WHO’S WHO NEL CORNO D’AFRICA E IN MEDIORIENTE – IL MANIFESTO E IL FATTO QUOTIDIANO FUORI DAL SEMINATO

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MONDOCANE

MARTEDÌ 14 MARZO 2017

Pensate, a fare chiarezza sul chi è chi nel Corno d’Africa e in Medioriente, due delle regioni più turbolente, strategicamente rilevanti e contese e, dal punto di vista dell’informazione, più divisive del mondo, sono stati, il 14 marzo corrente giorno, mese e anno, due organi di stampa da cui tutto ci saremmo aspettati fuorchè un decisivo apporto alla verità su questi due scacchieri internazionali: “il Fatto Quotidiano” e “il manifesto”. Quotidiani Nato, ma di opposizione finchè, per il primo, ci si fermi agli spietati e incontestabili editoriali del direttoreTravaglio e alle eccellenti firme che denunciano e commentano i crimini del nostro mafio-massonico regime; e, per il secondo, ci si accontenti dei pallini ad aria compressa sparati contro gli abusi perpetrati a lavoratori, donne, migranti e diversi di genere (in concomitanza, però, con le fusa fatte a qualsiasi nanerottolo deforme di passaggio che si definisca di sinistra e perfino di centrosinistra (ultimamente al Pisapia di fama Expo, che si precipita a sostituire la gamba sinistra amputatasi dal PD. E mal gliene sta incogliendo, visto l’ultimo sondaggio che allo sfigato duo da balcone veronese, Pisapia-Boldrini, riserva  l’1,0%, mentre i vegliardi al viagra bersanian-dalemiani viaggiano già al 4,3%).

Per il resto trattasi di due house organ dell’atlantismo che, anziché in uniforme e bombe a mano, qui si presenta in giacca e cravatta, ma pur sempre con la menzogna al gas nervino nel cavo della mano. Per attenuare questa sperticata militanza lo scaltro “il Fatto”, che si vanta sacerdote dell’imparzialità, arriva a pubblicare, molto occasionalmente, articoli antimperialisti e perfino antiamericani e addirittura filopalestinesi, nel vano tentativo di bilanciare la foia talmudista e russofoba degli spudorati falsari  che, nelle sue pagine estere, fanno sistematicamente strame della realtà.

Foglie di fico sulle vergogne

Allo scopo di occultare l’identità cripto-Nato del sedicente “quotidiano comunista” (almeno “il Fatto” non ha tale inaudita pretesa), alle sue virulente campagne, griffate Cia-Soros, contro chiunque intralci i carri armati, le architetture istituzionali e le multinazionali dell’Impero, detti “valori dell’Occidente”, il “manifesto” accompagna interventi condivisibili su realtà lontane. Così la passione incontenibile per la Fratellanza Musulmana, a dispetto degli attentati e dei burka che semina qua e là, e il corrispondente odio amerikano spurgato sull’Egitto laico e non più atlantico (Cruciani, Acconcia, Calderon),  trova parziale contrappeso nell’attivismo chavista pro Venezuela e pro altri latinoamericani non conformi (Colotti). Mentre il tappeto afghano, steso sotto gli scarponi con cui l’Occidente impedisce ai Taliban di ingolfare di stoffa le donne, ma anche di liberare il paese dai monopolisti Usa di oppio-eroina (Battiston, Giordana), vorrebbe essere reso meno osceno da qualche rubrichetta dispersa in basso e in fondo, in cui si spiega come siano assai più gli americani che non i russi a rischiare di far saltare il mondo (Dinucci). Davvero maldestro e fallimentare, poi, il tentativo di bilanciare con Pisapia, Orlando, o Fratoianni (Preziosi), l’impura fregola per Hillary, la donna che per stragi di innocenti ha messo in ombra tutti i precedenti fino a Messalina (Moltedo, Celada, Catucci, D’Agnolo Vallan).

Datemi del moralista, ma, a mio avviso, il fatto che validi esponenti dell’integrità politica e professionale della mia categoria, che vantano altre, più decorose e anche più diffuse occasioni di esprimersi, senza doversi imbrattare acciaccando quanto depositato nelle pagine contigue, se la sentano di farsi foglie di fico e dare copertura a un giornale che strategicamente persegue obiettivi opposti ai loro, continua a costituire scandalo e segno di una mancanza di coerenza, perfino di scrupoli. Vada per Geraldina Colotti, purchè si attenga al tema, rispettata nella sua autodeterminazione, anche perché il giornale sa bene che, se mantiene un minimo di credibilità e di lettori, è grazie anche all’esclusività che, grazie a Colotti, vanta nell’informazione sul continente latinoamericano e a Giorgio sulla Palestina (purchè non traligni nel manifesto-pensiero quando si occupa di altro).

Veniamo al dunque. Il grande strappo di oggi riguarda l’eccellente intervista data da Bashar Al Assad, presidente siriano, a Stefano Feltri del “Fatto”. Sebbene sovrastata dal solito titolo che cerca di falsare il contenuto facendo passare Assad per il conclamato tiranno (“Per la Siria i diritti umani ora sono un lusso”), a dispetto di una trafiletto Unicef che parla di bambini uccisi o arruolati in Siria, senza precisare da chi, l’intervista si estende su due pagine, le prime, che si possono ben definire storiche. I box contigui, con i soliti stereotipi sul padre di Bashar e sulla presunta “guerra civile” nata dalla “repressione di pacifici dimostranti”, non riescono a cancellare la forza delle argomentazioni, dei dati, della sincerità, della ragionevolezza, dell’intervistato. Neanche le domandine tendenziose, basate sulle stranote fandonie e che vorrebbero far ammettere a Bashar quanto i calunniatori asseriscono ( I russi colonizzano la Siria? Con l’Iran è bloccato ogni processo di pace? Come responsabile per l’ONU di 400mila morti, lei è disposto a lasciare il potere? Ci sarà una Siria federale, che protegge i diritti umani e controlla esercito e servizi di sicurezza?) riescono a inquinare la forza dei fatti e la competenza e dignità con cui Bashar li espone.

Bisogna dare atto al “Fatto” di non avere, a quanto pare, tagliato o manipolato alcunché, almeno di essenziale e valido, di un’intervista da cui il presidente siriano esce alla grande, assolutamente convincente, con un di più di ammirazione per la sua forza d’animo e di consapevolezza su cosa è in ballo in quella regione. Consiglio a tutti di ricuperare in rete questo documento.

Parla Milosevic? Censura a sinistra!

Nel 2011 tornai da una Belgrado in preda alle convulsioni della prima vera rivoluzione colorata lanciata dalle centrali Usa della destabilizzazione, finanziata e organizzata da Soros e operata in piazza dai sicari di Otopor (poi adoperati per altri regime change). Il mio arrivo a Roma coincise con l’arresto di Slobodan Milosevic, estremo difensore della Jugoslavia e della Serbia, unico protagonista, tra fascisti croati, jihadisti bosniaci, terroristi kosovari UCK e pellegrini fiancheggiatori a Sarajevo, portatore di diritti umani, democrazia, sovranità. Non per nulla accusato di ogni efferatezza, di pulizie etniche  e stragi praticate invece dai nemici del paese, che anni di processi a conduzione Usa non riuscirono a provare e perciò assassinato nella sua cella all’Aja.

Ero stato l’ultimo a intervistarlo, insieme alla moglie, nella sua residenza di Belgrado. Lavoravo a Liberazione, per quanto osteggiato dai bertinottiani in redazione, ansiosi di non urtare suscettibilità che avrebbero potuto ostacolare l’arrampicata del leader e frenare “l’evoluzione”  del partito. Abbastanza contento dello scoop, nell’amarezza per la sorte di un uomo che aveva fatto del suo meglio, me lo vidi respingere dalla vicedirettrice, Rina Gagliardi,  e dal caporedattore Cannavò, ovviamente trotzkista (oggi al “Fatto”) con l’altamente qualificante osservazione: “Non possiamo appiattirci su Milosevic”, intendendo “l’orrendo dittatore”. Fosse anche, ma se ti capita di intervistare Gengis Khan non pubblichi? La stessa concezione alla Starace della professione mi venne poi ribadita al “manifesto”, cui mi ero rivolto nell’affannato sforzo di non disperdere, a sinistra, le parole di un protagonista, tragico ed eroico, della storia contemporanea. Alla fine, il Corriere della Sera, di più solida sostanza professionale e con meno grilli inibitori per il capo, pubblicò l’intervista. Riconosco oggi la stessa caratura editoriale a “il Fatto”.

Eritrea delenda est

Difendendo il solco tracciato da Dipartimento di Stato, Cia, Pentagono, FMI e, in subordine, UE, il “manifesto” non perde occasione per picchiare sull’Eritrea, unico Stato africano che rifiuta sia l’FMI, sia la Cia, il Pentagono e il Dipartimento di Stato, negando a questi stupratori di nazioni e popoli basi militari, economiche e Ong. Per gli argomenti, mai di sua diretta conoscenza,  al “manifesto” bastano gli input delle solite vivandiere umanitarie dei lanzichenecchi Nato: Amnesty International, Human Rights Watch, USAID, Obama, Laura Boldrini e quello squinternato di Pippo Civati che, forse non sapendo nemmeno dove si trova l’Eritrea, s’è voluto guadagnare un buffetto della Commissione dei diritti umani dell’ONU importunando il parlamento con una sua mozioncella all’acido solforico contro quel paese. Paese al quale, a partire da noi colonizzatori, britannici, statunitensi,e  russi e cubani che si schierarono con il suo aggressore e occupante, non avrebbero che da chiedere scusa.

L’Etiopia è il gigante del Corno d’Africa. A sud s’è mangiata, su commissione Usa, un bel pezzo di Somalia, contribuendo con la “comunità internazionale” a sfasciare totalmente quel paese (altra nostra colonia, saccheggiata e poi avvelenata a morte con i rifiuti nucleari e tossici di cui Ilaria Alpi). A nord continua a occupare terre eritree. Ora quella “comunità”, tramite sicari africani riuniti nella spedizione “Afrisom” e raid Usa su villaggi, scuole, funerali e matrimoni, insiste a tenere il paese in condizioni di Stato fallito e popolo morente. Resistono, dopo la decimazione di altre resistenze, la formazioni islamiche degli Al Shabaab, presenti con operazioni militari in tutto il paese e contro le centrali estere dell’aggressione. Resistenza opportunamente satanizzata.

Quanto a satanizzazioni, l’Eritrea non ha nulla da invidiare alla Somalia. Ma nessuno è ancora risuscito a metterle le mani addosso. E neanche gli scarponi. Segno evidente di una forte coesione e convinzione nazionale. Alle criminalizzazioni e punizioni collettive sfugge invece l’Etiopia. Lasciata dall’Italia di Mussolini, Badoglio e Graziani in un oceano di sangue, quel popolo, in cui un paio di etnie, Amhara e Tigrini, spadroneggiano da sempre sulle altre, valendosi del sostegno neocolonialista delle potenze, è tanto governato da una successione di despoti sanguinari, da Haile Selassiè a Menghistu a Meles Zenawi all’attuale Dessalegn, quanto è amato, coccolato, armato e incitato al mercenariato contro i paesi vicini, dalla solita “comunità internazionale, Usa, Ue e Israele in testa.

Etiopia pasto nudo

Frequentatori e cicisbei abituali anche i nostri. Di casa sono Mattarella, Renzi, Pittella (quello della Commissione UE), Ong varie. Partecipano  al banchetto offerto dal regime agli amici. Le pietanze, in questo caso, sono le proprie popolazioni e il loro habitat. Quelle escluse, Oromo in testa. Escluse anche dai territori ancestrali dai rapinatori di terre (indiani, cinesi, sauditi), costruttori di dighe (Impregilo-Salini), coltivatori di monoculture alla Monsanto, forze armate straniere con le loro basi. Il regime etiopico ricompensa tanta grazia, assaltando ogni tanto, su suggerimento Usa, qualche vicino. Dallo sceiccato ai suoi piedi, Gibuti, colonia e presidio militare francese e ora anche Nato, arrivano armi e ordini di servizio.

Dell’Etiopia, però, nessuno parla male. Neanche i missionari comboniani, un po’ perché hanno le mani piene del sabotaggio perenne del Sudan, e un po’ perché gli etiopi, essendo in maggioranza copti, offrono poco ascolto. E, venendo allo strappo operato oggi dal “manifesto”, dell’Etiopia invece parla male, come vorrebbe la ragione sociale che vanta, il “quotidiano comunista”. Merito della sciagura costruita con grande impegno dalle autorità di Addis Abeba (“Nuovo fiore”) per rimuovere dalla faccia del paese la presenza ingombrante, oltre a quella dei villaggi da bruciare per far posto ai bacini dell’Impregilo, dei morti di fame accalcati in capanne di cartone alla base di Koshe (sporcizia), la più grande discarica del paese, forse dell’Africa. E’ crollata mentre ci volevano costruire sopra un “perfezionamento” ulteriore dell’ambiente, un inceneritore. Al momento hanno estratto 65 morti di fame. Altri ne usciranno, dalla Koshe.

E “il manifesto”, con Marco Boccitto, questa tragedia, questo crimine, li ha scritti. E non nel solito trafiletto, o nella solita  rubrichetta  vedo e non vedo. E non ha perso l’occasione per aggiungere altre sciagure e altre nefandezze di uno dei regimi più chiavica del continente. Chapeau. Purchè non provi ora a riequilibrare a favore di Renzi, Mattarella, Pittella, Impregilo, Usa e Onu, tornando alla sua maniera sul tema Eritrea. Senza dubbio gli sponsor del giornalino povero diventato ricco e patinato, glielo chiederanno.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 20:57

WHO’S WHO NEL CORNO D’AFRICA E IN MEDIORIENTE – IL MANIFESTO E IL FATTO QUOTIDIANO FUORI DAL SEMINATOultima modifica: 2017-03-15T15:45:08+01:00da davi-luciano
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