No a soldi Ue per progetti contro l’euroscetticismo. | Rosa D’Amato| Portavoce M5s nel Parlamento EU

video al link in fondo
 
Il Parlamento europeo vorrebbe finanziare con fondi Ue dei progetti “contro l’euroscettismo”. In pratica, si vogliono utilizzare risorse che potrebbero andare alla creazione di posti di lavoro per convincere i cittadini di quanto è “buona e brava l’Unione europea”. Peccato che quei cittadini sono stanchi proprio delle favole, di essere imboniti con questa vuota retorica.
 
Se il Parlamento europeo vuole fare qualcosa di utile contro il generale disincanto che si avverte nei paesi Ue combatta i rigidi e stupidi criteri del Patto di stabilità, aumenti i fondi per lo sviluppo sostenibile, spinga per un’Europa sociale che garantisca un reddito di cittadinanza a chi non ha lavoro.
 
ECCO IL VIDEO E IL TESTO DEL MIO INTERVENTO IN COMMISSIONE CULTURA
 
Cari colleghi,
 
dopo una prima lettura dello studio presentato oggi, mi ritrovo ad avere qualche perplessità sulla ratio stessa di questo programma.
 
Oltre ai bei numeri e ai bei risultati che si sono susseguiti negli anni e che sono stati mostrati oggi, nella parte relativa alla struttura del programma di finanziamento e in particolare tra le priorità, si legge “comprendere e dibattere sull’euroscetticismo”.
 
Se da un lato questo punto conferma la necessità di accettare il fenomeno euroscettico come un dato di fatto della realtà in cui viviamo, dall’altro mi preoccupa alquanto.
 
E mi preoccupa lo strumento stesso con cui si vorrebbere dare certe risposte, ovvero con una linea di finanziamento della Commissione europea a un programma europeo! Che sia lecito o no, ma io sento onestamente ha il cattivo odore dell’ipocrisia “made in Europe”.
 
Dubito fortemente che l’euroscetticismo possa essere dibattuto in questo modo, magari anche all’interno di certi parametri prestabiliti dalla comunità stessa.
 
I cittadini europei, e anche i miei, gli italiani negli ultimi anni si sono progressivamente allontanati e hanno iniziato a guardare all’Europa con disincanto, che e’ destinato a crescere. Questo è avvenuto per diversi motivi : economici, politici e identitari.
 
È indubbio che la crisi economica abbia rinforzato questo disincanto. Quello che c’è in gioco oggi è la capacità stessa di risposta delle istituzioni pubbliche alle legittime domande che i cittadini rivolgono alle autorità politiche e alle stesse istituzioni.
 
L’Europa è stata a lungo considerata, da una fetta consistente di cittadini, una sorta di ancora di salvezza, ma adesso non sembra più così e gli scenari futuri sono a ragion veduta, intrisi di forte pessimismo. E i motivi ce li hanno detti anche i ricercatori stasera: impossibilità in molti paesi attanagliati dalla crisi di pre e cofinanziamenti, programmi che non tengono conto di differenze geografiche e differenti costi della vita, eccessiva burocrazia e guide dei programmi inutili…
 
Onestamente temo molto un eventuale “effetto paradosso”: investire i soldi dei nostri concittadini europei per mettere a tacere e non dibattere di un fenomeno che ormai è sotto gli occhi di tutti, le cui cause sono che ovvie e che di certo non sarà risolto con eventi, riviste, studi. Mi sembra, per utilizzare un eufemismo, una vera e propria beffa.

Renzi e Boschi messi K.O. dal presidente della Corte Costituzionale: “Governo ABUSIVO non può cambiare la Costituzione”

governo abusivo
l presidente emerito della Corte Costituzionale, Annibale Marini, è contrario alla riforma.
 
“E’ una riforma di parte se il governo afferma che andrà casa se si boccerà la riforma. Questo parlamento è illegittimo, c’è una sentenza della Corte che lo dice, bocciando il porcellum, il principio di continuità non può significare far tutto, soprattutto riforme così ampie che toccano 40 articoli della nostra Costituzione”, sostiene Marini davanti alla Boschi seduta in prima fila.
 
E si anima un battibecco. L’immagine finale è da esame di università, dove il professore con sarcasmo rimbecca l’alunna saccente. Per il presidente Marini non ci saranno chissà quali risparmi sui costi della politica, non ci sarà semplificazione, anzi il problema dell’Italia è che si legifera troppo, non troppo poco.
 
Fonte: AttivoTV

ISRAELE: PRIMATISTA MONDIALE NEL TRAFFICO DI ORGANI UMANI

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il criminale israeliano Tauber Gedalya, ex alto ufficiale di Tsahal
di Gianni Lannes
 
Un affare rubricato sotto l’espressione espianti: dalla Palestina all’Italia, passando per il Brasile. La realtà è una costruzione sociale, ma è impossibile negare l’evidenza. L’Italia è il luogo dove la domanda e l’offerta di organi umani si incontrano nell’ombra da decenni, grazie anche alle impunite attività illecite di criminali ebraici (sionisti e non) protetti dai servizi di sicurezza targati Tel Aviv.  Le barbe finte sotto l’egida della stella di Davide, artefici di atrocità di ogni genere (ad esempio il rapimento di Mordechai Vanunu nel 1986), proprio da noi fanno il bello ed il cattivo tempo da più di mezzo secolo (come dimostrano le stragi di Argo 16 ed Ustica).
 
Il commercio di organi umani è protetto anche dalla casta politica tricolore. Singolare coincidenza: proprio in Italia –  secondo i dati del ministero dell’Interno – dalla fine degli anni ’80 il numero di bambini e adolescenti (inclusi quelli italiani) scomparsi e mai più ritrovati, risulta in aumento esponenziale.
 
Alla voce prove e riscontri. Proprio a Roma, o meglio all’aeroporto di Fiumicino il 6 giugno 2013,la Polizia di Frontiera ha arrestato Tauber Gedalya, ex alto ufficiale di Tsahal, l’esercito israeliano, ricercato dall’Interpol.
 
L’avvoltoio non era giunto nel belpaese in vacanza, ma per affari, ovvero per procacciare carne fresca, poiché in Italia è attiva una rete di approvvigionamento umano che attinge esclusivamente dai centri di accoglienza per minori migranti non accompagnati, addirittura sotto il controllo del Viminale.
 
Il presidente del consiglio Renzi ed il ministro pro tempore Alfano perché non rispondono agli atti parlamentari in materia? Cosa attende la magistratura italiana, se è non è collusa ma ha soltanto delle mele marce, per spalancare questo vaso di Pandora? E gli italiani perché non si mobilitano per arrestare questa mattanza di umani?
 
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(aggiornato al 31 maggio 2016)
 
L’ultimo rapporto del ministero delle politiche sociali, segnala la scomparsa nei primi 5 mesi del 2016, di ben 5.241 minori, definiti “irreperibili” che però nessun autorità italiana sta cercando. Nel 2015, secondo i numeri ufficiali, anzi istituzionali, in Italia risultano scomparsi più di 12 mila fra bambini e adolescenti.
 
Il criminale israeliano è stato preso per caso, per una di quelle intuizioni che fanno di un poliziotto italiano, Antonio Del Greco, un agente di prim’ordine. Qualcosa di strano nel passaporto, uno sguardo sfuggente e un certo nervosismo nel passeggero del volo Boston-Roma di Alitalia, un rapido controllo sull’Internet dei malvagi. Ed ecco la risposta. Il 77enne Tauber, latitante dal 2010, era ricercato dalla polizia di tutto il mondo per un mandato di cattura internazionale emesso dallo stato brasiliano di Pernambuco. Il «signore degli organi» aveva messo in piedi la sua organizzazione una decina d’anni fa nel nord est del Brasile, buco nero di indigenza e povertà assoluta in un Paese di devastanti contrasti, organizzando l’asportazione di organi umani prelevati ad almeno 19 cittadini. O meglio: soltanto di 19 si sono trovate le prove. La prassi era semplice. Una volta individuato il soggetto, gli si proponeva una cifra variante fra i 6 mila e i 12 mila dollari, lo si sottoponeva a una serie di esami clinici e una volta chiuso il contratto lo si imbarcava su un volo per il Sud Africa, dove certi medici compiacenti, in cliniche compiacenti, sbrigavano il lavoro (l’espianto e il reimpianto di un rene, il più delle volte).
 
Anche il rabbino Levy-Izhak Rosenbaum, un altro ebreo, residente a New York, è stato arrestato nel 2009 con l’accusa di traffico di organi umani. Nel 2012 è stato condannato a due anni e mezzo di prigione. Un’inchiesta giornalistica ha messo in luce il ruolo di primo piano svolto a livello mondiale, esclusivamente dagli israeliani nel traffico internazionale di organi.
 
Il The New York Times ha scritto, in un report dell’agosto 2014, che i mediatori di trapianti di organi in Israele hanno intascato ingenti somme di denaro. Secondo l’analisi del Times sui più importanti casi di vendita di organi a partire dal 2000, gli israeliani hanno avuto un ‘ruolo sproporzionato’ nel traffico di organi.  Sulla questione dell’espianto non autorizzato di organi, da parte d’Israele, ha investigato per 10 anni l’FBI, poiché non solo i palestinesi ne erano vittime. Ma bisogna tornare indietro al 1992. In quell’anno Ehud Olmert, allora ministro della sanità israeliana, lanciò una campagna con cui si cercava di affrontare la questione dell’insufficienza di organi, inserendo i donatori di organi in un registro apposito. Da allora, cominciarono a scomparire giovani palestinesi dai villaggi della Cisgiordania e di Gaza. I soldati israeliani li riportavano morti dopo cinque giorni, con i corpi squarciati. Giravano voci di un notevole aumento di scomparse di ragazzi giovani, e di conseguenti funerali notturni dei corpi sottoposti ad autopsia.
 
Per vari anni, dal  2001, erano circolate accuse nei confronti del patologo di Stato israeliano, Yehuda Hiss, sospettato di furto di organi. Hiss era il direttore dell’Istituto Forense Abu Kabir di Tel Aviv. La rivelazione della presenza di organi umani conservati illegalmente all’Istituto Forense Abu Kabir spinse il membro della Knesset Anat Maor, presidente della Commissione Scientifica del Parlamento, a chiedere l’immediata sospensione del direttore, il Prof. Yehuda Hiss. Le autorità erano state messe in guardia sulla condotta illecita di Hiss già nel 1998, anche se per anni non fecero nulla.
 
Nel 2001 un’indagine del Ministero della Sanità israeliano scoprì che Hiss era stato coinvolto per anni nel prelievo di organi come gambe, ovaie e testicoli, eseguito senza il consenso dei familiari,  per poi vendere gli organi a scuole di medicina dove venivano usati per la ricerca e il tirocinio. Era stato nominato capo patologo nel 1988. Hiss non fu mai incriminato, ma nel 2004 fu costretto a dimettersi dalla direzione dell’obitorio nazionale dopo anni di lagnanze. Ma, nonostante ciò, rimase capo patologo e, negli anni, tornò ad essere direttore dell’Istituto Forense, sebbene nel 2009 venne nuovamente accusato di essere stato operatore di espianti di organi da martiri che avevano svolto operazioni militari contro Israele, per venderli o darli agli ospedali israeliani.
 
riferimenti:
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Pubblicato da Gianni Lannes a 09:22

I DUE PESI E LE DUE MISURE DEI PACIFINTI: REGENI SÌ, ABDEL SALAM BOH.

 http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/09/i-due-pesi-e-le-due-misure-dei.htmlMONDOCANE

 VENERDÌ 16 SETTEMBRE 2016

Riporto qui sotto un capitolo di una newsletter , “Pressenza” diretta da Oliveri Turquet, organo del Partito Umanista Italiano, agenzia e partito semiclandestini, ma vociferanti, pacifisti e nonviolenti, in prima fila nella diffusione dell’informazione o propaganda di operativi della Cia e del Dipartimento di Stato come Amnesty International, Human Rights Watch, Avaaz. Al direttore di Pressenza, Turquet, ho ripetutamente chiesto di esprimersi sul dato di fatto accertato di un Giulio Regeni al servizio di un gruppo di delinquenti, provocatori, spioni e masskiller angloamericani, dirigenti della “Oxford Analytica”, potente società di spionaggio per la quale Regeni lavorava. Non ho mai avuto uno straccio di risposta. Forse perchè la risposta da dare sarebbe imbarazzante per chi è stato in prima fila da mesi nella diffamazione dell’Egitto e nella campagna “Verità per Giulio Regeni”.

La notizia di Pressenza va accoppiata a quella dell’assassinio a Piacenza dell’operaio egiziano Abdel Salam Ahmed El Danf, schiacciato da un camion padronale che gli si è lanciato addosso. “Incidente stradale” ha sentenziato il procuratore di Piacenza senza nemmeno avere ancora aperto l’indagine. Testimoni e video dei manifestanti, che insieme ad Abdel Salam presidiavano il cancello della fabbrica GIs, dimostrano l’intenzionalità dell’omicidio. “Incidente Stradale” avevano sulle prime sospettato anche gli inquirenti egiziani al ritrovamento del corpo di Giulio Regeni al lato di uno stradone. Ma avevano raccolto le contumelie e l’irrisione dei regenisti. Stessa reazione anche oggi, per quanto gli inquirenti italiani si siano detti pienamente soddisfatti della collaborazione fornita dai colleghi egiziani, dimostrazione che non è la verità su Regeni che interessa i suoi turibolanti, bensì la demonizzazione dell’Egitto e del suo governo. (nemico dei Fratelli Musulmani e loro surrogati terroristi e ostile all’intervento colonialista occidentale e del Qatar per depredare e spezzettare la Libia).
 
Chissà se ora dall’Egitto ci arriveranno lo stesso urgano di ingiurie, calunnie e soprattutto “richieste di verità” sull’assassinio del concittadino Abel Salam, se in Egitto si appenderanno sugli edifici pubblici striscioni invocanti “la verità su Abdel Salam El Danf”, Vedremo chiassate di gruppetti manovrati dal regime e dai suoi protettori esteri latrare per le strade “Renzi torturatore e assassino”, “Mattarella Pinochet Italiano”? Vedremo se la stampa egiziana si scatenerà contro i servizi segreti italiani che hanno manovrato il piede dell’autista sul pedale del camion assassino.
Non credo. L’Egitto del dopo-Fratelli Musulmani dà l’idea di essere un paese serio.
Fulvio
 
PRESSENZA
 
Liberato Ahmed Abdallah, il consulente della famiglia Regeni
 
15.09.2016 – Redazione Italia
Liberato Ahmed Abdallah, il consulente della famiglia Regeni
(Foto di Dario Lo Scalzo)
Due giorni fa Ahmed Abdallah, consulente legale della famiglia Regeni al Cairo, nonché Presidente della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecfr), è stato liberato su cauzione.
 
Era stato arrestato il 25 aprile, con una procedura di fermo rinnovata ogni mese, con l’accusa di attività sovversiva e partecipazione a manifestazione non autorizzata (quella contro la cessione ai sauditi delle isole Turan e Sanafir, ma in realtà per il suo coinvolgimento nel caso Regeni.
 
Il processo nei suoi confronti proseguirà, ma questa prima vittoria gli permetterà di continuare a cercare la verità per Giulio Regeni e le migliaia di egiziani scomparsi, torturati e uccisi.
 
From: Pressenza
Sent: Friday, September 16, 2016 9:52 AM
To: visionando@virgilio.it
Subject: Notizie da Pressenza IPA in italiano
 
Notizie da Pressenza IPA in italiano
 
Pubblicato da alle ore 15:04

Hillary, Trump e il fantasma di Putin

di Michele Paris – 08/09/2016
report russia
Fonte: Altrenotizie
Uno dei protagonisti principali della campagna elettorale per le presidenziali in corso negli Stati Uniti continua a essere insolitamente il presidente russo, Vladimir Putin. Contro quest’ultimo continuano infatti a puntare il dito la candidata Democratica alla Casa Bianca, Hillary Clinton, e i media allineati al suo partito, secondo i quali, pur senza una sola prova concreta, il Cremlino starebbe manovrando segretamente per favorire il rivale Repubblicano, Donald Trump.
 
I Democratici americani accusano ormai da tempo Mosca di voler manipolare il risultato del voto di novembre screditando l’ex segretario di Stato, ritenuta molto più pericolosa del suo sfidante in una futura eventuale escalation delle tensioni tra le due potenze.
 
Una nuova offensiva contro Putin e il suo governo sembra essere però in corso da qualche giorno e l’inizio è stato probabilmente segnato martedì da una “esclusiva” del Washington Post che ha fatto sapere come alcune agenzie federali abbiano aperto un’indagine sui (molto) presunti attacchi informatici russi ai danni di alcuni uffici elettorali negli Stati Uniti.
 
Secondo il giornale della capitale, i “cyber-attacchi” condotti sotto la direzione del governo russo avrebbero l’obiettivo di “alimentare la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni politiche americane e nelle imminenti elezioni presidenziali”. Fermo restando che difficilmente al livello di sfiducia degli elettori negli Stati Uniti verso il sistema politico del loro paese possa essere aggiunto qualcosa dalla presunta ingerenza di un paese straniero, la notizia ha fornito un autentico assist alla propaganda Democratica.
 
In un intervento pubblico di questa settimana, Hillary ha avvertito i potenziali elettori di qualsiasi orientamento a considerare attentamente la “reale minaccia” rappresentata dall’atteggiamento russo. La candidata alla Casa Bianca ha poi riproposto la tesi dell’esistenza di un qualche accordo tra Putin e Trump. Contro il miliardario newyorchese si è scagliato anche il candidato Democratico alla vice-presidenza, Tim Kaine, durante un discorso in North Carolina. Il senatore della Virginia è tornato in particolare sulle dichiarazioni di Trump relativamente alla NATO, definita un’alleanza obsoleta, e alla sua intenzione di adoperarsi per riallacciare rapporti cordiali con Mosca.
 
Hillary e il suo staff insistono nell’attaccare la Russia senza elementi concreti che facciano luce sulle responsabilità delle recenti violazioni dei sistemi informatici negli Stati Uniti. Sempre Putin sarebbe poi colpevole anche dell’hackeraggio ai danni del Comitato Nazionale Democratico, finito con la pubblicazione da parte di WikiLeaks di migliaia di e-mail che hanno dimostrato, tra l’altro, il complotto all’interno del partito per far naufragare nelle primarie la candidatura di Bernie Sanders.
 
La questione dell’ingerenza russa viene utilizzata e ingigantita da Hillary Clinton e i suoi sostenitori principalmente per promuovere le credenziali da “falco” in materia di politica estera e sicurezza nazionale della candidata Democratica. Non a caso, la ex first lady sta raccogliendo un ampio consenso nella la galassia “neo-con”, così come tra i numerosi potenziali criminali di guerra che in precedenti amministrazioni Democratiche o Repubblicane hanno ricoperto incarichi connessi alla promozione dell’imperialismo americano all’estero.
 
Nei giorni scorsi, le critiche contro la Russia di Hillary si sono infatti allargate al ruolo di questo paese nel conflitto siriano. La Clinton ha ricordato il mancato accordo su una tregua in Siria, dopo il faccia a faccia tra Putin e Obama a margine del G20 di questa settimana in Cina, per denunciare il sostegno di Mosca al regime di Assad e per proporre nuovamente la creazione di una “no-fly zone” nel nord della Siria, che servirebbe come base di partenza per una possibile offensiva contro Damasco.
 
Il collegamento tra gli attacchi al presidente Putin e lo stallo in Siria fa appunto intravedere un’intensificazione del conflitto in quest’ultimo paese, se non addirittura contro la Russia, in caso di successo Democratico nelle elezioni di novembre. La campagna di Hillary Clinton, incentrata sulle sue credenziali da “comandante in capo”, e la denuncia di Trump come un agente più o meno consapevole del Cremlino hanno perciò lo scopo di preparare l’opinione pubblica americana a un nuovo intervento militare a tutto campo nel prossimo futuro.
 
Anche per questi motivi e per la repulsione che entrambi i candidati suscitano tra la popolazione americana, i toni e i contenuti della campagna elettorale per le presidenziali in corso negli USA hanno raggiunto un livello tale di degrado da far dimenticare le già difficilmente sopportabili sfide del recente passato.
 
Limitatamente alla questione delle operazioni attribuite alla Russia, va notato che gli attacchi portati contro Mosca da Hillary, dai suoi sostenitori e dai media si basano praticamente soltanto su dichiarazioni di esponenti di agenzie governative che assicurano come hacker al servizio del Cremlino stiano violando impunemente i computer degli uffici del Partito Democratico e delle autorità elettorali americane.
 
A queste voci si aggiungono spesso quelle di compagnie private che operano nel campo della sicurezza informatica, mentre quasi sempre fuori dai media “mainstream” restano le opinioni di quanti, inclusi ex pezzi grossi “pentiti” dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale Americana (NSA) come William Binney, attribuiscono piuttosto gli attacchi informatici e, soprattutto, le fughe di informazioni a fonti interne alle agenzie violate.
 
Lo stesso Edward Snowden era intervenuto sulla questione, facendo notare che, se l’FBI o la NSA avessero a disposizione prove certe del coinvolgimento russo, le avrebbero già rese pubbliche senza esitazioni.
 
Invece, essendo poco più che propaganda, l’offensiva in atto contro la Russia si basa su una campagna orchestrata ad arte e che prevede il ripetersi di accuse senza fondamento, di insinuazioni e affermazioni date per incontrovertibili di presunti “esperti” informatici ed esponenti dell’intelligence che devono essere per forza di cose a conoscenza della verità.
 
Questo “dibattito” che sta caratterizzando la campagna per la Casa Bianca non sembra comunque giovare particolarmente a Hillary Clinton. La decisione di incentrare la propria campagna non sugli affanni dell’economia, cavalcando l’entusiasmo generato dall’agenda progressista di Sanders, ma sulle questioni che stanno a cuore solo alla classe dirigente americana spiega in parte i numeri proposti dai più recenti sondaggi negli Stati Uniti.
 
Con un rivale Repubblicano al limite dell’impresentabilità, gravato oltretutto da una serie infinita di polemiche e bersagliato quotidianamente dalla stampa “liberal”, a due mesi dal voto Hillary Clinton ha visto svanire il vantaggio che aveva sfiorato in media i dieci punti percentuali dopo la convention Democratica di luglio.
 
Tra le altre, l’indagine della CNN ha dato questa settimana Trump in vantaggio su Hillary 45% a 43% su scala nazionale, evidenziando anche un altro dato particolarmente allarmante per l’ex segretario di Stato. Il 49% di una sezione dell’elettorato ritenuta cruciale, quella composta dagli “indipendenti”, vale a dire quanti non sono registrati per nessuno dei due principali partiti, ha cioè affermato di volere optare per un voto a Donald Trump, contro appena il 29% orientato a scegliere Hillary Clinton.

L’Unione Europea è un progetto statunitense

Bagnai dopo aver scritto poemi sull’egemonia tedesca in Ue se ne è accorto di chi comanda davvero (soprattutto su una potenza sconfitta), la balla dell’egemonia tedesca serve anche per avere un capro espiatorio da tutte le stronzate europeiste dei padri fondatori e le puttanate sul sogno europeo traviato quando era tutto deciso fin dall’inizio.
 
di Alberto Bagnai – 08/09/2016
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Fonte: Goofynomics
L’Unione Europea è un progetto statunitense. Serviva, come sappiamo, a rendere coeso il fronte orientale, quello verso il nemico sovietico.
Poi il nemico si sfaldò, e con esso c’era il timore che si sfaldasse anche il fronte. Sai com’è, quella storia della tesi: senza antitesi, non c’è sintesi…
Aggiungi che serviva anche un bell’impulso, l’impulso definitivo, a quella globalizzazione finanziaria che tante soddisfazioni stava dando al capitalismo, schiacciando ovunque i salari. In Europa questi resistevano: per opporsi al comunismo in modo efficace si era infatti dovuto creare un credibile welfare, e assicurare una bassa disoccupazione. Tutte cose che rendevano i salari piuttosto coriacei, ma non tanto da non poter essere scardinati dalla moneta unica.
Certo, l’euro aveva anche dei costi, proprio per quel sistema finanziario, e per quel blocco geopolitico, che legittimamente si aspettavano di trarne vantaggi.
Ubi commoda… Il fottuto latino!
I costi in termini economici erano noti e ovvi: squilibrando la distribuzione del reddito, la moneta unica provocava una ipertrofia del credito che rendeva il sistema finanziario più fragile, anziché più stabile come promesso. Decine di crisi finanziarie provocate da agganci a valute “stabili” lo provavano negli ultimi decenni. Ma fin qui nulla di male: oltre un millennio di storia economica dimostra che nulla è più facile, se si controllano le istituzioni, del socializzare le perdite (accollandole a pensionati e contribuenti) dopo aver privatizzato i profitti.
Poi c’erano i costi geopolitici, ricordate? “L’aspirazione francese all’uguaglianza è incompatibile col desiderio tedesco di egemonia”… Ecco: quelli, di costi, sarebbero stati un po’ più difficili da gestire. Più in generale, l’euro avrebbe provocato, nel medio termine, il frazionamento politico dell’Europa. Lo aveva pronosticato Kaldor nel 1971 e confermato Feldstein nel 1997. Non ci potevano essere dubbi. La domanda quindi era: ci conviene un’Europa balcanizzata, o un’Europa coesa? Domanda che ovviamente si ponevano, e tuttora si pongono, gli Stati Uniti.
La risposta è dipesa dalle circostanze.
Per un po’ prevalse una certa preferenza verso l’Europa balcanizzata, cioè verso l’euro. Poi, però, si comprese che il vantaggio di frantumare la leadership europea tramite il conflitto economico allo scopo di controllarla meglio si pagava col costo di rinunciare a un motore di crescita della domanda mondiale (e quindi di profitti delle multinazionali Usa), e con l’altro non trascurabile svantaggio di perdere pezzi a beneficio dell’antagonista russo, che tornava ad affermarsi.
 
Così, verso la metà del secondo decennio del terzo millennio, gli Stati Uniti tornarono a quella che era stata la loro posizione negli anni ’70, una posizione di sostanziale opposizione alla moneta unica europea. Una moneta unica che stava nuovamente alimentando la questione tedesca, e invece di tenere la Germania abbracciata alla Francia, la stava proiettando a Est, e stava frantumando l’intera Europa, con esiti radicalmente imprevedibili. Una moneta unica che stava soffocando la crescita mondiale. Una moneta unica che stava alimentando gli squilibri globali, proiettando il surplus tedesco verso livelli mai sperimentati in passato, costringendo così gli Stati Uniti a un ruolo di acquirente di ultima istanza, sempre più difficile da sostenere in un quadro nel quale il resto del mondo cominciava timidamente ma decisamente a dedollarizzarsi (e quindi agli Stati Uniti non bastava più semplicemente emettere dollari per finanziare il proprio deficit estero).
I costi della moneta unica stavano superando i suoi vantaggi, com’era prevedibile e previsto (non da molti): era quindi giunto il momento di farne a meno.
Ma… la transizione fra un sistema nel quale i costi superano i benefici, e il sistema successivo, comporta essa stessa un costo!
Smantellare l’euro, in particolare, avrebbe avuto due ordini di costi: un costo finanziario, perché le banche del Nord Europa avrebbero dovuto accollarsi almeno una parte delle perdite determinate dalla svalutazione dei loro crediti, i quali, essendo stati accesi in euro, sarebbero stati saldati nella nuova valuta meridionale, più debole (o, il che è lo stesso, in una minore quantità della nuova valuta settentrionale, più forte); e un costo politico, perché le classi politiche che avevano fino a quel momento indicato nell’Europa, cioè nell’Unione Europea, cioè nell’euro (che son tre cose diverse, ma per loro dialetticamente identiche) l’unica via, si sarebbero dovute rimangiare tutto, soffrendo una pesantissima perdita di credibilità.
Un problema non da poco per lo zio Tom, perché le banche tedesche sono fortemente interconnesse con quelle americane, e i leader europei sono fra i principali garanti della pax americana (che poi tanto pax non è, ma si sa: l’unico keynesismo buono è quello bellico…).
Difficile da risolvere, il problema, vero?
Difficile se fosse stato imprevisto. Ma imprevisto non era, e il piano B era pronto. Sentite come funzionava. Si cominciava col mandare segnali di insofferenza verso il Nord Europa, al duplice scopo di fiaccarne il morale, e di consentire alle classi politiche del Sud di desacralizzare il feticcio europeo: “Anche i tedeschi truccano motori, anche le loro banche sono marce, l’euro li ha avvantaggiati…”. Al termine di questo processo, si mandava un cubista di elevatissimo lignaggio accademico a scoprire che il cielo è azzurro e il prato è verde (verde semaforo, per l’esattezza), scrivendo qualche puttanata sul doppio euro, e sdoganando così di fatto nei circoli che contano l’idea che l’euro non fosse irreversibile (il che dimostra che i circoli che contano sanno di contare, ma non sanno contare…).
Questo per la parte politica.
E per la parte economica?
Ma anche questo è semplice. Ricordate qual era il problema? Non far saltare le banche tedesche, perché fortemente interconnesse col sistema finanziario statunitense. 
 
E allora? E allora, prima di smantellare l’euro, bisognava ricapitalizzare le banche del Nord. E i soldi chi ce li avrebbe messi? Ma, semplicemente i cittadini dello stato più ricco fra i membri dell’allegra brigata: l’Italia. E l’avrebbero fatto spontaneamente? Ma che domande! No, certo che no! Lo avrebbero fatto con la troika. Come? Perché la troika? Ma perché, come si era già visto nel caso della Grecia, questa istituzione era uno strumento estremamente efficiente (anche se lievemente corrotto) per canalizzare verso le banche del Nord le risorse spremute ai cittadini del Sud, via imposte e contributi ai fondi salvastati. E perché gli italiani avrebbero dovuto accettare una cosa simile? Ma, anche questo è piuttosto ovvio: semplicemente, si sarebbero prese delle misure tali da mettere in crisi terminale il loro sistema bancario fiaccato da cinque anni di crisi economica ininterrotta. Poi, al momento di ricapitalizzare il sistema bancario, confidando nella conclamata incapacità culturale ed etica del governo italiano di ritornare a una valuta nazionale, sarebbe stato fin troppo semplice proporre il ricorso al MES (cioè alla troika) come unica soluzione praticabile.

L’Europa Sta Murando l’Italia. E Prima o Dopo i Migranti Avranno Fame e Freddo.

di Funny King – 08/09/2016
europa muro
Fonte: Rischio Calcolato
Dunque l’italia confina con:
  • Francia che attualmente esercita un moderato controllo alle frontiere che però tende a diventare sempre più forte, e con le elezioni che si avvicinano diventerà un muro.
  • Svizzera che non fa passare nessuno, e rimanda indietro quelli che sfuggono ai controlli
  • Slovenia che ha già eretto i primi muri con la Croazia e che non si farà scrupolo di farlo con l’Italia
Sarebbe meglio tenere bene a mente quello che accade sul terreno più che discutere su come vorremmo che fosse la realtà.
 
L’Italia effettivamente non può erigere muri e tuttavia è falso affermare che non esista una via per respingere (e riportare in Africa) i migranti. Si tratta di una scelta.
 
Una precisa scelta politica che non ha nulla a che fare con una ideologia, la carità oppure il buonismo. E’ una precisa scelta per l’utilizzo di denaro pubblico nella così detta accoglienza. Un fiume di denaro pubblico che va ha enti cattolici, cooperative bianche, cooperative rosse, amici dei politici.
 
Lo schema solito e perfetto.
 
A pagare sono i cittadini:
  • con l’ennesimo sperpero di denaro
  • con la propria incolumità e il peggioramento degli standard di vita sul territorio
Pare banale dirlo, ma questi immigrati Africani, intrappolati in Italia avranno fame, avranno freddo, vorranno il calore umano di una donna.
 
Capisco che sollevare il problema oggi appare politicamente scorretto, tuttavia credo che prima di ogni altra politica di aiuto ai paesi Africani, l’Italia debba spendere risorse e denaro pubblico per una politica feroce e inflessibile dei respingimenti, utilizzando l’esercito e tutta la sua influenza per costringere i paesi di partenza a riprendersi tutti indietro. E non mi venite a dire che è impossibile. Stiamo parlando o di Nazioni a cui manca tutto oppure a nazioni che dipendono dall’Italia per il loro export di beni e idrocaruri.
 
Io resto esterrefatto per come questo enorme problema di ordine pubblico, sanitario e di identità venga ignorato. E so già che verrà ignorato fino a quando una catena irreparabile di eventi avrà ammazzato, ferito, stuprato abbastanza italiani.
 
Io me ne rimango qui. Siate consapevoli, siate preparati.
 

2018: lavoro addio. Urge ripensare il “sistema”

di Mario Bozzi Sentieri – 07/09/2016
lavoro
Fonte: Arianna editrice
La futurologia, cioè il tentativo di prevedere, su basi scientifiche, il futuro dell’Umanità, è materia da usare con cautela. Troppi errori di valutazione compiuti nel passato per farne una scienza esatta. E tuttavia la notizia, messa in giro dal World Economic Forum, sui destini del lavoro umano, non è da prendere sotto gamba. Secondo il recente rapporto del WEF da qui a pochi anni  automazione, intelligenza artificiale, nanotecnologie, biotecnologie e stampa 3D finiranno per polverizzare cinque milioni di posti di lavoro nelle 15 principali economie del mondo.
 
Le premesse ci sono tutte (e le recenti polemiche sulla crisi occupazionale  delle banche italiane vanno in questo senso). I settori più a rischio includono quello amministrativo, energetico, finanziario e soprattutto i lavori d’ufficio, dove le macchine si incaricheranno di tutti i compiti di routine. Verrà creata nuova occupazione, certo, ma sarà comunque insufficiente a compensare le perdite. Le nuove sfide, continua il rapporto WEF, impongono che non solo le imprese, ma anche i governi, si riadattino al nuovo scenario e intervengano per disciplinare e regolare il cambiamento. Possibilmente in modo rapido, dal momento che quel fenomeno che il giornalista Paul Mason chiama “transizione verso il postcapitalismo” è già in corso.
 
Secondo lo scienziato Stephen Hawking, avremo due possibilità “se le macchine produrranno tutto ciò di cui abbiamo bisogno saremo ad un bivio. Se questi prodotti saranno condivisi, l’intera popolazione vivrà nel lusso, ma se i produttori delle macchine riusciranno a impedire la redistribuzione, la maggior parte della popolazione sprofonderà nella miseria”. Al momento, si calcola che già il 53% dei lavori svolti da umani sia interamente automatizzabile, e quindi sostituibile.
Secondo il già citato Mason, le monete di scambio del futuro saranno “tempo libero, attività in rete e gratuità”. Le basi di questa trasformazione sono già visibili, ma la cultura della sharing economy è destinata a crescere. “Le persone convertiranno ogni bene in denaro, dalla propria casa alla loro auto”, si legge nel rapporto WEF.
Se da un lato la discussione si inserisce nello scenario di una crisi dei mercati di lavoro e di una disoccupazione ormai drammatiche, dall’altro è tanto affascinante quanto utopica l’ipotesi di un futuro prossimo in cui impieghi noiosi o degradanti saranno svolti dalle macchine, mentre gli esseri umani potranno dedicarsi ad attività ben più gratificanti. “L’attuale rivoluzione tecnologica non deve diventare necessariamente una sfida tra esseri umani e macchine”, conclude il rapporto “ma piuttosto un’opportunità per lavorare insieme e fare in modo che le persone esplorino a pieno il loro potenziale. E’ essenziale comprendere rapidamente i cambiamenti per guidare le nostre economie e la nostra comunità attraverso queste importanti trasformazioni”.
Il “che fare ?” – domanda d’obbligo in un contesto in rapida evoluzione – non può non considerare la necessità di ripensare radicalmente il nostro sistema nella sua globalità. Occorre individuare nuove politiche di ridistribuzione del valore. Vanno riconsiderate le politiche formative. Va ritrovata la centralità dell’uomo-lavoratore, partecipe dei processi di trasformazione. Sarà urgente realizzare nuove politiche previdenziali ed un nuovo Welfare.
Molto insomma c’è da analizzare, prevedere, reinventare: buona materia per i futurologi, per gli economisti ed i sociologi. Ma anche per una politica che non può continuare a vivere rincantucciata a contemplare l’ombelico delle proprie piccole certezze e a baloccarsi con vecchi slogan. Il futuro apparterrà a chi sa immaginarlo e dominarlo, già da ora.