IL PIU’ PULITO HA LA ROGNA – TRUMP? BASTA CON LE STRONZATE, ANDIAMO UN PO’ PIÙ A FONDO

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MONDOCANE

SABATO 24 DICEMBRE 2016

 (E’ lunghetto, ma avete molti giorni per frazionarne la lettura. Da qui all’anno nuovo non (ir)romperò più. Intanto che il 2017 ci sia miglioe del 2016 di merda e peggiore del 2018)

Beppe fuori dal vaso

Beppe Grillo, cui non sono mai mancate l’astuzia, la chiaroveggenza e l’alterità,  assenti nel panorama politico tradizionale, lo facevo meno boccalone rispetto a quella che è, dall’inizio in Tunisia, passando per Berlino e finendo a Sesto S. Giovanni, una delle più patetiche e disoneste montature allestite dal terrorismo di Stato globale. Beppe Grillo, non sapendo tenere a bada le sue impennate emotive, non solo manda a puttane l’equilibrato e intelligente lavoro dei 5 Stelle sui migranti con un post che ne invoca l’espulsione perché il terrorismo infesterebbe l’Europa. Si pone a fianco del superspione Minniti, fiduciario storico della Cia e ora ministro degli Interni, nell’esaltazione di pessimo gusto dei due “eroi” in uniforme che, “casualmente”, sono incappati in un pregiudicato armato e lo hanno fatto secco quando, sparando, rifiutava di farsi arrestare. Fatto che, pure, ricorre ogni qualche ora nelle nostre vaste lande infestate dalle mafie.

Come Grillo, tutta l’informazione si beve, e, con rigurgito gastrofaringeo, ripropone all’universo mondo, le cazzate della montatura berlinese sul tunisino Anis Amri e le spacconate di un regime che, avendo ammazzato un tale presentatoci come autore della strage di Berlino in virtù del documento di identità ritrovato nel camion, si vanta di essere il campione del mondo – altro che Cia, FBI, Mossad, BND tedesco e Mi6 britannico – nella lotta al terrorismo. Ma, a proposito di quanto ho già scritto sul nuovo False Flagnell’articolo precedente, che fine hanno fatto le riprese delle telecamere puntate perfino sugli scarafaggi tra i wurstel  del mercatino berlinese e, quindi, inevitabilmente sul terrorista in fuga dal camion?  Sparite, esattamente come quelle del lungomare di Nizza. Chi, caro Beppe, dopo la tua  intemerata sul blog, potrà mai più obiettare al robocop con mitraglia nel proprio tinello? Io me lo sento già alle spalle mentre controlla che tasti pigio sul computer.

Proteggerci! Dal terrorismo di chi?

Ne discende per Grillo, che di solito, va detto, la sa più lunga,  e per tutti, l’invocazione di più polizia, più sicurezza, più controlli e più espulsioni. A chi l’invocazione? A un regime in cui alcuni massimi esponenti istituzionali, dal capo dei carabinieri (“Nei secoli fedeli”. A chi?) al capo dei finanzieri al factotum del governo, finiscono sotto le ferula di giudici che ne ventilano porcate ai danni del contribuente. Con i media che ne proclamano con trombe e cimbali la bravura quando si abbatte brevi manu un presunto terrorista (presunzione di innocenza?) e ne tacciono totalmente le malefatte per le quali sono indagati. E a questa gente che Grillo, vedendo ciò che nessuno vede, cioè “un’Italia che diventa un viavai di terroristi”, dice “ora dobbiamo proteggerci”. Fino a ieri vedeva un viavai di lavoratori licenziati, di giovani senza lavoro, di studenti senza università, di famiglie senza pane, di gente senza casa, di vittime di frane, tutti sistematicamente picchiati dai colleghi di quei due la cui esecuzione di un presunto attentatore si va festeggiando. Chiede, Grillo, protezione a gente che è filiazione di un potere della cui trasparenza e probità nell’interpretazione del terrorismo aveva fin qui molto opportunamente dubitato. La stessa gente che infierisce sulla sua sindaca di Roma, abbrustolita per il 10% dai suoi errori ma per il 90% dal napalm lanciatole addosso dai banditi spodestati.

Così, tra turbe di misericordiosi che, ovviamente a spese altrui e dell’altrui tranquillità sociale, invocano l’accoglienza di tutti, fossero anche miliardi, e grilli e soci che vedono terroristi in tutti coloro che non meritano asilo politico, fossero anche deportati da villaggi africani divorati dall’agrobusiness multinazionale, ognuno si sforza spasmodicamente di non dire che bisogna  smetterla con le aggressioni militari, economiche, climatiche. Di non dire che per fermare l’insostenibile alluvione migrante bisogna bloccare gli Usa, Israele e loro gregari. E di non dire anche che costoro fabbricano terroristi per giustificare agli occhi dei gonzi il loro terrorismo.

 Trump? E’ l’albero. Poi c’è il bosco

Volevo oggi parlare di Donald Trump. Infatti il collegamento c’è. Ed è che da quando siamo piccoli ci condizionano a vedere l’albero e non il bosco. Così i mistificatori della politica, dell’informazione e dell’indottrinamento hanno i nostri neuroni spianati. Beppe, che però prima aveva dato mostra di avere lo sguardo lungo e ampio, e tutti gli altri si fermano al terrorista migrante e non vedono il contesto nel quale si è sviluppato. E quelli che hanno calato la scure su Trump hanno voluto sentire solo le sparate sui migranti da espellere, sui muri da erigere, sulle donne da palpare, sui mori che si vendicano di Roncisvalle. Mentre gli altri, giustamente rallegratisi per le distanze che Trump ha preso da Nato, regime change, guerra alla Russia, pensavano che sarebbero bastate quelle per farci entrare a Shangrilà, o nel regno di Saturno.

Sono alberi, non è il bosco. Che è invece un grande complesso di formazioni botaniche e faunistiche che si avviluppano, si sostengono e integrano, si combattono e falcidiano. Di solito c’è un supremo regolatore di queste collusioni-collisioni che mantiene in piedi il sistema e lo fa proseguire verso i suoi scopi. Nel caso del bosco è madre natura, in quello degli Usa e delle società complesse è un concentrato di interessi economici che io chiamo Cupola, qualcun altro l’1% (ma sono di meno) e che di solito impongono alle varie componenti un esito che fornisca il risultato ambito. Nella contingenza, quello della globalizzazione e del governo mondiale (ma succede dai tempi dei tempi, basta pensare alla Chiesa).

Bislacco o astuto manovratore?

Pareva che rispetto al duo della brutta morte, Obama-Hillary, sostenuto con passione da tutto il mondo talmudista per il suo impegno anti-arabo e anti-islamico, The Donald facesse svettare il suo ciuffo  albicocca su una pax siriana con tanto di Assad. Ed ecco invece che il bizzarro miliardario copre il crine albicocca con la kippà, agita la Torah, si tatua sul cuore la stella a sei punte, promette di spostare la capitale sionista a Gerusalemme e si fa incensare dalla lobby talmudista AIPAC. E quando l’agonizzante Obama raspa tra le sue stragi alla ricerca di un minimo di dignità storica astenendosi al Consiglio di Sicurezza quando passa la condanna dei carcinomi coloniali incistati in Palestina, è Trump che accende il candeliere a sei braccia per dar fuoco all’antisemita predecessore (

Manifesto e Amnesty vendetta sull’Egitto anti-israeliano

Per inciso, è stato l’Egitto di Al Sisi a formulare la proposta di condanna degli insediamenti, poi sospesa sotto le granate sioniste di Trump, ma riattivata e vittoriosa. Ciò, insieme al sostegno militare e politico offerto da Al Sisi ad Assad, la sua intesa con la Russia, fa capire l’intensificarsi del terrorismo dei Fratelli Musulmani in Egitto, parallelo ai nuovi paginoni di contumelie e menzogne contro l’Egitto, riprendendo a pretesto il pupillo di John Negroponte, Regeni, sparate da “manifesto”, Amnesty e altri surrogati USraeliani. E, assieme all’Egitto, è entrata in campo a gamba tesa anche l’Algeria, che ha celebrato il “ristabilimento della sovranità siriana su Aleppo contro il terrorismo”. E’ ora che il manifesto e Amnesty mandino di nuovo qualcuno, tipo Giuliana Sgrena, a sfrucugliare gli algerini su “democrazia e diritti umani” .

Luci che parevano ombre, ombre che parevano luci

Si contava sulla battaglia annunciata dall’immobiliarista di New York a favore degli operai Usa massacrati da subprime e delocalizzazioni, da tagli agli investimenti e al sociale, tutti i soldi ad armi, guerre e delocalizzazioni che sono  opera di banchieri e armieri, ed ecco giungere ai posti di comando della nuova amministrazione squadroni di generali, ex-Pentagono ed ex-industria militare e banchieri miliardari di Goldman Sachs, mostro capofila di ogni banda di criminali. Mentre contemporaneamente svapora la frenesia razzista e xenofoba del nostro,  tra incontri applauditi con tutte le minoranze e il volume a quasi zero su muri ed espulsioni. Bello. Meno bello che Trump assuma il fior fiore dei devastatori di ambiente e clima promettendo al paese e al mondo un futuro fossile. Fossile come le ossa dissotterrate dei dinosauri.

S’era pensato a un imprevisto, un bizzarro, uno sfuggito al controllo dei supremi regolatori che di solito amministrano con avvedutezza l’alternanza tra burattini di diverso temperamento e colore, ma tutti in marcia per il comune obiettivo. E il suo saltabeccare di contraddizione in contraddizione giustificava l’idea: dagli amici Exxon-Mobil della Rosneft e di Putin, da lui addirittura decorati, spediti a Mosca, allo sfregio a Pechino con la telefonata al bubbone anticinese di Taiwan e contemporanea nomina ad ambasciatore in Cina di un intimo di Xi. Che ci sia una logica in tutto questo? Poi c’era il vituperio anti-Trump, da vipera pestata, di John McCain e affini, padrini Cia di Al Baghdadi, santi protettori di tutti i terroristi, Isil o nazisti di Kiev che siano, e, all’incontro, la guerra di sterminio promessa da Trump ai jihadisti , dunque a McCain. Cosa buona.

Proviamo a selezionare il finto dal vero, il demagogico dal serio. Anche per i predecessori al guinzaglio della voracità bellica dei neocon la prospettiva di un blocco eurasiatico era anatema. Ma pensavano di neutralizzarlo minacciando, sì, la Cina con il famoso “Pivot sull’Asia” e il concentramento di flotte e basi tutt’intorno alla Cina. Più in là non pare volessero andare, visto anche che, con i denari e i buoni del Tesoro americani che Pechino tiene in borsa, la sorte economica degli Usa è appesa a quella borsa, per quante ulteriori banconote volesse stampare la Federal Reserve. La Russia, invece, zeppa di risorse energetiche, militarmente in rapidissima ascesa, dinamicissima e decisiva sul piano geostrategico, tentatrice di giri di valzer con gli europei e loro potenziale partner ideale, disgregatrice della strategia imperialsionista in Medioriente, li accecava di furore. Anche perché questi fan di Hillary continuavano a rimediare tranvate, oltretutto mediate da Putin: Egitto, Algeria, Haftar in Libia, l’imprevedibile Erdogan, lo Yemen, piccolo, miserabile che in due anni di sfracelli Usa e sauditi resta in piedi…E poi c’è Dutarte nelle Filippie e chissà quanti altri sentono il profumo di quel vento.

Bloccare l’Eurasia. Da est o da ovest?

Quello che Trump, o i suoi sponsor, pare abbiano capito è, primo, che il costrutto neocon di Obama-Clinton-Bush sta perdendo pezzi. Secondo,  che l’Eurasia,  il più grande e popolato blocco terrestre, con le risorse della Russia, la potenza produttiva della Cina, il gigantesco progetto della Via della Seta che arriva in Africa e costruirebbe una coesione infrastrutturale, economica, politica e militare tra tre continenti, è una minaccia al progetto globalista che non si affronta sparando alla Russia. Che proprio quell’aggressività isterica dei neocon, oggi impersonata da Obama-Clinton-Netaniahu e sguatteri mediatici come Washington Post e NYT,, aveva rinsaldato l’intesa Russia-Cina, fino ad arrivare a enormi accordi economici e, addirittura, bancari, tali da minacciare davvero il dollaro, dominus delle transazioni.

Le mosse di Trump parrebbero un tentativo di rompere il legame Russia-Cina attraverso la seduzione e la collaborazione col partner euroasiatico militarmente più forte ed economicamente più debole. La strategia del ping-pong che Kissinger aveva inaugurato con l’anziano Mao, proprio per isolare l’Urss. Al cui soccorso, in effetti, quando si è disfatto, non è apparsa nessuna Cina. Trump, poderoso affarista, sa bene che ha interlocutori interessati a Mosca tra gli oligarchi atlantisti che convivono ancora con il sistema Putin e non si sa bene quanto possano condizionarlo. Nel comune interesse di annegare il mondo negli idrocarburi e gonfiare i forzieri dei petrolieri e loro sponsor si possono trovare intese. Del resto alla Cina difettano sia il gas che il petrolio e se l’Iran gliene fornisce la maggior parte, ecco che Trump promette di buttare per aria l’accordo sul nucleare con Tehran e sostenere l’aggressività israeliana nei suoi confronti. In ogni caso meglio tenersi buona la Russia, anche a costo di allevare, tra sovranisti e cosiddetti “populisti” anti-UE e anti-Usa vari, suoi amici in Europa. L’isolamento della Cina vale il prezzo.

Sarebbero, Trump e i suoi mandanti, meno bislacchi di quanto si ritiene se calcolano che, per una strategia di dominio mondiale, oltre alla divisione del fronte avversario principale, serve piuttosto un apparato militare meno pletorico, ma innestato su un corpo nazionale tornato in buona salute nelle sue articolazioni sociali ed economiche, che non un mastodonte militare distribuito sui cinque continenti ma sorretto da un corpo debilitato strutturalmente e innervosito dal disagio sociale, come lo hanno ridotto i demenziali terroristi neocon del PNAC (Il Nuovo Secolo Americano).

Non so se tutti questi siano arzigogoli, o prese d’atto di quanto va emergendo. In ogni caso, se non ha sbattuto in un angolo gli immigrati (Obama ne aveva espulso più di tutti i presidenti Usa), Trump non vi ha messo neppure i banchieri, gli industriali del petrolio, delle armi e della produzione manifatturiera. Sembrava una guerra totale tra settori opposti dell’economia Usa: costruttori di ponti e fabbriche contro speculatori e cibernetici. A me pare che non se ne faccia niente e mi dispiace per chi crede in un’irrisolta crisi sistemica. Quella magari c’è, ma qui si continuano a trovare gli antidoti che la facciano procedere nella direzione che distrugge noi e salva loro. Staremo a vedere se il vecchio establishment che, preso in contropiede e scalzato dai posti di comando, latra con tutti i suoi sguatteri mediatici e umanitaristi contro il bifolco miliardario, se ne saprà fare una ragione.  O verrà ricondotto alla ragione dalla Cupola. In Bilderberg questi ci stanno tutti.

A noi resta l’amara constatazione che, da quella parti, il più pulito ha la rogna.  E l’attacca.

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 19:34

IL PIU’ PULITO HA LA ROGNA – TRUMP? BASTA CON LE STRONZATE, ANDIAMO UN PO’ PIÙ A FONDOultima modifica: 2016-12-27T10:28:15+01:00da davi-luciano
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