Altro esempio di questa progressiva diffusione delle strutture nato sono le tre repubbliche baltiche. Lettonia, Estonia e Lituania, che sono sprovviste dell’aviazione, hanno chiesto fin dalla loro adesione un supporto all’Alleanza mettendo a disposizione circa 8 strutture destinate a usi diversi, come depositi, centri di addestramento e basi vere e proprie.
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Il liberismo ha cancellato le parole “sfruttamento” e “ingiustizia” dal nostro vocabolario
di Diego Fusaro
Con l’avvento della neolingua neoliberale si sono eclissati dal vocabolario lemmi come “sfruttamento” e “ingiustizia”, che fino a non molti anni fa erano all’ordine del giorno. Sono stati sostituiti dalla nuova figura semantica del “disagio”.
A differenza dello sfruttamento e dell’ingiustizia, che alludono a una relazione conflittuale nella quale vi è un polo che sfrutta e l’altro che è sfruttato, una parte che commette l’ingiustizia e l’altra che la subisce, il disagio riguarda sempre e solo l’io individuale nel suo rapporto con sé e con il mondo, in uno scenario falsamente raffigurato come privo di legami sociali e di conflittualità immanenti.
Sentimento di angoscia e di inadeguatezza scaturente dall’incapacità del soggetto di adattarsi alla situazione, il disagio è forma espressiva coerente dei processi di deresponsabilizzazione tipici della mondializzazione mercatistica: nella quale le colpe sono sempre di quelle entità “sensibilmente sovrasensibili” (Marx) che sono i mercati.
In forza di tali processi, i fallimenti e le ingiustizie non vengono mai fatti dipendere da ciò da cui realmente dipendono, ossia dai rapporti di forza reali e dalle prosaiche logiche del capitale, bensì sempre e solo dall’incapacità degli io individuali di fare fronte al mondo oggettivo, di adeguarsi alle situazioni, di modellare adattivamente la propria soggettività in coerenza con le condizioni date.
Le contraddizioni reali di un paesaggio intessuto di violenza economica e di sfruttamento, di alienazione e di miseria, cessano di essere anche solo nominate. In loro luogo, subentrano i “disagi” soggettivi di chi non sa adattarsi.
La prospettiva della rivoluzione come via corale per superare le contraddizioni oggettive cede, allora, il passo alle figure dello psicologo e del counselor come unici possibili guaritori dei disagi dell’individuo, senza che l’oggettività dei rapporti della produzione sia anche solo scalfita o nominata.
Da parte integrante della realtà oggettiva, la contraddizione è stata trasfigurata in parte dell’individuo non adattato; con la conseguenza per cui si è indotti, con la sintassi di Ulrich Beck, a cercare “soluzioni biografiche” a “contraddizioni sistemiche”, cambiando se stessi più che l’oggettività contraddittoria dei rapporti sociali. È, una volta di più, il capolavoro della ragione tecnocapitalistica.
Fonte: fanpage – 13/11/2016
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=57663
La sinistra mondialista si è persa il popolo ma ottiene i favori del grande capitale
Non è difficile comprendere che il rapido sucedersi degli avvenimenti in questo scorcio dell’anno 2016 avrà degli effetti duraturi su tutto il percorso storico di questo inizio di secolo, tanto che molti analisti iniziano a parlare di un punto di inflessione, ovvero un possibile cambiamento di tendenza della fase storica del Mondo Occidentale che non mancherà di avere i suoi riflessi sul resto dei continenti.
Si era partiti nell’inizio di questo secolo con il vento in poppa della Globalizzazione come fenomeno che sembrava inarrestabile e duraturo. Veniva descritta questa come una trasformazione positiva per il popoli, apportatrice di progresso e di benessere per tutti, con l’abbattimento prossimo dei confini, delle barriere e con il superamento della logica degli Stati Nazionali.
Molta gente credeva ingenuamente che tutto questo fosse un fenomeno spontaneo ed ineluttabile, come lo descrivevano i media, gli opinionisti e gli intellettuali del “progresso permanente”, dai Saviano ai Severgnini.
La sinistra ex marxista era balzata lesta sul carro del globalismo come una necessità ed aveva fatto di questa la sua bandiera, tacciando di “retrogradi” e “populisti” tutti coloro che osavano metterne in dubbio gli aspetti positivi e decantati del fenomeno. “Guai ad un ritorno ai vecchi nazionalismi! Bisogna abbattere gli steccati, i muri e costruire ponti”. Lo dicevano in Italia l’ex presidente Napolitano, lo affermava la Boldrini, lo scriveva Scalfari e lo affermava persino il Papa Francesco. Come si poteva non credergli?
In pochi anni il mondo globalizzato aveva prodotto le sue conseguenze nefaste nei paesi occidentali, tra gli altri effetti con le importazioni massicce dalla Cina e dai paesi a basso costo, con la perdita dei posti di lavoro, con l’affossamento della classe media, con il ridimensionamento delle garanzie sociali, con le delocalizzazioni di aziende, con l’immigrazione incontrollata, con l’abbassamento dei salari,con l’importazione di fenomeni delinquenziali e con il degrado delle grandi aree urbane.
I politici della sinistra mondialista continuavano a predicare che questo non era importante ma che fosse importante accogliere tutti, integrare ed abbattere le differenze, esaltando i mercati aperti e la nuova cultura che metteva al primo posto i diritti dei “diversi”: i gay, i transessuali, gli immigrati, prima dei nativi e dei cittadini.
Di fatto pochi critici isolati avevano lanciato l’allarme ed avevano dato una interpretazione diversa del fenomeno: si voleva avvertire che nella realtà, la tanto decantata Globalizzazione era l’abile travestimento operato dall‘elite finanziaria anglo/USA, nell’ imporre l’apertura illimitata dei mercati per avere il controllo dei circuiti finanziari, lo sfruttamento a proprio vantaggio delle risorse naturali, della forza di lavoro a basso costo ed il dominio dei mercati dove collocare in modo redditizio e sicuro, i propri capitali speculativi.
Si voleva avvertire che la globalizzazione economica avrebbe portato ad un nuovo Ordine mondiale caratterizzato dall’aumento delle disuguaglianze con l’arricchimento di una ristretta elite e l’impoverimento di molti, oltre allo sfruttamento selvaggio della mano d’opera nei paesi emergenti dove anche i bambini vengono impiegati per produrre e confezionare i beni di consumo destinati ai mercati.
Qualcuno aveva anche anticipato quale grande trappola fosse rappresentata da questa globalizzazione che, anche in Europa ed in tutto l’Occidente , nella costruzione di questo nuovo ordine, già in fase avanzata, si andava verso la creazione di un sistema iper capitalistico elitario, delinquenziale, precipuamente speculativo, che ricerca non soltanto i profitti netti e rapidi per evitare gli investimenti di lungo periodo, come quelli industriali, ma anche per amministrare la crisi di sovraproduzione per trasformarla in crisi finanziaria. In altre parole per saccheggiare la popolazione.
Un sistema dominato dalla finanza e dalle grandi entità bancarie che viene basato sulla creazione artificale del denaro, con tassi di interesse molto bassi in modo da consentire l’apertura di crediti a larga scala con molte facilitazioni: si promuove la vendita di beni durevoli, in specie di immobili, svalorizzati dal tasso di inflazione; si sospingono i debitori in situazioni di insolvenza, si rifinanziano i debiti in modo poi di appropriarsi degli immobili resi impagabili.
Poi è arrivato d’un tratto la presa di coscienza in alcuni paesi della grande trappola e delle conseguenze negative: il fattore detonante è stato senza alcun dubbio l’immigrazione incontrollata, con tutte le sue conseguenze.
Sono arrivati poi il Brexit nel Regno Unito, prima ancora l’insorgenza di Partiti e movimenti nazionalisti e populisti nella Veccha Europa, dalla Francia alla Germania, all’Austria, ai paesi dell’Est.
A dare la svolta è arrivata l’elezione di Trump, il rude, il razzista, quello che vuole costruire il muro con il Messico, che vuole chiudere tutti i trattati commerciali e ritornare al vecchi sistema degli Stati nazionali e difesa delle proprie economie. Trump che si può definire l’antiglobalista, una bestemmia per i sostenitori del “Pensiero Unico” mondialista. Trump ha trovato nell’America profonda, quella dei lavoratori, della classe media, dei produttori, allevatori e agricoltori, coloro che lo hanno ascoltato ed hanno recepito il suo messaggio.
Un brusco risveglio nel paese leader dell’Occidente e proprio in quello che è stato il principale artefice della Globalizzazione. Un risveglio da cui i “profeti della globalizzazione”ancora non si sono ripresi tanto da manifestare reazioni “isteriche”.
Quello che sembra evidente è che la sinistra mondialista, quella dei circoli politici, dei media e degli intellettuali, aveva dimenticato del tutto chi fosse il popolo, quale fosse la classe lavoratrice: se la era persa per strada.
Il popolo, quello autentico della vecchia generazione di coloro che attuarono il grande miracolo della trasformazione socioeconomica in tutta l’Europa, tra il 1950 e gli anni ’70, che non furono attivisti della LGBT e neppure promotori del meticciato e del multiculturalismo, ma piuttosto furono europei di ceppo antico, di faccia bianca, eterosessuali con figli, in maggioranza cristiani (se pur con tutte le loro contraddizioni), con una idea molto materiale, per nulla ideologica, della libertà e della prosperità.
Furono queste generazioni che riuscirono a ridurre al minimo la breccia sociale; furono loro la base sociale su cui si eseguirono le grandi politiche di ricostruzione in Europa, lo stesso fenomeno avvenne nella Germania social democratica come nell’Italia democristiana e nella Francia Gollista e poi socialista, nella Spagna franchista e poi post franchista. Furono loro che edificarono l’Europa moderna del benessere e dello Stato sociale che oggi la Globalizzazione tende a smantellare.
Loro furono il “popolo” quello che i marxisti chiamavano una volta “le grandi masse popolari” che emigravano all’interno dei paesi in Europa in cerca di lavoro da sud verso nord ma mantenevano le proprie connotazioni di europei, cristiani, orgogliosi della loro cultura italiana, portoghese, irlandese, greca o spagnola che fosse.
Loro da un certo punto di vista sono stati gli eroi della seconda metà del XX secolo, quelli che hanno edificato il benessere e lo stato sociale. Tutto oggi messo in discussione dalla visione multiculturale e cosmopolita che i profeti della globalizzazione vogliono imporre per cancellare culture ed identità.
Questo popolo autentico costituito dai lavoratori e dai figli di quelli che hanno edificato le società attuali, da molti anni ha ricevuto colpi di ogni genere ad opera della Globalizzazione voluta dall’elite economica ed appoggiata dalla sinistra mondialista. I figli di quei lavoratori, pur essendo più aculturati dei loro padri, sono arretrati come salari, come potere di acquisto, hanno perso sicurezze, stabilità e diritti e sono insidiati dalla concorrenza degli ultimi arrivati.
La mano d’opera dei migranti è stata un buon affare per gli imprenditori globalizzati e per le cooperative che godono dei sussidi ma, obiettivamente rappresenta una catastrofe per i lavoratori che nel mezzo secolo precedente avevano ottenuto di ridurre la breccia sociale. I governi della sinistra mondialista danno il benvenuto a tutti predicano l’integrazione, la regolarizzazione e la solidarietà ma non possono occultare il fatto che le masse di migranti provocano un costo sociale, una disarticolazione delle comunità e un abbassamento dei salari. Questo viene visto come un discorso razzista e retrogrado dall’intellettuale di sinistra ed è applaudito anche dal capitalista che sfrutta la mano d’opera e ne fa utili.
Il lavoratore autoctono (e gli stranieri residenti da anni) si trova messo all’angolo e spesso sacrificato dalle politiche di acoglienza a favore dei migranti che rendono più difficile l’accesso ai servizi sociali, più problematica la convivenza con culture profondamente diverse, visto che le risorse sono limitate e non sono disponibili per tutti.
Le conseguenze sono l’ascesa del Front National in Francia, dell’FPO in Austria, della AfP in Germania, della Lega in Italia, con forte scollamento del popolo dal ceto politico.
In particolare questo popolo autoctono ha perso la sua rappresentanza e non si sente minimamente rappresentato dai politici e sindacalisti, al contrario si sente tradito da questi.
Si è scomposto il tessuto sociale ed è stata attaccata la famiglia in nome di un nuovo individualismo, quello del consumo compulsivo e dettato dalle mode. La sinistra ha collaborato a questo processo di smantellamento di diritti e garanzie in nome de multiculturalismo, non si è resa però conto di aver perso nel tempo la sua vecchia base sociale, la sinistra è rimasta senza il popolo e la vecchia destra ha perso la nazione. Il popolo ha seguito altre strade e la sinistra macina voti in ogni paese nella alta borghesia quella dei quartieri bene, degli uffici finanziari, del grande capitale e dei grandi media, ma nelle periferie degradate e nelle campagne il popolo oggi ascolta i discorsi di chi prospetta la rivincita delle comunità e la difesa delle identità
di Luciano Lago – 16/11/2016
Fonte: controinformazione
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=57696
NOOOOOOOOO !
http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/11/nooooooo.html
LUNEDÌ 28 NOVEMBRE 2016
“Se al referendum vince il ‘NO’ torniamo indietro di 30 anni” Magari! La Vespa,
la minigonna,
15 chili in meno, l’agilità,
fisico mozzafiato, denti perfetti.
Dove cazzo devo firmare?
Quando è sto’ cacchio di referendum?
Renzi ha detto che se vince il NO si torna indietro di 30 anni.
…Splendido!
– non esistevano i contratti cococo, progetto, jobsact, da dipendente a partita iva, voucher, …
– si andava in pensione ad una età decorosa
– c’era l’articolo 18 e le tutele per il lavoratore
– la benzina costava £1.258 tradotto in €0,65 al litro
– non c’erano suv tra le palle
– c’erano tanti concorsi per i posti pubblici
– la rai mandava in onda film in prima visione e trasmissioni senza interruzioni di pubblicità
– non c’era il ticket nella sanità pubblica
– a 25 anni ci si poteva permettere di metter su famiglia.
– i bambini giocavano per la strada.
– Berlusconi non era in politica e Renzi era il più preso per il culo dai suoi compagni alle elementari.
-non c’era la “buona scuola”, ma la scuola era buona davvero.
Allora che aspettate a votare NO!!!
Referendum: un “NO” grande quanto una casa
Jobs Act: il 75% dei lavoratori è precario
Sul Jobs Act una cosa vera Renzi l’ha detta: «La ritengo la legge che ha inciso di più sulla realtà». L’uso dei fondi pubblici destinati alle imprese che stanno beneficiando degli sgravi contributivi triennali per i neo-assunti ha rafforzato la realtà del lavoro precario, drogando le statistiche sull’occupazione e permettendo al governo di celebrare un presunto successo su questo fronte nel giorno delle «mille balle blu», i mille giorni passati a Palazzo Chigi.
Vediamola la realtà «cambiata» dal Jobs Act. I dati dell’Inps rielaborati dalla fondazione Di Vittorio della Cgil confermano gli effetti della riforma del mercato del lavoro che ha abolito l’articolo 18 e introdotto un nuovo pseudo-contratto per i neo-assunti: quello a «tutele crescenti», dove a crescere sono le tutele dei datori di lavoro che licenziano quando termina l’effetto degli sgravi.
Le assunzioni a tempo determinato e quelle stagionali rappresentano quasi il 75% dei nuovi rapporti di lavoro prodotti nei primi mille giorni renziani. Queste tipologie riguardano rapporti di lavoro spesso di durata molto breve che fanno capo ad uno stesso individuo. Nel rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie 2016 del ministero del Lavoro si sostiene che nel 2015, nel settore privato, il 35,4% dei contratti a tempo determinato aveva una fine prevista entro un mese, ed un altro 23,7% da 1 a 3 mesi. Nei primi nove mesi del 2016 si è verificata una consistente espansione del lavoro a termine, che – insieme al lavoro stagionale- presenta una variazione netta di +462 mila unità, contro meno di 180 mila del corrispondente periodo del 2015. Escludendo i rapporti di lavoro stagionali, il saldo è di +395 mila unità, a fronte di valori nettamente inferiori nel triennio precedente. Dunque, più precari e sempre più a scadenza. Questa è la struttura del mercato del lavoro italiano rafforzata dalla «legge che ha inciso di più sulla realtà».
Il problema di Renzi è il taglio degli sgravi da 8.040 euro a 3.250 per assunto tranne al Sud dove, per una decisione propagandistica pro «Sì» al referendum, gli sgravi saranno totali anche nel 2017.
Con il decrescere dei fondi, diminuiscono i tempi indeterminati. Lo dimostrano i dati rilanciati dalla Fondazione Di Vittorio: nei primi 9 mesi di quest’anno le assunzioni a tempo indeterminato (926 mila) sono inferiori non solo a quelle dei primi 9 mesi del 2015 (con una differenza di -443 mila, pari a -32,3%), ma anche a quelle dei corrispondenti periodi del 2014 (-65 mila, pari al -6,5%) e del 2013 (-85 mila, pari al -8,4%). Aumentano invece i 2,7 milioni le assunzioni a termine, con una variazione rispetto al 2015 di +91 mila unità, di +154 mila rispetto al 2014 ed una ancora più cospicua rispetto al 2013 (+325 mila).
Non solo il Jobs Act non produce occupazione «fissa», ma ne produce molto di meno rispetto al periodo in cui non c’era (2014).
L’analisi sulle attivazione e le cessazioni dei contratti condotta dall’Inps permette di fornire un’immagine più realistica del mercato del lavoro. Il saldo è positivo grazie alle minori cessazioni nel 2016 (-90 mila rispetto al 2015) e le trasformazioni dei vecchi contratti in tempi indeterminati. Senza questi fattori il bilancio sarebbe negativo. Nel resto della campagna elettorale, ci si può scommettere, Renzi non parlerà mai di voucher: nel 2016 sono aumentati del 34%, 109 milioni. Sarebbero almeno 86 mila impiegati a termine in più al mese.
di Roberto Ciccarelli – 20/11/2016
Fonte: Il Manifesto
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=57728