In Francia esplosione in una centrale nucleare, cinque intossicati. Esclusi rischi contaminazione

ovviamente niente di grave ed ovviamente fidiamoci….


Il prefetto di zona, Jacques Witkowski, ha riferito che «i feriti sono stati dichiarati indenni». Ha poi annunciato l’apertura di «un’indagine tecnica»
 
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La centrale nucleare di Flamanville
L’incidente alla centrale nucleare di Flamanville, nel nord-ovest della Francia, «è finito»: è quanto annuncia la prefettura locale. L’esplosione, secondo il sito internet del giornale Ouest-France, ha causato almeno cinque feriti lievi. Si è verificato nella sala macchine, dove non ci sono elementi radioattivi. Subito scartata l’eventualità di contaminazione: “Non c’è nessun rischio nucleare”, garantisce la prefettura di zona, precisando che l’esplosione si è verificata intorno alle 10.
 
I soccorsi sono giunti nella zona ed è subito scattata l’operazione dei vigili del fuoco. Secondo BFM-TV, intorno alle dodici, l’incendio era quasi interamente domato. Cinque persone sono rimaste “leggermente intossicate” e uno dei reattori “è stato spento per precauzione”, precisano ile autorità transalpine.
Lo scorso novembre, Pierre-Franck Chevet, il presidente dell’Authority di Parigi sulla sicurezza nucleare (Asn), aveva lanciato l’allarme sulla sicurezza delle centrali transalpine. insistendo sul’esigenza di “ripensare” l’intera “catena di controllo” per rendere l’atomo più sicuro.
Contattato telefonicamente da BFM-TV, il prefetto di zona, Jacques Witkowski, ha riferito che le cinque persone leggermente intossicate “sono state dichiarate indenni”. Ha poi annunciato l’apertura di un’”indagine tecnica” per determinare le cause dell’incidente verificatosi su “un banale impianto elettrico” nella zona del reattore numero 1 di Flamanville. Witkowski evoca un “surriscaldamento sulle guaine dei macchinari” che avrebbe causato la detonazione a cui è seguita la fuoriuscita di fumo in un comparto “che non ha nulla a che vedere con l’area nucleare”.
Pubblicato il 09/02/2017  -Ultima modifica il 09/02/2017 alle ore 13:01
paolo levi
parigi

L’avversione contro Donald Trump non è che propaganda di guerra

soros trumpI nostri precedenti articoli sul presidente Donald Trump hanno suscitato vive reazioni nei nostri lettori, che si chiedono le ragioni per cui Thierry Meyssan dia prova di tanta ingenuità, malgrado gli ammonimenti della stampa internazionale e l’accumularsi di segnali negativi. Ecco la sua risposta, argomentata come d’abitudine.
A due settimane dall’insediamento, la stampa atlantista prosegue nell’opera di disinformazione e di sobillazione contro il nuovo presidente degli Stati Uniti. Il quale, insieme ai primi collaboratori, moltiplica dichiarazioni e gesti apparentemente contraddittori, sicché è difficile comprendere che succede a Washington.
La campagna anti-Trump
La malafede della stampa atlantista è verificabile analizzando i suoi quattro principali argomenti.
– 1. Per quanto riguarda l’inizio dello smantellamento dell’Obamacare (20 gennaio), è giocoforza constatare che, contrariamente a quanto pretende la stampa atlantista, i ceti più deboli, che avrebbero dovuto sfruttare questo dispositivo di «sicurezza sociale», in realtà l’hanno massicciamente ignorato. Obamacare si è infatti rivelato troppo costoso e troppo rigidamente condizionante per sedurre coloro cui è rivolto. Le uniche a esserne pienamente soddisfatte sono le assicurazioni private che lo gestiscono.
2. Per quanto riguarda il prolungamento del muro alla frontiera con il Messico (23-25 gennaio), la ragione non è la xenofobia: il Secure Fence Act è stato firmato dal presidente George W. Bush, che poi ha dato l’avvio alla costruzione del muro. Il presidente Barack Obama l’ha proseguita, appoggiato dal governo messicano dell’epoca. Al di là della retorica oggi alla moda sulla costruzione di “muri” e di “ponti”, le misure tendenti a rafforzare il controllo delle frontiere sono efficaci solo se le autorità di entrambe le parti concordano nel renderle operative. Per contro, sono votate al fallimento se uno dei due Paesi vi si oppone. L’interesse degli Stati Uniti è il controllo dell’ingresso dei migranti, l’interesse del Messico è fermare l’importazione illegale di armi. Niente è cambiato. Tuttavia, con l’applicazione del Trattato di libero-scambio nordamericano (NAFTA), società transnazionali hanno delocalizzato le proprie industrie, trasferendo dagli Stati Uniti al Messico non solo mansioni non qualificate (conformemente alla regola marxista della ”caduta tendenziale del tasso di profitto”), ma anche mansioni qualificate, facendole svolgere da operai sottopagati (dumping sociale). In Messico, la comparsa di questi posti di lavoro ha provocato un forte esodo rurale e destrutturato la società, com’è accaduto nel XIX in Europa. In tal modo, le società transnazionali hanno potuto abbattere i costi della manodopera, facendo però precipitare nella povertà parte della popolazione messicana, che ora sogna solo di emigrare negli Stati Uniti per essere pagata il giusto. Poiché Trump ha annunciato l’intenzione di far recedere gli Stati Uniti dal NAFTA, nei prossimi anni la situazione dovrebbe tornare alla normalità, con soddisfazione sia dei messicani che degli statunitensi [1].
3. Per quanto riguarda l’aborto (23 gennaio), il presidente Trump ha vietato le sovvenzioni federali alle associazioni specializzate che ricevono finanziamenti dall’estero. In tal modo Trump le obbliga a scegliere fra la loro ragion d’essere (soccorrere le donne in difficoltà) o continuare a essere pagate da George Soros per manifestare contro la sua amministrazione – com’è accaduto il 21 gennaio. Questo decreto non vuole ledere il diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, bensì prevenire una “rivoluzione colorata”.
 
4. Per quanto riguarda i decreti anti-immigrazione (25-27 gennaio), Trump ha annunciato che avrebbe applicato la legge, ereditata dall’amministrazione Obama, che implica l’espulsione di 11 milioni di stranieri irregolari. Ha sospeso gli aiuti federali alle città che hanno dichiarato di volersi rifiutare di applicare la legge (come si potrà avere personale di servizio a basso costo se si sarà obbligati a dichiarare gli immigrati?).
Trump ha precisato che comincerà con l’espulsione di 800.000 criminali già condannati per reati penali negli Stati Uniti, in Messico o altrove.
Inoltre, per evitare l’ingresso di terroristi, ha sospeso i permessi d’immigrazione negli Stati Uniti e per tre mesi ha vietato l’ingresso di persone provenienti da Paesi in cui non è possibile verificarne identità e la situazione. La lista di questi Paesi non è stata redatta da Trump, ma da lui ripresa da un testo del presidente Obama. In Siria, per esempio, non ci sono più né ambasciata né consolato americani. Dal punto di vista della polizia amministrativa, è dunque logico includere i siriani in tale lista. A ogni modo, questi provvedimenti riguarderanno un flusso minimo di persone.
Nel 2015 la “carta verde” statunitense è stata rilasciata a 145 siriani solamente. Nella consapevolezza del gran numero di casi particolari che potrebbero sorgere, il decreto presidenziale ha attribuito al dipartimento di Stato e quello della Difesa interna (Homeland Security) massima libertà di accordare dispense. Il fatto che funzionari in contrasto con Trump abbiano sabotato questi decreti, applicandoli in maniera brutale, non fa del nuovo presidente un razzista e tantomeno un islamofobo.
La propaganda anti-Trump della stampa atlantista è dunque ingiustificata. Pretendere che il presidente abbia dichiarato guerra ai mussulmani, nonché invocare pubblicamente una sua possibile destituzione, persino una sua uccisione, non è più malafede, è propaganda di guerra.
L’obiettivo di Donald Trump
Trump è stato la prima personalità in tutto il mondo a contestare la versione ufficiale degli attentati dell’11 settembre; l’ha fatto il giorno stesso, alla televisione. Dopo aver ricordato che gli ingegneri che avevano costruito le Twin Tower ora lavoravano per lui, dichiarò su Canal 9 di New York che era impossibile che dei Boeing avessero potuto trapassare le strutture in acciaio degli edifici. Aggiunse anche che era altrettanto impossibile che dei Boeing avessero provocato il crollo delle torri: altri fattori dovevano essere intervenuti, al momento sconosciuti.
 
Da quella data, Trump non ha fatto che opporsi a quelli che avevano commesso un tale crimine. Durante il suo discorso di investitura, ha sottolineato che la cerimonia non significava un semplice passaggio di potere tra due amministrazioni: si trattava di restituire il potere al popolo degli Stati Uniti, che ne era stato spogliato [da 16 anni] [2].
Durante la campagna elettorale, indi durante il periodo di transizione, e poi dal momento in cui ha assunto le funzioni di presidente, Trump ha ripetuto che il sistema imperiale degli ultimi anni non ha portato beneficio agli Stati Uniti, ma alla ristretta cricca di cui la Clinton è figura emblematica. Ha dichiarato che gli Stati Uniti non avrebbero più cercato di essere i “primi”, ma i “migliori”. I suoi slogan sono: «America di nuovo grande» (America great again) e « L’America per prima cosa » (America first).
 
Questa svolta politica a 180° stravolge un sistema costruito negli ultimi 16 anni, che trova origine nella Guerra fredda voluta dagli Stati Uniti nel 1947. Questo sistema ha incancrenito numerose istituzioni internazionali, come la NATO (con Jens Stoltenberg e il generale Curtis Scaparrotti), l’Unione europea (con Federica Mogherini), e le Nazioni unite (con Jeffrey Feltman [3]). Ammesso che Trump ci riesca, gli occorreranno comunque anni per raggiungere l’obiettivo.
 
Verso lo smantellamento pacifico dell’impero statunitense
In due settimane Trump ha avviato molte cose, spesso nella più grande discrezione. Le sue dichiarazioni tonitruanti nonché quelle della sua squadra hanno scientemente seminato confusione, permettendogli di far confermare da un Congresso in parte ostile le nomine dei suoi collaboratori.
Teniamo ben presente che la guerra cominciata a Washington è una guerra all’ultimo sangue tra due sistemi. Lasciamo perciò alla stampa atlantista il compito di commentare propositi spesso contraddittori e incoerenti di entrambe le parti per attenerci unicamente ai fatti.
Innanzitutto, Trump s’è assicurato il controllo degli organi di sicurezza. Le prime tre nomine (il consigliere per la Sicurezza nazionale Michael Flynn, il segretario della Difesa James Mattis e il segretario per la Sicurezza interna John Kelly) sono altrettanti generali che hanno contestato il “governo di continuità” instaurato dal 2003 [4]. Ha poi riformato il Consiglio per la Sicurezza nazionale per escluderne il capo di stato-maggiore interarmi e il direttore della CIA [5].
Anche se quest’ultimo decreto venisse emendato in futuro, al momento non lo è. Segnaliamo che avevamo annunciato la volontà di Trump e del generale Flynn di sopprimere la funzione di direttore dell’intelligence nazionale [6]. Alla fine, la carica è stata mantenuta e assegnata a Dan Coats. Potrebbe trattarsi di una tattica per esigere che la presenza in seno al Consiglio del direttore dell’intelligence nazionale sia motivo sufficiente a giustificare l’esclusione del direttore della CIA.
La sostituzione de « i migliori » con «i primi » implica che la volontà di distruggere Russia e Cina si converta nella volontà di concludere un partenariato con questi Paesi.
Per impedirlo, gli amici della Clinton e della Nuland hanno rilanciato la guerra contro il Donbass. Le cospicue perdite subite dall’inizio del conflitto hanno indotto l’esercito ucraino a ripiegare e a spedire in prima linea le milizie militari para-naziste. I combattimenti hanno inflitto pesanti danni alla popolazione della nuova Repubblica popolare. Nel medesimo tempo, in Medio Oriente Clinton e compagnia sono riusciti a consegnare blindati ai curdi siriani, come aveva disposto l’amministrazione Obama.
Per risolvere il conflitto ucraino, Trump sta cercando un modo per aiutare a destituire il presidente Petro Porochenko. Per questo, ancor ancora prima di accettare di parlare al telefono con Porochenko, ha ricevuto alla Casa Bianca il capo dell’opposizione, Ioulia Tymochenko.
In Siria e in Iraq, Trump ha già avviato operazioni comuni con la Russia, sebbene il suo portavoce lo neghi. Il ministero russo della Difesa che, imprudentemente, l’ha rivelato, in seguito non ha più proferito parola sull’argomento. Washington ha rivelato allo stato maggiore russo la dislocazione dei bunker jihadisti nel governatorato di Deir ez-Zor. Bunker che la scorsa settimana sono stati distrutti con bombe penetranti.
Per quanto riguarda Beijing, il presidente Trump ha messo fine alla partecipazione statunitense al Trattato trans-Pacifico (TPP), un trattato concepito contro la Cina. Durante il periodo di transizione ha ricevuto Jack Ma, il secondo uomo più ricco della Cina – lo stesso che ha dichiarato: «Nessuno vi ha portato via posti di lavoro, spendete troppo in guerre». Si sa che i colloqui hanno riguardato l’eventualità di un’adesione di Washington alla Banca Asiatica d’Investimento per le Infrastrutture. Se ciò accadesse, gli Stati Uniti dovrebbero accettare di cooperare con la Cina e cessare di ostacolarla. Prenderebbero parte alla costruzione delle due vie della seta. In tal modo, le guerre di Donbass e di Siria diventerebbero inutili.
In materia finanziaria, il presidente Trump ha avviato lo smantellamento della legge Dodd-Frank, un tentativo di risolvere la crisi del 2008 prevenendo il fallimento brutale delle grandi banche (« too big to fail »). Benché questa legge di ben 2.300 pagine presenti aspetti positivi, essa statuisce una tutela del Tesoro sulle banche che, evidentemente, ne frena lo sviluppo. Donald Trump pare si appresti anche a restaurare la distinzione tra banche di deposito e banche di investimento (Glass-Steagall Act).
E, per finire, è iniziato anche il repulisti delle istituzioni internazionali. La neo-ambasciatrice all’ONU, Nikki Haley, ha chiesto un audit sulle 16 missioni di “mantenimento della pace” e dichiarato che vuole mettere fine a quelle inefficaci. Ossia, alla luce della Carta delle Nazioni unite, a tutte, senza eccezioni. In effetti, i fondatori dell’ONU non prevedevano un tale impegno militare (oggi superiore a 100.000 uomini).
 
L’ONU è stato creato per prevenire e risolvere conflitti tra Stati, non conflitti interni. Quando due parti in conflitto concludono un cessate-il-fuoco, l’Organizzazione può inviare osservatori per verificare il rispetto dell’accordo. Le attuali operazioni di “mantenimento della pace” mirano, al contrario, a imporre il rispetto di una risoluzione imposta dal Consiglio di sicurezza e rifiutata da una delle parti in conflitto; si tratta di un prolungamento del colonialismo.
In realtà, la presenza delle forze dell’ONU non fa che protrarre i conflitti, la loro assenza lascia invece immodificata la situazione. Per esempio, le truppe della FINUL, dispiegate alla frontiera fra Israele e Libano – però solo su territorio libanese – non prevengono né un’azione militare israeliana, né un’azione militare della Resistenza libanese, così com’è stato più volte dimostrato. Servono unicamente a spiare i libanesi per conto degli israeliani, dunque a perpetuare il conflitto. Così come, dopo che le truppe della FNOUD, dispiegate sulla linea di demarcazione tra Golan e Siria, sono state cacciate da Al Qaeda, il conflitto tra Israele e Siria è rimasto immutato.
 
Porre fine a un tale sistema implica quindi un ritorno allo spirito e alla lettera della Carta costitutiva dell’ONU, rinunciare ai privilegi coloniali e pacificare il mondo.
Nonostante le polemiche mediatiche, le manifestazioni di piazza e le contese politiche, il presidente Trump mantiene la propria rotta.
Feb 09, 2017
Thierry Meyssan
Traduzione: Rachele Marmetti
Il Cronista

Usa, le mail trafugate a George Soros finiscono online: “È architetto di ogni colpo di Stato degli ultimi 25 anni”

tttw5questi sì che sono hackers anti sistema. Che cattivi, questo magnate multimiliardario non ha a cuore altro che il bene degli ultimi….


Dc Leaks pubblica i file rubati dai database della Open Society Foundation dell’imprenditore ungherese americano: “A causa sua e dei suoi burattini gli Stati Uniti sono considerati come una sanguisuga e non un faro di libertà e democrazia”

Ci sono i dossier sulle elezioni Europee del 2014 ma anche quelli sul voto nei singoli Stati, i fascicoli sui finanziamenti elargiti alle organizzazioni non governative di tutto il mondo e persino i rapporti sul dibattito politico in Italia ai tempi della crisi dell’Ucraina. Sono solo alcuni dei documenti rubati dai database della Open Society Foundation di George Soros. Appena pochi giorni fa Bloomberg aveva raccontato che, oltre ad aver violato i server del partito Democraticoavrebbero anche trafugato le mail dell’imprenditore americano.
E adesso Dc Leaks ha varato soros,dcleaks.com, un portale interamente dedicato ai documenti trafugati dalle caselle mail del magnate statunitense. Nove categorieUsa, Europa, Eurasia, Asia, America Latina, Africa, World bank, President’s office,Souk – migliaia di documenti consultabili online o da scaricare in pdf.
 
Dentro c’è un po’ di tutto: commenti sulle elezioni nei Paesi di mezzo mondo, rapporti sui “somali nelle città europee” e sul bilancio di previsione statunitense, ma anche dossier sulla crisi tra Russia e Ucraina con una serie di allegati che spiegano la posizione dei vari stati Europei sulla vicenda.
In homepage, poi, c’è un post che spiega il motivo della pubblicazione dei file. “George Soros – scrivono gli hacker –  è un magnate ungherese- americano, investitore , filantropo, attivista politico e autore che, di origine ebraica. Guida più di 50 fondazioni sia globali che regionali. È considerato l’architetto di ogni rivoluzione e colpo di Stato di tutto il mondo negli ultimi 25 anni . A causa sua e dei suoi burattini gli Stati Uniti sono considerati come una sanguisuga e non un faro di libertà e democrazia. I suoi servi hanno succhiato sangue a milioni e milioni di persone solo per farlo arricchire sempre di più. Soros è un oligarca che sponsorizza il partito Democratico, Hillary Clinton, centinaia di uomini politici di tutto il mondo. Questo sito è stato progettato per permettere a chiunque di visionare dall’interno l’Open Society Foundation di George Soros  e le organizzazioni correlate. Vi presentiamo i piani di lavoro , le strategie , le priorità e le altre attività di Soros. Questi documenti fanno luce su uno dei network più influenti che opera in tutto il mondo”.
agosto 18, 2016

ARRESTATO PREFETTO: VENDEVA PERMESSI DI SOGGIORNO

ufficio immigrazione-2Per chi pensa che Vox news si inventi le informazioni per alimentare “odio”, qui stessa notizia ma dal Fatto Quotidiano. Cosa non si fa per il bene dei migranti….

Il commissario del comune di Borghetto e viceprefetto di Savona Andrea Santonastaso, un ex ispettore della squadra mobile, Roberto Tesio, in servizio all’ufficio tecnico e logistico della Questura, e un altro funzionario della prefettura, Carlo Della Vecchia. Sono i tre pubblici ufficiali arrestati questa mattina nell’ambito dell’indagine della squadra mobile di Savona che ha portato alla notifica di 6 ordinanze di custodia cautelare.
 
I tre sono sospettati di una serie di illeciti, attuati nell’ambito di un giro di favori ed autorizzazioni concesse nell’abuso delle proprie funzioni: denaro e regali in cambio di permessi di soggiorno, agevolare il cambio di cognome oppure la riduzione dei giorni di sospensione della patente. Santonastaso e Della Vecchia si trovano ai domiciliari. Oltre al poliziotto e ai due funzionari sono state arrestate altre tre persone: un uomo di origini marocchine, un uomo albanese e una donna italiana.
 
Santonastaso, commissario prefettizio presso il comune savonese di Borghetto, aveva in passato ricoperto la stessa carica presso i comuni di Spotorno, Celle Ligure, Albisola, Carcare.
 
C’è chi aiuta l’invasione illegalmente e chi, come tutti gli altri prefetti, lo fa al riparo della legge. Ma solo perché la legge l’hanno fatta dei criminali politici.
La cosa scandalosa è che il governo lo aveva nominato ‘commissario del comune’ al posto del sindaco eletto, solo pochi mesi fa:
Il viceprefetto di Savona Andrea Santonastaso sarà il commissario prefettizio del Comune di Borghetto Santo Spirito. La nomina è stata formalizzata questa mattina dal prefetto di Savona Giorgio Manari. Santonastaso era già stato commissario prefettizio a Spotorno. «Il provvedimento – spiegano dalla prefettura – è stato adottato in quanto sei consiglieri su dieci assegnati del Comune hanno rassegnato le dimissioni pochi giorni fa». Nell’attesa dell’adozione del decreto di scioglimento da parte del Presidente della Repubblica, il prefetto ha sospeso il Consiglio comunale e ha affidato la provvisoria gestione dell’Ente al commissario prefettizio al quale sono stati attribuiti i poteri del consiglio comunale, del sindaco e della giunta».
 
Governo di incapaci e ladri.
febbraio 6, 2017

Chi l’avrebbe mai detto! Transparency International finanziato da Soros accusa i populisti di corruzione

lobby bruxellesma per fortuna nell’Europa dei popoli, dove governano ininterrottamente partiti neoliberisti, globalizzatori, guerrafondai umanitari, cosiddetti socialisti la corruzione non sanno mica cosa sia vero? Chissà cosa ci faranno mai i 30 mila lobbisti a Bruxelles….mica per allungare mazzette… Dal FQ (dove c’è la chiara denuncia di una europarlamentare del M5S)
Secondo le stime di Corporate Europe, a Bruxelles ci sono circa 1500 lobby e 30mila lobbisti professionisti impegnati nel cercare di influenzare il percorso legislativo europeo
 
Ovvio che questa “democrazia” vada difesa dai populisti…

Transparency International – l’organizzazione con sede a Berlino i cui sondaggi sulla “corruzione percepita” non fanno altro che dimostrare come sia efficace la propaganda che dipinge certi paesi come più corrotti di altri – ha condotto uno studio secondo il quale i cosiddetti “populisti” che si aggirano per l’Europa non darebbero abbastanza garanzie di lotta alla corruzione. L’evidente faziosità di questo studio si spiega agilmente guardando alle fonti di finanziamento di questa organizzazione, tra le quali figura uno dei personaggi viventi  più pericolosi per la democrazia. Via Russia Today
Mentre le élite UE si sentono minacciate dall’attuale rivolta populista, volta a porre fine a programmi di immigrazione facile ed incontrollata ed a promuovere il nazionalismo al posto della globalizzazione, un autorevole think tank sostiene che – tenetevi forte – il populismo alimenta la corruzione.
Transparency International, ente anti-corruzione con sede a Berlino, nel suo annuale Indice di Percezione della Corruzione mette in guardia contro i presunti pericoli del populismo, quell’animale politico che di tanto in tanto si aggira fra le nazioni, come una forza della natura, per lottare contro gli eccessi di una minoranza elitista che ha perso il contatto con la realtà.
 
Il populismo è la cura sbagliata” ha dichiarato il presidente di TI Jose Ugaz, pur senza offrire ricette alternative. “Nei paesi governati da leader populisti o autocratici, si assiste spesso al declino della democrazia e ad un’inquietante frequenza di tentativi di repressione della società civile, di limitazione della libertà di espressione, e di attacchi all’indipendenza della magistratura.
 
Lungi dal combattere il capitalismo clientelare, questi leader solitamente finiscono con l’istituire sistemi ancora più corrotti” ha aggiunto Ugaz.
In tema di corruzione, l’osservatorio si improvvisa come esperto nella lettura del pensiero, asserendo che i politici populisti “non hanno intenzione di affrontare seriamente il problema [della corruzione].
Lo studio mette sotto accusa alcuni fra i politici più controversi, come Donald Trump (USA), Marine Le Pen (Francia), Jaroslw Kaczynski (Polonia) e Victor Orban (Ungheria), che  hanno scalato le classifiche di consenso popolare del loro elettorato dichiarando guerra aperta ad un establishment ormai agonizzante.
 
Transparency International lancia l’allarme su questi “truffatori” della politica, in quanto “emotivi, localisti e spesso di destra…” rilevando però nel contempo che questi indisciplinati nuovi arrivati “hanno saputo sfruttare la delusione della gente nei confronti di un ‘sistema corrotto’ e presentarsi come l’unica ‘via d’uscita’ dal circolo vizioso appena descritto…
Pur fra tutte le riflessioni dedicate ai potenziali rischi relativi ai nuovi sovversivi, lo studio vistosamente omette qualsiasi riferimento alle cause della disaffezione di così tante persone verso i soliti noti politici di carriera, che, va detto, sono colpevoli di crimini ben più gravi della semplice corruzione.
In troppi casi si è trattato di complicità in vere e proprie stragi, dai cruenti cambi di regime in posti come l’Iraq, la Libia, l’Afghanistan, alle operazioni tuttora in corso in Siria, fino alla devastazione della civiltà occidentale dovuta all’immigrazione incontrollata di profughi senza il consenso dei cittadini. Quando anche i paesi membri della NATO dovessero sentirsi in colpa per la loro diretta complicità negli omicidi seriali di intere nazioni, la soluzione non sarebbe certo costringere i loro cittadini ad accogliere sul territorio nazionale gli sfollati di queste zone di guerra.
 
Tenendo conto delle losche azioni perpetrate da numerosi paesi della NATO, tanta preoccupazione sull’alto grado di corruzione appare piuttosto esagerata e fuori luogo. A costo di scadere nel cinismo, distinguere la corruzione dalla politica equivale a distinguere l’uovo dalla gallina, e, come ci ricorda il famoso indovinello, è molto difficile dire quale dei due sia nato prima.
 
E già che siamo in tema di corruzione. Il livello di corruzione nello schieramento della Clinton, rivelato da WikiLeaks alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2016, è semplicemente sconcertante, e dovrebbe bastare a precludere qualsiasi ramanzina sulla buona educazione da parte dei signori di Transparency International.
Tanto per iniziare, a novembre si è scoperto che la Clinton Foundation aveva ricevuto una ‘donazione’ da 1 milione di dollari dal Qatar senza informarne il Dipartimento di Stato,  violando così una convenzione che la obbligava a rendere pubbliche tutte le donazioni ricevute dall’estero. L’assegno sarebbe stato un regalo di compleanno all’ex presidente Bill Clinton nel 2011 per i suoi 65 anni. In base ad un’email pubblicata il mese scorso, sembra che ad un certo punto ci sarebbe stato un incontro fra lui ed alcuni funzionari del Qatar, ma non è chiaro se ciò sia poi realmente accaduto.
Al tempo stesso, è anche emerso che l’Arabia Saudita ed il Qatar, oltre ad elargire generose donazioni alla Clinton Foundation, stavano anche armando e finanziando i militanti dell’Islamic State. Ora ditemi se questo non è un caso di corruzione da manuale.
 
Non è dunque un caso se i populisti sono apparsi ovunque nel mondo, più o meno nello stesso momento, in risposta alla domanda di nuova leadership. Il fatto che la Francia abbia la sua versione di Donald Trump nella persona di Marine Le Pen potrebbe sorprendere solo chi non segue gli eventi internazionali, o non è adeguatamente informato in proposito.
Proprio adesso che molti politici occidentali, ed i loro partiti di appartenenza, rischiano di sparire dalla circolazione (negli stati di maggior spicco dell’UE si assiste oggi ad una feroce lotta tra le loro fila, a causa della spettacolare ascesa di politici anti-establishment di estrema destra, come Le Pen in Francia, Geert Wilders in Olanda e Frauke Petry in Germania), è alquanto sospetto che Transparency International pubblichi uno studio per mettere in guardia gli elettori contro il rischio di essere raggirati da demagoghi di destra.
Ma c’è una spiegazione molto semplice per la faziosità di questo studio, dovuta all’enorme conflitto di interesse in cui si trovano i suoi sponsor.
Dacci dentro, George!
 
Se voleste fare una ricerca di consumo su un certo prodotto, lascereste condurre il sondaggio al produttore di quel prodotto, o preferireste affidare il compito ad un organismo indipendente? Immagino sia quasi impossibile non convenire che il modo più sicuro ed affidabile sia commissionare il lavoro ad una terza parte indipendente dall’azienda. Ciò ridurrebbe drasticamente il rischio di pervenire a risultati inesatti, causati da quella cosa chiamata ‘interesse personale.’
 
E proprio in questo sta il difetto eclatante, non solo di questo studio, ma della stessa Transparency International nella sua funzione di osservatorio indipendente.
Una veloce occhiata alla sua lista di sponsor dovrebbe fugare ogni dubbio sul perché Transparency International si mostri estremamente diffidente con i politici populisti che stanno agitando le acque del potere in Europa.
Oltre a ricevere donazioni da vari governi (giusto per nominarne qualcuno, la Germania, il Regno Unito, gli Stati Uniti, l’Irlanda, l’Estonia e la Finlandia), TI è finanziata da alcuni tra i più pericolosi personaggi viventi per la democrazia, addirittura con la gentile partecipazione del finanziere e filantropo George Soros in persona.
Nella scaletta degli sponsor di TI, l’Open Society Institute (OSI) e l’Open Society Initiative for West Africa (OSIWA) si piazzano subito dopo il National Endowment for Democracy (NED), una lobby travestita da non-profit sponsorizzata dal governo americano.
Questo ne fa ovviamente l’ultima organizzazione da cui ci si potrebbe attendere un’opinione obiettiva sull’avanzata dei nuovi soggetti politici a livello mondiale. Lo stesso George Soros si è reso di fatto in larga parte responsabile per il flusso massiccio di profughi verso l’Unione europea, arrivando persino ad offrire incentivi in denaro ai rifugiati desiderosi di intraprendere il lungo e pericoloso viaggio dal Medio Oriente al continente Europeo.
Chi se ne importa se nessuno fra questi sfollati, che peraltro meritano tutta la nostra solidarietà, finirà col vivere nello stesso quartiere di Soros, il quale può comunque tranquillamente permettersi tutta la protezione personale che si rende indubbiamente necessaria quando si adottano politiche così sconsiderate. Per i comuni cittadini europei, costretti ad accogliere milioni di nuovi arrivati, con i quali non condividono le stesse preferenze religiose, sociali e culturali, né in molti casi lo stesso livello di scolarizzazione, questo esperimento sociale condotto per il capriccio di un miliardario è invece la quintessenza della dissennatezza.
Perciò non sorprende che lo studio di TI prenda di mira in particolare il Primo Ministro ungherese Victor Orban. Proprio questo mese, Szilard Nemeth, vice presidente del partito di governo Fidesz, ha dichiarato la sua intenzione di utilizzare “tutti i mezzi a disposizione” per “eliminare” le ONG finanziate dallo speculatore di origine ungherese, perché “sono al servizio del capitalismo globalizzatore ed impongono il politicamente corretto al di sopra dell’interesse nazionale.
 
Ma questo è ancora nulla in confronto al premio conferito da Transparency International nientemeno che all’ex-Segretario di Stato americano Hillary Clinton nel 2012, per “la sua attenzione verso l’importanza di rafforzare la trasparenza e contrastare la corruzione come parte integrante della politica estera USA, un premio destinato esclusivamente per questi contributi.” Va da sé che questo premio ha generato notevole scetticismo in tutto il mondo.
Il livello di conflitto di interesse di questo studio di TI è talmente spettacolare da rappresentare, come è il caso per tante altre oscure stanze del potere nell’UE di oggi, praticamente un invito all’applicazione della stessa trasparenza tanto predicata da loro.
posted by Redazione febbraio 6, 2017
di Robert Bridge, 30 gennaio 2017
Traduzione di Margherita Russo

Napoli, corteo contro Salvini: manifestanti lanciano sassi e molotov. Scontri con la polizia

salvini napoli2queste sono le lotte che “contano”, in piazza a far cortei si va solo contro i nemici del Pd, in difesa di mafia capitale. I suicidi? Nemmeno dopo il suicidio di Michele si è scatenato l’inferno. Il precariato? Il salario minimo? Contro l’APE? Contro i tagli allo stato sociale? No, si mette a soqquadro una città per togliere il diritto di parola ad un esponente politico. Democrazia singolare..Peccato che chiunque vada in piazza NON A COMANDO dei politically correct moralmente superiori sono “fascisti”, vedi tassisti, pescatori, allevatori etc La ciurma dei Soros’s rebels:


Dopo il via libera “forzato” del prefetto al comizio del leader del Carroccio, la manifestazione dei centri sociali sfocia in pesanti scontri. Sampietrini contro le forze dell’ordine che risponde con gli idranti. Tre fermi, altrettanti denunciati, e 27 agenti feriti. Salvini: “Vorrei che i conigli dei centri sociali fossero scesi in piazza contro la camorra”

Un corteo organizzato contro Matteo Salvini, atteso al Palacongressi di Napoli dopo le proteste di venerdì e il via libera finale della prefettura alla sua convention. Oltre duemila persone scendono in strada e sfilano pacificamente contro il leader del Carroccio fino a quando intorno alle 17 un gruppo di incappucciati si stacca dal corteo e accerchia la polizia. Lì inizia il lancio di sassi, petardi e bombe carta. Modalità di guerriglia urbana alle quali la polizia reagisce con cariche e idranti. Prima è stata un’operazione di contenimento, poi gli agenti sono avanzati per rispondere agli assalti di “circa 200 persone”, come riferisce SkyTg24. Tre persone sono state fermate, altrettante denunciate, mentre sono 27 gli agenti feriti.
 
A pochi minuti dall’inizio della manifestazione erano spuntati caschi, sciarpe e passamontagna dietro i quali si erano nascoste decine di giovani incappucciati. Una volta che il corteo è arrivato nei pressi del Palacongressi, è iniziato il lancio di oggettipietre e molotov. Poi si sono dispersi, lasciandosi alle spalle decine di cassonetti dati alle fiamme per sbarrare la strada alla polizia. Sullo sfondo segnali stradali divelti, muri imbrattati e auto bruciate e intorno una coltre di fumo che rendeva l’aria irrespirabile. E mentre proseguiva la guerriglia urbana una molotov ha colpito un cellulare dei carabinieri e provocato un principio di incendio subito estinto. Terrorizzati i passanti, che cercavano rifugio nei palazzi circostanti. Il risultato sono Piazzale Tecchio, via Diocleziano e via Giulio Cesare ridotti a un campo di battaglia, con i commercianti che hanno abbassato le saracinesche. E la polizia arriva anche alla fermata dei Campi Flegrei, dove continuava il lancio di petardi e alcuni passeggeri sono rimasti bloccati.
“Solidarietà ai 400 agenti impegnati contro degli animali – ha detto Salvini aprendo il convegno -. Vuol dire che la prossima volta faremo la manifestazione a piazza Plebiscito, quando andremo al governo. E dopo aver sgomberato i campi rom elimineremo anche i centri sociali. Complimenti a de Magistris sta tirando su una bella gioventù”, è il commento a caldo del Leader del Carroccio. Che aggiunge: “Vorrei che i conigli dei centri sociali fossero scesi in piazza contro la camorra ma forse hanno paura perché qualche mamma o papà con la camorra ci campa”.
 
Il corteo contro Salvini – La manifestazione era partita nel pomeriggio da piazza Sannazaro senza il sindaco Luigi De Magistris, anche se sua moglie, l’avvocato Maria Teresa Dolce, era tra i partecipanti. E nel corteo organizzato dalla rete di movimenti napoletani era spuntata anche una ruspa con sopra un simbolico foglio di via da consegnare a Salvini. Per le strade di Napoli c’erano studenti, migranti e attivisti che tra bandiere, fumogeni e striscioni intonavano cori contro le politiche “razziste e xenofobe” del leader della Lega Nord. Presenti anche i consiglieri comunali di maggioranza Pietro Rinaldi ed Eleonora De Majo, l’assessore ai giovani con delega alla Polizia municipale del Comune di Napoli Alessandra Clemente e il presidente della III Municipalità Ivo Poggiani.
Nonostante il via libera al convegno, però, la polemica politica è proseguita. Pur sapendo che il sindaco non era alla manifestazione contro di lui, Salvini ha continuato ad attaccare De Magistris, che nei giorni scorsi aveva dichiarato di “non volere chi sparge odio”. “É scandaloso – ha detto il leader della Lega al suo arrivo al Palacongressi – che un ex magistrato sfortunatamente sindaco, spero ancora per poco, si permetta di decidere chi può e chi non può venire a Napoli”. E “quello che ha dichiarato in questi giorni – continua – verrà portato in qualche tribunale dove, magari, qualche magistrato più equilibrato di lui deciderà se può insultare o no”.
  
Presenti alla Mostra d’Oltremare anche sostenitori leghisti da CalabriaPuglia e Basilicata. Muniti di pass nominativi, per evitare infiltrazioni dei centri sociali, in tanti hanno spiegato perché sostengono la Lega che, in passato, al Sud ha rivolto non poche critiche. “Stiamo qui e siamo contenti di esserci perché crediamo in Salvini – ha detto Domenico Furgiuele, coordinatore regionale di Noi con Salvini in Calabria – Renzi, gli altri, hanno tradito il Sud, ecco perché noi vediamo in Salvini la vera alternativa. Lui ha capito che senza il Sud l’Italia non può ripartire e noi siamo con lui”. E, a chi gli chiede delle protesta che i napoletani hanno riservato a Salvini, i leghisti del Sud rispondono: “Siamo convinti che non tutti i napoletani la pensano così. Chi protesta è ancora legato alle vecchie logiche, quelle dei centri sociali e dello sfacelo“.
(ha collaborato Giovanna Trinchella)
 
di F. Q. | 11 marzo 2017

 

Soros è alle corde

soros rebelsAnche se il multi-miliardario magnate degli hedge fund e politico agitatore internazionale George Soros ha perso alla grande con l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti e la vittoria del referendum Brexit nel Regno Unito, rischia di perdere altro terreno politico e finanziario, mentre i venti del cambiamento politico spazzano il mondo. Soros, che s’immagina padrone delle opzioni azionarie a breve scadenza, racimolando miliardi di dollari dal crollo dei titoli azionari, ha subito un paio di colpi finanziari. Recentemente, il regolatore del mercato dei titoli olandese AFM ha “accidentalmente” rivelato le compravendite a breve termine di Soros dal 2012, rivelate sul sito web dall’AFM e rimosse dopo aver compreso l’“errore”. Tuttavia, i dati erano già stati raccolti automaticamente dai software delle agenzie d’intelligence e delle società d’intermediazione che abitualmente perlustrano Internet alla ricerca di questi “errori”. Tra i titoli bancari presi di mira da Soros vi era l’Ing Groep NV, grande istituzione e importante elemento dell’economia olandese. Dopo la campagna contro la Brexit, Soros scommette contro lo stock di Deutsche Bank AG, che credeva avrebbe preso valore dopo che la Gran Bretagna votò l’abbandono dell’UE. I titoli di Deutsche Bank sono scesi del 14 per cento e Soros gli ha ripuliti. Ma la vittoria di Soros era temporanea. Con l’elezione di Trump, Soros ha perso 1 miliardo di stock speculativo. Circondato dai suoi compari d’aggiotaggio, Soros ha spiegato tali perdite mentre frequentava il World Economic Forum di Davos in Svizzera. I compari mega-ricchi di Soros scommisero contro le piccole aziende olandesi, come Ordina, società d’informatica, Advanced Metallurgical Group e il gruppo immobiliare Wereldhave NV.
Attenzione alle idi di marzo
La diffusione dei dati di Soros giunge in un momento particolarmente delicato per la politica olandese. Il governo di centro-destra del primo ministro Mark Rutte è alle corde nel tentativo di respingere, con un’elezione programmata il 15 marzo, la seria sfida del partito nazionalista per la libertà (PVV) della destra anti-migranti del leader anti-Unione europea Geert Wilders. Alleato di Donald Trump, Wilders rischia di fare il pieno grazie a Soros, campione delle frontiere aperte dell’Europa e delle migrazioni di massa, che scommette contro le banche olandesi. Le idi di marzo guardano con favore alla vittoria di Wilders, un evento che batterà un altro chiodo nella bara dell’Unione europea e nel sogno di Soros su migrazioni di massa e frontiere aperte. I Paesi Bassi non sono particolarmente amichevoli verso Soros e i suoi obiettivi. Nel novembre 2016, Open Society Foundations e due gruppi finanziati da Soros, la Rete europea contro il razzismo e Gender Concerns International, pubblicizzavano l’assunzione di giovani “di età compresa tra 17-26” immigrati musulmani o figli e nipoti di immigrati musulmani, per fare campagna contro i partiti di Wilders e Rutte.
Il primo ministro Rutte ha recentemente avvertito i migranti che si rifiutano di assimilarsi nella società olandese. Naturalmente, Rutte non si riferiva alle migliaia di migranti dalle ex-colonie delle Indie orientali e occidentali olandesi, che non avevano alcun problema ad adottare cultura, religione e costumi sociali olandesi. Rutte, che ha affronta un vantaggio di 9 punti del PVV di Wilders, ha avuto parole dure verso i migranti musulmani. In un’intervista ad “Algemeen Dagblad”, Rutte, in quello che avrebbe potuto essere un intervento di Wilders, ha dichiarato: “Dico a tutti. Se non vi piace qui, questo Paese, andatevene! Questa è la scelta che avete. Se si vive in un Paese in cui i modi di trattare il prossimo v’infastidiscono, potete andarvene. Non è necessario rimanere”. Rutte ha espresso in particolare disprezzo per chi “non vuole adattarsi… chi attacca omosessuali, donne in minigonna o definisce i comuni cittadini olandesi razzisti”. Rutte ha lasciato pochi dubbi a chi si riferisse, ai migranti musulmani appena arrivati, “Ci sono sempre state persone propense a un comportamento deviante. Ma qualcosa è accaduto l’ultimo anno, a cui noi, come società, dovremmo rispondere. Con l’arrivo di grandi masse di rifugiati, la domanda sorge spontanea: i Paesi Bassi resteranno Paesi Bassi”? Venendo da un noto euro-atlantista sostenitore di NATO, UE e Banca Mondiale, le parole di Rutte sui migranti avranno scioccato Soros e i suoi servi.
La rivelazione della manipolazione finanziaria di Soros dell’economia olandese sicuramente farà infuriare i cittadini olandesi già stanchi di migranti e diktat dall’Unione Europea. Nell’aprile 2016, i cittadini olandesi respinsero con nettezza il trattato UE-Ucraina che invocava legami più stretti tra UE e il regime di Kiev. Il risultato fece infuriare Soros, uno dei principali burattinai del regime di Kiev.
Il “Babbo Natale” delle ONG troverà molte porte chiuse
L’Europa una volta elogiava Soros come sorta di benevolo “Babbo Natale” che distribuiva milioni per “buone azioni” ai sostenitori del governo mondiale e di altri utopisti dagli occhi sbrilluccicanti. Tuttavia, la patina di Soros va esaurendosi. La Russia fu la prima a cacciare Soros per le interferenze nella politica russa.
Il piano di Soros per destabilizzare la Russia, soprannominato “Progetto Russia” di Open Society Institute e Fondazione di Soros, prevedeva lo scoppio di una “Majdan al quadrato” nelle città della Russia. Nel novembre 2015, l’ufficio del procuratore generale russo annunciò il divieto delle attività di Open Society Institute e Istituto di assistenza della Fondazione Open Society, per minaccia all’ordine costituzionale e alla sicurezza nazionale della Russia. Il Primo Ministro ungherese Viktor Orban guida ora l’ondata anti-Soros in Europa. L’ottica di Orban, divenuto il primo leader dell’Unione europea ad opporsi alle operazioni di destabilizzazione di Soros, di origine ungherese, non è sfuggita ad altri leader europei, come in Polonia e Repubblica Ceca. Orban ha accusato Soros di essere la mente dell’invasione dei migranti dell’Europa. In rappresaglia a queste e altre mosse di Soros, Orban avvertiva che le varie organizzazioni non governative (ONG) sostenute da Soros rischiano l’espulsione dall’Europa. Orban è stato affiancato nello sfogo di rabbia su Soros dall’ex-primo ministro macedone Nikola Gruevskij, dimissionario e costretto alle elezioni anticipate dalle manifestazioni ispirate da Soros nel suo Paese nel pieno del massiccio afflusso di migranti musulmani dalla Grecia. Facendo riferimento alle operazioni politiche globali di Soros, l’ex-primo ministro macedone ha detto in un’intervista, “non lo fa solo in Macedonia, ma nei Balcani, in tutta l’Europa orientale, ed ora, ultimamente, negli Stati Uniti. Inoltre, da ciò che ho letto, in alcuni Paesi lo fa per ragioni materiali e finanziarie, per guadagnare molti soldi, mentre in altri per motivi ideologici”.
In Polonia, dove Soros fu molto influente, una parlamentare del Partito della Giustizia (PiS) di destra al governo, Krystyna Paw?owicz, ha recentemente chiesto che Soros sia privato della massima onorificenza della Polonia per gli stranieri, Comandante dell’ordine della Stella al Merito della Repubblica di Polonia. Paw?owicz considera le operazioni di Soros in Polonia illegali e ritiene inoltre che le organizzazioni di Soros “finanzino elementi antidemocratici e anti-polacchi per combattere la sovranità polacca e la locale cultura cristiana.
Il presidente ceco Milos Zeman ha detto, in un’intervista del 2016, “alcune sue attività (di Soros) sono almeno sospette e sorprendentemente ricordano le interferenze estere negli affari interni del Paese. L’organizzazione di ciò che sono note come rivoluzioni colorate nei singoli Paesi è un hobby interessante, ma crea più danni che benefici ai Paesi interessati”. Zeman sosteneva che Soros progetta una rivoluzione colorata nella Repubblica Ceca.
Aivars Lemberg, sindaco di Ventspils in Lettonia e leader dell’Unione dei verdi e dei contadini, vuole che Soros e le sue ONG siano vietate in Lettonia. Lemberg sostiene che due pubblicazioni di Soros in Lettonia, Delna e Providus, fanno propaganda a favore dell’accoglienza in Lettonia dei migranti musulmani. Lemberg vede i migranti e il loro sostegno di Soros come un pericolo per la sicurezza dello Stato lettone. Il sindaco ritiene che “George Soros va bandito dalla Lettonia. Gli va vietato l’ingresso nel Paese”. Nella vicina Lituania, il partito laburista ha anche messo in dubbio le attività di Soros. Il partito e i suoi alleati parlamentari hanno chiesto ai servizi di sicurezza della Lituania d’indagare su “schemi finanziari e reti” di Soros per via della minaccia che rappresentano per la sicurezza nazionale. I partiti lituani sostengono che i gruppi di Soros sono specializzati “non a consolidare, ma a dividere la società”.
 
Non è più facile essere un multimiliardario intrigante che rovescia i governi con lo schiocco delle dita. Soros non solo s’è alienato il Presidente della Russia e la Prima Ministra del Regno Unito, ma ora anche il Presidente degli Stati Uniti. Soros è anche il nemico numero uno dei leader della Cina. Con tale varietà di nemici, Soros è dubbio abbia altri successi politici come in Ucraina o Georgia. Con tutti i suoi miliardi, Soros ora comanda solo un’ “esercito di bambole di carta”.
 
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
Wayne Madsen Strategic Culture Foundation 29/01/2017

Terremoto, i conti non tornano

terremoto-6mesi004-1000x600Sulle spese per l’emergenza terremoto i conti non tornano. La questione è tornata d’attualità  con la lettera che il Tesoro ha inviato la settimana scorsa alla Commissione europea per indicare le misure con cui l’Italia intende operare la correzione dei conti pubblici da 3,4 miliardi chiesta da Bruxelles.
 
A proposito delle risorse da investire per la ricostruzione post-sisma, il ministro dell’Economia si mostra prudente: “Allo stato attuale non possiamo determinare con certezza l’impatto dei recenti eventi sismici sulle finanze pubbliche – scrive Pier Carlo Padoan – ma è probabile che i costi andranno ben oltre un miliardo di euro già nel 2017. Per mobilitare le risorse destinate a questo scopo sarà istituito un Fondo apposito”.
La cautela del ministro sembra più che ragionevole, ma non basta a fugare ogni dubbio sulla gestione dei fondi per il terremoto. Il problema nasce dal fatto che lo scorso ottobre, in un’altra lettera alla Commissione europea, il Governo aveva quantificato in 3,4 miliardi di euro le risorse aggiuntive da impiegare nel 2017 per far fronte all’emergenza sisma (curiosamente, la somma coincide con quella chiesta da Bruxelles a correzione dei conti di quest’anno). Si tratta di un ulteriore margine di flessibilità che l’Italia ha ottenuto dall’Europa, perché quei soldi non saranno conteggiati ai fini del Patto di stabilità e crescita.
Sennonché, di quei 3,4 miliardi si trova ben poco nella legge di Bilancio approvata a dicembre: appena 600 milioni. Nel dettaglio, la spesa si articola in questo modo: 100 milioniper la concessione del credito d’imposta maturato in relazione all’accesso ai finanziamenti agevolati, di durata venticinquennale, per la ricostruzione privata”; 200 milioni “per la concessione dei contributi per la ricostruzione pubblica” e 300 milioni di cofinanziamento regionale di fondi strutturali.
I tecnici obiettano che molti soldi destinati al terremoto figurano in forma aggregata nei fondi dei singoli ministeri, ma la sproporzione fra 3,4 miliardi e 600 milioni è davvero eccessiva perché questa spiegazione appaia sufficiente. In seguito, il Tesoro ha precisato che “un altro miliardo arriverà dal Fondo per lo sviluppo degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale istituito dall’articolo 21 della Legge di bilancio”.
 
Il sito del Senato conferma che “l’articolo 21 istituisce un Fondo per il finanziamento di investimenti in materia di infrastrutture e trasporti, difesa del suolo e dissesto idrogeologico, ricerca, prevenzione del rischio sismico, attività industriali ad alta tecnologia e sostegno alle esportazioni, nonché edilizia pubblica”.
Non è chiaro se questo Fondo sia lo stesso di cui parla Padoan nella sua ultima lettera a Bruxelles. Se così fosse – come pare probabile – vorrebbe dire che il totale dei soldi stanziati esplicitamente dall’Italia per l’emergenza terremoto arriverebbe ad appena 1,6 miliardi di euro nel 2017, cioè meno della metà dei 3,4 miliardi chiesti a ottobre. In caso contrario, la differenza sarebbe meno ampia ma i conti non tornerebbero comunque.
 
Insomma, il quadro non è abbastanza chiaro per muovere accuse e vogliamo pensare che esista una soluzione rassicurante a questo problema di ragioneria. L’unica certezza è che, su un tema così delicato, sarebbe il caso di muoversi con più trasparenza.
di Antonio Rei  posted by Redazione febbraio 6, 2017

Greci che mangiano gli avanzi dei profughi

cibo migrantigli indigeni, soprattutto quelli dell’europa dei popoli possono schiantare, non è razzismo. L’importante che i “richiedenti” asilo non debbano soffrire la fame, i greci non sono umani degni di essere nutriti e curati.
Greci che mangiano gli avanzi dei profughi
Da Ritsona (Eubea, Grecia). Per arrivare al campo profughi di Ritsona occorre prendere il treno che da Atene porta a Salonicco, cambiare ad Inoi e scendere nella minuscola stazione di Avlida. Quindi una corsa di dieci minuti in macchina fra le colline punteggiate di ulivi conduce a una vecchia base militare dell’aeronautica greca sperduta nella campagna, fra la polvere e il fango. Qui stanno, da marzo, settecentotrenta profughi scappati dal Medio Oriente, in attesa di documenti che li riconoscano come rifugiati politici. Quasi nessuno è partito con l’idea di restare in Grecia, ma la chiusura delle frontiere li ha sorpresi a metà del cammino verso l’Europa più ricca, bloccandoli in un limbo senza senso.
In tutto il Paese sono oltre sessantaduemila i migranti che aspettano di conoscere il proprio destino. Dopo il controverso accordo con fra Ue e Turchia per porre un freno ai flussi migratori, il governo di Ankara ha fermato sì le partenze dall’Anatolia, ma la pressione sulla Grecia non è diminuita. In base al Regolamento di Dublino III, i migranti sono obbligati a presentare la domanda di asilo nel primo Paese Ue in cui mettono piede: una scelta politica che scarica l’onere dell’accoglienza su Italia e Grecia, in prima linea nel fronteggiare l’emergenza.
I profughi dunque non possono proseguire, perché hanno già presentato richiesta di asilo alle autorità elleniche – e non possono tornare indietro, poiché la Turchia non li vuole. Le condizioni di vita variano da campo a campo e i Greci fanno di tutto per prodigarsi nell’accoglienza.
A Ritsona è stato fatto molto per alleviare le sofferenze dei profughi, che per il 95% dei casi provengono dalle regioni della Siria più colpite dalla guerra civile.
Con l’aiuto delle ong e di molte sigle del volontariato internazionale, da novembre i container hanno preso il posto delle tende, del tutto inadatte ad affrontare le rigide temperature invernali dell’Eubea. Il terreno in terra battuta, che alle prime piogge si trasformava in una palude, è stato ricoperto di ghiaia e grazie ai volontari sono state allestite una palestra e un asilo.
 
Il campo ospita infatti anche trenta neonati e duecentocinquanta bambini, che nel pomeriggio vanno a lezione nella scuola del paese, lasciata libera dai bimbi greci.
 
Gli adulti, invece, con moltissimo tempo a disposizione e quasi nulla da fare, si ingegnano per ingannare il tempo. Alcuni siriani collaborano alla gestione di un piccolo bar interno al campo. Qualcuno si è reinventato carpentiere, altri hanno aperto piccoli negozi per vendere qualche ortaggio o un pacchetto di sigarette.
 
Una volta presentata la richiesta di asilo possono passare anche sei mesi prima di ottenere una risposta. Il nemico principale diventa allora la noia.
“Le persone che vivono qui sono perlopiù stanziali – spiegano i responsabili di Echo100Plus, l’organizzazione no profit che si occupa della distribuzione dei beni di prima necessità – La stragrande maggioranza vuole andarsene: bisogna accelerare le procedure per definire lo status giuridico di queste persone. Anche per la Grecia si tratta di un carico molto pesante da sopportare”.
La regione di Ritsona è infatti pesantemente colpita dagli effetti della crisi economica e in molti, rimasti senza lavoro, faticano a procurarsi il necessario per vivere.
La fotografia più nitida di questo difficile stato di cose è forse la piccola folla di persone che ogni settimana si mettono in fila per ricevere il cibo in eccesso avanzato al campo profughi. Quando i migranti avanzano parte del cibo sono i volontari legati della chiesa ortodossa che ritirano il tutto, perché sia distribuito ai poveri.
“Io stesso sono senza lavoro – spiega il venticinquenne Adonis, mentre carica in macchina gli scatoloni con gli avanzi – In questa regione come in tutta la Grecia non c’è lavoro e la gente non ha da mangiare. Ma sarebbe un peccato se questo cibo venisse sprecato, così lo portiamo ai senzatetto.”
 
Intendiamoci, gettare il cibo nella spazzatura è un delitto che grida vendetta. Dar da mangiar agli affamati è viceversa un dovere morale che non sempre lo Stato greco riesce ad assolvere. In altre città sono stati i profughi stessi a portare il cibo ai senzatetto greci, raccogliendone entusiasmo e gratitudine.
 
Ma questo affollamento di disperazione e miseria non può che porre in luce – ancora una volta, casomai ce ne fosse ancora bisogno – l’ipocrisia di un’Europa che a parole si proclama solidale e nei fatti costringe la maggior parte dei profughi in un Paese che più di ogni altro è piegato da una crisi senza precedenti e che esso stesso è ormai alla fame. Anche questo è un peccato che grida vendetta.
posted by Redazione febbraio 2, 2017