Endgame for globalization

globalizQuando trasmisero il Live Aid ricordo che, appena maggiorenne, assistetti a tutta la kermesse. C’erano i gruppi più amati, in particolare quelli della new wave degli anni ’80, tra cui anche il gruppo di “Bono”, allora tra quelli più innovativi in ambito musicale. “Bono” era destinato a diventare figura molto umanitaria, in virtù della quale si guadagnò amicizie molto ma molto altolocate. Pur essendo attratto dalla musica e incapace di formulare un giudizio politico-culturale, ricordo che però rimasi perplesso di fronte a tanta bontà, essendo stato fin da ragazzo incline allo scetticismo.
Il Live Aid era il lancio dell’ideologia della globalizzazione, in anticipo sul crollo dell’Unione Sovietica che fu poi l’evento epocale causa della sua nascita, ma evidentemente esso era nell’aria e più o meno previsto da chi ha conoscenze che vanno al di là di quelle dei comuni mortali (ovviamente non intendo in senso ultraterreno, ma quel tipo di conoscenze hanno agenzie specializzate).
Nasceva la cultura della globalizzazione che si innestava sulla precedente cultura peace & love, rivolta soprattutto a quei giovani che poi saranno gli adulti degli anni successivi. Il mondo era(no) loro. Non ci dovevano essere più frontiere e chi non era d’accordo era razzista (un essere abietto, sbagliato, da correggere, al di fuori della comune umanità). Non ci dovevano essere barriere alla penetrazione del capitale, accompagnato dal volto seducente e ribelle della cultura mediatica statunitense e occidentale. In breve, la globalizzazione era la strategia di dominio globale degli Usa.
Certo, ogni tanto gli Usa dovevano mostrare il volto meno buono, mostrando la loro onnipotente capacità di “riportare all’età della pietra” gli stati riottosi (“stati canaglia”), ma in genere questo era compito dall’ala destra, nel complesso l’ideologia della globalizzazione è stata un”ideologia universalista di sinistra. E quando la sinistra ha dovuta anch’essa bombardare è stato per ragioni strettamente umanitarie (“bombardamenti umanitari”).
C’è stato un periodo in cui gli Stati Uniti potevano ragionevolmente pensare di diventare l’unica potenza mondiale, durante l’era Eltsin e quando la Cina era ancora gli inizi del suo esploit economico. Ma la sola penetrazione finanziaria e culturale non basta, gli Stati Uniti dimenticavano il ruolo dello Stato (pur disponendo di ottimi studi prodotti dal mondo accademico sul ruolo dello Stato nella nascita del mondo moderno). La Russia risaliva la china anche grazie al ruolo di un uomo sorto dagli apparati dello Stato più coercitivi. La Cina, pur approfittando degli investimenti esteri, manteneva il controllo attraverso lo Stato sulla propria economia. Mentre negli Usa la fuoriuscita dei capitali, indeboliva la potenza industriale statunitense e finanziarizzava l’economia senza ottenere gli sperati risultati geo-politici.
Allora si è imposta la grande svolta protezionista, fine della globalizzazione, da oggi due grandi regole: “si assume e si compra americano”. Nella misura in cui tale svolta implica il riconoscimento dell’esistenza di altre potenze ritengo che contenga un elemento razionale e che sia sostanzialmente positiva. Pare inoltre che tra gli ispiratori ci sia Kissinger, il quale seppur sia stato nel suo periodo d’oro non esattamente uno stinco di santo (non “tanto buono” come Obama), fu uno degli artefici del “mondo bipolare”, al quale, considerata l’instabilità dell’epoca successiva, non possiamo che guardare con nostalgia.
La Clinton e Bush figlio si sono incontrati, hanno preso il caffé insieme in intimità, hanno scoperto di aver maggior affinità rispetto a quanto pensavano prima e hanno cercato di unire le forze, ma non è servito. La svolta è stata accolta male molto male dal mondo mediatico e dal mondo politico. In Europa, Napolitano appena dopo la vittoria di Trump ha suonato subito i tamburi di guerra, il papa dei migranti ha paragonato Trump ad Hitler.
Sono gli strepiti di una classe politica e mediatica formatasi durante l’epoca della globalizzazione e ora destinata ad essere dismessa, oppure ci sono conflitti più profondi? Per dirlo con maggiore certezza ci vorrebbero ancora quel tipo di conoscenze non disponibili ai comuni mortali, però credo sia più probabile la prima ipotesi, visto che anche i “mercati” hanno accolto in modo positivo la svolta. Nell’ipotesi contraria, assisteremo alla invasione live degli zombies. In ogni, caso ritengo che questa svolta non potrà essere del tutto indolore.
La deriva dei globalisti era diventata molto ma molto preoccupante con le continue provocazioni contro la Russia (anche se ovviamente fatte a fin di bene), quindi salutiamo la nuova epoca, consapevoli però che non mancherà di innescare nuovi conflitti, per affrontare i quali si spera provvederemo ad essere meglio attrezzati.
di Gennaro Scala – 31/01/2017 Fonte: Gennaro Scala
Endgame for globalizationultima modifica: 2017-03-03T13:33:42+01:00da davi-luciano
Reposta per primo quest’articolo