QU’IL Y A-T-IL DE PIRE QU’UN POLITICIEN FRANÇAIS ?… UN JOURNALISTE FRANÇAIS !

LM/ En Bref/

Avec le Canard Enchaîné/2016 09 21/

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930426-000_g69ntArrogant, prétentieux, mal éduqué, se prenant pour le « procureur de dieu sur terre » ou la « police de la pensée » (style 1984), le journaliste français est capable de tout, surtout du pire …

Il y en a même deux qui ont rendu Sarkozy sympathique !

Nicolas Sarkozy se réjouit d’avoir «pulvérisé» Léa Salamé, dit Le Canard Enchaîné.

 «Je l’ai pulvérisée !» Nicolas Sarkozy s’est réjoui de sa prestation face à Léa Salamé (une ex de chez Ruquier, parmi ce qui se fait de pire sur les TV françaises) dans l’Emission politique sur France 2. Selon le Canard Enchaîné, l’ex-chef de l’Etat estime que l’agressivité de la journaliste a joué en sa faveur. «Cela m’a aidé et je l’ai pulvérisée ! On m’a d’ailleurs dit qu’il y [avait] eu une révolte contre elle sur les réseaux sociaux. En me traitant comme ils l’ont fait, Pujadas et elle n’ont pas servi la cause des journalistes, qui sont de plus en plus détestés.»

En meeting dans les Alpes-Maritimes, le lendemain de l’émission, le candidat à la primaire avait lancé devant ses militants, à propos de Léa Salamé et David Pujadas : «J’ai passé une tellement bonne soirée hier soir au cœur de la pensée unique qui vous explique ce que vous avez le droit de penser ou dire… On se demande bien où ils trouvent une telle arrogance !»

LM

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Ars, lo scandalo dei vitalizi infiniti: da 40 anni il contributo agli eredi

I FIGLI DEI PARASSITI? EREDITANO PERSINO IL VITALIZIO! DA 42 ANNI MANTENIAMO UNA MENTECATTA GRAZIE AD UNA FOLLE LEGGE IN VIGORE IN SICILIA! LEGGI CHE VERGOGNA!
Sono 117 gli assegni di reversibilità che pesano per sei milioni all’anno sulle casse dell’Assemblea siciliana
 
Natale Cacciola nacque in provincia di Messina prima ancora del terremoto. Si candidò per il partito monarchico alle elezioni regionali del 1947. E, in virtù dei soli tre anni trascorsi a Sala d’Ercole nella prima legislatura, c’è ancora un erede che – da 40 anni – percepisce dall’Ars un vitalizio: è la figlia Anna Maria, cui vanno puntualmente oltre duemila euro al mese. Anche il marsalese Ignazio Adamo fu uno dei pionieri dell’Assemblea: eletto per il Blocco del popolo, fu deputato sino al 1955. Quando lasciò Palazzo dei Normanni aveva già 58 anni, quando morì (nel 1973) gli anni erano settantasei. Da allora, ovvero da 42 anni, l’amministrazione versa un contributo alla famiglia: oggi 3.900 euro al mese vanno alla moglie Irene Marino, stessa cifra per la figlia Anna Rosa.
 
La storia passa il testimone alla cronaca, nell’Ars dei privilegi, nell’amministrazione dei vitalizi infiniti: sono 117 gli assegni di reversibilità versati a congiunti di parlamentari scomparsi che già godevano di una “pensione”. Per le sole reversibilità l’Assemblea spende mezzo milione di euro al mese, sei milioni l’anno. Sia chiaro: sono soldi che, in base al regolamento del parlamento regionale, spettano di diritto agli eredi dell’onorevole caro estinto. E, in qualche caso, forniscono un insufficiente ristoro a chi ha dovuto patire tragedie che hanno segnato la memoria collettiva, come nel caso del vitalizio per la signora Irma Chiazzese, moglie di Piersanti Mattarella.
 
Ma queste uscite, in un’Ars che insegue la spending review, non mancano di sollevare una questione di opportunità. Sia perché derivano da un sempre più labile allineamento al Senato, sia per la natura stessa del vitalizio, non assimilabile a una pensione del pubblico impiego che deriva da contributi trentennali. Riassumiamo le regole: il vitalizio spetta agli ex deputati che hanno fatto almeno una legislatura. Lo percepisce anche chi è stato deputato per appena sei mesi, attraverso il meccanismo del riscatto, se eletto prima del 2000. Alla morte dell’onorevole, il contributo passa al coniuge superstite e, in alternativa, al figlio inabile al lavoro o alla figlia nubile e “in stato di bisogno”.
Queste norme finiscono per premiare, tutt’oggi, parenti di deputati che, anche per pochi anni, si sono affacciati a Sala d’Ercole nell’immediato Dopoguerra. Determinando contributi alla stessa famiglia che, tramandati dal deputato alla vedova e poi ai figli, si perpetuano per decenni.
 
Qualche altro esempio: Giuseppa Antoci, sorella del deputato ragusano Carmelo Antoci che rimase all’Ars sino al ’55, riceve un vitalizio dal ’78. Un beneficio che dal 1980 viene percepito pure dalla moglie e dai figli dell’onorevole dc Luigi Carollo, in carica sino al 1959. Da 37 anni Irene Recupero, moglie del comunista Pietro Di Cara (all’Ars dal ’47 al ’55), percepisce un vitalizio da 3.900 euro mensili. Circa 2.400 euro mensili vanno invece ad altri beneficiari. Un bonifico con questa somma lo riceve dal 1983 Giovanna Aloisio, consorte del missino Orazio Santagata, che militò in parlamento dal ’51 al ’55. Olga Leto, invece, è la vedova di Giovanni Cinà, democristiano che frequentò l’Ars per quattro anni, fino al 1959: da 25 anni la signora prende la “pensione” di reversibilità. Gioia Eschi è la moglie del defunto deputato socialista Calogero Russo, all’Ars per una legislatura fra il ’51 e il ’55: il vitalizio le tocca da 22 anni.
 
Il vitalizio da 5.900 euro (lordi) al mese spetta pure a Sergio Alessi, figlio del primo presiedente della Regione morto nel 2008. Nel decreto che concede il vitalizio si precisa che ha più di 60 anni, senza reddito e viveva a carico del padre. Un altro congiunto di un presidente della Regione, la signora Maddalena Nicolosi (vedova di Rino Nicolosi), dal ’98 percepisce un contributo da 2.400 euro mensili.
 
 
FONTE:

DISASTRO FERROVIARIO » IL PROCESSO

http://iltirreno.gelocal.it/versilia/cronaca/2016/09/17/news/disastro-ferroviario-il-processo-1.14113677

VIAREGGIO. «In questa tabella possiamo osservare il bollettino prezzi della macelleria Era», dichiara senza neppure alzare la voce – tanto forti risuonano queste parole – il pubblico ministero…

di Donatella Francesconi

20 settembre 2016

VIAREGGIO. «In questa tabella possiamo osservare il bollettino prezzi della macelleria Era», dichiara senza neppure alzare la voce – tanto forti risuonano queste parole – il pubblico ministero Salvatore Giannino. Pomeriggio di ieri, Polo fieristico di Lucca, l’argomento sul tavolo è il dispositivo chiamato detettore anti svio. Che l’Era (Agenzia europea per la sicurezza ferroviaria) non ha ancora oggi dichiarato obbligatorio sui carri che trasportano merci pericolose. Installare o meno il sistema che si accorge che il treno sta deragliando e ne arresta la marcia è ancora lasciato all’adozione volontaria delle singole imprese ferroviarie. Con buona pace della task force che la stessa Era ha mandato in giro tra Europa ed Italia un attimo dopo le immagini di Viareggio in fiamme a fare il giro del mondo. Salvo poi diventare – in questi sette anni – le più scomode da mostrare e raccontare, tanto che mai processo di tali dimensioni fu così nascosto agli occhi dell’opinione pubblica.

L’Era non ha mai scelto. Ma in quella tabella «da macelleria», come ha voluto sottolineare il pm, ci sono i prezzi di vite umane perse e feriti in caso di deragliamento. Confrontati con i costi per dotare i carri del dispositivo anti svio: «Ogni carro allestito con un sistema molto più evoluto anche dell’antisvio sarebbe venuto a costare tra i seimila e gli ottomila euro», sono le cifre ricordate in aula dal pubblico ministero Giuseppe Amodeo. Ma per l’Era costano meno «quelle tre vite umane l’anno» che si possono statisticamente perdere se si verifica un deragliamento di treni che trasportano merci pericolose.

In aula c’è chi ha testimoniato, senza nulla omettere, che c’era un progetto al quale dentro Trenitalia – la stessa società di Fs che oggi sta sperimentando l’adozione dell’anti svio – si è lavorato per valutare se attrezzare o meno i carri merci che l’azienda avrebbe dovuto acquistare se avesse deciso di investire nel settore del trasporto merci e merci pericolose su rotaia. Finì che non se ne fece di niente, dopo l’analisi del rapporto tra costi e benefici, illustrata in aula da Giannino. Ma – sono le parole di Amodeo, pesanti come quelle del collega – «il settore merci pericolose per Trenitalia non faceva vetrina, non era strategico. Era l’Alta velocità che consentiva di fare apparizioni brillanti». La conclusione è densa di amarezza. E per i familiari delle vittime in aula è l’ennesimo pugno nello stomaco che l’intera storia del disastro ferroviario di sette anni fa riserva loro: «Interessava altro. Questa è la verità. Dura, intollerabile verità».

La conclusione dell’intervento di Amodeo è la citazione di una persona che molto ha fatto e fa per la sicurezza in ferrovia, anche sopportandone le conseguenze del suo agire sulla propria vita personale: «Dante De Angelis, un macchinista e non un ferroviere da salotto. Colui che ha ricordato come i treni svizzeri attraversino tutta l’Italia e che non gli è mai capitato di intervenire su un rilevatore anti svio che fosse andato in allarme. Aggiungendo: “Se qualcuno dicesse di non tirare un freno d’allarme perché altrimenti succederebbe un guaio direi che quello di treni non ne capisce nulla”».

Per completare la storia del rilevatore di svio va ricordato quello che scrive l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria: «Vista la criticità connessa al trasporto di merci pericolose, l’Otif (Organizzazione sovrannazionale per i trasporti internazionali ferroviari) aveva previsto nel Rid (Regolamento del trasporto ferroviario internazionale di merci pericolose) a partire dal 1° gennaio 2011, il requisito di dotare i carri trasportanti merce pericolosa del rilevatore di deragliamento. Tale posizione era stata unitariamente sostenuta dall’Italia in sede Otif».

Esattamente quanto mostrato in aula, carteggio alla mano, dal pm Giannino: «Ecco una email del ministero dei trasporti ed infrastrutture con la quale l’Italia l’Italia dichiara la ferma convinzione di introdurre nel Rid 2013 l’obbligo del dispositivo anti svio per i carri trasportanti merci pericolose a partire da quelli più vetusti. Come era quello di Viareggio». A distanza di quattro anni dalla strage di Viareggio la preoccupazione che un disastro simile potesse ripetersi era ancora alta e vi era – aggiunge Giannino – «forte preoccupazione da parte Italia». Il cui ministero, in quella comunicazione, ricordava che «le conseguenze dell’incidente di Viareggio sarebbero state molto più limitate se il carro che è deragliato fosse stato invece attrezzato con il dispositivo che ne avrebbe impedito la corsa al primo accenno di deragliamento».

Le leggi del mercato, invece, fanno sì che ancora oggi si stia discutendo dell’obbligatorietà o meno dell’adozione di una «facile ed economica soluzione che richiede un tempo relativamente breve per essere montata e costi assolutamente esigui», conclude Salvatore Giannino.

Una soluzione tecnica – ricorda Amodeo – che per le Ferrovie italiane «non è un alieno, visto che lo conoscono dal 1998. Da allora ad oggi ci sarebbe stato davvero un bel po’ di tempo per sperimentarlo, prenderlo in considerazione, confrontarsi con la Svizzera». Evitare trentadue morti.

Strage di Viareggio, Piagentini: “Moretti al Quirinale mentre pm chiede pena di 16 anni. Messaggio chiaro dello Stato”

farà 16 minuti – Guai che i  gironali gli si scatenassero contro è  del PD
  
strage viareggio
Giustizia & Impunità
 
La notte del 29 giugno 2009, l’uomo ha perso la moglie e due bambini. Solo lui e il figlio Leonardo si sono salvati. “La premiazione di oggi fa capire la linea che le istituzioni vogliono tenere, una linea perfettamente coerente fin dall’inizio: dal cavalierato, alla conferma al vertice dell’azienda, fino alla promozione a capo di Finmeccanica”
 
di Ilaria Lonigro | 20 settembre 2016
 
“Ho sentito dire che mentre qui i pm chiedevano per lui 16 anni di reclusione, Mauro Moretti era al Quirinale per ricevere un premio per Leonardo. No, non Leonardo mio figlio, Leonardo è il nuovo nome di Finmeccanica. Se fosse vero, non ho veramente più parole”. Marco Piagentini, 46 anni, ha il volto ancora segnato dalle ustioni del disastro ferroviario del 29 giugno costato la vita a 32 persone, tra cui sua moglie Stefania, 39 anni, e due figli, Luca e Lorenzo, 4 e 2 anni. Marco sopravvisse insieme al primogenito, Leonardo, oggi quindici anni. Il primo commento che l’uomo fa a caldo, dopo aver sentito le richieste di pene fatte dai pm per 29 dei 33 imputati (4 sono stati assolti), riguarda proprio questo macabro scherzo del destino. Questo premio oggi è una coincidenza? “No, è un messaggio da parte delle istituzioni , un messaggio che doveva arrivare a quest’aula. Fa capire la linea che lo Stato vuole tenere rispetto alla vicenda Viareggio, una linea perfettamente coerente fin dall’inizio: dal cavalierato dato a Moretti dall’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, alle conferme del suo ruolo come a.d. di Ferrovie dello Stato, fino alla promozione a capo di Finmeccanica” afferma a ilfattoquotidiano.it Piagentini, che pure era stato ricevuto, esattamente un anno fa, dopo numerose richieste di incontro, dal Capo di Stato, insieme a Daniela Rombi, che nella strage perse la figlia Emanuela Menichetti, 21 anni, morta dopo 42 giorni di agonia.
 
Nel Polo Fieristico di Lucca, un capannone enorme che accoglie, a ognuna delle cento udienze svolte finora per il processo Viareggio, un centinaio di avvocati, trentadue sedie sono sempre per le vittime. I familiari non mancano mai di sistemare con cura i loro volti, stampati su delle t-shirt, sulle prime tre file della parte dell’aula destinata alle parti civili. Alle spalle dei figli, delle mogli, dei fratelli morti quella notte, siedono i familiari, riuniti nell’associazione Il Mondo che Vorrei. Con loro, anche i viareggini dell’Assemblea 29 giugno, guidata da Riccardo Antonini, il ferroviere, barba e capelli bianchi, licenziato da Rete Ferroviaria Italiana, a un anno dalla pensione, perché faceva da consulente a una famiglia coinvolta nella strage. Alla lettura della richiesta di pena per Moretti, c’è chi, tra i viareggini, si alza ed esce dall’aula. I pm non hanno ancora finito di chiedere le pene per tutti gli imputati, ma sembra quasi che, per qualcuno, l’attesa fosse soprattutto per lui. Nessuno a Viareggio gli ha ancora perdonato di aver definito, in un’audizione in Senato nel febbraio 2010, il disastro uno “spiacevole episodio”.
 
Nessuna voce si alza al di sopra del brusio, nessuna mano rompe il silenzio per lanciare applausi da stadio: i parenti delle vittime di Viareggio, durante e dopo la lettura delle richieste di pena, non smettono mai di dimostrare compostezza e rispetto per il lavoro della giustizia. Quel rispetto che, continuano a ripetere, potrebbero perdere se i capi di incendio colposo e lesioni colpose plurime dovessero cadere prima della sentenza definitiva. “Se finisse tutto in prescrizione, visto che in Italia si parla tanto di soldi, mi chiedo per cosa abbiamo pagato il lavoro dei pm, delle indagini, dei giudici, mi chiedo perché abbiamo affittato per 100 udienze il Polo Fieristico di Lucca con i soldi dei contribuenti” si domanda Piagentini.
 
di Ilaria Lonigro | 20 settembre 2016