il conquistato Palazzo di Città. La drammatica vicenda, ancora lungi dall’essere chiarita nelle cause così come nelle responsabilità, di Piazza San Carlo in cui Giordana – non indagato – è stato chiamato in causa, nella catena di comando dai tanti anelli deboli o spezzati, insieme ad altre questioni spinose e confuse come il pastrocchio della relazione dei revisori dei conti sul bilancio e pure il carteggio con il presidente di Fondazione Crt Giovanni Quaglia per la vicenda Westinghouse sono, tuttora, possibili spade di Damocle sull’amministrazione pentastellata. Ma sono anche storie in cui compare, ovviamente, e non in ruoli secondari l’eminenza grigia della sindaca.

Per la sindaca, che a Giordana si è affidata in maniera difficilmente rinvenibile in situazioni analoghe, probabilmente è arrivato il momento – per nulla facile – di affrancarsi almeno un po’ da una figura certamente capace, ma spesso apparsa non meno ingombrante. È un po’ come, per chi ricorda per età gli anni d’oro della Dc, se Franco Evangelisti – quello del famoso “a’ fra che te serve” – braccio destro di Giulio Andreottiavesse anche solo parzialmente ombreggiato le luci che illuminavano il Divo, o Antonio Tatò avesse smentito la fama di riservatezza che lo ha sempre avvolto come uomo ombra (nel vero senso della parola) di Enrico Berlinguer. Altri tempi. Quelli che – secondo rumors che hanno già raggiunto pure la probabile futura sede del Richelieu di Palazzo di Città dove prima di partire per le vacanze ci si chiedeva già quale mai potrebbe esseri il suo ruolo, ovviamente adeguato al rango – si annunciano per Giordana saranno non certamente duri, travagliati forse.

Certamente, visto il rapporto tra i due, la Appendino mai si sognerebbe e neppure penserebbe di agire d’imperio e non in maniera concordata e condivisa con colui cui deve gran parte del suo successo nell’aver esiliato Piero Fassino nei banchi della minoranza. Non immune da quella gramisia pretaiola (la “suavis clericorum malitia di Erasmo da Rotterdam), Giordana è da amare quanto da temere. E anche il suo ipotetico successore non avrà i tratti azzimati e baffuti di un Mazarino ma piuttosto le sembianze ruspanti di un Rasputin potentino, quel Pasquaretta la cui ascesa non è affatto frutto di congiure di Palazzo.

L’addetto stampa, sempre più ascoltato consigliere e apprezzato mediatore (pure con le minoranze), terminate le ferie al Sud, oggi percorre i corridoi del ministero al fianco della sindaca. Immagine che, plasticamente, rappresenta il cambio dell’uomo-ombra della prima cittadina. C’è chi spiega come dietro l’ascesa di Pasquaretta ci sia il placet dello stesso Giordana. Il Richelieu che ha indicato alla sovrana Chiara il nuovo camerlengo. Probabile.

Indagini, veleni e guai: ecco cosa sta scuotendo l’Arma dei Carabinieri

http://m.espresso.repubblica.it/inchieste/2017/08/21/news/indagini-veleni-e-guai-il-terremoto-che-sta-scuotendo-l-arma-dei-carabinieri-1.308266

Vertici sotto inchiesta. litigi tra ufficiali. E rapporti opachi con la politica. La Benemerita vive il suo momento peggiore. Ecco cosa sta succedendo e chi potrebbe essere il prossimo comandante generale

EMILIANO FITTIPALDI  

22 agosto 2017

 
Chiunque arriverà, «dovrà rimboccarsi le maniche. Perché troverà macerie: erano decenni che l’Arma dei Carabinieri non soffriva di una crisi così grave». Il militare che lavora al Comando Generale di Roma forse esagera, ma non è l’unico a pensare che la Benemerita stia vivendo uno dei momenti più difficili della sua storia recente.

Una crisi latente da tempo, esplosa con l’indagine Consip. Uno scandalo che ha tramortito, in un domino di cui ancora non si vede la fine, tutti. Dal comandante generale Tullio Del Sette (indagato per favoreggiamento) ai capi di stato maggiore, ascoltati come testimoni; passando ai comandanti di reparti specializzati, accusati di depistaggio; e ai carabinieri iscritti nel registro per falso ideologico e materiale; per finire con la caduta di eroi simbolo dell’Arma come il colonnello Sergio De Caprio, meglio conosciuto come “Capitano Ultimo” per aver arrestato Totò Riina, allontanato su due piedi lo scorso mese da una delle nostre agenzie di intelligence perché considerato improvvisamente «non più affidabile».

Leggendo le carte e le accuse dei magistrati – tutte ancora da provare – sembra che sul caso Consip l’Arma si sia spaccata a metà. Con il vertice della piramide impegnato a rovinare attraverso fughe di notizie insistite un’indagine giudiziaria che rischiava di compromettere l’immagine del Giglio magico di Matteo Renzi, e la base – rappresentata dagli investigatori del Noe – concentrata al contrario a costruire prove false pur di inchiodare Tiziano Renzi, il padre del segretario del Pd.

Un cortocircuito mai visto nel Corpo, un disastro giudiziario e mediatico che ha indebolito ancor di più la posizione del numero uno Tullio De Sette, indagato dallo scorso dicembre a Roma per favoreggiamento e divulgazione di segreto istruttorio, con l’accusa di aver fatto trapelare a soggetti terzi (come l’ex presidente della Consip Luigi Ferrara) l’indagine sulla stazione appaltante dello Stato su cui stavano lavorando i pm di Napoli.

Per lo stesso reato sono iscritti anche il ministro Luca Lotti e il generale Emanuele Saltalamacchia: il comandante della Legione Toscana, è stato accusato di aver spifferato informazioni segrete sia da Luigi Marroni (l’ex ad di Consip ha detto che era stato anche Saltalamacchia, suo amico, a dirgli «che il mio cellulare era sotto controllo») sia dall’ex sindaco Pd di Rignano sull’Arno Daniele Lorenzini. «Durante una cena a casa di Tiziano», ha specificato in una deposizione, «sentii Saltalamacchia» suggerire al papà dell’ex premier «di non frequentare un soggetto, di cui tuttavia non ho sentito il nome, perché era oggetto di indagine».


Se gli ultimi mesi sono stati difficilissimi, va evidenziato che Del Sette, nato 66 anni fa in Umbria, a Bevagna, era inviso a pezzi dell’Arma anche prima dell’iscrizione nei registri della procura, e che fonti del Comando generale non negano come molti generali, davanti ai guai giudiziari del loro capo, non si siano certo stracciati le vesti.

Già: il comandante generale, arrivato al posto di Leonardo Gallitelli all’inizio del 2015, è infatti stato giudicato fin da subito “troppo” vicino alla politica: anche se la lunga carriera dell’Arma ne faceva un candidato autorevole, in molti non gli perdonavano (e non gli perdonano) i sette anni in cui è stato capo ufficio legislativo del ministero della Difesa, sotto governi sia di destra sia di sinistra; né la scelta, nel 2014, di accettare la chiamata del ministro Roberta Pinotti, per diventarne capo di gabinetto. Non era mai accaduto prima che un carabiniere assumesse quell’incarico fiduciario.

A Del Sette viene poi contestato un carattere non facile. Se Gallitelli, mente fredda e raffinata, ha puntato su una guida inclusiva e meritocratica, seppur giudicata da alcuni troppo “curiale”, Del Sette ha preferito un comando verticistico, che per i critici ha finito con l’essere divisivo. «Del Sette è persona di grande valore, molto leale con le istituzioni. Ha lavorato bene con i ministri di ogni partito, come Martino, Parisi, anche con Ignazio La Russa. Molte delle leggi vigenti portano la sua “firma”, compreso l’accorpamento del Corpo forestale ai carabinieri», spiega chi lo stima e ha lavorato con lui al dicastero della Difesa. «Cosa lo ha penalizzato negli ultimi tempi? Su Consip credo si sia trattato di un’ingenuità, e la sua posizione sarà archiviata. Al comando generale invece, non l’ha mai aiutato il suo carattere fumantino. È un uomo capace, che però si arrabbia facilmente. Soprattutto quando si convince che il suo interlocutore non rispetta le gerarchie e i ruoli che lui ha definito».

Del Sette viene definito sia dai suoi estimatori (che sono molti) sia dai suoi nemici (che sono ancor di più) un uomo schivo, persino timido, ma poco propenso alla mediazione. Appena nominato dai renziani a numero uno dei carabinieri, ha deciso in effetti di spazzare via la vecchia nomenclatura costruita in sei anni dal suo predecessore, scegliendo di andare allo scontro frontale con alcuni generali fedelissimi di Gallitelli. Molto stimati, però, dalla base dell’Arma.

Così, se il Capo di Stato maggiore Ilio Ciceri è stato sostituto da Vincenzo Maruccia (anche lui sentito come testimone dai pm di Roma per la vicenda Consip), e il generale Marco Minicucci è stato sottoutilizzato, un altro pezzo da novanta come Alberto Mosca ha dovuto cedere la poltrona di comandante della Legione Toscana a uno dei pupilli di Del Sette, proprio Saltalamacchia, dovendosi accontentare del comando della Legione Allievi Carabinieri.

Clamorosa poi la scelta del colonnello Roberto Massi: l’ex comandante dei Ros considerato uno degli ufficiali più brillanti dell’Arma, e promosso da Gallitelli capo dell’ufficio legislativo nel 2014, dopo una breve convivenza con Del Sette ha preferito fare armi e bagagli e trasferirsi all’Anas nel 2016. All’ente nazionale per le strade Massi ricopre l’incarico di “responsabile della tutela aziendale”. L’unico gallitelliano che è riuscito a stringere un patto di ferro con il comandante umbro è stato Claudio Domizi, ancora influente capo del personale del primo reparto.

«Le tensioni interne sono iniziate fin dal suo arrivo, ma sono peggiorate nel tempo. La crisi Consip le ha fatte solo esplodere», ragiona preoccupato un militare con le stellette, che considera i colleghi gallitelliani veri responsabili della spaccatura, perché nostalgici e incapaci di accettare il nuovo corso.

Tutti, però, mettono sul banco degli imputati anche il sistema della rotazione obbligatoria degli ufficiali (che costringe pure i carabinieri più esperti e capaci a cambiare reparto dopo due anni) e l’assenza di una vera meritocrazia interna. «Qualche tempo fa a Reggio Calabria durante un giuramento a passare in rassegna i reparti, oltre agli ufficiali, è stato anche un appuntato del Cocer, il sindacato interno dei carabinieri a cui Del Sette si è molto appoggiato dall’inizio del suo mandato», racconta uno degli scontenti «Forse a voi civili sembra una sciocchezza, ma nell’Arma è una cosa inverosimile, che ha fatto accapponare moltissime divise».

Ottimi rapporti con Maria Elena Boschi e lo stesso Lotti, qualche incontro con l’imprenditore renziano Marco Carrai (tra cui una cena a casa del compagno di Mara Carfagna, Alessandro Ruben, che ama invitare mimetiche e stellette nel suo salotto), Del Sette ha dovuto gestire anche la patata bollente del colonnello Sergio De Caprio, “Ultimo”. L’attivismo “anarchico” dell’ex vice comandante del Noe (che ha collaborato con il pm John Woodcock a quasi tutte le inchieste più delicate degli ultimi anni su politica e potere, da quelle sulle tangenti di Finmeccanica alla P4 di Luigi Bisignani, passando dalle tangenti della Lega Nord a quelle sulla Cpl Concordia) non è mai stato amato dai piani alti della Benemerita.

Ma la goccia che ha fatto traboccare il vaso è caduta proprio nel luglio del 2015, quando una delle intercettazioni del fascicolo sulla Cpl (una telefonata privata tra il generale della Finanza Michele Adinolfi e Matteo Renzi in cui il segretario del Pd definiva il suo predecessore Enrico Letta «un incapace») è finita in prima pagina sul “Fatto Quotidiano”. Del Sette, dopo un mese di buriane politiche e polemiche infuocate, deciderà di firmare una circolare che toglie ai vicecomandanti dei reparti le funzioni di polizia giudiziaria. Una norma considerata da molti “contra personam”. «Continuerete la lotta contro quella stessa criminalità, le lobby e i poteri forti che le sostengono e contro quei servi sciocchi che, abusando delle attribuzioni che gli sono state conferite, prevaricano e calpestano le persone che avrebbero il dovere di aiutare e sostenere», polemizzò senza mezzi termini “Ultimo” in una lettera di saluto ai suoi uomini. Poi grazie alla mediazione dell’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Marco Minniti e del capo dell’Aise Alberto Manenti, De Caprio a fine 2016 viene distaccato ai servizi segreti. Per la precisione all’ufficio Affari interni, quello che controlla gli 007 italiani che righino dritto.

Se malumori e dissapori sono una costante di ogni struttura gerarchica, la crisi dell’Arma supera i livelli di guardia a inizio del 2017. Alle indagini sulla fuga di notizie si aggiungono prima quelle sul capitano Gianpaolo Scafarto del Noe, accusato dai pm di Roma di aver falsificato le prove nell’informativa. Poi quelle al suo capo Alessandro Sessa, numero due del reparto, incolpato nientemeno per “depistaggio” per non aver detto la verità (questa l’ipotesi della procura) durante un’audizione con i magistrati. Infine il tentativo di ritrattazione dello scorso giugno di Luigi Ferrara, il manager Consip che aveva tirato in ballo Del Sette come colui che lo aveva messo sull’avviso in merito a un’indagine giudiziaria sull’imprenditore Alfredo Romeo e la stessa Consip: dopo un confuso interrogatorio, in cui probabilmente il manager ha cercato di proteggere proprio Del Sette, i pm hanno iscritto anche Ferrara nel registro degli indagati. Per falsa testimonianza.

La crisi strutturale del corpo “Nei Secoli Fedele” ha toccato nuove vette qualche giorno fa, quando i pm romani hanno scoperto che Scafarto mandava documenti riservati sull’inchiesta Consip a ufficiali ex Noe traslocati con “Ultimo” ai servizi segreti. L’ipotesi investigativa è che questi stessero ancora collaborando alle indagini su Consip portate avanti dagli ex colleghi. “Ultimo” e tutti i suoi uomini (De Caprio aveva portato con se due dozzine di fedelissimi, di cui la gran parte provenienti dal Noe) sono stati così allontanati dal nuovo incarico, e sono rientrati nell’Arma.

Un allontanamento avvenuto senza accuse formali da parte della magistratura, e senza una richiesta esplicita di Manenti. È stato Marco Mancini, un alto funzionario del Dis (il dipartimento che coordina le agenzie d’intelligence) coinvolto in passato nel sequestro dell’imam Abu Omar a chiederne la testa. Dopo aver scoperto che Scafarto e gli investigatori del Noe, sempre nell’ambito dell’inchiesta Consip, lo avevano seguito e fotografato, mandando ai collaboratori di “Ultimo” all’Aise le risultanze dei loro appostamenti.

L’incarico di Del Sette terminerà il prossimo gennaio. Ed è probabile che il suo successore verrà nominato non dal governo Gentiloni, ma da quello che entrerà in carica dopo le elezioni politiche, previste per la prossima primavera. In pole position ci sono il numero uno del comando interregionale Ogaden Giovanni Nistri (romano, tre lauree, giornalista pubblicista, ex comandante del comando per la Tutela del patrimonio e direttore del Grande Progetto Pompei, che ha ottimi rapporti con il Pd) e il generale Riccardo Amato, numero uno della divisione Pastrengo ed esperto di antimafia, che gode dell’appoggio del Quirinale. Subito dietro c’è Vincenzo Coppola (chiamato “il paracadutista”, una vita in prima linea nelle missioni di peacekeeping e da marzo promosso numero due dell’Arma), mentre il generale Ilio Ciceri e Riccardo Galletta, capo della Legione Sicilia, sembrano avere tutti i titoli necessari, ma meno chance. Il primo, considerato il miglior uomo macchina possibile, sconta il peccato di essere considerato un gallitelliano, mentre il secondo – all’inverso – un uomo di Del Sette. A chiunque toccherà, risollevare l’Arma non sarà impresa facile.

Wave Star, la centrale che produce elettricità pulita ed a basso costo delle onde. Così in Danimarca hanno risolto il problema energetico

-https://www.sapereeundovere.com/wave-star-la-centrale-che-produce-elettricita-pulita-ed-a-basso-costo-delle-onde-cosi-in-danimarca-hanno-risolto-il-problema-energetico/

Wave Star, la centrale che produce elettricità pulita ed a basso costo delle onde. Così in Danimarca hanno risolto il problema energetico. Da noi invece NO. Alla faccia dei nostri 8000 km di costa. I nostri politici proprio non se la sentono di dare questo dispiacere alle lobby del Petrolio!

E’ davvero incredibile il potenziale dell’energia del mare. Pensate, basterebbe lo 0,02% dell’energia prodotta dal mare per soddisfare il fabbisogno energetico di tutta la terra! Tra le rinnovabili oggi è forse la meno conosciuta, ma secondo le stime, questa preziosa risorsa, nei prossimi anni subirà una forte impennata. E l’Italia, con quasi 8.000 km di coste, potrebbe essere uno dei paesi leader per la ricerca, lo sviluppo e l’implementazione di queste nuove tecnologie marine. Cosa stiamo aspettando? Ah, dimenticavo. I nostri politici proprio non se la sentono di dare un dispiacere del genere ai loro amici delle lobby del Petrolio!

SE VI STATE CHIEDENDO PERCHE’ L’ITALIA NON E’ MAI STATA ATTACCATA DAL TERRORISMO ISLAMICO, BUTTATE UN OCCHIO AGLI ACCORDI SEGRETI CHE IN PASSATO CI HANNO “SALVATO”

http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/se-vi-state-chiedendo-perche-rsquo-rsquo-italia-non-rsquo-mai-stata-154669.htm

dago

21 AGO 2017 13:27

1. SE VI STATE CHIEDENDO PERCHE’ L’ITALIA NON E’ MAI STATA ATTACCATA DAL TERRORISMO ISLAMICO, BUTTATE UN OCCHIO AGLI ACCORDI SEGRETI CHE IN PASSATO CI HANNO “SALVATO”
2. FU ALDO MORO IL PRIMO GARANTE DI INTESE AMBIGUE COL TERRORISMO ARABO, A COMINCIARE DAI PALESTINESI DELL’OLP FINO A GHEDDAFI, MOLTO AGGRESSIVO CON L’ITALIA 
3. ESISTEVA UN PATTO NON SCRITTO TRA SERVIZI SEGRETI ITALIANI, L’ENI, L’OLP E STATI DEL MONDO ISLAMICO. OVVERO CONCEDERE, NEL NOSTRO PAESE, MANO LIBERA AI TERRORISTI  NELLE LORO ATTIVITÀ CONTRO ALTRI PAESI, IN CAMBIO DI ‘NON BELLIGERANZA’. E OGGI…

Aldo Moro

ALDO MORO

Paolo Guzzanti per “il Giornale

Tocchiamo ferro: tutto può succedere, ma è un fatto che solo l’Italia finora è stata risparmiata da stragi del terrorismo islamico come quelle che hanno insanguinato Spagna, Francia, Inghilterra, Germania, Belgio e Stati Uniti. Sappiamo dall’intelligence che sono in arrivo tremila terroristi specializzati per l’attaccare l’Europa, e che i servizi segreti sono impegnati in una guerra estrema fatta di tecnologia e intercettazioni.

GIULIO ANDREOTTI CON IL COPRICAPO ARABO

GIULIO ANDREOTTI CON IL COPRICAPO ARABO

É un dato di fatto che l’Italia la sta facendo franca da decenni, rispetto agli altri Stati colpiti dal terrorismo. Fra pochi mesi, nel maggio 2018, saranno trascorsi quarant’anni dall’assassinio del leader della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Fu questo statista il garante di patti segreti e contratti indecenti fra cui quello con il mondo islamico, a cominciare dai palestinesi dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina e con Gheddafi, all’ epoca molto aggressivo nei confronti dell’ Italia che, pure, aveva favorito il colpo di Stato nel 1969.

CRAXI E ARAFAT

CRAXI E ARAFAT

Quella politica di accordi segreti e non sempre decenti col mondo islamico fu poi battezzata con il nome di «lodo Moro» e consisteva in un patto non scritto tra servizi segreti italiani, l’ Eni, l’ Olp palestinese e Stati del mondo islamico. Rispetto alla Francia e all’ Inghilterra, l’ Italia aveva il vantaggio di aver perso le colonie e si era risparmiata anche le feroci guerre di decolonizzazione.

Il «lodo» consisteva nel concedere mano libera ai terroristi islamici in Italia nelle loro attività contro altri Paesi, risparmiando il nostro: occhi chiusi e portafoglio aperto erano gli strumenti di quella politica. In Libano il colonnello Stefano Giovannone del servizio segreto italiano svolgeva il ruolo di abile smistatore di richieste e scambi.

ARAFAT E ANDREOTTI

ARAFAT E ANDREOTTI

Su tutto lo scacchiere mediorientale e dell’Europa dell’ Est, l’ Eni svolgeva una sua politica energetica totalmente autonoma dal governo, fin dalla sua fondazione quando aveva al comando l’ ex partigiano cattolico Enrico Mattei, che per la sua intraprendenza fu fatto precipitare con il suo aereo sabotato, sembra, dai servizi segreti francesi.

ARAFAT E CRAXI

ARAFAT E CRAXI

Questa losca ma operativa «pax islamica» fu interrotta da gravi e sanguinose eccezioni. Nel 1985 un attacco palestinese all’ aeroporto di Fiumicino e alla Sinagoga del Ghetto ebraico romano si concluse con una decina di morti. Nello stesso anno i palestinesi di Forza 17 dirottarono la nave italiana Achille Lauro dove trucidarono il cittadino ebreo americano Leon Klinghoffer paralizzato su una sedia a rotelle, delitto che portò ad una tensione altissima durante il governo Craxi, con soldati americani e carabinieri italiani nella base siciliana della Nato a Sigonella. Molti, fra cui chi scrive (come ex presidente della Commissione parlamentare d’ inchiesta Mitrokhin) ritengono che la strage di Bologna del 2 agosto 1980 fosse un atto di rappresaglia violazione del «lodo Moro» seguita agli arresti di alcuni membri del gruppo palestinese Fplp di George Abbash.

GIULIO ANDREOTTI CON IL COPRICAPO ARABO

GIULIO ANDREOTTI CON IL COPRICAPO ARABO

Grazie allo stesso patto agiva indisturbato in Italia il terrorista Ilich Ramirez Sànchez, detto «Carlos lo sciacallo» che agiva per conto di molti gruppi terroristici arabi e su direttive della Stasi della Germania orientale attraverso la centrale del Kgb di Budapest. Carlos dall’ ergastolo parigino mandò più volte messaggi in chiaro sulle responsabilità della strage di Bologna. A Parigi nel 2005 andai a raccogliere la testimonianza del giudice Jean-Luis Bruguière, il «Falcone francese» che aveva fatto condannare Carlos, il quale rivelò retroscena del tutto ignorati anche sull’ attentato al papa Giovanni Paolo Secondo l’ undici maggio 1981.

L’ Italia godeva ancora dei privilegi di uno Stato-cerniera fra Ovest ed Est, fino alla fine della guerra fredda nel 1989, che determinò la vendetta americana inglese e francese contro la classe dirigente italiana con un’ operazione del Fbi «Clean Hands», poi nota come «Mani Pulite», orchestrata dal FBI con la partecipazione del procuratore Rudolph Giuliani, concedendo di fatto mano libera alla successione dei comunisti di Achille Occhetto la cui ascesa fu bloccata dalla famosa «discesa in campo» di Silvio Berlusconi. Il lato americano dell’ operazione «Clean hands» è narrata in ogni dettaglio in «The Italian Guillotine» di Burnett e Mantovani, mai tradotto in italiano.

berlusconi tajani

BERLUSCONI TAJANI

Erano tramontati i tempi del «lodo Moro», ma l’ Italia aveva comunque immagazzinato l’ esperienza di decenni, poi dispiegata in con una nuova strategia dal governo Berlusconi per fronteggiare attraverso la Libia di Gheddafi l’ esodo dall’ Africa in Europa. Quella politica che è stata in questi giorni riproposta da Berlusconi e Tajani per una polizia confederata europea che metta insieme tutte le capacità ed esperienze.

Finora i nostri servizi segreti godono della fama meritata grazie allo scampato pericolo. Secondo il politologo americano Edward Luttwak, l’ Italia ha sviluppato una strategia efficace contro il terrorismo islamico e dovrebbe essere presa ad esempio. Sarà il futuro immediato a dire se Luttwak eccede o no nella sua valutazione della capacità italiana di tenersi alla larga dalla furia islamica.

ANDREOTTI E GHEDDAFI

ANDREOTTI E GHEDDAFI

NEO-PROTECTIONNISME ET ‘EUROPE A DEUX VITESSES’/ ET MACRON QUI SE PRESENTAIT COMME ‘LE CANDIDAT DE L’EUROPE’ (SIC) !?

Luc MICHEL pour PCN-INFO/

Avec AFP/Le Point/ 2017 08 22/

MACRON RO

« Quand la Belgique, l’Allemagne ou la France ont eu besoin de main-d’œuvre, leurs entrepreneurs sont venus recruter directement en Europe de l’Est »

– Laurentiu Plosceanu,

président de l’Association des constructeurs roumains.

« L’UE devrait au moins avoir le courage de dire : L’Europe, le marché libre, c’est fini. Car nous nous dirigeons vers une approche nationaliste (…) qui mettra fin à notre rêve de libre circulation »

– Radu Dinescu,

responsable de l’Union des transporteurs roumains (UNTRR).

Le projet européiste d’après 1945 reposait sur trois piliers :

*La paix entre européens.

Cela s’est arrêté dès 1999 lorsque pour la première fois depuis 1945 les pays de l’UE (et de l’OTAN) ont bombardé une capitale européenne, Belgrade …

* La solidarité entre européens et pays européens (principe de subsidiarité), que les égoïsmes petit-nationalistes, celui de Berlin et maintenant Paris, ont réduit à néant depuis la crise financière de 2008 (pour sauver les banques, étrangères au projet européen) …

*  La libre circulation des personnes et des biens, mise à mal par le terrorisme (effet boomerang du « scénario du diable », joué notamment en Afghanistan, Libye, Syrie, Mali) et les législations liberticides du type « Patriot Act à l’européenne. Et achevée par les crises migratoires, celle venue d’Afrique (résultat direct des politiques occidentales en Somalie, Soudan, Libye, Afrique saharienne et sub-saharienne) et celle venue d’Irak et de Syrie (effet immédiat des agressions des USA et de l’OTAN), toutes tactiquement lancée contre l’UE par les USA (notamment Sorös, voir les dénonciations de Budapest) …

LE PROJET EUROPEISTE DE BRUXELLES EST UN PROJET AUJOURD’HUI MORT-NE !

La politique de Macron contre les roumains et les bulgares (avec les grecs, les « citoyens » à droits réduits de la politique inégalitaire et anti-européiste de « l’Europe à deux vitesses » de Bruxelles et Berlin) ne fait que dresser une fois de plus le constat d’échec de l’Union dite « Européenne » : le projet européiste de Bruxelles est un projet aujourd’hui mort-né !

Reste celui de Moscou, l’Autre Europe, la « Seconde Europe », de Vladivostok à l’Atlantique …

TRAVAILLEURS DETACHES :

MACRON MET EN COLERE A JUSTE TITRE LES ROUTIERS ROUMAINS ET BULGARES

Alors que Macron entame une tournée en Europe de l’Est, des représentants du secteur s’insurgent contre le “protectionnisme” français.

Lors d’une mini-tournée en Europe centrale et orientale, Emmanuel Macron va défendre ses efforts pour réviser la directive européenne sur le travail détaché, avec notamment un durcissement de la réglementation. Les transporteurs roumains et bulgares, dont les pays accueillent le président français jeudi et vendredi, sont vent debout contre ce projet qui, selon eux, menacerait leur activité. Paris, Berlin et Vienne accusent la directive de favoriser un contournement de leurs droits du travail. « C’est du néo-protectionnisme », s’insurge Radu Dinescu, responsable de l’Union des transporteurs roumains (UNTRR).

« Quand la Belgique, l’Allemagne ou la France ont eu besoin de main-d’œuvre, leurs entrepreneurs sont venus recruter directement en Europe de l’Est », rappelle Laurentiu Plosceanu, président de l’Association des constructeurs roumains, accusant ces pays d’utiliser « deux poids, deux mesures » en fonction de leurs intérêts. Dans le même temps, « nombre d’employeurs roumains ont pu traverser le désert » lors de la crise de 2008-2009 en détachant des ouvriers en Europe de l’Ouest, reconnaît-il.

* Lire sur :

http://actu.lepoint.fr/optiext/optiextension.dll

 (attention Média de l’OTAN ! Lire avec esprit critique …)

# ALLER PLUS LOIN …

* Lire sur Algérie Patriotique/

Une contribution de Luc Michel – Le chaos grec annonce l’échec de l’UE comme projet politique sur https://www.algeriepatriotique.com/2015/08/24/une-contribution-de-luc-michel-le-chaos-grec-annonce-lechec-de-lue-comme-projet-politique/

* Sur le concept des « deux Europe », Cfr. :

les thèses de Luc MICHEL sur EODE THINK TANK GEOPOLITIQUE / THESES SUR LA « SECONDE EUROPE » UNIFIEE PAR MOSCOU

sur http://www.eode.org/eode-think-tank-geopolitique-theses-sur-la-seconde-europe-unifiee-par-moscou/

PCN-INFO/ LUC MICHEL/ ЛЮК МИШЕЛЬ/

______________________

Parti Communautaire Néoeurasien, PCN,

Neoeurasian Communitarian Party, PCN-NCP, Неоевразийская Общественная Партия, PCN- НОП, Neo Avrasyali Komunotarist Partisi, PCN-NAKP, Partidul Comunitar Neoeurasian, PCN …

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TAV A CHIOMONTE, “TUTTE LE PREOCCUPAZIONI SULL’ALLARGAMENTO DEL CANTIERE”

    

DAL GRUPPO DI OPPOSIZIONE DI CHIOMONTE 

CHIOMONTE – Venerdì 18 agosto, presso la cappella di Santa Caterina, in Chiomonte, organizzata dal gruppo consiliare di minoranza “Insieme Chiomonte”, si è tenuta una serata informativa sul progetto di Variante della nuova linea ferroviaria Torino – Lione – Sezione Transfrontaliera – Parte in territorio italiano, in ottemperanza alla prescrizione n°235 della Delibera Cipe n° 19/2015 e sul conseguente ed imminente ampliamento del cantiere de La Maddalena di Chiomonte per la realizzazione del Tunnel di base Susa/Saint Jean de Maurienne.

La serata aveva lo scopo precipuo di informare la popolazione residente ed i villeggianti sull’impatto che l’ampliamento in questione avrà sul territorio di Chiomonte.

Oltre al gruppo di minoranza erano presenti, quali relatori gli ingegneri Roberto Vela ed Alberto Poggio, componenti della Commissione Tecnica dell’Unione Montana Bassa Valle di Susa, che stanno esaminando gli atti progettuali della Variante (depositati e pubblicati nei Comuni interessati a decorrere dal 10 Luglio 2017 e così per 60 giorni), per conto della Unione Montana e dei Comuni della stessa, al fine di presentare le eventuali osservazioni , entro il termine del 10 settembre; i tecnici suddetti avevano dichiarato la loro disponibilità (cosa fra l’altro già avvenuta nel passato), a mettere a disposizione le proprie conoscenze tecniche del progetto di Variante.

Folto il pubblico formato da residenti, villeggianti, nonché da amministratori anche di paesi vicini e dal Presidente di ImprenD’Oc. Era presente il sindaco di Chiomonte, che però non ha ritenuto opportuno intervenire nel dibattito che è seguito alla puntuale, chiara e precisa illustrazione del progetto.

Dopo una breve introduzione da parte dei consiglieri  Joannas e Guglielmo, nel corso della quale è stato stigmatizzato il breve periodo messo a disposizione delle Amministrazioni locali per l’esame degli atti progettuali, molto numerosi (circa 1400 documenti) e molto complessi ed è stato precisato che lo scopo della serata era quello di illustrare tecnicamente le varie fasi della realizzazione del progetto stesso e non quello di discutere la contrarietà a meno all’opera, i tecnici medesimi hanno preso la parola e con l’aiuto di numerose slide hanno descritto le varie fasi per la realizzazione delle gallerie che affiancheranno il tunnel geognostico già realizzato.

Il pubblico ha sicuramente percepito la complessità del progetto che porterà ad una importante ed ulteriore compromissione del territorio chiomontino.

Ciò che maggiormente preoccupa è rappresentato:

− dallo scavo della galleria che scenderà verso Susa e che negli ultimi 400 metri incontrerà probabilmente le così dette rocce verdi, ricche di amianto che, dopo essere racchiuse in appositi bags, dovranno essere intombate in parte delle gallerie realizzate a supporto del tunnel principale e non più utilizzate ed in parte in una apposita galleria realizzata allo scopo (la c.d. galleria Maddalena bis); per carità! Nessun pericolo, ma non è comunque una cosa piacevole sapere cosa conserva la montagna di Chiomonte al proprio interno. Chi ci guadagna da questa soluzione? Chi doveva portare il materiale con l’amianto in Germania.

− dal grande movimento di materiale, dal cantiere della Maddalena al cantiere di Salbertrand, transitando da Susa, con impiego di mezzi su gomma (camion) in autostrada (nel documento denominato “Sintesi non tecnica del progetto” si parla esplicitamente di circa 330 camion al giorno nei periodi di massima produzione dello smarino, con un incremento del 10% del traffico autostradale, sempre riferito ai periodi di massima produzione); da calcoli effettuati ciò vorrebbe significare circa 400.000 viaggi in salita e 400.000 in discesa, per circa 22.152.000 chilometri di percorrenza! Ed il tasso di inquinamento?

− Dal timore (magari esagerato; ma i precedenti non depongono molto a garanzia) che i suddetti automezzi, in attesa che venga conclusa la prevista realizzazione degli svincoli autostradali nel cantiere della Maddalena (opera tecnicamente di non semplice realizzazione), essendo magari nel frattempo iniziati i lavori di scavo della c.d. Galleria Maddalena 2, per raggiungere Salbertrand utilizzino la Via dell’Avanà, che rappresenta la strada via più corta e diretta per raggiungere il deposito di Salbertrand!).

− Dalla preoccupazione della possibile compromissione dei vigneti della località, rigenerati dal progetto della Comunità Montana Alta Valle di Susa, realizzato quasi 25 anni fa e che rappresentavano un vero fiore all’occhiello della zona (una volta!).

Ha poi colpito l’uditorio l’alto costo dell’opera, costo destinato ancora ad aumentare e su cui incombono le incertezze dei finanziamenti sia da parte della Comunità Europea che del Governo Nazionale, che per altro ha già in parte ridimensionato l’opera proprio per le scarse disponibilità economiche; non ultimo le recenti perplessità del governo francese (poco convincenti le smentite di parte italiana), di cui tutti siamo a conoscenza, governo che non ritiene al momento una priorità la realizzazione completa della linea Torino Lione.

Al termine della descrizione, veramente esaustiva, effettuata dai tecnici, la parola è passata al pubblico che ha espresso perplessità, richiesto chiarimenti, effettuato valutazioni anche sul futuro economico del paese.

Preoccupazione per le vigne, per la necropoli (unica nel suo genere sulle Alpi, che al momento è coperta da uno strato di sabbia ed i cui ritrovamenti più significativi sono stati spostati in altro sito) per il futuro del paese, che pare destinato ad un lento declino, anche a causa dell’inerzia dei suoi Amministratori.

La riunione, molto partecipata, si è chiusa ampiamente dopo mezzanotte.

Non è da escludere un nuovo incontro sul tema data l’importanza del tema discusso, non solo per i tre Comuni maggiormente interessati di Chiomonte, Giaglione e Salbertrand.