Istat: la pressione fiscale cresce al 38,9% Migliorano redditi e consumi delle famiglie, il deficit scende ai minimi dal 2000

pmi_tassela puttanata del giorno: pressione fiscale al 38,9%??????? Se aumenterà anche l’Iva….mah Redditi aumentati? Sarà quello di Fazio che fa salire la media. Si salvano le banche con i soldi che tramite Equitalia vengono estorti a chi fatica a sopravvivere ed il deficit scende….i miracoli come sa fare il governo non eletto del Pd non li sa fare nessuno.

Istat: la pressione fiscale cresce al 38,9%
Migliorano redditi e consumi delle famiglie, il deficit scende ai minimi dal 2000
 
30/06/2017 alle ore 10:25
 
La pressione fiscale cresce, crescono anche reddito e capacità d’acquisto delle famiglie, il deficit scende. Così dicono i numeri diffusi dall’Istat sul primo trimestre di quest’anno. La pressione fiscale ha raggiunto il 38,9%, segnando un aumento di 0,3 punti rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il reddito disponibile delle famiglie, invece, è cresciuto del 2,4% in un anno (dell’1,5% rispetto al trimestre precedente) e i consumi del 2,6% (rispetto al trimestre precedente dell’1,3%): per entrambi i valori si tratta dell’incremento maggiore dal 2011. Il potere d’acquisto delle famiglie è cresciuto dell’1,2% su base annua (e dello 0,8 rispetto al trimestre precedente), di pare passo la crescita della propensione al risparmio, che raggiunge l’8,5% (con un incremento dello 0,3). L’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche in rapporto al Pil è stato pari al 4,3%, inferiore di 0,6 punti rispetto a un anno fa: si tratta del valore più basso dal 2000

Operai precari contro i garantiti. In fabbrica la guerra tra poveri

composadeccola la democrazia tutto diritti e libertà da preservare da populisti e la “minacciosa” Casapound. Non c’è niente da fare, inutile ribadire che il dumping sociale innescato ed inasprito introducendo manodopera a basso costo dai paesi stranieri DANNEGGIA ANCHE I LAVORATORI MIGRANTI, sei razzista lo stesso. Viene il dubbio che chi obietta urlando al razzismo ABBIA MOLTO A CUORE GLI AFFARI di questi prenditori.

Operai precari contro i garantiti. In fabbrica la guerra tra poveri

Mantova, i lavoratori in esubero delle cooperative bloccano l’ingresso dell’azienda. Gli altri dipendenti protestano e scoppia la rissa. La polizia usa i lacrimogeni
Lunedì scorso la tensione alla Composad di Viadana ha raggiunto l’apice ed è intervenuta la polizia
Ci sono 6 indiani, un pakistano e un marocchino. Stanno sul tetto di un capannone di un’azienda da lunedì scorso. Hanno perso il lavoro con una cooperativa che gestiva il reparto imballaggi. Boulediem Aburradia è il marocchino. Ha un cappello di paglia per ripararsi dal sole che non serve a niente quando piove: «Mi hanno detto che sono un esubero. Io sono solo uno che vuole lavorare. Sono in Italia da 11 anni. Per 10 ho lavorato qui dentro. E da qui non me ne vado». All’inizio quelli che avevano perso il posto erano 271. Una parte – 150 a tempo determinato, altri 50 con contratto a termine di 3 mesi – sono rientrati in azienda con un’altra cooperativa. Chi è rimasto fuori è salito sul tetto per protesta. Oppure staziona davanti a questa azienda in un presidio permanente che va avanti da 4 settimane, in un vialone tutto capannoni vicino a Viadana che è vicina Mantova dove adesso sono in fila sedie di plastica e tendoni e una cucina da campo.
Ci sono 200 operai italiani. Stanno dentro questa azienda con la camionetta della polizia sulla porta. Vogliono lavorare e hanno paura di perdere il posto. Il reparto imballaggi è quasi fermo. Lunedì quelli di fuori non facevano entrare i camion. Allora sono usciti quelli di dentro. Poi è arrivata la polizia. Tutti hanno spintonato tutti. La polizia ha usato i lacrimogeni. Giuliano Grossi del reparto Logistica e spedizioni lavora qui dentro da 15 anni. Dice che non si può avere paura di andare a lavorare. Dice che la paura più grande è non avere più il lavoro: «Siamo in difficoltà con le commesse esterne. Bisognava continuare a trattare. Le cose non si risolvono andando sui tetti o facendo i presidi, facendosi scudo di donne e bambini. Noi che lavoriamo qui dentro siamo loro ostaggi. Siamo impotenti nel tutelare il nostro posto di lavoro con il rischio di perderlo».
 
C’era una volta la lotta di classe. Adesso c’è la lotta «nella» classe. Tutti contro tutti alla Composad di Viadana che dicono sia un bel posto dove lavorare anche se si fanno i turni di 24 ore e le macchine a controllo numerico non si fermano mai. Fanno mobili in kit e li vendono in tutto il mondo. Li fanno proprio qui dentro anche se poi li vendono all’Ikea, alla Leroy Merlin, nei Brico center, nei centri commerciali francesi della Conforama e pure ai giapponesi di Smile. A sentirli, quelli di dentro e quelli di fuori, hanno le stesse preoccupazioni e dicono le stesse cose. Perchè la lotta «nella» classe non è tra gli operai e i padroni come si faceva una volta. Adesso è tra gli operai garantiti e gli operai precari, tra i dipendenti e gli esternalizzati. Anche se nessuno lo dice apertamente è pure tra gli italiani e gli immigrati, anche se oramai parlano il dialetto mantovano meglio dei mantovani che non lo parlano più.
 
Dietro a questo pasticcio ci sarebbe una storia di appalti e commesse, di cooperative che si ritirano e poi perdono la gara, di consorzi che si fanno e si disfano. All’inizio i lavoratori interinali facevano capo alla Viadana Facchini. Che poi ha perso l’appalto vinto dalla Clo di Milano. La Clo di Milano allora si è alleata con la Viadana facchini e ha costituto la 3L per avere i facchini di prima ma più di 200 non ne voleva. Si sono messi di mezzo i sindacati. Tutti hanno firmato l’accordo meno quelli del Cobas. Stefano Re dei Cobas non ha firmato: «Da qui non ci spostiamo fino a che non abbiamo rassicurazione che tutti rientrino in azienda». In realtà ci sarebbe pure altro. Gli stipendi di maggio non sono stati pagati dalla cooperativa. E non ci sono garanzie sulle buone uscite di chi decidesse di cercare un altro lavoro.
 
Fallou Diao ha 50 anni, è arrivato dal Senegal che ne aveva 19, un posto di lavoro ce l’aveva e non capisce perchè non può più riaverlo: «Ho guidato il carrello per 10 anni al reparto imballaggi. 1200 euro al mese. Perchè non vado più bene?». Quelli di fuori dicono che gli «scartati» sono i più sindacalizzati. Quelli di dentro dicono che non si possono riportare in fabbrica chi va sui tetti o i 35 che sono stati denunciati dalla polizia negli spintonamenti di lunedì. Alessandro Saviola, presidente del Gruppo Mauro Saviola che controlla Composad, nella vicenda ci entra di striscio ma dice le stesse cose dei lavoratori di dentro: «Non ne possiamo più, noi vogliamo soltanto lavorare. Lo Stato non ci tutela». Le identiche parole, uguali alla sillaba di Rani Saroj, indiana del Punjab, oramai talmente mantovana che tutti chiamano Emma: «Sono in Italia da 13 anni. Da 7 lavoro con la cooperativa per 980 euro al mese. Anche mio marito lavorava con la cooperativa e lo hanno messo fuori. Abitiamo a Dosolo con i nostri 2 figli. Non facevamo nemmeno i turni insieme. Adesso ci hanno detto che forse solo uno di noi due potrà rientrare in fabbrica. Chissà come ci sceglieranno?».
30/06/2017 alle ore 07:05
 
fabio poletti
inviato a viadana (mantova)

“Noi costretti in tribunale gratis”. Salta il rimborso dei praticanti Previsti solo 400 euro al mese. Per 1300 tirocinanti saltano pure quelli

gratis picchia testaitaliani, PROPRIO CHOOSY VERO? Sarà colpa di Casa Pound se i diritti qualcuno li ha venduti. La democrazia che va preservata dai “populisti” eccola qua
“Noi costretti in tribunale gratis”. Salta il rimborso dei praticanti Previsti solo 400 euro al mese. Per 1300 tirocinanti saltano pure quelli
 
Per migliaia di giovani laureati a pieni voti, diciotto mesi negli uffici giudiziari italiani sono un’esperienza formativa straordinaria, ma a perdere .
Per i malanni della giustizia italiana, stretta tra carenza cronica di organico e lo smaltimento di circa tre milioni e mezzo di fascicoli di arretrato, i tirocinanti sono una risorsa preziosa. Peccato però non valga il contrario: per migliaia di giovani laureati a pieni voti, diciotto mesi negli uffici giudiziari italiani sono un’esperienza formativa straordinaria, ma a perdere. Di ricevere uno stipendio, neanche a parlarne. Ma c’è di peggio: a sorpresa è saltata pure la borsa di studio.
 
Il tirocinio in tribunale è una delle possibili strade, con la scuola di specializzazione e il titolo di avvocato, per sostenere il concorso di magistratura: si tratta di affiancare un giudice per 18 mesi, assistere alle udienze e aiutarlo nella stesura dei provvedimenti. Sulla carta, i tirocini previsti dal cosiddetto Decreto del Fare del 2013 hanno l’obiettivo di «migliorare l’efficienza del sistema giudiziario» e sono destinati ai laureati con meno di 30 anni e un voto di laurea superiore a 105. In pratica, da lunedì al venerdì e per un minimo di sei ore al giorno, il piccolo esercito di tirocinanti aiuta ad alleggerire la mole di lavoro dei giudici. Nel 2015 il ministero della Giustizia decise di prevedere un rimborso spese di 400 euro al mese, da distribuire sulla base del reddito delle famiglie, stanziando un fondo di 8 milioni di euro.
Anche se con grande ritardo, oltre 1500 volenterosi, cioè tutti i tirocinanti, sono stati rimborsati. Portare gli aspiranti magistrati nei tribunali italiani si è rivelato un’idea azzeccata, tanto che nel 2016 le richieste di tirocini da parte dei tribunali italiani sono più che raddoppiate. Ma le risorse per pagare le borse di studio sono rimaste le stesse.
Così la settimana scorsa 1300 dei 4mila volenterosi hanno scoperto che dal ministero non riceveranno nemmeno un euro, perché esclusi dalla graduatoria stilata sul reddito delle famiglie. «Ad aprile ho concluso i diciotto mesi, mi aspettavo circa 7mila euro, ma alla fine ne ho ricevuti solo 1200 per il 2015 – racconta Elena Cante, 27 anni, barese laureata a pieni voti alla Cattolica di Milano -. A luglio tenterò il concorso di magistratura, ho svolto il tirocinio in contemporanea con la scuola di specializzazione. Tutto a spese della mia famiglia, e ritengo sia una grave ingiustizia: siamo trattati come studenti, anche se non lo siamo più da un pezzo».
 
La graduatoria pubblicata la settimana scorsa ha escluso poco meno della metà dei partecipanti sulla base dell’Isee, calcolato per le prestazioni erogate per il diritto allo studio universitario. Nessuno di loro però è uno studente, tanto è vero che per il fisco la borsa è equiparata alle retribuzioni da lavoro dipendente.
Per protestare, i ragazzi hanno creato un gruppo su Facebook e scritto una lettera al ministro della Giustizia Andrea Orlando. «È assurdo che lo Stato, che impone ai liberi professionisti e alle aziende di retribuire i propri stagisti, anche solo sotto forma di rimborso spese, sia il primo a non rispettare i suoi obblighi – scrivono i giovani e beffati tirocinanti -. Le nostre proposte sono tre: un ulteriore stanziamento dei fondi, una redistribuzione delle risorse o l’accesso a numero chiuso, anche se andrebbe contro l’interesse di tutti. Lo chiediamo perché il lavoro è lavoro, e va pagato».
 
«Non si tratta di una sorprendente vicenda isolata – commenta Claudio Riccio, esponente del comitato nazionale di Sinistra italiana, che ha presentato un’interrogazione parlamentare sulla vicenda -. Dai volontari dell’Expo agli scontrinisti della Biblioteca nazionale di Roma, c’e un’intera generazione a cui viene chiesto di lavorare grati in nome dell’esperienza, del sacrificio e di un rigo in più sul curriculum». «Non ci sono orari prestabiliti, non dobbiamo timbrare il cartellino, tanto per capirci – racconta Daniele Labianca, 25 anni, tra i tirocinanti senza rimborso del tribunale di Foggia -. Anche lavorando come praticante avvocato la storia è la stessa: la regola in Italia è il praticantato gratuito. Per chi cambia città, ci sono pure le spese di vitto e alloggio, sempre e solo a carico dei genitori. Anche se sei laureato bene e in tempo, preparato e disposto a sacrificarti, dopo la laurea in giurisprudenza soldi non se ne vedono mai». NADIA FERRIGO
TORINO

Scontri tra CasaPound e centri sociali davanti a Palazzo Marino a Milano

scontrimilano9352ecco che DISTRIBUIRE VOLANTINI (non entrare con armi spianate in comune) chiedere le dimissioni di un sindaco PD INDAGATO diventa atto fascista ed ovviamente, spuntano i difensori del Pd con lo slogan Nessuno è illegale ossia tradotto VIVA MAFIA CAPITALE TANTO CARA ALLE CASSE DELLE COOP
Come a Genova, appena persa dal Pd, viene indetta una manifestazione antifascista, chissà chi li avrà convocati, strane coincidenze. Ovviamente l’apertura di una sede di CP è un problema che affligge gli italiani molto sentito, un problema che non lascia le famiglie arrivare a fine mese e non le lasciano dormire la notte..
 
A Genova hanno anche avuto il coraggio di usare la parola LAVORO, da quando non fanno manifestazioni per difendere il salario, il lavoro, il DIRITTO AD UN REDDITO DI CITTADINANZA, e lo tirano fuori per una manifestazione antifascista in una città appena persa dal Pd?
Scontri tra CasaPound e centri sociali davanti a Palazzo Marino a Milano. Interviene la polizia
Scontri in piazza della Scala e in piazza San Fedele in pieno centro a Milano si sono verificati, verso sera, tra esponenti di CasaPound e giovani dei centri sociali. L’intervento della polizia, in tenuta antisommossa, ha impedito che i disordini degenerassero e tutto si è poi risolto con l’allontanamento dei due gruppi.
Le tensioni erano cominciate nel tardo pomeriggio all’interno di Palazzo Marino, sede del Comune, dove i militanti di CasaPound avevano distribuito volantini contro il sindaco Sala, per chiederne le dimissioni in relazione alle indagini su Expo, e sono diventate fuori dall’edificio una vera e propria colluttazione con gli esponenti dei centri sociali, in particolare di «Nessuno è illegale», lì per manifestare a favore dell’accoglienza ai migranti. L’incontro è stato quindi casuale. Tra l’altro nello spazio dedicato al pubblico dell’aula consiliare un simpatizzante del movimento di estrema destra ha fatto il saluto romano suscitando subito le proteste dei rappresentanti di centrosinistra.
Comunque quando le due aree politiche si sono incrociate nell’ingresso del palazzo sono sono dovuti intervenire i vigili a dividerli. Gli esponenti di CasaPound avevano lanciato in Consiglio comunale dei volantini contro il primo cittadino. Mentre in Consiglio andava in scena la protesta, in piazza della Scala esponenti di Nessuno è illegale», manifestavano a loro volta ma per i migranti. Sono partiti subito spintoni e solo l’intervento dei vigili ha scongiurato la rissa. Quindi all’esterno sono dovuti intervenire gli agenti che hanno dovuto far uso dei manganelli per dividere le due fazioni. La polizia ha poi creato un cordone di sicurezza tra i due gruppi. I militanti di estrema destra sono stati fatti passare dall’edificio dove hanno sede i gruppi consiliari, che si trova a fianco di Palazzo Marino e che ha una uscita sul retro mentre il presidio dei centri sociali si è disperso.
Consiglieri comunali di maggioranza e di opposizione hanno diffuso un comunicato congiunto per stigmatizzare la protesta organizzata da CasaPound. Nella nota i consiglieri Franco D’Alfonso (Noi per Milano), Luigi Amicone (Forza Italia), Filippo Barberis (Pd) e Anita Pirovano (Sinistra per Milano) chiedono che «sia fatta chiarezza in merito alle gravissime provocazioni consumatisi oggi in Aula Consiliare ad opera di un gruppo di militanti di Casa Pound, che hanno cercato di impedire lo svolgimento del Consiglio Comunale». I consiglieri chiedono al sindaco ed alle autorità competenti «di prendere tutte le iniziative necessarie ed appurare come sia stato possibile quanto avvenuto e soprattutto di prendere ogni necessaria misura perché lo sfregio alla democrazia municipale non abbia più a ripetersi».