Appunti resistenti NOTAV: alternativa, conflitto e consenso

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21 AGOSTO 2017 

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È nel cuore dell’estate che ci sembra importante provare a riflettere, facendo un piccolo bilancio dei mesi trascorsi, per guardare avanti con uno sguardo capace di non fermarsi solamente all’orizzonte.

A noi interessa spingerci più un là, immaginare oltre, carichi di sogni grandi, usando il cuore, la pancia e il cervello, perché le nostre aspirazioni lo chiedono.
Una lotta come la lotta notav, trentennale ormai, ma ben lontana dal suo capitolo finale, ha bisogno di sempre nuovi stimoli e nuove energie per fronteggiare quella schiera infinita di nemici che incontra sul suo cammino, che ci forniscono ogni giorno, con noia mortale, spunti e appigli per rinvigorire le ragioni della nostra battaglia.
Proviamo qui a riflettere ad alta voce, reduci di un’estate di lotta non ancora finita e pronti ad un nuovo inverno, che a differenza della saga del Trono di Spade, a noi non preoccupa affatto.

Alta Felicità: il successo dell’alternativa

Partiamo dall’ultimo evento cronologico per iniziare a riflettere insieme, perché ci sembra giusto partire dalla cosa più nuova che abbiamo imparato insieme a fare. Non che siano mai mancati gli eventi in Valle, né tantomento c’è l’aspirazione di diventare professionisti nel settore, ma l’esigenza di “allargare il campo” della nostra azione c’è sempre stata. Così come la possibilità di far conoscere la Valle a chi ne ha sempre solo sentito parlare, facendo vivere questo territorio dal “nostro” punto di vista.
Il movimento notav ha dimostrato concretamente come si possa dare vita a due edizioni di musica, socialità ed impegno senza rinunciare a nessuna delle sue peculiarità, senza scendere a compromessi con niente e nessuno.
Abbiamo dato vita, quest’anno, ad un festival di quattro giorni, gratuito e resistente, creando un’alchimia difficilmente descrivibile senza vederla, perché siamo riusciti ad abbattere completamente le barriere tra “usufruitori” e “organizzatori”. Come? Attraverso l’incredibile spirito di condivisione che ha animato ogni concerto e ogni evento, permettendo a tutti di condividere, alla fine, gli ideali della nostra battaglia: quasi 500 persone sono andate in corteo al Seghino per conoscere un pezzo della nostra storia con Wu Ming1, quasi un migliaio sono andate in visita al cantiere per capire, con i propri occhi, cos’è che materialmente combattiamo ogni giorno dell’anno (e che lì è ben rappresentato).
Non solo: stare in fila insieme per mangiare e bere con un sorriso, sentire i racconti dei notav più anziani, alzare i cori durante i concerti, improvvisare bella ciao nei momenti di pioggia, sono tutti i segnali di un successo che ci restituisce quel sorriso che dobbiamo essere in grado di mantenere sempre, anche in quei momenti in cui facciamo fatica.
Ma oggi, in un mondo così mercificato e individualista, volete mettere ritrovare il piacere di stare insieme, uniti da un ideale comune, divertendosi? Non ci sono cifre da bilancio che possano rappresentarlo.
Infine, ma non in ultimo, il festival risponde a un’esigenza politica che abbiamo sempre avuto ma non eravamo mai riusciti a rendere concreta in maniera così palese: dimostrare come un territorio condannato alla distruzione possa invece essere vissuto e valorizzato in un altro modo, proprio da chi lo difende con così tanta passione.
Abbiamo reso la Valle di Susa ancora più bella, e la soddisfazione diventa ancora maggiore perché abbiamo potuto svolgere le nostre attività, insieme a migliaia di persone, laddove doveva sorgere il cantiere Tav, a Venaus, nostro orgoglio per la sua liberazione nel 2005.
L’Alternativa ha preso il via.

Consenso, ma non senza conflitto

Dopo tanti passaggi tecnici e istituzionali a favore del sistema Tav, di recente un buon assist ci è arrivato dalla Francia che ha chiesto una “pausa” dall’iter progettuale per fare bene i conti. Cosa significhi questo concretamente non lo sappiamo (potrebbe voler dire rischi troppo alti per le casse d’oltralpe o un semplice sconto), ma di sicuro, quest’atto dimostra come, anche dal punto di vista istituzionale, quest’opera non sia irreversibile, anzi, i margini di una via d’uscita ci sono, come abbiamo sempre sostenuto, e sono ben concreti.
Certo quest’atto, calato nel degrado del dibattito pubblico italiano, non ha trovato eco, non avevamo però dubbi in tal proposito: da tempo politica, informazione, magistratura ed economia sono un corpo unico, una lobby vera e propria che compone quello che definiamo ormai il “sistema Tav”.
Ma ad un movimento non può bastare rispondere o agire su fattori esterni, serve avere una progettualità ben definita capace di proseguire un cammino tracciato da tempo che porti sempre più forza e consenso.
Crediamo fortemente che il tema dei costi pubblici e del modo in cui si decidono gli investimenti, siano due dei nodi su quali costruire mobilitazione anche al di fuori della Valle di Susa. In un Paese devastato come il nostro, dalla politica istituzionale principalmente, il tema della spesa pubblica è non solo sentito, ma quantomai urgente. Il progetto della Torino-Lione drena fondi pubblici con continuità (a debito of course), sottraendoli a buona parte dei bisogni reali: dal welfare alla sanità, dalla ricostruzione delle aree terremotate alla ricerca, con buona pace degli “innovatori” di turno. Il capitalismo nostrano si rifà il look nei termini e nei settori d’investimento, ma si ciba delle stesse prerogative di sempre.
Davanti a questo contesto, non bisogna più accontentarsi di essere minoranza nel paese: la lotta notav ha un’aspirazione maggioritaria. Per questo ci sembra importante proseguire nella strada sopra tracciata, perché siamo convinti che possa allargare la nostra resistenza, rendendola diffusa, ripetibile ed attraente ad ampi settori sociali. Certo questo senza commettere errori già visti in passato: il consenso e l’adesione a cui aspiriamo non può esistere in assenza di conflitto, sociale e territoriale, ma sopratutto materiale. Nel conflitto c’è la chiarezza di uno scontro in atto, la semplicità insanabile di quel NO che è un motore collettivo che dura da più di vent’anni.
Non rinunceremo mai a far viaggiare la lotta su questi due binari fondamentali, per questo durante quest’estate sono proseguite le azioni di resistenza sul territorio, nei confronti del cantiere e dell’apparato di difesa e controllo, per riprendere, con metodo, spazi e agibilità sottratti da un dispiegamento di forze militari da far invidia a qualsiasi colonia sparsa per il mondo.
Uno sguardo all’ immediato ed uno all’infinito.

In Valle, ma fuori dai nostri confini

In passato, sono stati tanti i tentativi di “uscire dalla valle” o “portare la valle in città” ma nessuno ha purtroppo dato risultati duraturi. Conosciamo bene la complessità delle lotte, le specificità dei territori e proprio per questo non abbiamo mai pensato di invitare a replicare altrove la Val Susa. Ma siamo consapevoli altresì di come la lotta valligiana sia un grimaldello per altre lotte, un esempio vivo e vegeto di come la lotta possa essere il vero antidoto ai rapporti di forza di questa società.
Vedere le bandiere notav ai cortei, in Italia e nel mondo, non può che essere positivo, così come veder sbocciare piccole e grandi mobilitazioni in ogni angolo d’Italia sentendo dire “facciamo come in val Susa”. Ma questo non può bastare né a noi né ad altre lotte. Ci serve uscire dai nostri confini, che rappresentano una grande forza così come una debolezza, ci serve ossigeno, ci serve più aria e possiamo solo respirarla nei conflitti sociali, in ogni angolo di questo malandato pianeta.
Non sappiamo ancora come, ma siamo sicuri che se vogliamo acquisire ulteriore forza, dobbiamo farlo, contribuendo ad altre lotte su altri terreni, acquisendo nuove forze e nuove capacità.
Se da un punto di vista “fisico” il territorio valsusino può vincere, da un punto di vista politico possiamo e dobbiamo essere ovunque, creando forme di contro cooperazione sociale, capaci di arricchire la nostra lotta, fornendo a vicenda supporto, pratiche e grandi sogni.
“Nessuna lotta è decisiva sono tutte importanti”

In (aperta) conclusione

Non essendo nostra caratteristica essere autosufficienti, né nella pratica né nell’elaborazione, lasciamo aperte domande e risposte a quanti avranno ancora la passione di proseguire con noi un cammino lungo e molte volte in salita, garantendo solo una cosa che dalle nostre parti è qualcosa di più di un motto popolare: si parte e si torna insieme, sempre.

Avanti notav!

Agosto 2017

SCHIZOFRENIA

http://ilcorrosivo.blogspot.it/2017/08/schizofrenia.html

lunedì 21 agosto 2017

Marco Cedolin

Quanta confusione in questa Europa globalizzata figlia di Schengen. L’Europa multietnica e multiculturale che ha fatto dell’accoglienza una ragione di vita, che detesta i muri e sanziona chiunque li costruisca, che guarda alla libera circolazione delle persone e delle merci come al proprio mantra, che dispensa lezioni sui diritti al mondo intero e ogni giorno si bea del proprio essere cosmopolita ed aperta a qualsiasi genere di diversità….

E poi ti ritrovi a passeggiare nei centri cittadini fra barriere di cemento e cavalli di frisia presidiati da militari, come se fossi in un teatro di guerra. Senti l’odore della paura che aleggia nell’aria perfino alle sagre di paese, scopri di essere diventato pure tu un obiettivo sensibile anche se carezzavi l’unica ambizione di farti gli affari tuoi.

Quando prendi un aereo devi fare la radiografia e molto presto ti toccherà una lastra anche quando vai in stazione. E ogni volta che con la coda dell’occhio vedi arrivare un TIR o un furgone ti si alzano le pulsazioni mentre indugi nel pensare “io speriamo che me la cavo”.

La sensazione preponderante è quella che, forse, i costruttori dell’Europa no border e multiculti nella creazione del proprio progetto abbiano fatto qualche errore di troppo, magari dimenticando di pensare alle sorti di chi in Europa già ci viveva da parecchi secoli e qualche diritto dovrebbe averlo pure lui. 

Probabilmente qualche muro (razzista) al punto giusto nel momento giusto, avrebbe evitato il sorgere di una miriade di muri (politicamente corretti ed esteticamente orribili) nel cuore delle nostre città. Ma questi, si sa, sono pensieri cattivi di cui si può solo vergognarsi.

PARIS PARLE PAIX – DEMOCRATIE – DROITS DE L’HOMME … MAS SES ARMES INNONDENT L’AFRIQUE AU NOM DU FRIC-ROI HEXAGONAL !

LM/ PANAFRICOM/ 2017 08 21/

« Quel pays africain est le plus gros acheteur d’armes françaises ?
interroge l’hebdo Jeune-Afrique …

armes fr

« DE 2012 A 2016, L’AFRIQUE AURA ACHETE DES ARMES A LA FRANCE POUR UN MONTANT DE 3,939 MILLIARDS D’EUROS » !
TIENS C’EST CE QUI MANQUE POUR ELECTRIFIER L’AFRIQUE SAHARIENNE ET SUBSAHARIENNE (SELON OBAMA OU BORLOO) …

Extrait : « L’industrie française de l’armement ne s’est jamais aussi bien portée. Et le continent africain y est pour quelque chose. Voici ce qu’il faut savoir, en infographie, sur les meilleurs clients de la France en Afrique. « Du haut de ces pyramides, 2,7 milliards d’euros nous contemplent », aurait pu lancer François Hollande, paraphrasant quelque peu l’un de de ces prédécesseurs à la tête de la France, Napoléon Bonaparte. Entre 2012 et 2016, Paris a en effet vendu à l’Égypte près de trois milliards d’euros d’armes en tout genre, en particulier les fameux avions Rafale. De quoi offrir, largement, la tête aux Égyptiens dans le classement des meilleurs acheteurs d’armes françaises africains que vient de publier le ministère de la Défense (…) De 2012 à 2016, l’Afrique aura acheté des armes à la France pour un montant de 3,939 milliards d’euros. Le continent est même en constante augmentation, grâce aux généreux efforts égyptiens, depuis 2012 puisqu’il a multiplié ses achats par 14. Une vraie mine d’or pour l’industrie française de l’armement.. »

* Vu sur le cpte Twitter de Jeune-Afrique (Paris) …

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Le Parti d’action du Néopanafricanisme !

 

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MACRON : DU SCENARIO POLITIQUE IMPOSE A LA PRESIDENCE AU ‘STORYTELLING’ !

Luc MICHEL/En Bref/ 2017 08 21/

Comment Macron est une construction médiatique. Du scénario politique imposé à la présidence par la Finance internationale et les lobbies pro-américains à l’image virtuelle construite par les « spindoctors » (storytelling), un président français ou un produit de markettng politique à l’américane ? Et quelle est la réalité derrière l’image, une « image de plus en plus verrouillée » ? Où comment Macron « l’américain » achève au sommet l’américanisation de la vie politique française dans ce qu’elle a de plus réducteur et manipulateur …

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Un article interpellant du Parisien :

Extrait » : « Emmanuel Macron, depuis son élection, s’emploie à contrôler la communication sur son action et son couple (…) Une nouvelle ère a vu le jour à l’Elysée. Celle d’un président tout en images, mais sans son. Emmanuel Macron sur le perron de l’Elysée, hélitreuillé au-dessus d’un sous-marin, jouant au football… Des clichés officiels très léchés que son équipe déverse régulièrement sur les réseaux sociaux. Une nouvelle stratégie de communication qui fait la part belle aux supports audiovisuels alors que, dans le même temps, la parole du nouveau chef de l’Etat se raréfie par rapport à celle de son prédécesseur, plus enclin à décrypter lui-même sa propre action (…) Désormais, des informations savamment choisies sont distillées au compte-gouttes aux journalistes. Même la rituelle interview du 14 Juillet est passée à la trappe, le chef de l’Etat lui préférant une adresse directe — et sans contradicteurs — aux Français. «Cela s’inscrit dans la continuité de ce qu’a été le candidat», explique Sibeth Ndiaye, la conseillère presse du président, qui parle d’une communication plus «verticale», mais réfute l’idée qu’elle soit «verrouillée». «Les médias sont un rouage de la démocratie. Mais le travail d’un contre-pouvoir et d’un pouvoir ne nécessite pas qu’ils soient mêlés dans des échanges au quotidien, précise-t-elle. Le président répond aux questions lors des conférences de presse, et depuis son élection, il a accordé deux entretiens.»

« Pour le président Macron, plus question d’afficher son couple comme il ne se privait pas de le faire pendant la campagne. Sauf quand il s’agit d’une opération de communication maîtrisée, à l’instar de l’entretien accordé par Brigitte Macron à l’hebdomadaire «Elle», cette semaine. «Il est passé d’une séduction intense à Je traite les médias comme des m… Si n’importe quel autre président avait fait cela, cela aurait provoqué une émeute. Personne avant lui n’a fait ce mode de sélection des journalistes pour les voyages officiels», s’étonne un expert de la com politique. Surtout, l’efficacité d’une telle gestion de la communication pose question alors que la cote de popularité du président est en chute libre dans les sondages. Pour Franck Louvrier, ancien communicant de Nicolas Sarkozy à l’Elysée, trop de com tue la com : «Ces images peuvent être caricaturales. Cela n’a aucune portée sur l’opinion des Français qui ont la grille de lecture pour comprendre ce qui relève du message journalistique, et ce qui relève de la publicité politique. Les communicants et les journalistes font deux métiers différents. Quand ces métiers sont confondus, ça fait tousser la démocratie.» Et cela ne produit pas l’effet escompté auprès de l’opinion : «Ce qui compte, c’est la qualité du message», rappelle Louvrier. Emmanuel Macron serait-il en train d’en prendre conscience ? Christophe Castaner, le porte-parole du gouvernement, a en tout cas annoncé début août «une évolution dans la communication» du président de la République. «Aujourd’hui, il s’interroge aussi pour trouver une façon peut-être différente, à la rentrée, pour communiquer avec les Français», a détaillé le secrétaire d’Etat sur France Inter. Une interview présidentielle dans les premiers jours de septembre est ainsi à l’étude. Dans un contexte social qui s’annonce agité, la stratégie de la parole rare risque de trouver ses limites » …

* Lire sur :

http://www.leparisien.fr/politique/vie-publique-vie-privee-comment-macron-se-met-en-scene-20-08-2017-7202172.php

 (attention Média de l’OTAN ! Lire avec esprit critique …)

LUC MICHEL/ ЛЮК МИШЕЛЬ/

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