MEDITERRANEO – VENEZUELA: UOMINI E TOPI

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MONDOCANE

LUNEDÌ 7 AGOSTO 2017

Insistendo nella mia campagna, nobilmente venefica e correttamente politicamente scorretta, contro i falsari, ipocriti, infiltrati, infingardi, onanisti del pulviscolo sinistro e di richiamo a quelli sedicenti della sponda opposta che tuttavia sui primi spargono foglie di fico, annuncio che, dopo aver rosicchiato il fondo nel corso degli ultimi anni nel segno di Soros, la più grande mistificazione giornalistica del pur poco limpido panorama storico e attuale italiano ha in questi giorni sfondato il fondo.

Il manifesto non raschia, sfonda.

Prima di passare all’argomento sul quale “il manifesto”, perfezionando il trapanamento del fondo, ha esercitato la punta d’acciaio, il Venezuela degli inviati all’ombra della Casa Bianca e di Langley sostituiti, con schietta adesione al Jobs Act, alla reproba caracasiana Colotti, mi s’impone un parallelo. Di Geraldina Colotti non condivido l’affermazione categorica, orba se non cieca, dell’integrità delle Brigate Rosse e affini (mica eravamo nella Germania di Baader-Meinhof, eravamo nell’Italia di Cia, mafia e P2), che mi pare piuttosto una non necessaria difesa della propria integrità. Ma le sue corrispondenze dall’America Latina sono stati in Italia l’unico controcanto cartaceo e audiovisivo, professionalmente impeccabile, al diluvio che pecore e scagnozzi al seguito della riconquista imperialista del continente hanno belato e latrato dall’inizio dell’assalto a Maduro e alla rivoluzione bolivariana. E che i nuovi washingtoniani del “manifesto” hanno ripreso con la solita perizia dell’infiltrato scaltro che dà un colpetto al cerchio e una mazzata alla botte.

Anche a me è capitato, tanto per confermarci nella convinzione che quanto si dice di sinistra, o con faccia tosta inaudita “comunista”, grattando anche poco poco (volendo grattare, vero Dinucci e Co.?), si rivela il volto sporco dell’ opportunismo, se non della controrivoluzione. 2003, dalle parti di maggio. La solita canea tuona contro Cuba (ancora in piedi) per aver arrestato spioni, terroristi e provocatori pagati dall’incaricato d’affari Usa. Per tutti, dal Corriere all’Avvenire, erano nobili “dissidenti”, “intellettuali”, “giornalisti”. Anche Bertinotti, appena emerso da un congresso in cui aveva abolito l’imperialismo, sposato il sub Marcos e Luca Casarini e proclamato la non-violenza, anche retroattiva per i partigiani. Avevo una rubrica su “Liberazione”, Mondocane, e quella puntata sfuggì al maggiordomo Sandro Curzi e rivendicò a Fidel il diritto di proteggere popolo e quanto restava della rivoluzione dagli sguatteri dell’imperialismo. Mi si licenziò come Geraldina. Su due piedi, alla faccia di norme, leggi e contratto. E di un granello anche microscopico di decenza morale. Procedimenti di destra per chi della destra ha assunto gli orizzonti.

Geraldina se lo poteva aspettare. Quando i duri scendono in campo, i molli gli raccattano le palle.

Torniamo alla stupro del fondo. Un bell’ “approfondimento” verso abissi maleodoranti “il manifesto” l’ha compiuto il giorno 6 agosto 2017 con uno sfondamento su quattro fronti: una velina sulla Somalia, in continuità con gli spurghi obamiani sull’Eritrea renitente alla sottomissione, dove tutto il terrorismo è degli Shabaab che colpiscono i mercenari dell’Amisom, forza interafricana che da anni brutalizza i somali per puntellare il fantoccio Imposto (per “il manifesto”, eletto) da neocolonialismo a guida Usa. Di lieve passaggio si parla poi dei comprensibilissimi bombardamenti Usa sui civili somali (finalizzati, come a Mosul, Raqqa e Deir Ezzor, a colmare i barconi dei trafficanti libici e le barcone dei trafficanti Ong). E neanche un’ombra di passaggio si dedica a chi ha scientemente e pervicacemente ridotto la Somalia nello stato contro cui gli Shabaab si ribellano. Per esempio la Folgore e i carabinieri, passati alle cronache per il fugone dalla Somalia dopo avervi lasciato tracce su prigionieri torturati e donne violentate.

Di prammatica e, nel contesto, facile facile, la stilettata alla Corea del Nord che con quattro missili in mare salvaguarda la propria esistenza da chi la circonda, e circonda il mondo intero, di basi (forze d’occupazione, 90 in Italia), esercitazioni e installazioni missilistiche, tipo il THAAD, proprio ai piedi del Nordcorea. Nulla ha da aggiungere “il manifesto” ai consiglieri militari (McMaster) di Triump quando si stracciano le vesti sulle “mortali minacce” di Kim Jong Un.. Chi tace, si sa, acconsente.

Per nulla sorprendente, alla luce di una russofobia storica (Astrid Dakli, albanese con la bava alla bocca, ricordate?) che non ha nulla da invidiare alle creatività paranoide di Hillary e dei suoi scagnozzi e padrini nello Stato Profondo, che il fidato giornale rilancia l’ennesima bufala di Novaja Gazeta, il quotidiano della “martire” Politovskaja che, oltreche lì, spargeva le sue intemerate contro Putin sull’ emittente Cia Radio Liberty/Free Europe. Giornale credibilissimo, dunque, che, a dispetto della repressione di ogni libertà di stampa dello Zar, esce regolarmente e oggi può pure imbastire un caso sul fermo di un immigrato clandestino ricercato in Uzbekistan. Niente fonti, niente verifiche, ma oltre ogni dubbio, maltrattamenti e pestaggi da parte dei secondini russi. Lo dice, e come potrebbe non dirlo, Amnesty International e, noblesse oblige, lo dice “il manifesto”.

Pinzillacchere, quisquilie rispetto all’armata di carri armati e la flotta di bombardieri che “il manifesto” lancia contro chi ha osato mettere in dubbio, no, addirittura sospettare, macchè, perfino, oddio!, indagare, accusare, confiscare, esibire prove di reati immondi, santi rigogli dell’umanitarismo europeo. Piccoli eroi della guerra che, a nome di dominanti globali, Soros e soci e subalterni, conducono contro chi pretende di essere lasciato in pace e a casa. Noi come campione di questa congerie abbiamo nientemeno che Roberto Saviano. Quello che, con libro e film, insegna ai napoletani come fare il boss. Mediatori del meticciato a perdere che, a costi immani e a prebende pur esse cospicue di operatori e finanziatori, agevolano la tratta di esseri umani a partire da chi li induce o costringe a lasciar casa, terra, famiglia, identità e, passando per traversie varie, compreso il do ut des tra trafficanti e Ong, arriva tra caporali e imprenditori schiavisti che, secondo Tito Boeri, gli fanno produrre l’1% del PIL

Scoperto con il sorcio tedesco di “Juventa” in bocca, anziché chiedere scusa ai suoi lettori per avergli fatto passare manigoldi della tratta umana per soccorritori, “il manifesto” si è attaccato alle pantegane Medici senza Frontiere e Save the children, appena un attimo prima che pure queste venissero inchiodate dagli inquirenti. Sfiga.

E così, anche per oggi, “il manifesto” ha fatto la sua porca figura e il suo porco lavoro. Sotto a chi tocca. Parliamo di Venezuela, recente tacca sul fucile con cui sinistri e destri sparano alla verità.

Venezuela: uomini e topi. E papi

Basta sapère chi c’è dietro la cosiddetta opposizione venezuelana per sapere chi va sostenuto, costi quel che costi. Dietro e con i golpisti del 2016-17, gli stessi del 2002 (Capriles, Lopez, Ledezma) che obliterarono presidenza, parlamento e tutte le istituzioni e instaurarono una dittatura sotto la guida di Bush, del suo consigliere Kissinger (quello dell’operazione nazista Condor), del segretario di Stato Colin Powell (quello delle armi di distruzione di massa di Saddam, a proposito di fake news), ci sta lo Stato Profondo Usa, cioè quel carcinoma planeticida composto da servizi segreti, armieri, banchieri e imprenditori apicali come i maltusiani Rothschild, Warburg, Goldman Sachs, Rockefeller, Bill Gates, tutta la lobby talmudista.

A dirci dello stato del mondo basta vedere come agli ordini e al servizio della suddetta consorteria si siano congiunti in unico blocco di cemento, da appendere al collo del popolo venezuelano, sinistre radicali, sinistre moderate, destre moderate, destre radicali, i grandi media e la manovalanza tipo “manifesto”, violenti e nonviolenti, lobby ebraica, cristiani integralisti e cattolici detti progressisti (un controsenso). In testa a tutti, svettante di bianco, il nonviolento par excellence, il caudillo del Vaticano con tutti i suoi cacicchi locali. Dismessa la maschera del “mediatore”, si è trovato con naturalezza dalla parte dei suoi: “Non riconosco la Costituente di Maduro!” ha tuonato. Segue scomunica? I suoi sono quelli stessi con i quali ha serenamente convissuto e collaborato quando torturavano e ammazzavano gli oppositori, ne passavano i figli ai carnefici e, al largo delle coste argentine, facevano volare dagli aerei migliaia di chavisti ante litteram. Dalla Siria al Venezuela, dai divorziati, pur sempre peccatori, al diavolo, pur sempre tra noi: è l’infallibilità del pontefice.

Intanto, dalla pioggia di merda fake news piovutaci addosso da questi facilitatori di imprese kissingeriane, estraiamo e buttiamo subito quel pacco di melma dei presunti brogli nelle votazioni per la Costituente. Il risultato certificato dalla Commissione Nazionale Elettorale di 8.089.320 è stato certificato dopiamente dalla scheda e dal controllo delle impronte digitali di ogni elettore. I documenti sono a disposizione dell’opposizione e di qualunque verificatore. Cosa mai verificatasi per la farsa del plebiscito del MUD del 16 luglio: elettori senza documenti, voti ripetuti a volontà dagli stessi votanti, tutti i registri bruciati una volta conclusa la buffonata. Verifiche impossibili.

I Black Bloc delle manifestazioni europee, additati dai benpensanti al ludibrio e all’ostracismo, anatemizzati come violenti fascistoidi, bastonati e carcerati dalle forze dell’ordine democratico (che, così provocate, possono magari anche trascendere, come a Genova), rispetto a quanto s’è visto in piazza in Venezuela a partire dal 2014, sono angeli del mutuo soccorso. Qui una vetrina infranta è vandalismo, un cassonetto di traverso un attentato all’ordine costituito. Lì, fili di ferro attraverso la strada per tagliare teste di poliziotti, assalti all’arma bianca, alla bottiglia incendiaria, alla rivoltella, agenti incendiati, sedi chaviste, negozi, edifici istituzionali dati alle fiamme, cecchini infilati tra i dimostranti (come li avevo visti al tempo del golpe del 2002). Si tratta di democratica protesta di popolo contro la dittatura. E chi difende l’ordine legittimo con idranti e pallottole di gomma, di quella dittatura è il custode.

Sono i classici due pesi e due misure cui siamo abituati dai primordi della lotta di classe. E anche da prima, quando bruciare pagani era buono e fare martiri cristiani era cattivo. Ma non è questo il punto. Il punto è che ogni schierarsi con la manovalanza sanguinaria che l’oligarchia sconfitta 18 anni fa spedisce in piazza (si parla di 15mila teppisti bene addestrati) equivale a far fare all’umanità tutta un passo indietro. Che poi equivale a un passo avanti verso l’abisso. E questo dovrebbe essere pacifico. Il punto è anche che una mattanza orrenda come quella del Messico dei 130mila ammazzati sotto gli ultimi due presidenti, delle 30mila sparizioni forzate, del giornalista ammazzato al giorno, degli innumerevoli femminicidi, del narcostato che, con la supervisione anche armata Usa, finge la guerra alla droga per massacrare contadini, lavoratori, studenti e sterminare oppositori, non solleva un ciglio. E neppure l’Honduras, che dopo il golpe di Obama e Hllary, è diventato il nuovo hub della droga per i mercati Usa e il mattatoio dei difensori del popolo e dei suoi diritti, come la grandissima Berta Caceres. E neppure la Colombia. Dove dall’inizio dell’anno sono stati uccisi 46 leader di movimenti sociali, mentre tra il 2012 e il 2017 ne sono stati eliminati 678. Sono specialisti dello sguardo orbo le sedicenti sinistre. Il PC argentino ha preferito stare con Videla piuttosto che con Peron.

Colpetto al cerchio, mazzata alla botte

Ma il punto vero è ancora un altro ed è l’immonda complicità dei cerchiobottisti in malafede e l’ottusità di quelli che, in buonafede, vanno lì a misurare col bilancino torti e ragioni. Tanto sono democratici i capi della sedizione venezuelana, Ledezma, Capriles e Lopez, da essere stati tra i promotori del colpo di Stato contro Chavez nel 2002 e dei successivi pochi giorni di dittatura vera. Sono gli stessi che per i loro pogrom di oggi godono del sostegno dei presidenti dei paesi neocolonizzati dagli Usa: Macri, Temer, Santos e Pena Nieto. E basterebbe per prendere posizione.

Il nemico principale di una sinistra che si ponga a difesa delle masse da riscattare o da difendere sono le destre reazionarie e l’imperialismo. Schiacciarli è la priorità assoluta. Allende sbagliò su diversi piani, ma come non stare dalla sua parte contro Pinochet? Quando si intravvede un golpe è essenziale individuare i responsabili della crisi: coloro che provocano un disastro non sono gli stessi che non sanno risolverlo. Vale per l’economia. Gli errori compiuti da Maduro e che Geraldina Colotti dovrebbe illustrarci con maggiore severità, sono numerosi e gravi. Ma i colpevoli della situazione attuale sono gli oligarchi teleguidati dagli Usa, del cui mostruoso tasso di criminalità sarebbe cecità dubitare. Non si devono confondere responsabilità di diversa natura.

Errori hanno riguardato gli andirivieni incerti su valuta, cambio e circolazione monetaria, su ricerca di consenso negli ambienti strutturalmente ostili (grande distribuzione, proprietà terriera, finanza), l’inaccettabile debito esterno causato in gran parte dal mancato sviluppo manifatturiero e agricolo e dalla dipendenza dal petrolio, gli insufficienti controlli sui prezzi e contrabbando e su chi li manipolava e gestiva, su chi non tagliava gli artigli a coloro che, utilizzando i non nazionalizzati circuiti privati, imboscavano e creavano penurie artificiali. La crescita di una cosiddetta bolibourgeoisie all’ombra di Chavez e Maduro ha prodotto inefficienze e corruzione, connivenza con miliardari travestiti da chavisti.

Ma il collasso della produzione, l’inflazione che ha comportato (insieme alla caduta del prezzo del petrolio) il taglio a interventi sociali, i limiti alla redistribuzione della ricchezza, insomma una frenata al più grandioso processo di emancipazione mai visto in America Latina dopo i primi anni della rivoluzione cubana, sono opera dell’oligarchia spodestata. Opera finalizzata a rovesciare Maduro, bloccare il processo bolivariano, recidere i legami, già insufficientemente curati, tra masse e istituzioni.Tornare al prima di Chavez. Cioè a quella diseguaglianza spaventosa, quella totale soppressione di diritti sociali e democratici, la miserabile dipendenza dal padrone yankee, che ha caratterizzato l’America Latina quando gli Usa ne avevano fatto il cortile di casa e che ora si è riaffermata in Honduras, Argentina, Brasile, Cile.

Nel bene e nel male che sta facendo, tipo riuscire a mobilitare la stragrande maggioranza del popolo, invisibile ai media occidentali; tipo non smantellare la burocrazia che ha soffocato la marcia verso il socialismo, Maduro non cede. Non è Tsipras. Non è Raul. Il chavismo non si arrende. Non è Syriza. La Costituente è una sacrosanta risposta al golpismo: fa emergere quello che vuole il popolo. Costituisce un’espressione democratica rispetto a un parlamento delegittimato, non solo dal golpismo endemico, quando dall’aver rifiutato di annullare l‘elezione di deputati segnata da crimini. Che le “sinistre”, se conservano un briciolo di onestà intellettuale e di integrità morale (non parlo del “manifesto”), piuttosto che con un Maduro, aggredito da tutti i fronti e da tutto il peggio del mondo, come Gheddafi, come Saddam, come Assad, come Milosevic, se la prendano con gli stronzissimi ricchi del Venezuela (infestati di predatori italiani), con i razzisti anti-indigeni e anti-proletari di Plaza Altamira, con la Cia e sue dependances, Amnesty International e Ong varie.

O vogliono Kiev a Caracas?

 
MEDITERRANEO – VENEZUELA: UOMINI E TOPIultima modifica: 2017-08-08T08:32:08+02:00da davi-luciano
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