Il Radon come precursore dei terremoti?

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di  | 16 giugno 2012
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Professore ordinario Dip. di Energia del Politecnico di Torino
I grandi terremoti (magnitudo 5.5 o superiore) sono il più devastante di tutte le calamità naturali per la vita umana e per le cose. Il recente terremoto in Emilia e quello in Abruzzo (aprile 2009) hanno avuto conseguenze tragiche per l’Italia.

Gli studi scientifici che portano alla previsione di grandi terremoti, con sufficiente anticipo, hanno quindi un grande significato per l’umanità. Purtroppo, ad oggi, nessun metodo affidabile è stato sviluppato: se si possono avere successi applicandoli su scale dei tempi geologiche, quando essi vengono applicati ad una scala umana, che richiede tempi precisi, la localizzazione e l’intensità sono fattori non facili da definire esattamente.

Notevoli cambiamenti nella concentrazione di Radon, un gas radioattivo emesso naturalmente dal terreno, sono stati osservati in molte zone soggette a terremoti pochi mesi o giorni prima, durante e dopo un grande terremoto. Tale comportamento è stato osservato in miniere profonde, in cantine e pozzi in cui le fluttuazioni indotte sulla concentrazione di radon a causa di altri fattori ambientali possono virtualmente essere escluse. Pertanto, si è tentati di prendere in considerazione un’improvvisa irregolarità della concentrazione di radon, per giorni e giorni, in particolare nei pozzi profondi in una zona sismica, come un presagio potenziale per un terremoto.

Un argomento standard per giustificare scientificamente la variazione della concentrazione di Radon disciolto in faglie e pozzi d’acqua prima, durante e dopo un terremoto in quella zona, è la variazione nel rilascio dei gas intrappolati nelle rocce della crosta terrestre dovuto al collasso dei pori e/o apertura di micro-fratture causati da variazioni di stress.

Recentemente, insieme ad un collega dell’Università della Tuscia, Fabrizio Aumento, abbiamo proposto [1,2] un affinamento delmetodo del “Radon precursore”, basato sui risultati di una rete di dodici stazioni multiple, sincrone, di monitoraggio della concentrazione di Radon. I nostri lavori sono stati presentati a Conferenze scientifiche internazionali, ma nessun finanziamento è arrivato in Italia, anche a causa delle polemiche su questo tipo di studi. Queste polemiche a noi non interessano, interesserebbe essere messi in grado di portare avanti scientificamente un programma di ricerca serio.

Sulla base di studi a lungo termine, esistono alcuni precursori dei terremoti: i cambiamenti nella concentrazione di ioni in acqua, variazioni nella concentrazione di Elio, Neon, Argo, Radon e Azoto nell’ambiente della zona interessata, la anormalità del comportamento in alcuni animali, la presenza di lievi scosse prima di un grande terremoto, l’improvviso cambiamento del livello dell’acqua in alcuni pozzi, le deformazioni del suolo. Ma la maggior parte di questi precursori sono soggetti a influenze così diverse che si comportino in modo irregolare e, pertanto, sono stati poco conosciuta finora, rendendo previsione dei terremoti una questione controversa.

Il radon può essere un precursore di terremoto efficace, se un metodo di valutazione molto raffinato è impostato in modo da spiegare ed eliminare le altre variazioni di Radon non collegate ad un possibile terremoto. Un perfezionamento del metodo del Radon – per il quale eventualmente rimandiamo ai lavori scientifici sopra citati – si è rivelato efficace nell’area di Bolsena/Bagnoregio/Civita/Montefiascone (Alto Lazio), basandosi sui risultati di una rete di dodici stazioni multiple di monitoraggio: la nostra proposta è di rompere la rete di diffidenza su questo tipo di ricerche. Non ci definiamo maghi o santoni, ma vogliamo semplicemente affinare la robustezza scientifica del metodo del Radon per prevedere terremoti: credo che in Italia valga la pena di provarci.

[1] M. Zucchetti, F. Aumento, “Radon Flux Variations as Earthquake Precursors”, NURT Conference Proceedings, La Habana, Cuba, Feb. 2011, pp. 101-105, ISBN 978-959-7136-79-8.
[2] Luís Neves, Susana Barbosa, Alcides Pereira, and Fabrizio Aumento, “Soil-gas radon concentration monitoring in an active granite quarry from Central Portugal”, Geophysical Research Abstracts, Vol. 12, EGU2010-8006, 2010, EGU General Assembly 2010.

Buco da 700 milioni: 10 arresti. Nelle carte il nome di Verdini

 Buco da 700 milioni: 10 arresti. Nelle carte il nome di Verdini
di  | 16 giugno 2016

Ville a Cortina e jet privati, stipendi ai figli senza che questi abbiano mai messo piede in azienda e opere d’arte: se ne sarebbero andati così parte dei soldi di “Impresa spa”, importante società di costruzioni con appalti che vanno dalle autostrade alle metropolitane di Milano, Napoli e Genova. L’inchiesta sul crac di Impresa si […]

La legge della Valsusa Manifesto Livio Pepino

vi allego un articolo che compare oggi (venerdì) sul Manifesto, con il titolo “La legge della Valsusa”, relativo ad alcune delle ultime vicende in Valle, in particolare alla misura cautelare emessa nei confronti di Nicoletta, al suo significato e alle reazioni che ha provocato. A quanto mi hanno detto dal giornale il pezzo dovrebbe avere un notevole rilievo e occupare tutta l’ultima pagina. Io ho suggerito di mettere qualche foto dalla Valle con il cartello “io sto con chi resiste violando le imposizioni ingiuste del tribunale di Torino”. Spero lo abbiano fatto…

La legge della Valsusa

– Livio Pepino, 26.08.2016

. Mille e cinquecento indagati in sei anni e mezzo, al ritmo di uno ogni due giorni. Le misure cautelari trasformate da alternativa in anticamera al carcere. Un’incredibile sequenza di diritti e garanzie violate, di prescrizioni vessatorie e imputazioni fantasiose. Ma gli «indiani» No Tav resistono

Il trionfalismo dell’establishment non riesce a nascondere la realtà: la nuova linea ferroviaria Torino-Lione, come hanno spiegato domenica scorsa su queste pagine Pagliassotti e Vittone, è ancora di là da venire. Intanto, dopo ventisette anni, i No Tav, gli «indiani di Valle» non demordono e anzi rilanciano, contrapponendo all’alta velocità l’alta felicità (per riprendere il titolo della grande festa di Venaus del luglio scorso che ha visto la partecipazione di decine di migliaia di persone e di artisti di prim’ordine). A sostegno dell’opera resta una repressione crescente e sempre più scoperta.

Non bastavano l’evocazione di una valle di black bloc, i 1.500 indagati negli ultimi sei anni e mezzo (con una punta di 327 nel 2011 e di 183 dal luglio 2015 al giugno 2016: più di un indagato ogni due giorni), un centinaio di misure cautelari, una gamma di reati che vanno dalle violazioni della zona rossa a fantasiosi attentati con finalità di terrorismo (dichiarati infine insussistenti, dopo lunghe carcerazioni in isolamento, dai giudici di merito e dalla Cassazione). Non bastavano e, puntuali, sono arrivati nuovi dispositivi repressivi. Un caso per tutti, tra i molti quest’estate.

Chiunque è stato in Valsusa sulle tracce del movimento No Tav conosce l’osteria «La Credenza» di Bussoleno (luogo di incontro e di confronto di persone provenienti da ogni dove) e la sua animatrice, Nicoletta Dosio, per tutti semplicemente Nicoletta, già professoressa nel locale liceo, esponente politica della sinistra non omologata, personaggio di primo piano nell’opposizione al Tav. Ebbene, con ordinanza 26 maggio 2016 del gip di Torino, a Nicoletta è stata imposta la misura cautelare dell’obbligo di presentazione quotidiana all’autorità di polizia per fatti commessi un anno prima di fronte al cantiere di Chiomonte, integranti, nell’ipotesi accusatoria, il delitto di resistenza e violenza a pubblico ufficiale (consistente nel lancio di oggetti contundenti e di artifici pirotecnici). Nicoletta non ha lanciato pietre o alcunché ed era, come sempre, a viso scoperto. Ciò che le viene contestato è altro: aver «contribuito a consegnare una fune munita di arpione ad altra persona che, arrampicata sulla griglia di un betafence, agganciato l’arpione alla griglia, ne determinava il successivo abbattimento». La battitura e l’abbattimento delle reti e delle strutture connesse è, come tutti sanno, uno degli obiettivi di sempre del movimento per dimostrare che il cantiere può essere violato e che la determinazione della valle è più forte della militarizzazione. Ma per pubblici ministeri e giudici della cautela tutto ciò scompare e quella condotta non ha finalità dirette ma è strumentale «a disturbare le forze di polizia ed a consentire ad altri di compiere i lanci di pietre e ordigni direttamente sulle forze dell’ordine senza necessità che il lancio dovesse, con una parabola, superare il betafence». Di più, «l’avvicinarsi non travisati, impugnanti palloncini rosa, striscioni e bandiere», lungi dall’essere una modalità di protesta responsabile e civile è un subdolo inganno «per far credere alle forze dell’ordine che l’intenzione fosse di manifestare pacificamente con grida e al più compiere la c.d. battitura delle reti». Così il cerchio si chiude e Nicoletta diventa concorrente nel reato di resistenza perché, contribuendo ad abbattere il betafence, ha fatto sì che altri potessero lanciare degli oggetti contro la polizia con una traiettoria rettilinea anziché con la parabola necessaria a superare un ostacolo dell’altezza di poco più di due metri. Non è la prima imputazione singolare elevata dalla procura torinese ma prudenza avrebbe almeno voluto che la verifica di una costruzione fattuale e giuridica tanto opinabile venisse sottoposta al giudice del dibattimento con l’imputata (reperibilissima e prossima ai 70 anni) in stato di libertà. E invece no: il pubblico ministero chiede addirittura l’obbligo di dimora e il gip dispone la presentazione quotidiana all’autorità di polizia!

Ma le torsioni della legge della Valsusa non finiscono qui. I valsusini, come noto, vivono la militarizzazione del territorio e la valanga di processi e misure cautelari come una vessazione e da tempo hanno deciso di non subirla passivamente. Di conseguenza Nicoletta rifiuta, e lo dichiara pubblicamente, di collaborare all’esecuzione della misura («Che sia chiaro, io non accetterò di andare tutti i giorni a chiedere scusa ai carabinieri, non accetterò che la mia casa diventi la mia prigione. Io a firmare non ci vado e nemmeno starò chiusa in casa ad aspettare che vengano a controllare se ci sono o non ci sono!»). Dopo qualche settimana, in considerazione «della personalità dell’imputata estremamente negativa, intollerante delle regole e totalmente priva del minimo spirito collaborativo», la misura cautelare viene trasformata in obbligo di dimora, aprendo la strada a ulteriori possibili aggravamenti fino alla custodia in carcere. Il copione è scolastico (e destinato a estendersi ad altri esponenti No Tav). Tutti dicono che Nicoletta può manifestare liberamente la sua opposizione alla grande opera ma, poi, le modalità per quanto la riguarda pacifiche di tale protesta vengono parificate ad azioni violente. Nessuno penserebbe di applicarle in prima battuta la custodia in carcere (non foss’altro per la scarsa rilevanza della condotta e per l’età) ma a tale esito si può arrivare per la sua mancata “collaborazione”: secondo lo schema del diritto penale del nemico quel che rileva non sono le esigenze cautelari ma la mancata collaborazione dell’imputata, la sua alterità al sistema.

Così si compie lo snaturamento delle misure cautelari non detentive. Introdotte per limitare la custodia carceraria ai casi di assoluta necessità, esse vengono applicate a imputati che, in loro assenza, sarebbero non in carcere ma in libertà e si convertono così da alternativa al carcere in sua anticamera.

Parallelamente, in particolare con l’applicazione di obblighi tanto gravosi quanto immotivati, si realizza, in sintonia con le prassi dei regimi autoritari, la trasformazione dei provvedimenti cautelari in misure di sicurezza, la cui unica finalità è la neutralizzazione del “nemico”: a sorreggerle non c’è alcuna esigenza cautelare in senso proprio (mancando ogni pericolo di fuga o di inquinamento delle prove) ma solo la previsione che gli indagati possano commettere (non delitti di particolare allarme sociale ma) ulteriori reati della stessa specie, cioè partecipare ad altre manifestazione di protesta.

La posta in gioco, anche in termini generali, è elevata e ben chiara ai valsusini, che hanno lanciato la campagna «mettiamoci la faccia» facendosi fotografare a centinaia con il manifesto: «Io sto con chi resiste violando le imposizioni ingiuste del tribunale di Torino».

Quando un segno di vita della cultura garantista e dei magistrati democratici?

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© 2016 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

Consigli inutili

http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/consigli-inutili/

di Marco Travaglio | 26 agosto 2016

Avvertenza per i lettori: questo articolo è quasi certamente inutile, come tutti quelli che abbiamo scritto (non solo noi) dopo i terremoti in Emilia, in Abruzzo, in Umbria ecc.. Però, non avendo altra arma che la penna, lo scriviamo anche questa volta. Nella segreta speranza che un domani, chissà, una classe dirigente finalmente degna di questo nome ne ritrovi qualche brandello in fondo a un cassetto, o in una bottiglia alla deriva nel mare.

I terremoti non si possono prevedere con esattezza, ma prevenire con oculatezza sì. I terremoti non si possono evitare, ma molte delle loro conseguenze sì. I terremoti non sono eventi inaspettati: non si sa di preciso quando arriveranno, ma si sa che prima o poi arriveranno e anche dov’è più probabile che arrivino (anche se il territorio italiano è quasi tutto a rischio). I terremoti sono tragiche fatalità, ma i morti quasi mai. Tant’è che in Giappone o in California – due delle aree a maggiore rischio sismico del mondo – la scossa di magnitudo 6 che l’altroieri ha polverizzato interi paesi uccidendo centinaia di persone e lasciandone all’addiaccio migliaia avrebbe provocato danni e vittime infinitamente più limitati. Così come a Norcia, ricostruita e messa a norma dopo i terremoti del ’79 e del ’97: è a due passi dall’epicentro dell’altra notte, ma non piange morti.

Il premier Matteo Renzi ha fatto bene quel poco che poteva fare: ha usato parole misurate e non retoriche, ha evitato le passerelle di ministri a favore di telecamera, ha annunciato una ricostruzione rapida ed efficiente. Il Giornale ha titolato “Forza italiani. Forza Renzi”, ripetendo un’assurdità che già sosteneva a suo tempo B. quando comandava lui: e cioè che l’opposizione avrebbe dovuto sparire in nome dell’unità nazionale, avallando a prescindere qualunque scelta del governo. Ora, l’unità nazionale è già garantita dai volontari che si precipitano a dare una mano ai soccorritori e dai cittadini che mettono mano al portafogli per aiutare le popolazioni colpite. Ma le forze politiche possono assicurarla facendo bene il loro mestiere: chi governa trovi i soldi per fare il necessario, le opposizioni controllino che questo avvenga evitando di mettersi di traverso per sabotare le misure giuste, ma contrastando quelle che dovessero rivelarsi sbagliate. Le cose da fare non sono un mistero: sono note dalla notte dei tempi. Manca soltanto una classe dirigente all’altezza che non pensi alle elezioni di domani, ma alle generazioni del futuro.

1. I soldi. La prima è trovare i fondi per la prevenzione. Il miliardo in 10 anni stanziato dalla legge post-L’Aquila e i 44 milioni previsti per il 2016 sono uno scandalo. È vero che il Patto di stabilità europeo è troppo rigido e disegnato su misura dei paesi europei al riparo dal pericolo sismico, dunque a danno di:  quelli più pericolanti, come Italia e Grecia (le agevolazioni fiscali concesse ai comuni terremotati vengono regolarmente bocciate dalla Commissione Ue come “aiuti di Stato” indebiti). Ma prima di buttare la palla in tribuna a Bruxelles, è il caso di fare tutto il possibile in casa nostra. Anzitutto, basta una volta per tutte con le grandi opere e i grandi eventi inutili. Niente Ponte sullo Stretto (che fra l’altro sorgerebbe su una faglia super-sismica), Tav Torino-Lione, Orte-Mestre, Terzo Valico, niente Olimpiadi 2024 e così via. Le decine di miliardi risparmiati saranno preziosi per mettere in sicurezza territorio ed edifici, a partire da quelli pubblici. Se le case private sono mal costruite è già grave, ma se scuole, asili, ospizi e ospedali crollano in testa ai cittadini è doppiamente inaccettabile. I costruttori criminali ci saranno sempre, ma lo Stato non può fare il serial killer.

2. Tante piccole opere. Per rendere sicuri gli edifici pubblici, occorrono almeno 100 miliardi. Finora questa cifra è stata usata per seminare sfiducia e rassegnazione: siccome tutti insieme non li troveremo mai, inutile cominciare a cercarli. Ma, come disse nel ’96 l’allora sottosegretario alla Protezione civile Franco Barberi, basterebbe “un flusso costante di 2-3 mila miliardi all’anno” per mettere al riparo i 24 milioni di italiani delle zone a più alto rischio. Facciamo 4 miliardi di euro l’anno: tanti quanti prima B., poi Letta, infine Renzi hanno gettato dalla finestra abolendo la tassa sulla prima casa. Che va ripristinata subito (esentando solo i meno abbienti) e destinata a rendere antisismiche le nostre città. Con l’aggiunta dei risparmi dalle grandi opere inutili, in 10 anni ce la si può fare. Ma bisogna partire subito, finanziando adeguatamente l’ecobonus: ora limitato alle singole abitazioni, va esteso a edifici interi, blocchi urbani omogenei, strutture pubbliche e imprese da adeguare (le case fuori norma sono il 70%). Diversamente dalla ricostruzione, la prevenzione è un affare (per ogni euro speso prima, se ne risparmiano 4 o 5 dopo). Un grande Piano per la sicurezza urbana e la conservazione del patrimonio culturale, con contributi pubblici e privati e appalti controllati dall’Anac, rilancerebbe non solo l’edilizia, ma anche la crescita del Pil e soprattutto dei posti di lavoro: ne creano molti di più tante piccole opere che poche cattedrali nel deserto. Se poi il governo volesse revocare i tagli ai fondi dei Vigili del Fuoco, depredati negli ultimi dieci anni di risorse preziose per il turn over e l’addestramento, farebbe cosa utile.

3. Scuola di prevenzione. Siccome, nei terremoti come nelle alluvioni e nelle frane, un morto su due è dovuto a reazioni e comportamenti sbagliati durante l’evento, la prevenzione va insegnata nelle scuole, con esercitazioni periodiche aperte anche alle famiglie. In Giappone questa è la normalità: ciascuno sa cosa fare in caso di catastrofe. In Italia c’è chi muore perché non si mette al riparo di un muro portante, di uno stipite, di una scrivania, ma corre per le scale o scende in strada sotto la casa che crolla, o magari quando l’acqua sale si rifugia in cantina anziché sul tetto.

4. Repressione. Le ricostruzioni sono sempre state, a eccezione del Friuli, dei clamorosi fallimenti, infatti continuiamo a pagarle tutte, compresa quella del Belice (dal 1968!). In tutto sono costate 160 miliardi, di cui 70 solo per il dopo-terremoto in Campania. Spese folli, soldi a comuni mai sfiorati da scosse, clientele, ruberie, mafierie e tangenti. La malaimprenditoria che prima costruisce sulla e con la sabbia, per poi ricostruire (spesso sulla e con la sabbia) va colpita non solo con gare d’appalto regolari, trasparenti e controllate, ma anche con una repressione implacabile. Così come la malapolitica sua complice. Perciò c’entra molto col terremoto anche la riforma della prescrizione, bloccata da due anni in Parlamento: quanti costruttori ladri sarebbero tagliati fuori dalle gare se non l’avessero fatta franca tirando in lungo i tempi dei loro processi? La prescrizione deve fermarsi al momento del rinvio a giudizio, o al massimo della condanna in primo grado. E i reati contro l’ambiente, puniti per finta con ridicole ammende, devono diventare gravi come quelli contro la persona, viste le stragi che provocano. Altrimenti, fra qualche mese, ascolteremo nella solita intercettazione il solito ladrone che sghignazza sul terremoto pregustando il solito appalto truccato. E non potremo farci niente.

Ecco: se il governo è pronto a varare questo pacchetto di riforme, finalmente utili ai cittadini e non ai soliti noti, l’unità nazionale avrà un senso anche in politica. E opporsi sarà non solo sbagliato, ma criminale. Se invece arriveranno i soliti annunci seguiti dai soliti bruscolini, opporsi sarà giusto e doveroso.
Ps. Qualcuno ci chiede se le Feste del Fatto Quotidiano, a Roma il 27-28 agosto e alla Versiliana il 2-4 settembre, si terranno ugualmente. La risposta è: sì, e a maggior ragione. Saranno l’occasione per riflettere su questi e altri temi cruciali, e anche per raccogliere fondi tra i lettori e gli amici nella sottoscrizione che oggi lanciamo per ricostruire a regola d’arte la scuola di Amatrice. Alla quale devolveremo il ricavato delle due manifestazioni. Vi aspettiamo

Torino-Lione: l’Italia è sconfitta nel confronto geopolitico con la Francia e per questo ha “deciso” di finanziare la Francia per 2,661 miliardi di €

il manifesto ha pubblicato il 21 agosto 2016 un articolo dal titolo: L’enigma insoluto della Torino-Lione – Grandi opere. La linea immaginata è elefantiaca rispetto alle effettive necessità di trasporto delle merci. E l’Italia, che paga un pezzo di tunnel alla Francia pur di completarlo, ora parla di «rivisitare» il progetto – di Maurizio Pagliassotti e Marco Vittone.

Si tratta di una narrazione, per i lettori meno aggiornati de il manifesto, di alcuni recenti e meno recenti avvenimenti della lunga storia No TAV.

Alcuni passaggi di questo articolo riprodotto al fondo di questa e-mail – sono evidenziati e commentati.

Rileviamo subito che i due giornalisti hanno colto e riportato – seppure senza dettagli – che l’Italia paga un pezzo di tunnel alla Francia.

L’Italia è sconfitta nel confronto geopolitico con la Francia e per questo ha “deciso” di finanziare il costo della parte francese della Torino-Lione per 2,661 miliardi di €, un importo pari al 76% dell’investimento a carico della Francia di 3,52 miliardi di €.

PresidioEuropa No TAV www.PresidioEuropa.net conosce il progetto Torino-Lione nei dettagli da molti punti di vista, spesso sconosciuti ai media.

Per quanto riguarda i costi del progetto, e la subalternità geopolitica dell’Italia alla Francia, vorremmo attirare l’attenzione su queste valutazioni:

1 – riteniamo che sia più opportuno parlare del costo della galleria di base Torino-Lione, lasciando da parte il costo complessivo del progetto ferroviario da Torino a Lione stimato della Corte dei conti francese in 26 miliardi di € (che prevede linee di accesso alla galleria di base che forse potrebbero essere realizzate nel XXII secolo),

2 – il costo di 8,6 miliardi di € è l’importo a valori 2012 citato (come importo massimo) nella certificazione dei costi svelata a marzo 2016 a Venezia,

3 – è tuttavia più realistico riferire il costo del tunnel di base Torino-Lione non a quello ipotetico della certificazione ma all’investimento che la Svizzera ha fatto per realizzare il tunnel di base del Gottardo, lungo esattamente 57 km come quello della Torino-Lione, inaugurato a giugno 2016, che è stato di 11,3 miliardi di €: di conseguenza quello italo-francese non potrà essere inferiore, ma solo superiore,

4 – la Commissione europea ha già deciso il finanziamento del 40% (dei costi certificati) dell’opera (per i lavori che saranno eseguiti entro il 2020) ai sensi del Regolamento UE CEF, ma la Commissione ha finora rifiutato di rendere pubblico il Dossier del finanziamento (Grant Agreement) accordato a dicembre 2015 a Italia e Francia,

5 – l’iniqua ripartizione tra la Francia e l’Italia dei costi certificati stabilita nell’Accordo del 2012 (Art. 18: la Francia paga il 42,1% per 45 km, l’Italia paga il 57,9% per 12,2 km) dà come risultato sul costo certificato di 8,6 miliardi di €:
Italia: 2,99 miliardi di € (costo al km per 12,2 km: 245 milioni di €),
– Francia: 2,17miliardi di € (costo al km per 45 km: 48 milioni di €),
– Unione Europea 3,44 miliardi di € (cofinanziamento al km per 57,2 km: 60 milioni di €).

6 – sempre sulla base dell’iniqua ripartizione di cui sopra, ma con riferimento al costo realistico di 11,3 miliardi di €, e tenendo conto che l’Art. 18 dell’Accordo del 30/1/2012 stabilisce che i costi supplementari a quello certificato sono sostenuti in parti eguali (50%) solo da Italia e da Francia, senza il contributo europeo, il risultato è il seguente:
Italia: 4,34 miliardi di € (costo al km per 12,2 km: 356 milioni di €),
– Francia: 3,52 miliardi di € (costo al km per 45 km: 78 milioni di €),
– Unione Europea 3,44 miliardi di € (cofinanziamento al km per 57,2 km: 60 milioni di €).

7 – la corretta divisione del costo realistico di 11,3 miliardi sulla base dei km della galleria di base in Italia (12,2 km) e in Francia (45 km) (ai sensi dell’Art. 11 dell’Accordo 30/1/2012) , dà questo risultato:
Italia: 1,68 miliardi di € (costo al km per 12,2 km: 137 milioni di €), con una diminuzione di 2,661 miliardi di € rispetto al punto 7),
Francia: 6,18 miliardi di € (costo al km per 45 km: 137 milioni di €), con un incremento di 2,661 miliardi rispetto ai 3,52 miliardi di € indicati al punto 7),
– Unione Europea 3,44 miliardi di € (cofinanziamento al km per 57,2 km: 60 milioni di €).

E’ essenziale constatare quanto pagherebbero l’Italia e la Francia per ogni chilometro nei tre diversi scenari (cfr. punti 5-6-7).

Ma è anche utile sapere che l’Unione europea cofinanzia con 60 milioni di € ogni chilometro della galleria di base.

Le conclusioni alle quali siamo arrivati è che l’Italia è sconfitta nel confronto geopolitico con la Francia e per questo ha “deciso” di finanziare il costo della parte francese della Torino-Lione per 2,661 miliardi di €, un importo pari al 76% dell’investimento a carico della Francia di 3,52 miliardi di €. (cfr. punto 6)

Ma i media non ne parlano e il Governo Renzi e il suo Ministro Delrio fanno finta di non saperlo. Ma fino a quando ?

Gli oppositori in Italia e in Francia hanno da sempre dimostrato che la Torino-Lione (il tunnel di base) è una Grande Opera Inutile e Imposta e chiesto che sia fermata.

Denunciare l’esproprio della sovranità italiana da parte della Francia ottenuta attraverso l’addebito a carico dei contribuenti italiani della gran parte dei costi per la  realizzazione del tunnel di base permetterebbe:

– di impedire l’espropriazione delle risorse economiche dell’Italia da parte della Francia con la complicità di molti Governi italiani,

– di mettere in ulteriore difficoltà la Francia che non dispone delle risorse pubbliche per la costruzione dei 45 km della parte transfrontaliera in territorio francese come dichiarato da Manuell Valls,

– di attrarre alla causa degli oppositori alla Torino-Lione il sostegno di molti cittadini “timidi”,

– di contribuire a fermare il progetto.

Tutta la storia in questi post http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=9551http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=9476http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=9767
PresidioEuropa No TAV

www.PresidioEuropa.net

L’articolo da il manifesto http://ilmanifesto.info/lenigma-insoluto-della-torino-lione/

L’enigma insoluto della Torino-Lione, Grandi opere. La linea immaginata è elefantiaca rispetto alle effettive necessità di trasporto delle merci. E l’Italia, che paga un pezzo di tunnel alla Francia pur di completarlo, ora parla di «rivisitare» il progetto Maurizio Pagliassotti e Marco Vittone

Sono passati cinque anni da quando un pezzo di territorio italiano è divenuto off limits ai cittadini della Repubblica. Qui, si parla di una strettale laterale della val Susa, la val Clarea: (in realtà il cantiere TAV è in Valle Susa, comune di Chiomonte) un territorio impervio scelto molti anni fa quale sede del cosiddetto cunicolo geognostico di Chiomonte.

La decisione di piazzare un semplice tunnel esplorativo in una sede naturale molto difficile da raggiungere fu il primo passo di una politica secondo cui la linea ad alta velocità Torino – Lione doveva essere programmata dal Ministero degli Interni. (qui non sarebbe stato male citare Venaus 2005 …)

La comunità valsusina non ha appoggiato (???) il passaggio di campo del suo ex capo popolo Antonio Ferrentino: nessuno ha seguito la conversione dell’attuale consigliere regionale del Partito Democratico, avvenuta in virtù di un “cambio di tracciato”, spostato dalla riva destra a quella sinistra del fiume Dora (qui c’è un po’ di confusione tra destra e sinistra…) . Perché non è rimasta intimidita dalla repressione operata dalla procura di Torino, e rimane un ostacolo insormontabile con cui non è possibile una forzatura.

Da qui la decisione di spostare i cantieri in zone impervie, aumentare l’inquisizione, offrire prebende: il tutto nella speranza che, prima o poi, il fuoco della contestazione si spegnesse. Delle tre scelte la prima è sempre salda, la seconda sta sparando le ultime disperate cartucce con la restrizione di misure cautelari  (???) verso i settantenni e la terza è rimasta lettera morta: le famose compensazioni non sono che chimere.

Come ben evidenziato dall’unico comune della valle che ha accettato il cantiere, Chiomonte, la cui amministrazione comunale nel 2015 dichiarava: «Il paese è in declino anche per colpa del cantiere. Ora le compensazioni».

Il lavoro quindi principale (???) di questi tempi rimane capire dove ubicare i cantieri affinché non siano raggiungibili dai contestatori.

Di questi giorni è la novità secondo cui Telt (la società pubblica italo-francese che sta progettando (???) l’opera) avrebbe deciso di costruire un secondo cunicolo da affiancare all’attuale tunnel geognostico finalizzato a valutare se lo scavo della galleria di base è tecnicamente fattibile. Una volta giunti nel ventre della montagna si formerebbe una sorta di “T” e la talpa procederebbe verso l’Italia.

Sbucati a Susa dopo anni di scavo, i proponenti farebbero una specie di “cucù” al movimento. La situazione sarebbe questa: in Italia sarebbero stati scavati appena 12 chilometri di una delle due canne del tunnel; in Francia non si sa, probabilmente zero. (in realtà i francesi, imbrogliando tutti, stanno già costruendo un tratto della galleria di base – canna sud – considerandolo ai fini del contributo UE “geognostico”, tentando così di ottenere i fondi UE. Manuel Valls ha inaugurato il cantiere  e la TBM il 21 luglio 2016 a Saint-Martin-la-Porte)

Da qui al quel lontano giorno molti passaggi dovranno essere superati. In primis quello relativo ai costi, grande enigma che da sempre circonda la Torino – Lione. (In realtà il problema principale pare essere la capacità della Francia di finanziare la sua esigua parte)

Le pasticciate affermazioni del ministro delle Infrastrutture Graziano del Rio di una «rivisitazione del progetto per contenere i costi» segnano un arretramento ideologico che indica la scarsa propensione di questo governo a seguire l’opera, ma non ne intaccano il cuore: il tunnel di base. Cinquantasette chilometri nel cuore della montagna che collegherebbero Sain Jean de Maurinne a Bussoleno.

Dato il disinteresse francese all’opera, conclamato nel 2013 con la decisione della Commissione Governativa Mobilitè 21, che rinvia le decisioni sulla realizzazione della loro tratta nazionale a dopo il 2030, (il rapporto Mobilité 21 a pag. 57 dice 2035-2040) il governo Berlusconi dovette ratificare la scelta italiana di accollarsi il grosso dei costi, fatta al momento della firma dell’Accordo IT-FR del 2001 (ma nell’Accordo di Torino del 29/1/2001 non è indicata la ripartizione dei costi, è solo nel Memorandum di intesa tra l’Italia e la Francia per la parte economica della nuova linea Torino-Lione – maggio 2004 che se ne parla per la prima volta: 67% Italia, 33% Francia) dall’allora ministro Bersani. Questo nonostante il fatto che il tratto transfrontaliero si sviluppi per dodici chilometri in territorio italiano e per ben quarantacinque in quello francese.

Nel gennaio del 2012 il costo della sezione internazionale fu fissato (stimato)  a 8,6 miliardi di euro, ovvero meno di un terzo del costo complessivo della Torino – Lione, pari a 26 miliardi di euro. Tale preventivo è stato approvata nel Protocollo Addizionale firmato a Venezia l’8 marzo 2016. Protocole additionnel Venise 8 Mars 2016 VFR 20160308 (nella certificazione dei costi è indicato un costo minimo di 8,3 e uno  massimo di 8,6 miliardi)

Secondo un’analisi prodotta da RFI e riportata dal Sole 24 ore del 24 ottobre 2014, sommando gli oneri addizionali agli 8,6 miliardi si giungerebbe alla cifra di 12 miliardi di euro. (Il vero costo della galleria di base della Torino-Lione non lo si conoscerà che alla fine dei lavori, è meglio citare il costo della galleria svizzera ormai inaugurata del Gottardo dato che è lunga 57 km, come quella italo-francese)

Nel caso in cui la UE finanziasse l’opera per il 40%, onere massimo, (in realtà è una % prevista dal Regolamento CEF 2013 della UE, ma la Commissione ha finora rifiutato di rendere pubblico il Dossier del finanziamento accordato a dicembre 2015 a Italia e Francia)  in base agli accordi previsti l’Italia spenderebbe 4,1 miliardi di euro e la Francia poco più di tre. L’Italia, pur di fare l’opera, paga un pezzo di tunnel alla Francia. (non è chiara l’origine degli importi qui indicati, ma è da sottolineare l’affermazione del giornalista che conferma che l’Italia “paga” la Francia).

Che l’economia del paese necessiti di politiche keynesiane è fuor di dubbio. Ma Keynes quando parlava di buchi da scavare per il semplice fine di spendere soldi pubblici faceva un’allegoria, non è da interpretare alla lettera. Anche perché si dovrebbe discutere del sistema bancario in corso e della sovranità del debito pubblico di un paese, mettendo in evidenza che oggi traballa lo stesso concetto di “spesa pubblica”.

La rivisitazione progettuale annunciata dal ministro Graziano Delrio (ma non c’è stata nessuna rivisitazione progettuale, questo è solo quello che i media hanno immaginato) e l’assenza di una progettazione adeguata francese (è una frase imprecisa: i francesi hanno rinviato la progettazione delle vie di accesso al tunnel a dopo il 2035) i francesi sul proprio territorio rendono il tunnel di base, il piatto forte economico dell’intera vicenda Tav, elefantiaco rispetto alle necessità trasportistiche. Prova ne è che l’attuale linea del Fréjus risulta ben lontana dall’essere satura, anche perché recentemente ammodernata e quindi in grado di trasportare ogni tipo di sagoma, anche le più voluminose.

La cancellazione della tratta torinese di corso Marche, un tragitto che avrebbe sconvolto la città per venti anni, rende enigmatico il percorso delle merci oltre la stazione di interscambio di Orbassano. L’attuale passante ferroviario cittadino non può ospitare determinati carichi pericolosi e quindi le merci dovrebbero puntare verso sud, in direzione Alessandria.

Ma questa linea risulta tecnicamente antiquata e non in grado di reggere il flusso, sempre che vi sia, del nuovo tunnel di base. La Torino – Lione dovrebbe quindi battersi direttamente con la fisica, secondo cui la portata massima di una sezione è quella del suo punto più stretto. Per quanto sia la “strategica” per eccellenza ne uscirebbe in ogni caso sconfitta. L’utilità della Torino – Lione rimane un enigma avvolto da un mistero.

LE BILAN DU COUP DE POKER DIPLOMATICO-MILITAIRE D’ERDOGAN : ANKARA GAGNANT – USA ET OTAN ALIGNES – MOSCOU ET DAMAS FURIEUX ET PREOCCUPES …

EODE/ 2016 08 24/ GEOPOLITIQUE/

* En complément de l’analyse de Luc MICHEL :

GEOPOLITIQUE/ QUEL SOI-DISANT ‘RAPPROCHEMENT TURCO-RUSSE’ ?

ERDOGAN REUSSIT SON COUP DE POKER OPPORTUNISTE !

https://www.facebook.com/Pcn.luc.Michel/photos/a.322051284595963.1073741828.321184994682592/864731456994607/?type=3

 EODE TT - LM erdogan poker (2016 08 24) FR (3)

ET DIRE QUE LES « GÉOPOLITOLOGUES DE L’ÉMOTION » NOUS VANTAIENT LE « RAPPROCHEMENT ENTRE MOSCOU ET ANKARA » !?

En Syrie, les « rebelles » (des djihadstes pro-occidentaux) soutenus par Ankara annoncent « la prise totale de Jarablos à l’EI ». Et revoilà le soi-disant « Armée Syrienne Libre » remise en selle !

ET DIRE QUE LES MÊMES « GÉOPOLITOLOGUES DE L’ÉMOTION » NOUS EXPLIQUAIENT DOCTEMENT QUE ANKARA « TOURNAIT LE DOS » À SES ALLIÉS OCCIDENTAUX DE L’OTAN !???

L’Allemagne et les Etats-Unis ont eux apporté ce mercredi leur soutien à l’offensive militaire de la Turquie lancée en Syrie contre le groupe djihadiste Etat islamique mais aussi contre les milices kurdes à la frontière entre les deux pays. Après avoir souligné que la dimension anti-EI de l’opération turque était “à l’unisson des objectifs et intentions de la coalition anti-EI”, le porte-parole de la diplomatie allemande a dit “respecter” la décision d’Ankara de porter le combat contre les groupes Kurdes en Syrie, pourtant alliés des Occidentaux dans le conflit syrien.

« Face au mouvement Etat islamique, la Turquie a jusqu’à présent joué un jeu trouble » dis aujourd’hui la DEUTSCHE WELLE. Critiqué par ses alliés occidentaux pour son manque d’allant dans la lutte contre le terrorisme islamiste, le président islamo-conservateur avait formulé deux exigences pour s’impliquer davantage: que le renversement du président syrien Bachar Al-Assad soit parmi les objectifs de la coalition, au même titre que la lutte contre l’EI ».  Ecoutons Michael Lüders, spécialiste du Moyen-orient : « Pendant longtemps, cette organisation terroriste a été indirectement soutenue par les responsables de sécurité turcs. Le pouvoir turc avait l’intention d’utiliser l’Etat islamique pour combattre les Kurdes dans le nord de la Syrie, qui sont étroitement liés aux Kurdes turcs, ceux du PKK. Et cette stratégie n’a pas fonctionné. »

Comme l’expliquait Luc MICHEL dès ce samedi sur AFRIQUE MEDIA TV, le dossier de la Syrie, où le soutien à Assad est une ligne rouge pour Moscou, empêche durablement tout rapprochement entre Ankara et Moscou :

* Voir PCN-TV/ CHRONIQUES GEOPOLITIQUES II (3)/

LUC MICHEL: POURQUOI IL N’Y A PAS DE RAPPROCHEMENT DURABLE ENTRE MOSCOU ET ANKARA !

https://vimeo.com/179789508

ET VOILÀ LE LÂCHAGE DES KURDES PAR LEURS SOUTIEN OCCIDENTAUX !

“La Turquie, à tort ou a raison, considère qu’il y a des liens entre, du côté turc, le PKK (Parti des travailleurs du Kurdistan), que nous considérons aussi comme une organisation terroriste, et au moins une partie des Kurdes du côté syrien. Nous respectons cela, et nous considérons que c’est le droit légitime de la Turquie d’agir contre ces activités terroristes. Nous soutenons la Turquie sur ce point”, a dit le porte-parole, Martin Schäfer, lors d’une conférence de presse régulière.

ET VOICI ERDOGAN QUI RÉVÈLE LE VÉRITABLE ENJEU DE SON COUP DE POKER DIPLOMATICO-MILITAIRE …

L’armée turque, soutenue par les forces de la coalition internationale antidjihadiste, a lancé une opération mercredi avant l’aube en Syrie avec des avions de combat et ses forces spéciales pour chasser le groupe Etat islamique de Jarablos, ville frontalière de la Turquie. Mais le président Recep Tayyip Erdogan a aussi annoncé que l’offensive visait le PYD (Parti de l’Union démocratique, kurde) alors même que les Etats-Unis soutenaient jusqu’à ce matin, au grand dam d’Ankara, les Kurdes, qui ont fait reculer les jihadistes sur le terrain en Syrie. Mais Erdogan vient de forcer la main à ses alliés occidentaux !

“Depuis 04H00 (01H00 GMT, 03H00 en Belgique), notre armée a lancé une opération contre les groupes terroristes Daech (acronyme arabe de l’EI) et le PYD (Parti de l’Union démocratique – kurde) qui menacent notre pays dans le nord de la Syrie”, a déclaré Erdogan. “La Turquie ne tolérera aucun fait accompli en Syrie”, a encore dit le chef de l’Etat dans un discours à Ankara. Seuls les combattants de l’EI sont présents à Jarablos, mais Ankara craint de voir les combattants kurdes arriver jusqu’à la localité proche de sa frontière.

DAMAS EN FUREUR CONDAMNE L’INTERVENTION TURQUE EN SYRIE …

L’intervention militaire de la Turquie en Syrie est une “violation flagrante” de la souveraineté du pays, a dénoncé mercredi le ministère syrien des Affaires étrangères.

Damas “condamne le franchissement de la frontière turco-syrienne par des chars et des blindés turcs en direction de la ville de Jarablos avec une couverture aérienne de la coalition menée par Washington, et considère qu’il s’agit d’une violation flagrante de sa souveraineté”, a réagi le ministère dans un communiqué.

“La Syrie réclame la fin de cette agression”, a-t-il ajouté.

… ET LA RUSSIE “PROFONDÉMENT PRÉOCCUPÉE” …

La Russie s’est dite “profondément préoccupée” mercredi par l’importante opération lancée dans la nuit par l’armée turque en Syrie, s’inquiétant d’une possible aggravation des tensions entre Ankara et les milices kurdes. “Moscou est profondément préoccupée par ce qu’il se passe à la frontière turco-syrienne. La possibilité d’une dégradation supplémentaire de la situation dans la zone du conflit est inquiétante”, a déclaré le ministère russe des Affaires étrangères dans un communiqué.

Moscou a oublié que la politique d’Erdogan est néo-ottomane, envers et contre tout. Et donc levantine, dans le pire sens que le terme a pris en français …

KH / EODE / GEOPOLITIQUE

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QUEL SOI-DISANT ‘RAPPROCHEMENT TURCO-RUSSE’ ? ERDOGAN REUSSIT SON COUP DE POKER OPPORTUNISTE !

Luc MICHEL pour EODE Think Tank/

GEOPOLITIQUE/ 2016 08 24/

TURQUIE – SYRIE – NORD-KURDISTAN:

LA TURQUIE A OBTENU CE QUE VOULAIT ERDOGAN, L’ACCORD DES USA ET DE L’OTAN POUR ECRASER LES KURDES DU PYD …

EODE TT - LM erdogan poker (2016 08 24) FR (2)

Lorsque je parle de « gesticulations diplomatiques opportunistes » à propos des critiques d’Erdogan contre les USA et du soi-disant « rapprochement avec la Russie » avancée par les « géopolitologues de l’émotion immédiate » (Qui est tout sauf de la géopolitique), je défend une double thèse :

* Thèse 1. L’orientation géopolitique de la Turquie d’Erdogan, qui se veut néo-ottomane, reste et restera atlantiste, car ce projet néo-ottoman ne peut se faire au Proche-Orient et en Asie centrale que contre le projet eurasiste russe (là situation était géopolitiquement similaire à la fin de la première guerre mondiale, où Turcs pantouranistes d’Enver Pacha (1) et bolchéviques s’opposèrent au nom de deux visions géopolitiques antagonistes (2) ;

* Thèse 2. La diplomatie d’Erdogan (car c’est bien d’un pouvoir personnel qu’il s’agit) n’est ni atlantiste ni eurasiste (sic), elle est foncièrement opportuniste.

Le but de ces gesticulations était évident et Erdogan vient de l’obtenir en quelques semaines :

la Turquie vient en effet d’obtenir ce que voulait le chef de l’AKP, l’accord des USA et de l’OTAN pour écraser les kurdes du PYD sur la frontière nord de la Syrie … « Des chars turcs sont entrés en Syrie pour combattre l’EI et les milices kurdes », nous informe ce matin l’AFP !

OFFENSIVE TURQUE DANS LE NORD-SYRIEN AVEC LA BENEDICTION DE WASHINGTON QUI LACHE SES ALLIES KURDES

EODE TT - LM erdogan poker (2016 08 24) FR (3)

« L’intervention militaire de la Turquie en Syrie est une violation flagrante de la souveraineté du pays », a dénoncé mercredi le ministère syrien des Affaires étrangères, quelques heures après le début d’une opération turque à la frontière.

L’armée turque, soutenue par les forces de la coalition internationale antidjihadiste (USA, OTAN, monarchies arabes : où est le « ralliement turc à la russie » des mauvais analystes ?), a lancé une opération mercredi avant l’aube en Syrie avec des avions de combat et ses forces spéciales pour chasser le groupe Etat islamique (EI) de Jarablos, frontalière de la Turquie. Baptisée “Bouclier de l’Euphrate”, l’opération a pour but de « mettre un terme aux problèmes à la frontière turque » et vise non seulement l’EI mais aussi les milices kurdes, a affirmé le président turc Recep Tayyip Erdogan.

L’Armée turque est appuyée par des « rebelles syriens » (sans aucun doute les alliés de la Coalition liés à al-Qaida en Syrie, comme « l’Armée de la reconquête », wahabite, ex Jabat al-Nosra) ! On comprend la colère de Damas et surtout on voit ce que vaut la thèse infondée du « ralliement de la Turquie à la Russie » (resic). En fin de matinée, Ces « rebelles syriens », djihadistes pro-occidentaux, lancés contre les djihadistes de Daech et les laïques kurdes du PYD,  et soutenus par Ankara, « sont entrés à 3 km à l’intérieur du territoire syrien », a annoncé l’agence turque Anadolu.

« Une dizaine de chars turcs sont aussi entrés en Syrie et tiraient en direction de positions tenues par l’EI dans la localité syrienne de Jarablos », a constaté un photographe de l’AFP à Karkamis, petite ville turque de l’autre côté de la frontière évacuée la veille. « Depuis 04H00 (01H00 GMT, 03H00 en Belgique), notre armée a lancé une opération contre les groupes terroristes Daech (acronyme arabe de l’EI) et le PYD (Parti de l’Union démocratique – kurde) qui menacent notre pays dans le nord de la Syrie », a déclaré M. Erdogan. « La Turquie ne tolérera aucun fait accompli en Syrie », a encore dit le chef de l’Etat dans un discours à Ankara.

ERDOGAN REUSSIT SON COUP DE POKER

ET ALIGNE USA ET OTAN SUR SES BUTS GEOPOLITIQUES

La Turquie considère l’EI et le PYD comme des organisations terroristes et les combat alors que son allié américain soutenait, au grand dam d’Ankara, les Kurdes, qui ont fait reculer les djihadistes sur le terrain en Syrie. Les « gesticulations diplomatiques » et le chantage envers les USA et l’OTAN (le soi-disant « rapprochement avec la Russie ») ont été payant et Erdogan s’est à nouveau montré comme un grand joueur de poker : la Coalition menée par Washington l’offensive soutient l’offensive en Syrie du Nord. Et les kurdes découvrent à leur tour ce que valent le soutien et la parole des Etats-Unis !

On attend aussi avec amusement les commentaires de la presse russe (en particulier de la presse d’état), qui s’est fait trop vite une joie du soi-disant « rapprochement de la Turquie avec la Russie », et qui voue un véritable culte aux milices kurdes ?

« Seuls les combattants de l’EI sont présents à Jarablos, mais Ankara craint de voir les combattants kurdes arriver jusqu’à la localité proche de sa frontière », commente l’AFP. Ankara avait annoncé au cours du week-end « vouloir jouer un rôle plus actif en Syrie » (sic) et cette opération est la plus ambitieuse de la Turquie depuis le début du conflit syrien il y a cinq ans et demi. « Je pense que cette menace sera éradiquée dans un court délai », a déclaré le ministre de l’Intérieur Efkan Ala, laissant entrevoir une opération militaire rapide.

Symbole fort, cette offensive, soutenue par l’aviation de la Coalition et des USA, se déroule le jour où le vice-président américain Joe Biden est arrivé à Ankara où il doit rencontrer le Premier ministre Binali Yildirim, puis le président Erdogan pour des entretiens notamment sur la crise syrienne, à un moment où Erdogan pratique un chantage sans nuances.

Ce mercredi, « des F-16 turcs et des avions de la coalition ont largué des bombes sur des sites djihadistes à Jarablos, pour la première fois depuis la destruction en novembre 2015 par la chasse turque d’un avion de combat russe au-dessus de la frontière turco-syrienne », selon la télévision. La localité de 30.000 habitants – dont beaucoup de Turcomans, minorité turcophone de Syrie, sur laquelle Ankara entend s’appuyer pour intervenir – est le dernier point de passage contrôlé par l’EI à la frontière turco-syrienne.

Après avoir été longtemps accusée avec raison de complaisance à l’égard des combattants djihadistes, la Turquie affirme désormais qu’elle a pour objectif d’éradiquer l’EI, dont les attentats sanglants frappent désormais la Turquie. Maisla Turquie est surtout soucieuse d’empêcher l’avancée des Forces démocratiques syriennes (FDS) de Minbej vers Jarablos et ne veut pas que les Kurdes du PYD (l’armée du PKK en Syrie) se positionnent davantage à la frontière. Les FDS sont une alliance de combattants kurdes et de groupes armés arabes luttant contre l’EI. « Ankara voit avec anxiété toute tentative des Kurdes de Syrie de créer une unité territoriale autonome le long de sa frontière » précise les experts. Saleh Muslim, le coprésident du PYD, a vivement dénoncé l’opération sur son compte Twitter: « La Turquie dans le bourbier syrien, sera vaincue comme Daech ». C’est oublier la participation de Washington à l’opération turque actuelle …

« Après le départ d’Ahmet Davutoglu (ancien Premier ministre), l’architecte de la politique étrangère turque cette dernière décennie, Ankara a recalibré sa politique syrienne en empêchant l’avancée du PYD kurde », a estimé Soner Cagaptay, analyste pour la Turquie au Washington Institute. Ce qui revient pour Ankara à privilégier un objectif géopolitique fondamental et à lâcher ses objectifs idéologiques secondaires. Davutoglu a en fait servi de fusible. La situation en Syrie, comme la question de l’extradition de l’ex-imam Fethullah Gülen, exilé aux Etat-Unis, que les autorités turques désignent comme « le cerveau du putsch avorté du 15 juillet en Turquie » (sic), doivent figurer à l’ordre du jour des discussions du vice-président américain à Ankara. Celui-ci a entamé son passage éclair dans le pays par une visite du parlement bombardé par les putschistes.

MAIS CE N’EST PAS TOUT :

CETTE TURQUIE SOI-DISANT DEVENUE « EURASISTE » VEUT INTÉGRER L’UNION EUROPÉENNE D’ICI 2023 …

« Ankara ambitionne de rejoindre l’Union européenne d’ici 2023 », a en effet déclaré ce 19 août Selim Yenel, l’ambassadeur turc auprès de l’UE lors d’un entretien accordé au quotidien allemand DIE WELT. Le président de la Commission européenne, Jean-Claude Juncker, a toutefois prévenu que « le pays était loin d’être prêt ». « Cette date marquera le 100e anniversaire de la fondation de la République turque, a souligné le diplomate. Ce serait une consécration pour mon pays d’en devenir membre à ce moment-là. » « Un statut de membre à part entière est très important pour la Turquie, a-t-il ajouté. A long terme, la perspective de ne pas être admis dans l’Union est inacceptable ».

Le président de la Commission européenne, Jean-Claude Juncker, a toutefois précisé que « les négociations entre la Turquie et les États membres de l’UE devrait prendre plusieurs années » dans une interview donnée quotidien autrichien TIROLER TAGESZEITUNG jeudi dernier. Il a indiqué que « la Turquie ne devrait pas rejoindre l’UE bientôt parce que le pays ne remplit tout simplement pas les conditions. Quoi qu’il en soit, il ne faut pas arrêter les négociations », a-t-il ajouté. « Nous ne sommes pas seulement en discussion avec (le président turc Recep Tayyip) Erdogan et son gouvernement, mais nous visons une solution globale qui bénéficiera au peuple turc ». L’Autriche, en tête de la Turcophobie dans l’UE, avait appelé à « la fin des négociations avec Ankara pour rejoindre l’UE en raison de l’absence de normes démocratiques » à la suite du coup d’État raté le mois dernier. Mais « la demande a été peu soutenue lors d’une rencontre des ambassadeurs de l’UE cette semaine », ont indiqué les diplomates. La Turquie est officiellement candidate à l’Union européenne depuis 1999. Mais le dossier est ouvert depuis le début des Années 80. L’UE, qui est de facto un « club chrétien » (lire les anciens présidents français Giscard d’Estaing et Sarkozy) et singulièrement catholique, lanterne Ankara depuis des décenies.

Mais ironie de l’histoire, alors que Bruxelles a toujours rejeté la Turquie kémaliste et laïque, au destin européen assumé, elle a tissé une alliance politique étroite avec Erdogan. Précisément entre les islamo-conservateurs néo-ottoman de l’AKP (proche des Frères Musulmans) et la Démocratie-chrétienne pilier fondateur de l’UE. L’AKP est en effet membre observateur … du PPE, le « Parti populaire européen » qui unit les partis démocrates-chrétiens de l’UE (CDU-CSU, CDH et CDNV belges, etc) ! Angela Merkel vient de qualifier le lien entre l’Allemagne et la Turquie de « spécial », malgré les récentes tensions entre les deux pays. « Ce qui rend la relation germano-turque si spéciale est que plus de 3 millions de personnes d’origine turque vivent en Allemagne », a-t-elle précisé au groupe médiatique REDAKTIONSNETZWERK DEUTSCHLAND. Binationaux (l’électorat étant cadenassé par le contrôle des associations turques exercé par l’AKP en alliance avec les « Loups gris » d’extrême-droite), ils y votent et sont un enjeu de politique intérieure. La situation est la même en Belgique, singulièrement en région de Bruxelles-Capitale …

… MAIS EURASISME ET UNION EUROPEENNE SONT DEUX PROJETS EUROPEENS RIVAUX ET INCOMPATIBLES A COURT TERME !

J’ai publié en décembre 2006 la première version de mes « Thèses géopolitiques sur la ‘Seconde Europe’ unifiée par Moscou » (3). Analyse révolutionnaire qui renouvelait la vision géopolitique, mais aussi idéologique, des rapports Est-Ouest entre la Russie et ses alliés, et aussi la vision de la nature géopolitique de l’Union Européenne. Idée centrale, idée-force : L’Europe ne se limite pas à l’Union européenne ! Ni même aux états qui lui sont maintenant associés, comme la Moldavie ou la Serbie. La Russie, qui a retrouvé son indépendance avec Vladimir Poutine est aussi l’Europe ! Une SECONDE EUROPE, une AUTRE EUROPE eurasiatique se dresse désormais à Moscou face à l’Europe atlantiste de Bruxelles. Depuis il y a eu le « Discours de Valdai » de Poutine lui-même (4) …

Cette analyse se situe directement dans la perspective des thèses et des analyses développées entre 1982 et 1991 par les théoriciens de l’« Ecole de Géopolitique euro-soviétique » (Thiriart-Cuadrado Costa-Luc Michel) (5) – d’où est aussi issu après 1991 le « néo-Eurasisme russe » (6) (avec bien des déviations) – , qui prônait une unification européenne d’Est en Ouest. Une Grande-Europe de Vladivostok à Reykjavik, déjà autour de Moscou. Mes Thèses de 2006 actualisent les analyses « euro-soviétiques » après la disparition de l’URSS. Dès 1983, j’affirmais « La Russie c’est aussi l’Europe »…

Ce long détour pour faire comprendre que le projet eurasiste (ou Grande-Europe de Vladivostok à Reykjavik) et l’UE (petite-europe de Bruxelles et Berlin) sont deux visions antagonistes de l’avenir du continent eurasiatique. L’UE représentant par sa sujétion aux USA va l’OTAN la trahison même du projet européiste. Aujourd’hui en 2016, on ne peut plus être à la fois partisan de l’UE et soutenir le projet néoeurasien de Moscou. Par la voix de son ambassadeur à Bruxelles la turquie d’Erdogan a fait son choix. Et ce n’est pas celui du projet russe !

LUC MICHEL / EODE THINK TANK

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NOTES ET RENVOIS :

(1) Membre du Comité Union et Progrès (CUP), aussi appelé Mouvement Jeune-Turc. Ce mouvement, qui naît et se développe dans les écoles supérieures militaires de Constantinople, prône le retour à la constitution ottomane de 1876 abolie par le sultan Abdulhamid II et critique la politique servile de ce dernier à l’égard des occidentaux. En 1908 éclate la révolution jeune-turque à Salonique et Enver devient très rapidement un des leaders du mouvement qui parvient à renverser le sultan et installer la seconde ère constitutionnelle de l’Empire Ottoman. Très proche de l’Allemagne où il a étudié et où il retourne très régulièrement, il est l’un des artisans du rapprochement germano-ottoman et de la réforme de l’armée turque sur le modèle allemand.

Devant la défaite des jeunes-turcs aux élections de 1912 au profit de l’Union Libérale et encouragé par le discrédit du nouveau gouvernement à la suite de la crise des Balkans, Enver décide de prendre le pouvoir par la force. Il prend violemment d’assaut la Sublime Porte, le siège du gouvernement turc, et installe un triumvirat dont il fait partie à la tête de l’Empire. Il est de fait le seul maître du pays, n’accorde que très peu d’intérêt au Parlement et exécute ses opposants politique. Auréolé de ses victoires en Tripolitaine (guerre Italie-Empire ottoman) et en Bulgarie (guerres balkaniques), juste avant la première guerre mondiale, lié politiquement à une Allemagne qu’il admire (c’est l’époque des grands projets géopolitiques de l’Allemagne de Guillaume II au Proche-Orient), Enver choisit naturellement l’alliance des puissances centrales lorsque le premier conflit mondiale éclate.

A la fin de la guerre, poursuivi pour le génocide arménien, il prend la fuite en l’Allemagne puis en Asie Centrale où il essaie de faire renaître son rêve de toujours : le Panturquisme (ou Pantouranisme). En s’appuyant sur les turcophones d’Asie Centrale il tente d’établir un Turkestan indépendant en s’alliant avec l’URSS contre des rebelles locaux, puis en se retournant contre les soviétiques. Il meurt le 4 août 1922 dans une bataille contre l’Armée Rouge dans l’actuel Tadjikistan, après quelques succès militaires. En 1996 sa dépouille est rapportée à Istanbul, où elle repose depuis.

(2) Contrairemant à ce qu’avancent les eurasistes russes de droite, le Pantouranisme n’est pas une version turque de l’Eurasisme, mais un projet géopolitique opposé, celui d’un empire turc en Asie centrale et au Caucase qui empêcherait par son existence même toute unification eurasiatique. Le combat d’Enver Pacha perdu contre les bolchéviques qui entendaient restaurer de facto l’empire russe (selon la vision de Staline qui annonce déjà la « Troisième Rome nationale-bolchévique » de la fin des Années 20) s’inscrit dans l’opposition fondamentale entre les deux projets géopolitiques. Les rêveries ésotériques et mystiques orientales, dont les eurasistes russes de droite ont encombré la géopolitique néo-eurasiste, celle de Thiriart, expliquent cette incompréhension fondamentale du Pantouranisme.

(3) Cfr. Luc MICHEL, EODE THINK TANK/ GEOPOLITIQUE / THESES SUR LA « SECONDE EUROPE » UNIFIEE PAR MOSCOU

sur http://www.eode.org/eode-think-tank-geopolitique-theses-sur-la-seconde-europe-unifiee-par-moscou/

(4) Voir sur EODE-TV :

EODE-TV & AFRIQUE MEDIA/ LE GRAND JEU (3) : POUTINE A VALDAI DECRYPTE

Coproduction Luc MICHEL – EODE-TV – Afrique Media

Sur https://vimeo.com/111845727

Luc MICHEL, décrypte la façon dont le Président russe Poutine conçoit la Géopolitique mondiale vue d’Eurasie. Il nous explique aussi d’où viennent les concepts géopolitiques derrière la vision russe du Monde et ses implications. Il aborder ce dossier au travers du grand discours de géopolitique que le Président Poutine a livré au Club Valdai, à Sotchi, ce 25 octobre 2014 …

(5) Au début des Années 80, THIRIART fonde avec José QUADRADO COSTA et moi-même l’« Ecole de géopolitique euro-soviétique » où il prône une unification continentale de Vladivostok à Reykjavik sur le thème de « l’Empire euro-soviétique » et sur base de critères géopolitiques.

Théoricien de l’Europe unitaire, THIRIART a été largement étudié aux Etats-Unis, où des institutions universitaires comme le « Hoover Institute » ou l’ « Ambassador College » (Pasadena) disposent de fonds d’archives le concernant. Ce sont ses thèses antiaméricaines « retournées » que reprend largement BRZEZINSKI, définissant au bénéfice des USA ce que THIRIART concevait pour l’unité continentale eurasienne.

Sur l’Ecole de géopolitique euro-soviétique, cfr. :

* José CUADRADO COSTA, Luc MICHEL et Jean THIRIART, TEXTES EURO-SOVIETIQUES, Ed. MACHIAVEL, 2 vol. Charleroi, 1984 ;

* Version russe : Жозе КУАДРАДО КОСТА, Люк МИШЕЛЬ и Жан ТИРИАР, ЕВРО-СОВЕТСКИЕ ТЕКСТЫ, Ed. MACHIAVEL, 2 vol., Charleroi, 1984.

Ce recueil de textes fut édité en langues française, néerlandaise, espagnole, italienne, anglaise et russe.

* Et : Жан ТИРИАР, « Евро-советская империя от Владивостока до Дублина », in ЗАВТРА ЛИ ТРЕТЬЯ МИРОВАЯ ВОЙНА ? КТО УГРОЖАЕТ МИРУ ?, n° spécial en langue russe de la revue CONSCIENCE EUROPEENNE, Charleroi, n° spécial, décembre 1984.

(6) Cfr.

* PCN-TIMELINE / IDEOLOGIE / 1984 : LE PCN REINVENTE L’‘EURASISME’ MODERNE

http://www.lucmichel.net/2014/05/30/pcn-timeline-ideologie-1984-le-pcn-reinvente-leurasisme-moderne/

* Et PCN-SPO / L’EURASIE EST UNE IDEE EN MARCHE. MAIS QUI PARLAIT DE L’EURASIE ET DE L’EURASISME IL Y A 30 ANS ?

http://www.lucmichel.net/2014/05/31/pcn-spo-leurasie-est-une-idee-en-marche-mais-qui-parlait-de-leurasie-et-de-leurasisme-il-y-a-30-ans/

USA-ITALIA-ETIOPIA, YEMEN, ERITREA: I CRIMINALI, LE VITTIME, IL TARGET E RISPETTIVI CORIFEI. (E A VENTOTENE TRE FRODATORI, EREDI DI TRE FRODATORI, CON I LORO CORIFEI)

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/08/usa-italia-etiopia-yemen-eritrea-i.html

MONDOCANE

MARTEDÌ 23 AGOSTO 2016

Medaglia d’argento della maratona, medaglia d’oro dell’eroismo
Il  drammatico, coraggioso, nobilissimo gesto della medaglia d’argento etiopica della maratona di Rio ha squarciato non solo l’ipocrita e cinica immagine dello sport affratellante e pacificante, in effetti mercato mafioso e strumento di guerra fredda (vedi la montatura del doping russo). Ha squarciato il velo dietro al quale l’Occidente e l’Italia in prima persona nascondono, a vantaggio di rapine e profitti, l’orrenda dittatura e i sistematici genocidi compiuti dal regime di Addis Abeba nei confronti dei vari popoli del Corno d’Africa. Tra i quali i somali e, sottoposti ad aggressioni latenti o attive da oltre sessant’anni, gli eritrei.
L’eroico Feyisa Lilesa, con i polsi levati alti e stretti nel gesto delle manette all’arrivo della maratona, nello sbatterli sul muso dei mercanti e boccaloni olimpici e sulla coscienza del mondo e, a seguire, con le interviste e denunce, ha determinato anche il suo destino: schiacciato nella scelta tra ritorno in patria per raggiungere in carcere i suoi famigliari Oromo o, più probabile, essere ucciso, e l’esilio perenne, quanto meno fino alla caduta del terrorismo di Stato che gestisce l’Etiopia ininterrottamente dai tempi di Haile Selassiè, l’amerikano, Mengistu, il sovietico-cubano, Meles Zenawi e, ora, Haile Mariam Desalegn, di nuovo amerikani. Un terrorismo di Stato che, a vantaggio delle classi dirigenti,  Amhara prima e poi Tigrina, ha sgovernato il paese reprimendo e decimando  popoli e opposizioni interne e muovendo guerra ai vicini per conto dei mandanti Usa e Israele, di cui l’Etiopia è diventato il maggiore caposaldo coloniale nel continente.
Martiri d’Africa e chi ne succhia il sangue
Il gesto temerario e disperato di Feyisa, emulo di quello di Tommie Smith e John Carlos, con il guanto nero alto sul podio dei Giochi del 1968, per denunciare la foia razzista del potere bianco contro la comunità afroamericana (oggi rilanciata dall’alto con la carta bianca per violenze e omicidi affidata alla polizia più militarizzata e brutale del mondo), ha anche un altro bersaglio, oltre alla dittatura del fantoccio USraeliano Desalegn. Un bersaglio italiano che si chiama Salini-Impregilo. Un bersaglio accuratamente occultato, nella solita sintonia strategica dei velinari dell’imperialismo, da “Repubblica”, che riduce l’epocale gesto a questa frase “…Il polemico etiope Lilesa che passa sotto il traguardo gesticolando”, come dal “manifesto”, che ci risparmia qualsiasi analisi del carcinoma etiopico  e del contributo tossico italiano, limitandosi alla foto e alla denuncia dell’ “ondata repressiva in corso contro gli Oromo”, punto.
Il giornale del sionista De Benedetti e del senile vaticinatore di Stati ed Europe di polizia, Scalfari, fa il suo mestiere di mestatore a favore della triade Cia, Mossad, MI6. Il giorno prima aveva nascosto in una pagina, tutta impegnata a sbertucciare il monumento a Slobodan Milosevic che i serbi vogliono erigere a Prokuplje, la notiziola che il presidente jugoslavo era stato assolto, 11 anni dopo la sua uccisione nel carcere, dal Tribunale dell’Aja, con implicita ammissione che le accuse di genocidio erano infondate e che le stesse andavano rivolte contro chi aveva ucciso la Jugoslavia e poi la Serbia. Ma il suo mestiere lo fa anche “il manifesto”,  visto che deve rispondere, oltre che al governo che lo foraggia, alle più ciniche predatrici del business domestico e internazionale che lo tengono in vita – e pour cause – con la pubblicità.
I crimini della Salini
Dal 2006 la Salini Costruttori, gigante italiano del ramo che da decenni  imperversa in Etiopia devastando ambienti e provocando danni sociali ed economici apocalittici (centrale idroelettrica di Beles che ha distrutto l’area del Lago Tana, a suo tempo cantato dagli invasori del maresciallo Graziani), va erigendo la più grande diga dell’Africa, la GIBEIII, nella vale del fiume Omo (750 km di vita per 500mila abitanti, agricoltori di sussistenza, cacciatori e pescatori, che campano delle sue periodiche alluvioni), in terra Oromo. La valutazione ambientale è stata fatta da fiduciari italiani collegati alla stessa Salini.
Tutto il territorio etiope è preda di occupanti, speculatori, predatori, dal land grabbing di cinesi e sauditi, alle decine di basi e presidi militari statunitensi e israeliani, agli interventi di sviluppo delle multinazionali occidentali, italiane da sempre in prima linea.
 Diga Salini GIBE III
La diga GIBEIII è un mostro in calcestruzzo con un bacino che sommergerà decine di km quadrati di terra agricola su cui vive una popolazione che ora verrà ristretta in campi di “re-insediamento”, per produrre 6.500Wh l’anno, da esportare in massima parte al Kenya, altro pilastro Nato e Usa in Africa. Significa la fine di quell’arteria vitale della regione che è il fiume Omo, come anche del lago Turkana, a cavallo del confine con il Kenya, che dall’OMO riceve il 90% delle sue acque. L’impatto sui delicati ecosistemi rivieraschi con un patrimonio di biodiversità unico nella regione e, di conseguenza, sulle comunità indigene che vivono lungo la sponda del fiume, sarà letale. Il ciclo naturale delle esondazioni, fondamentali per le coltivazioni, per la pastorizia e per le foreste, ne verrà interrotto e le economie di sussistenza collasseranno e provocheranno la deportazione forzata di intere tribù, i Mursi, i Bodi, i Kwengu.
Genocidio di regime
Perché la Salini possa portare a termine l’impresa, il regime esercita sulle popolazioni indicibili violenze. Chi protesta, chi resiste alle deportazioni viene legato agli alberi e fucilato, adulti e bambini gettati nei fiumi, vittime lasciate in pasto alle bestie selvagge, villaggi bruciati. Un regime dell’orrore, una società italiana complice, onorati da Mattarella, Renzi e dal capogrupo PD a Strasburgo Pittella con visite e salamelecchi ad Addis Abeba e sui luoghi dello scempio.
L’impegno del regime a reprimere e devastare, praticato anche nelle elezioni dai ricorrenti brogli scandalosi che vedono chi protesta gettato nelle carceri o fucilato per strada, non gli impedisce di gettarsi nelle avventure militari subimperialiste commissionategli dai mandanti Usa e UE. Ripetute invasioni della Somalia, cui l’Etiopia aveva già sottratto l’Ogaden, a cui sono seguiti i fallimentari interventi Nato, oggi affidati a una forza mercenaria dell’Unione Africana e ai raid dei droni Usa che, tuttavia, non riescono ad aver ragione di una resistenza islamica, gli Shabaab, dal forte sostegno popolare. La si vorrebbe far passare per una filiazione dell’Isis, dalla quale però si stacca nettamente per non essere una creatura USraeliana e per colpire esclusivamente i colonialisti e i loro proconsoli.
L’altro bersaglio affidato alle cure dello Stato canaglia mercenario dell’Occidente è l’Eritrea, unico Stato del continente a non aver mai accettato una presenza militare straniera, o qualsiasi altra forma di collaborazionismo o dipendenza dai grandi organismi economici, finanziari e militari del mondialismo. La guerra di autentico sterminio che da 18 mesi l’Arabia Saudita sta conducendo contro lo Yemen, grazie alla supervisione Usa (ora attenuata formalmente di fronte alla dimensione terrificante del genocidio, favorito oltrechè dalle bombe prodotte in Italia, dal blocco di cibo, acqua, farmaci), senza riuscire a piegare la resistenza degli sciti Houthi, ancora in controllo della maggior parte del paese, ha per obiettivo strategico anche l’Eritrea.

Yemen oggi, Eritrea domani
Nei 18 mesi che vissi in Yemen tra il 1967 e il 1968,  come corrispondente per il Medioriente di The Middle East e di New African, prima di esserne espulso dopo che un colpo di Stato aveva fatto fuori l’illuminato e progressista presidente Ibrahim el Hamdi,  della cui amicizia mi onoravo, le provocazioni saudite contro quella che consideravano una propria provincia erano costanti. Si ridussero solo quando salì al potere un fantoccio degli Usa, Ali Saleh, poi spazzato via dall’insurrezione di massa del 2011. Contro il consolidamento della rivoluzione, guidata dagli Houthi, col pretesto che si trattava di un’estensione dell’influenza iraniana nella penisola arabica, gli Usa prima innestarono i soliti fattori eversivi, Al Qaida e Isis, anche qui accompagnati dai loro droni stragisti. Vistone l’insuccesso, si attivarono i sauditi, complice il silenzio mediatico internazionale. Ali Saleh e l’ex-esercito nazionale sono ora alleati degli Houthi, il che conferisce alla coalizione maggiore legittimità di quella vantata dal mai eletto presidente-fantoccio dei sauditi, Abdel Rabbo Mansur Hadi. Intanto continuano i raid dell’aeronautica saudita, quasi esclusivamente sui civili nelle case, nei villaggi, nelle scuole e negli ospedali. Le 6.700 vittime di un stima riduttiva possono dire grazie anche alle bombe fabbricate in Italia ed esportate da Cagliari. E’ dei giorni scorsi l’offerta di Saleh e degli Houthi  ai russi dell’uso di aeroporti e porti yemeniti. E’ dell’altro venerdì la manifestazione a Sanaa di 1 milione di yemeniti a dimostrazione che il popolo non si piega ai satrapi cavernicoli sauditi e ai loro mandanti.
Dallo Yemen, con barche, ero passato ripetutamente in Dancalia, la provincia eritrea che costeggia il Mar Rosso. Lo Yemen allora costituiva un utile retroterra strategico e logistico alla guerra di liberazione eritrea contro l’occupante etiopico. Non so per quanto lo sia rimasto, anche dopo la vittoria della trentennale lotta nel 1991. Vittoria che non indusse l’Etiopia a rassegnarsi. Tra il 1998 e il 2000 condusse altre aggressioni contro il vicino insofferente all’inserimento nell’ordine neocoloniale occidentale. Un ultimo attacco è di pochi mesi fa, a giugno, nella zona di Tzorona, dove ero passato solo pochi giorni prima. Attacco respinto, come tutti gli altri, da una nazione di 5 milioni di abitanti aggredita da una di 90 e con il più potente esercito d’Africa.
L’ombelico del mondo
Yemen, Somalia ed Eritrea sono i punti geopoliticamente e geoeconomicamente più nevralgici sulla linea divisoria tra gli emisferi Nord-Sud, Est-Ovest. Costeggiano lo sbocco del Mar Rosso verso il Canale di Suez a Nord e verso lo Stretto di Bab el Mandeb a Sud, da dove si va nel  Mare Arabico, nel Golfo Arabo-Persico e nell’Oceano Indiano. Per quella arteria coronarica passa gran parte del sangue che alimenta il cuore del capitalismo, petrolio e merci. Inconcepibile che Yemen, Somalia ed Eritrea vadano per la propria strada senza ottemperare ai diktat di chi quelle vie le considera il proprio cordone ombelicale (e lo sono).
Ci sono molti motivi per temere che la programmata obliterazione dello Yemen, cancellazione dalla Terra di un popolo poverissimo, ma di enorme dignità e ricchezza culturale, preluda a un trattamenti simile all’Eritrea. Il frastuono mediatico e le sedicenti commissioni d’inchiesta ONU sui diritti umani, colmi di invenzioni, menzogne sesquipedali, testimonianze fasulle, calunnie, attribuzioni delle solite atrocità, sono ciò che di solito lastrica la strada ai cingoli dell’Impero. A noi qui il compito di smascherare e combattere governanti felloni che, dimentichi del debito che l’antica potenza coloniale ha nei confronti di un popolo che per mezzo secolo ha occupato e depredato, si schierano al fianco del regime-canaglia cui è affidata la rivincita su quel popolo, o almeno la sua destabilizzazione in vista del metodo risolutivo imperialista R2P, Responsibility To Protect.Senza contare i lutti e le distruzioni che questo schierarsi comporta, per merito di predatori come Salini,  per le popolazioni dello stesso regime canaglia.
 
Ventotene, si rinnova il complotto
L’auspicio che l’attuale governo italiano possa redimersi dalle responsabilità che ha nei confronti dell’Eritrea, considerato contro lo scenario di Ventotene e del rito consumato lì, sulla portaelicotteri Garibaldi, dai tre fraudolenti eredi dei tre fraudolenti autori della celebrata Dichiarazione che avrebbe dato il via all’aborto dell’Europa unita, non pare guadagni credibilità. L’intera kermesse di tre manigoldi al servizio degli Usa, ancora groggy per la splendida mazzata datagli in capo dal popolo britannico, non ha avuto che un tema: abbattere ogni intralcio tipo Brexit, o altra forma di contestazione popolare. Cose  rese prevedibili dalla scelta, irrinunciabile perché strategica, del trasferimento di ricchezza dal basso al vertice e, dunque, da annientare con gli strumenti sempre più coordinati dell’intelligence, della repressione (chiamata sicurezza antiterrorismo), della potenza militare da proiettare, facendo dell’industria militare europea la ciambella di salvataggio del neoliberismo, come succede negli Usa. Di questo s’è parlato sulla nave che insulta colui a cui ne hanno rubato il nome. Non per caso una nave da guerra.
Come dettato dalla BCE e da JPMorgan, meno democrazia, costituzioni evirate, polizia e forze armate in ordine pubblico, sorveglianza totale, guerre a gogò. Mi viene l’uzzolo di tornare anche qui al quotidiano salafita che, per la penna di tale Luciana Castellina, non soddisfatta di aver offuscato la sua serena vecchiaia con una disordinata passione per tale Tsipras. Non dovrebbe più essere un segreto per nessuno che il progetto unitario europeo fu concepito dagli Usa, promosso, diffuso e finanziato dalla Cia fin dal 1948 e che i suoi “padri nobili” non erano che sicari di un piano che avrebbe portato a un’Europa antidemocratica, sotto controllo economico, politico e militare Usa, privata dei suoi Stati nazione e, dunque, delle costituzioni democratiche nate dalla lotta antifascista. Da cui i disastri presenti, la subalternità totale a Washington, le politiche antidemocratiche e anti-operaie, la guerra alla Jugoslavia, le imprese neocoloniali, il terrorismo.
Garibaldi contro Spinelli
Castellina cita con devozione e commozione la magna charta di Spinelli e soci a Ventotene. A sua attenuante rilevo che forse non l’ha letta. Come purtroppo non l’ha letta quasi nessuno di noi. Sennò, altro che Brexit! Ecco qua: “Noi vogliamo lo Stato Federale Europeo… Il popolo non sa mai con precisione cosa volere e cosa fare. Mille campane suonano alle sue orecchie. Coi suoi milioni di teste non sa orientarsi. E allora ci vuole una dittatura che dà le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle informi masse. Attraverso questa dittatura si forma il nuovo Stato e intorno a esso la nuova vera democrazia” (grazie a Marco Palombi su Il Fatto di avercelo ricordato). E, cari amici, non era certo quella del proletariato, l’unica giustificabile, la dittatura che avevano in mente gli infiltrati di Ventotene. Dato che “le masse sono informi e non sanno mai cosa volere e cosa fare”. Mussolini non la pensava diversamente. E neppure il boss della criminalità organizzata europea, Juncker.
E invece sentite qua come la pensava Garibaldi: “I governanti sono generalmente cattivi, perchè d’origine pessima e perlopiù ladra. Essi, con poche eccezioni, hanno le radici del loro albero genealogico nel letamaio della violenza e del delitto”. E questi cialtroni si sono permessi di chiamare con il suo nome una nave da guerre coloniali, “un letamaio della  violenza e del delitto”, una piazza d’armi di tre briganti, tre somari, un, due, tre…..
Pubblicato da alle ore 18:44

Torino sfratta Foietta e l’osservatorio governativo tav.

posttop 21 agosto 2016 at 22:31

paolo-foietta

Finalmente una bella notizia giunge da Torino, l’osservatorio tav Torino-Lione dovrà trovare una nuova sede. A dirlo sono i quotidiani locali e una lapidaria missiva inoltrata al commissario Foietta da Dimitri De Vita consigliere del m5s della città metropolitana di Torino su mandata della neo sindaca del capoluogo piemontese Chiara Appendino. Dopo la vittoria elettorale che ha di fatto scalzato il PD, partito degli affari sitav, dalla città e dai centri di potere arrivano i primi segnali di discontinuità. Nella città simbolo dell’inutile opera resta orfana di sede la cabina di regia dei peggiori affari pubblici del nord-ovest italiano. Insieme all’osservatorio dovrà trovare una nuova sede anche il ridicolo commissario governativo che senza interlocutori territoriali si dice pronto (così le dichiarazioni a mezzo stampa) anche a salire su di un camper. Inizierà dunque una fase di nomadismo dell’opera? Dopo i vari spostamenti del tracciato anche le riunioni decisionali vagheranno in cerca di sede? Sicuramente non pochi pruriti ha sollevato la decisione con il senatore PD Esposito che si dichiara allibito e il suo compare Osvaldo Napoli PDL che lo spalleggia nelle dichiarazioni rilanciando sull’inarrestabilità dell’opera. Inizia dunque una fase di incertezza e di cambiamento che vede il movimento No Tav in grande forma dopo l’estate di lotta e gli attori istituzionali sempre più in difficoltà. Chissà se l’autunno non ci riserverà ancora delle liete sorprese.