L’accordo Ue-Turchia vacilla e la Grecia comincia a tremare. E, sottotraccia, c’è la Grande Albania

di Mauro Bottarelli , – 01/09/2016L’accordo Ue-Turchia vacilla e la Grecia comincia a tremare. E, sottotraccia, c’è la Grande AlbaniaFonte: rischiocalcolato

“I migranti sulla costa della Libia si preparano ad una corsa contro il tempo”, ha dichiarato all’Associated France Press, Abdel Hamid al-Souei, della Mezzaluna rossa libica, a detta del quale “in vista della fine dell’estate, i trafficanti di uomini mettono in mare sempre più barche e le prossime settimane saranno fra le più calde dell’anno”. Insomma, i 13mila arrivati in soli quattro giorni a ridosso dello scorso fine settimane sono solo l’inizio. Anche perché dalla Libia si parte senza problemi, le autorità guardano dall’altra parte. O accampano scuse: “Le nostre pattuglie di stanza a Tripoli con la Marina libica negli ultimi tempi sono state ridotte, perché le navi sono ormai obsolete e non abbiamo più i mezzi per controllare la costa di Sabratha”, ha dichiarato al Daily Mail il colonnello Ayoub Qassem.
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E Sabratha è il vero e proprio hub dei trafficanti di uomini: un’ottantina di chilometri a ovest della capitale, la città è formalmente sotto il controllo del governo di accordo nazionale ma da mesi è diventata la base logistica delle partenze verso l’Italia, soprattutto da quando il governo di Tripoli ha concentrato tutti i propri sforzi per abbattere la roccaforte jihadista di Sirte. Reazione del governo italiano? Zero, sono troppo impegnati a ingraziarsi la Merkel, grazie alla quale siamo in queste condizioni con i flussi migratori o a presentare paradossali Fertility day. Blocco navale? Un’azione notturna dei servizi per distruggere i barconi, come in Albania? Accordo con il governo di Tripoli per aumentare i controlli a fronte di investimenti? Nulla, vige il silenzio più assoluto.
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Parlano però i numeri, quelli ufficiali del Viminale. E cosa ci dicono? Che in Italia solo il 5% dei richiedenti asilo ottiene lo status di rifugiato, mentre il 13% riceve il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, il quale dura 5 anni e viene rilasciato a chi rischia di subire un danno grave nel caso di rientro nel proprio Paese. Un altro 19% consegue invece la protezione per motivi umanitari (24 mesi, prorogabili). Di fatto, grazie a misure più stringenti nei requisiti, negli ultimi anni la quota di domande respinte si è impennata: 22% nel 2012, 39% nel biennio successivo, 59% nel 2015 e addirittura il 63% nei primi otto mesi di quest’anno.
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In compenso, le richieste di asilo sono in aumento: 70mila da inizio anno. Nel 2012 furono 17mila e 26mila nel 2013, mentre il 2014 è stato l’anno boom con 63mila domande, poi cresciute a 83mila nel 2015. Quest’anno – se il trend attuale resterà costante – supereranno le 100mila. Ad oggi, dei quasi 58mila migranti che da inizio anno hanno ricevuto risposta alla domanda di asilo in Italia, la maggioranza non può restare: oltre 34mila stranieri hanno ricevuto un foglio di via con l’obbligo di lasciare il territorio nazionale entro dieci giorni. A vostro modo di vedere, lo faranno? Ovviamente no, prendono il foglio, lo stracciano e cominciano a vivere da clandestini: quindi, nella migliore delle ipotesi facendo lavori saltuari, sottopagati e in nero e nella peggiore ma non affatto più peregrina, a campare di espedienti o a delinquere.
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In parole povere, in questo Paese stiamo assistendo all’invasione di persone che sappiamo preventivamente non aver alcun diritto, né titolo per stare qui ma che lasciamo comunque arrivare, fare domanda – che verrà respinta – e poi vivere da clandestini nelle nostre città. E attenzione, perché se le prossime settimane dalla Libia arriveranno in decine di migliaia in anticipazione dell’autunno e delle cattive condizioni climatiche, un altro fronte sembra essersi aperto: quello greco. E questo porta con sé una conseguenza che dovrebbe far paura: la Turchia non controlla più i confini come prima e se per caso non otterrà ciò che vuole dall’Ue in materia di visti, potrebbe aprire i confini terrestri con Grecia e Bulgaria.

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pubblicata dal Wall Street Journal parla chiaro: il numero i persone sbarcate sulle isole greche è salito a circa 100 al giorno in agosto, contro i meno di 50 di maggio e giugno. Solo lunedì sono arrivati in 460, un numero che le isole elleniche non sperimentavano da inizio aprile. Ovviamente è nulla rispetto al picco di 6800 al giorno dell’ottobre 2015 ma ad Atene sono comunque preoccupati per la tenuta dell’accordo tra Turchia e Ue. Ankara, dal canto suo, ha già detto che l’1 ottobre sarà l’ultimatum entro il quale l’Europa deve garantire i visti liberi per l’accesso nell’Ue dei cittadini turchi, altrimenti l’accordo salta ma la dinamica in atto in questi giorni in Grecia sembra una prova di forza già in atto.
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E la conferma arriva da un alto funzionario del governo turco interpellato sempre dal Wall Street Journal sotto anonimato: “Non possiamo verificare indipendentemente se esiste un aumento ma anche se fosse vero, questo andrebbe messo in relazione al fatto che gli immigrati illegali vedono sempre più chiaramente come l’accordo tra Turchia e Ue sia sul ciglio del collasso e che questo comporterà il fatto che non ci sarà più un meccanismo automatico di espulsione verso la Turchia, una volta attraversato il Mare Egeo. Se l’Ue fallisce nell’onorare il suo accordo con la Turchia, non importa quanto duro sia stato lo sforzo, ci sarà un enorme incentivo per gli immigrati a rischiare la vita in mare”. Cinismo allo stato puro ma dovevamo saperlo fin dall’inizio, quando abbia deciso di affidare le nostre sorti nelle mani di uno come Erdogan. E che in Grecia i timori stiano salendo, lo conferma il ministro per l’Immigrazione, Yiannis Mouzalas, a detta del quale “saremo messi davvero a dura prova se dovesse saltare l’accordo”.
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Ad Atene ritengono che l’aumento degli arrivi dalla Turchia sia da mettere in relazione con il tentato golpe del 15 luglio scorso, visto che moltissimi poliziotti e militari accusati di aver fomentato il colpo di Stato sono stati sospesi e incarcerati, di fatto indebolendo l’apparato di controllo. Ankara smentisce, ovviamente ma i numeri e i precedenti non depongono a favore di un abbassamento della guardia: la chiusura della rotta balcanica la scorsa primavera ha visto circa 60mila migranti bloccati in Grecia ma il ministro Mouzalas dichiara apertamente che, senza l’accordo, sarebbero tra i 150mila e 180mila in più. A pagare il prezzo più alto sono cinque isole – Lesbo, Chios, Leros, Kos e Samos -, dove sono stati piazzati la gran parte dei nuovi arrivati: nella sola Chios ci sono circa 3300 tra migranti e rifugiati, tre volte la capienza del campo profughi attrezzato. Le stanze da quattro persone sono solitamente condivise da almeno il doppio degli abitanti, spesso di famiglie diverse: “Viviamo come animali”, ha dichiarato Wassim Omar, 34enne insegnante di inglese siriano.
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Ovvero, chi avrebbe davvero diritto all’aiuto dell’Europa e invece viene sbattuto in strutture fatiscenti. E anche le comunità locali cominciano ad essere esasperate, visto che le recinzioni del campo sono piene di buchi da cui gli ospiti passano per recarsi nei centri abitati, dove si registra un aumento di furti e danneggiamenti, oltre a continue liti tra immigrati di diverse nazionalità. Per abbassare un po’ la pressione, il governo ha deciso di spostarne alcune centinaia in un centro sulla terra ferma ma molti osservatori pensano che questa mossa possa incoraggiare altri migranti a muoversi attraverso l’Egeo per tentare la sorte.

E attenzione a una dinamica che sta prendendo piede sottotraccia. Un paio di giorni fa, Nuke ha pubblicato un ottimo articolo su Albania e Kosovo come centri della criminalità balcanica a due passi dall’Italia e due settimane fa è accaduto qualcosa di parecchio sgradevole da quelle parti, per l’esattezza nello strategico Montenegro, se parliamo di tratta balcanica per i migranti.
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Tahir Veliju, leader dell’Unione degli albanesi uniti, dichiarato persona non grata sia in Grecia che in Serbia, era infatti in Montenegro per presentare il suo libro dedicato alla Grande Albania, progetto geopolitico di antica data che prevede l’annessione a Tirana di porzioni di territori di Serbia, Kosovo, Montenegro, Macedonia e Grecia in base a rivendicazioni delle popolazioni di origine e lingua albanese che vivono in quelle aree. A denunciare la pericolosità delle visita è stato il leader del Partito democratico, Milan Knezevic, a detta del quale l’accaduto dimostra come il governo montenegrino risponde pedissequamente agli ordini dell’ambasciatore statunitense a Podgorica: “Siamo di fronte a un classico caso di capitolazione. Lasciando entrare Veliju nel Paese, il premier Diukanovic ha messo in discussione la sovranità del Paese e si è preso piena responsabilità di quanto potrebbe accadere qui in futuro, incluse le rivendicazioni territoriali fatte dagli ideologi del progetto di Grande Albania”.
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In effetti, politici albanesi e kosovari hanno salutato con enorme entusiasmo il gesto di Djukanovic, il quale utilizza da sempre la comunità albanese come bacino elettorale sicuro, ad esempio nel referendum del 2006 che pose fine allo Stato unitario di Serbia e Montenegro, quando il premier pagò migliaia di biglietti aerei a cittadini albanesi per farli andare in Montenegro, dove vennero illegalmente inseriti nelle liste elettorali. E con il voto previsto per il prossimo anno, Knezevic teme un ripetersi dei brogli: “Veliju ha presentato il suo libro a Tuzi, un distretto di Podgorica. Se a qualcuno che propugna quelle idee è permesso di visitare parte della nostra capitale, allora questo significa che quell’area potrà essere presto trovata sulla mappa della Grande Albania”. Attenzione a un Kosovo 2.0, sarebbe la fine.

L’accordo Ue-Turchia vacilla e la Grecia comincia a tremare. E, sottotraccia, c’è la Grande Albaniaultima modifica: 2016-09-05T13:05:23+02:00da davi-luciano
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