Lampo di luce sul verminaio

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/08/lampo-di-luce-sul-verminaio.html

MONDOCANE

GIOVEDÌ 11 AGOSTO 2016

Rio 2016, l’atleta venezuelana Benitez:
«Non stringo la mano al golpista Temer»
Ricevo dall’ambasciata del Venezuela, tra la giornaliera mole di informazioni e analisi preziose che diffonde, diversamente da quella cubana che pare non abbia più nulla da dire, la notizia qui sotto che illumina di nobiltà, dignità, coraggio il mercimonio di corpi che si dice Olimpiadi, in corso in Brasile. I presstituti e le presstitute spedite a Rio per indurci in coma cerebrale rispetto a quanto succede nel mondo e nei nostri paesi attraverso la glorificazione di uno spettacolo corrotto fino all’osso, in un paese dalla classe politica ed economica corrotta fino all’osso, allestito da organizzazioni deputate corrotte fino all’osso, sotto il governo politico-pubblicitario di una cricca di golpisti corrotti fino all’osso. Golpisti che, sbranata il membro meno colpevole del loro circo dell’orrore, stanno sbranando l’intero paese sotto la copertura tessuta dai presstituti, radendo al suolo i diritti alla sopravvivenza, al lavoro, alla casa, all’istruzione, alla salute, all’ambiente.
Fatta sparire dalle strade, a forza di sequestri, carcere, uccisioni, la “feccia umana” il cui formicolare e protestare e lottare gli spettatori ricchi dei giochi dei ricchi turbava, ora si accingono a far sparire foreste e favelas, gli habitat dei brasiliani di troppo. Il tutto sotto l’egida e la guida del potente vicino a cui, dopo lo strappo indecente delle fasi Lula e Rousseff, si apprestano a restituire il paese e il petrolio nella ripristinata forma di cortile di casa SUA. Altro che BRICS. 
Partita integrando l’assedio militare, nucleare e propagandistico alla Russia con la montatura del doping tutto russo, facilitata da un paio di atleti rinnegati, bugiardi e corrotti e da un’agenzia della promozione del doping che si definisce antidoping, WAFA, strumento di manipolazione dell’atletica della IAAF, Federazione delle Associazioni Atletiche, capeggiato dalla spia britannica Sebastian Coe, l’Olimpiade di Rio è il depistaggio più osceno che uno sport mercenario del potere ha inflitto alla coscienza e alla razionalità del genere umano.
Non c’è Olimpiade degli ultimi decenni che non sia stata programmata e usata per espellere pezzi di società senza avere e potere, gentrificare quartieri, arricchire gli speculatori dei grandi eventi e delle grandi opere, tramortire conoscenze e consapevolezze, devastare ambienti urbani e naturali, promuovere la mercificazione dei corpi, del gioco, della competizione, di ogni aspetto della vita e, soprattutto, costituirsi in laboratorio della militarizzazione e dello Stato della sorveglianza totale. Stavolta è servita anche ad avvicinarci all’assalto alla Russia e, con ciò, arrivata Hillary, alla fine di tutto.
Venezuela, tu che ancora puoi, dacci più Alejandre Benitez.
Virginia Raggi, tieni duro.
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Olimpiadi. Il polemico gesto della schermitrice venezuelana, ex ministro dello Sport
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di Geraldina Colotti per Il Manifesto
«Sono una donna, sono una militante politica e sono di sinistra, appoggio la democrazia e la giustizia, non stringo la mano a un golpista». Un gesto annunciato, quello della schermitrice venezuelana Alejandra Benitez, che alla cerimonia d’apertura dei Giochi non ha salutato il presidente a interim, Michel Temer, con grande storno delle destre latinoamericane. Poco prima, Benitez aveva spiegato ai giornalisti il perché della sua decisione e annunciato un incontro con Dilma Rousseff (la quale ha rifiutato di partecipare in seconda fila alla cerimonia d’apertura).
Alla domanda sulla procedura d’impeachmet, che ha sospeso Dilma dall’incarico, l’atleta venezuelana ha risposto: «E’ terribile quel che stiamo vedendo: un colpo di stato che si sta legittimando, bisognerebbe fare di più per impedirlo. Io, come donna, ritengo che il golpe sia stato anche un gesto maschilista, patriarcale, contro la presidente. In politica, come nello sport, certi uomini credono di poter relegare le donne in secondo piano». Benitez, 36 anni, è stata ministro dello Sport del governo Maduro nel 2013. Animalista e femminista, militante del Psuv durante i governi Chavez e deputata, lavora nei quartieri poveri ed è impegnata nella difesa dei diritti delle donne e della comunità Lgbt all’interno dello sport.
Benitez è alla sua quarta partecipazione alle Olimpiadi. Gli 87 atleti venezuelani che partecipano a Rio (61 uomini e 26 donne) testimoniano del grande sforzo compiuto dal paese bolivariano in questi anni nei confronti dei giovani («la generazione d’oro», come li chiama il presidente»), che hanno accesso completamente gratuito a tutti i servizi e all’insegnamento. «Nonostante tutte le difficoltà che ci troviamo ad affrontare, nonostante tutti gli attacchi e la caduta del prezzo del petrolio – ha detto ancora Benitez – anche quest’anno le risorse per lo sport e la cultura sono state mantenute e anche aumentate. Lo sport ha una grande funzione sociale».
Benitez, che fa parte del gabinetto di lavoro di Maduro e accompagna diversi progetti di reinserimento nelle carceri venezuelane, a Rio ha vinto il primo degli incontri di scherma e perso di misura il secondo. Per ora, il Venezuela ha totalizzato un buon risultato nella boxe e nella ginnastica.
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Pubblicato da alle ore 15:29

Da “La Stampa”

l’articolo sulla stampa di oggi titola:

“il nuovo prefetto scelto per gestire la rivoluzione tav” O_o

Invece di nominare nuovi Prefetti, non sarebbe meglio abolirli, visto che sono un retaggio dello stato centralista dei Savoia che nominavano “uomini” di loro fiducia poichè non si fidavano delle Amministrazioni locali elette dai popoli da loro sottomessi con la forza.

nuovo prefetto per la rivoluzione tav lastampa 11-08-16

Erdogan a san Pietrburgo per una “normalizzazione delle relazioni”

martedì, 9, agosto, 2016
 
erdogan-putin
Aprire una “nuova pagina” nei rapporti bilaterali: con questo proposito il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si reca oggi a San Pietroburgo per incontrare l’omologo russo, Vladimir Putin. Erdogan, in un’intervista all’agenzia di stampa russa “Tass”, ha parlato della nuova fase di normalizzazione delle relazioni dopo otto mesi difficili, in seguito all’abbattimento del Su-24 russo avvenuto al confine turco-siriano. Da poco più di un mese i due paesi hanno ripreso a dialogare, dopo che proprio Erdogan ha inviato una lettera di scuse a Putin, porgendo le condoglianze ai congiunti del pilota del jet da combattimento russo. La ripresa dei rapporti fra Ankara e Mosca, tuttavia, è coincisa con il tentato golpe avvenuto nella notte fra il 15 e 16 luglio scorsi che ha scosso pesantemente il contesto socio-politico turco.
“Questa sarà una visita storica, un nuovo inizio”, ha detto Erdogan. “Ai colloqui con il mio amico Vladimir (Putin), credo che si aprirà una nuova pagina nelle relazioni bilaterali. I nostri paesi hanno molto da realizzare insieme”, ha detto Erdogan, e Putin dal canto suo sa che la collaborazione con la Turchia potrebbe risultare fondamentale per diverse questioni internazionali, sia sul piano economico-commerciale, ma anche politico.
La Turchia, come dichiarato dallo stesso Erdogan alla “Tass”, è pronta ad adottare rapidamente le misure necessarie per l’attuazione del progetto del gasdotto Turkish Stream. “Siamo pronti ad adottare rapidamente le misure per l’attuazione di questo progetto, discuterne e prendere eventuali decisioni”, ha detto Erdogan. “Non ci sono ostacoli”, ha aggiunto il capo dello stato turco, ricordando che Ankara “acquista la fetta più ingente delle proprie forniture di gas dalla Russia”.
Inoltre, nella prima fase di normalizzazione dei rapporti, Ankara ha mostrato dei segni di apertura verso la Russia, sostenendo la posizione di Mosca sulla crisi in Siria, che vede la Russia impegnata in prima fila sia sul fronte militare che diplomatico. “Senza la partecipazione della Russia è impossibile trovare una soluzione al problema siriano”, ha detto Erdogan. “Solo attraverso una collaborazione con la Russia saremo in grado di risolvere la crisi in Siria”, ha ribadito il presidente Erdogan. Si tratta di un deciso cambio di passo da parte del capo dello stato turco, visto che sinora la leadership di Ankara si era opposta al fermo sostegno espresso da Mosca a favore del presidente Bashar al Assad, identificato come l’unico elemento in grado di garantire stabilità al paese mediorientale, stretto fra la morsa del terrorismo jihadista dello Stato islamico e i combattenti del Fronte al Nusra, legati ad al Qaeda.  Agenzia Nova –

Washington è terrorizzata dalla prospettiva di un prossimo accordo Putin-Erdogan

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di  Martin Berger
 
E ‘stato annunciato che il presidente della Turchia Tayyip Erdogan andrà a San Pietroburgo per tenere un incontro personale con  Vladimir Putin, il presidente della Russia, questo Martedì. Secondo il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, questo sarà il primo incontro personale dei due leader dal novembre 2015  e questo summit  si concentrerà sul ripristino delle relazioni bilaterali tra la Russia e la Turchia che si erano rapidamente deteriorate dopo l’abbattimento dell’aereo russo Su-24 sulla Siria. E ‘stato riferito che i due presidenti avranno colloqui con imprenditori e che potranno anche discutere sulla compensazione che la Turchia pagherà per la distruzione del velivolo militare russo.
 
L’ultima volta che Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan si erano incontrati, era stato nel novembre 2015, al vertice del G20, nella città turca di Antalya. Meno di due settimane dopo l’Air Force turco aveva abbattuto un bombardiere russo sulla Siria, avvenimento che ha portato i rapporti diplomatici ed economici tra i due paesi in una fase di congelamento e di ostilità manifesta.
 
L’importanza di questo incontro per la Turchia viene sottolineata dal fatto che Erdogan sta per lasciare la Turchia per fare questo viaggio, nonostante la estremamente complicata situazione interna che il suo paese deve affrontare. Questo dimostra che Ankara è veramente interessata nel ripristino di una collaborazione multi-dimensionale con la Russia.
Non c’è da meravigliarsi che il giornale Foreign Policy abbia annotato che l’incontro di San Pietroburgo
è molto più di un altro vertice – è piuttosto la cerimonia di apertura per una più ampia inclinazione della Turchia nei confronti di Mosca. Ed è perfettamente logico dal momento che le politiche interne di Erdogan stanno facendo gravitare Ankara verso Mosca con una velocità crescente.
 
E’ stato annotato come, nelle ultime due settimane, una parata costante di ministri turchi siano volati a Mosca per gettare le basi di vari accordi- come una conferma che il rapporto turco-russo, che era in precedenza di ghiaccio negli ultimi otto mesi, si sia trasformato in un disgelo estivo.
 
Le conseguenze del recente colpo di stato militare fallito, che risulta sia stato preparato dalla CIA nel tentativo di porre fine alla carriera politica di Erdogan e, molto probabilmente, anche alla sua vita, ha sospinto la Turchia lontano dall’ Occidente e in avvicimamento verso la Russia. Fin dall’inizio del tentato colpo di stato, Putin ha offerto il suo sostegno ad Erdogan, a differenza dell’atteggiamento equivoco iniziale del segretario di stato John Kerry. Com’era prevedibile, il contrasto è cresciuto più nitidamente nel corso delle ultime due settimane: mentre la Russia non ha sollevato obiezioni al tentativo di Erdogan di localizzare i sostenitori di Gulen nelle istituzioni chiave del governo, l’Occidente ha regolarmente criticato le sue misure energiche, con Kerry che ha persino minacciato di riconsiderare l’adesione della Turchia nella NATO.
erdogan e putin
Erdogan con Putin
 
Nella settimana in corso si può notare che, mentre da adesso in avanti, dovremo aspettarci che entrambi i paesi (Turchia e Russia) si spingano a cooperare sempre di più, nel frattempo la Turchia, membro della NATO, andrà a distanziarsi ulteriormente dall’Occidente. A sua volta, L’Hebdo , una fonte multimediale svizzera di primo piano, afferma sicuro che l’Occidente ha tutte le ragioni di temere l’incontro di Putin con Erdogan, mentre gli stati della NATO sono pieni di ansia, dal momento che non c’è alcun dubbio che l’incontro fra i due presidenti segnerà il primo passo per la riconciliazione finale tra Mosca e Ankara. Il quotidiano sottolinea che la Turchia è un membro fondamentale della NATO, che occupa una posizione strategica sul crocevia tra Occidente, il mondo arabo, il Caucaso e la Russia. Considerando i 315 mila uomini del forte esercito turco, il secondo più grande dell’alleanza, anche se oggi sembra disorientato , si prevede che il governo turco andrà gradualmente a ripristinare il suo controllo su questa forza.
 
In termini di economia e di bilancia commerciale, la Turchia è molto più vicina alla Russia di quanto lo sia per gli Stati Uniti, osserva il giornale, mentre il fatturato tra Mosca e Ankara ha già raggiunto 35 miliardi di dollari, si ritiene che questo numero raggiungerà 100 miliardi di dollari entro il 2020. l’Unione europea non è più un partner fondamentale per Ankara, in quanto anche la UE è piena di conflitti ideologici, afflitta da problemi della sicurezza, stagnazione economica, e la Brexit, come è noto. L’idea che Erdogan possa reintrodurre la pena di morte, se la gente turca dovesse esigerlo, non avrebbe lo stesso effetto del tutto simile su Mosca di quanto lo avrebbe sulla UE, nota L’Hebdo.
 
Il francese Liberation fornisce un’analisi molto più dura sul prossimo incontro a San Pietroburgo, dal momento che i suoi analisti sono convinti che il riavvicinamento tra Putin e Erdogan è una vera catastrofe, e che l’Europa non sia mai stata tanto debole come ora di fronte a questo duo.
 
I sentimenti anti-americani di recente sono in forte aumento in Turchia per causa delle affermazioni secondo le quali si dice che Washington fosse dietro il colpo di stato militare fallito in Turchia e vista la riluttanza delle autorità americane ad estradare il religioso esiliato Fethullah Gulen, che si ritiene essere la mente dietro la operazione anti-governo di Ankara. È stato riferito che manifestazioni anti-americane si stanno diffondendo rapidamente in tutto il paese. I manifestanti hanno anche raggiunto la base di Incirlik, che non è semplicemente il più forte punto d’appoggio della NATO nel Mediterraneo, ma è anche il luogo in cui gli Stati Uniti hanno immaganizzato le loro testate nucleari.
 
Inoltre, Ankara ha recentemente cambiato la sua retorica sulla abbattimento degli aerei della Russia sulla Siria nel mese di novembre. Secondo la nuova versione, Washington ha preso parte l’abbattimento di Su-24, che è stato organizzato con l’aiuto del movimento Gulen. Ci viene detto che uno dei piloti turchi coinvolti ha mostrato il suo vero volto quando ha accettato di bombardare Ankara nella notte del 16 luglio.
 
Tuttavia, la perdita della Turchia come avamposto della NATO nel Mediterraneo non è certo uno sviluppo accettabile sia per l’UE e gli Stati Uniti. Per questo motivo la Turchia è stata recentemente visitato dal presidente del Joint Chiefs of Staff, il generale Joseph F. Dunford, che non ha perso tutte le speranze di ripristinare l’ amicizia con Ankara ancora una volta.
 
Ma non dobbiamo dimenticare che la brusca giravolta di Ankara nei confronti della Russia si è verificata quando la Turchia ha riconosciuto che si stava preparando per il “futuro presidente degli Stati Uniti e per le sue guerre.” La Turchia era l’ultimo stato che doveva essere abbattuto dai servizi di intelligence degli Stati Uniti al fine di far crollare l’intera regione. Non è sorprendente che il quotidiano turco Yeni Safak sia convinto che “Ankara ha afferrato l’America per la gola … e adesso stringe la presa. ”
 
I prossimi colloqui dei leader russi e turchi si terranno nella situazione in cui la politica ha superato l’economia. Se la Turchia mostra il suo desiderio di cambiare la sua posizione sulla Siria e la lotta contro il terrorismo, la Russia può cooperare con questa, non vi può essere alcun dubbio su tale fatto. E se Ankara prende una posizione negoziale più adeguata, siamo in grado di attendere la creazione di una alleanza geopolitica.
 
Così la Casa Bianca e l’Occidente hanno tutte le ragioni per avere paura del prossimo incontro tra Tayyip Erdogan e Vladimir Putin.
 
Martin Berger è un giornalista e analista geopolitico freelance che lavora in esclusiva per la rivista online New Eastern Outlook
 
Traduzione: Luciano Lago
 

L’Aja scagiona Slobodan Milosevic

purtroppo ancora il Dipartimento di Stato USA osa emanare diktat e dichiarare guerra a chiunque egli definisca pericoloso, dittatore etc.in modo unilaterale e SENZA PROVE se non false. Le truppe cammellate di soros saran pronte con i loro sit in diritto umanisti in cui chiedono guardacaso alla NATO di intervenire per “liberare” tal popolo oppresso. 
Ma è politically correct, parola di pacifinti.
 
agosto 4, 2016
Alexander Mercouris, The Duran 3/8/2016
 
Il tribunale dell’Aja conferma che le accuse occidentali sul ruolo dell’ex-Presidente serbo Milosevic nella guerra in Bosnia erano false. Che dire delle osservazioni identiche sul ruolo di Putin nella guerra ucraina?
 
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Chi si ricorda le guerre jugoslave degli anni ’90, ricorda il modo in cui i governi e i media occidentali demonizzavano il Presidente serbo Slobodan Milosevic. Milosevic veniva spacciato per ultranazionalista fascista che presiedeva un regime corrotto e autoritario in Serbia, che uccideva regolarmente gli avversari, tiranneggiava la popolazione del Kosovo e orchestrava le guerre in Bosnia e Croazia nell’ambito del piano megalomane etnico di creare la Grande Serbia. Fu fatto passare per il burattinaio dei serbi nella lunga guerra in Bosnia ed accusato di genocidio in Bosnia e in Kosovo. Quando Milosevic alla fine perse il potere dopo le proteste filo-occidentali, fu processato da un tribunale internazionale per crimini di guerra dell’Aja per tutte queste accuse. Anche se morì durante il processo, i media occidentali continuavano a ripetere tali accuse, come se fossero state dimostrate reali. Chiunque abbia mai messo in discussione tali accuse, o suggerito che ci fosse altro nelle guerre in Jugoslavia che non il piano diabolico di Milosevic e dei suoi collaboratori, veniva regolarmente denunciato come sostenitore della “pulizia etnica” e del genocidio, e come fantoccio di Milosevic o anche “utile idiota”. E’ quindi molto interessante vedere come le varie prove al tribunale internazionale dell’Aja, così come altre indagini e tribunali, hanno respinto nettamente tutte le accuse contro Milosevic spacciate da governi e media occidentali. Tutto ciò in realtà iniziò nel Kosovo, dove gli investigatori scoprirono subito che le affermazioni fatte durante i bombardamenti della NATO sulla Jugoslavia nel 1999, che centinaia di migliaia di persone furono massacrate su ordine di Milosevic, erano semplicemente false. Ma il processo a Milosevic continuò, come discusso brillantemente dall’autore inglese John Laughland nel suo libro Travesty, e nonostante il pubblico ministero lanciasse ogni accusa immaginabile per condannarlo, il processo contro Milosevic essenzialmente fallì. Ci fu poi una sentenza della Corte internazionale di giustizia emessa poco dopo la morte di Milosevic che confermò che né lui né la Serbia ebbero alcun ruolo nella vicenda di Srebrenica. Ed ora si conclude la lunga discussione sul ruolo di Milosevic nella guerra bosniaca, nel processo al tribunale internazionale del leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic. Piuttosto che discutere di tale processo in dettaglio mi limiterò a riprodurre l’eccellente sintesi di Andy Wilcoxson:
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“Il 24 marzo la sentenza a Karadzic afferma che “la Corte non è d’accordo che vi fossero prove sufficienti, presentate nel processo, per poter dire che Slobodan Milosevic fosse d’accordo con il piano comune” per rimuovere in modo permanente i musulmani bosniaci e i croati bosniaci dal territorio rivendicato dai serbo-bosniaci. La corte nel processo a Karadzic ha rilevato che “il rapporto tra Milosevic e l’accusato si era deteriorato dal 1992; e nel 1994 non c’era più una linea di condotta comune da adottare. Inoltre, già dal marzo 1992, ci fu un’evidente discordia tra l’imputato e Milosevic negli incontri con i rappresentanti internazionali, durante cui Milosevic e altri leader serbi criticarono apertamente i leader serbo-bosniaci per aver commesso ‘crimini contro l’umanità’ e ‘pulizia etnica’ e una guerra per propri scopi“. I giudici notarono che Slobodan Milosevic e Radovan Karadzic favorivano la conservazione della Jugoslavia e che Milosevic inizialmente lo supportava, ma che le opinioni divergettero nel tempo. La sentenza afferma che “dal 1990 e alla metà del 1991, l’obiettivo politico degli imputati e della leadership serbo-bosniaca era preservare la Jugoslavia e impedire la separazione o l’indipendenza della Bosnia-Erzegovina, che si sarebbe tradotta della separazione dei serbi di Bosnia dalla Serbia; la Corte osserva che Slobodan Milosevic non approvò questo obiettivo e parlò contro l’indipendenza della Bosnia-Erzegovina“. La Corte rilevava che “la dichiarazione di sovranità dell’Assemblea della SRBiH in assenza dei delegati serbo-bosniaci del 15 ottobre 1991, aggravò la situazione“, ma che Milosevic non era d’accordo a costituire la Republika Srpska, in risposta. La sentenza afferma che “Slobodan Milosevic tentava di adottare un approccio più cauto”. La sentenza afferma che nelle comunicazioni intercettate con Radovan Karadzic, “Milosevic dubitava fosse saggio usare ‘un atto illegittimo in risposta ad un altro atto illegittimo’ e mise in discussione la legittimità di un’Assemblea serbo-bosniaca”. I giudici scoprirono anche che “Slobodan Milosevic espresse riserve su come un’Assemblea serbo-bosniaca potesse escludere i musulmani ‘per la Jugoslavia’”. La sentenza osserva che negli incontri con funzionari serbi e serbo-bosniaci “Slobodan Milosevic dichiarò che ‘i membri di altre nazioni ed etnie vanno protetti’ e che ‘l’interesse nazionale dei serbi non è discriminazione’“. Inoltre “Milosevic dichiarò che il crimine va combattuto con decisione“. La Corte di primo grado osserva che “in riunioni private, Milosevic era estremamente arrabbiato verso la leadership serbo-bosniaca per aver respinto il piano Vance-Owen e maledì l’imputato“, scoprì anche che “Milosevic cercò di ragionare con i serbo-bosniaci dicendo che capiva le loro preoccupazioni, ma che era più importante por fine alla guerra“. La sentenza afferma che “Milosevic dubitava che il mondo avrebbe accettato che i serbo-bosniaci, che rappresentavano solo un terzo della popolazione della BiH, ottenessero oltre il 50% del territorio ed incoraggiò l’accordo politico“. Nel corso di una riunione del Consiglio Supremo di Difesa, la sentenza dice che “Milosevic disse al leader serbo-bosniaco che non avevano il diritto di avere più di metà del territorio della Bosnia-Erzegovina, affermando che: ‘non c’è modo che altro vi appartenga! Poiché rappresentate un terzo della popolazione. (…) Non avete diritto ad oltre la metà del territorio, non va tolto qualcosa che appartiene a qualcun altro! (…) Come si può immaginare che due terzi della popolazione siano stipati nel 30% del territorio, mentre il 50% sia troppo poco per voi?! E’ umano, è giusto?!’” In altri incontri con funzionari serbi e serbo-bosniaci, la sentenza osserva che Milosevic dichiarò che “la guerra deve finire e che il peggiore errore dei serbo-bosniaci ‘fu volere la completa sconfitta dei musulmani bosniaci“. A causa della frattura tra Milosevic e i serbo-bosniaci, i giudici notano che “la RFJ ridusse il sostegno alla RS e incoraggiò i serbo-bosniaci ad accettare proposte di pace”“.
In altre parole, non vi era alcun progetto di Grande Serbia da parte di Milosevic, Karadzic o chiunque altro. Milosevic (e Karadzic) volevano mantenere Jugoslavia (come i capi occidentali, all’epoca, professavano volere), Milosevic non era il burattinaio della guerra in Bosnia ed aveva limitata influenza sulla leadership serbo-bosniaca guidata da Karadzic con cui era in rapporti sempre peggiori, ed era lontano dall’impegnarsi in soluzioni violente, crimini di guerra o pulizia etnica, mentre Milosevic ne aveva sempre parlato contro sforzandosi sempre per la pace. Inutile dire che i media occidentali occultano questa sentenza. Né i politici e i giornalisti occidentali che demonizzarono Milosevic negli anni ’90 hanno ammesso che ciò che dissero su di lui, utilizzato per giustificare il bombardamento della Jugoslavia nel 1999, fosse falso. Al contrario, ignoreranno questa sentenza e diranno ciò che dissero di Milosevic all’epoca, proprio come i media occidentali ignorano le altre sentenze della Corte o le indagini che contraddicono le proprie storie, come ad esempio le sentenze che confermano che l’oligarca russo Mikhail Khodorkovskij sia un truffatore emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, o il rapporto Tagliavini che indica che fu la Georgia e non la Russia a scatenare la guerra in Ossezia del Sud nel 2008. Per chi tuttavia presta maggiore attenzione a queste cose, è impossibile evitare paragoni tra il trattamento dell’occidente verso Slobodan Milosevic negli anni ’90 e il trattamento verso Vladimir Putin oggi. La affermazioni identiche sul ruolo di Putin nelle guerre in Ucraina sono pari a quelle emesse negli anni ’90 sul ruolo di Milosevic nelle guerre in Jugoslavia. Chi mette in dubbio tali affermazioni viene chiamato “apologeta di Putin” o “utile idiota”, proprio come coloro che misero in dubbio le affermazioni fatte sul ruolo di Milosevic nelle guerre jugoslave degli anni ’90 venivno chiamati “apologeti di Milosevic” o “utili idioti”. Speriamo che questa volta non ci vogliano 20 anni prima che tali affermazioni, come quelle contro Milosevic, siano adeguatamente esaminate e giudicate false.
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Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

DIFFIDA A NUMA E A LA STAMPA DI TORINO

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Torino, lì giovedì 11 agosto 2016.
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TAPPARO / LA STAMPA
La presente, anche a nome del codifensore avv. Federico Milano, in nome e per conto del nostro assistito Sig. Fulvio Tapparo il quale riferisce a questo Studio quanto segue. 
Nel numero 9/8/2016 dell’edizione on-line de “La Stampa – Torino”, compare un articolo a firma Massimo Numa dal titolo “No-tav ai domiciliari nel prefabbricato del presidio a Venaus”.
Nel corpo dell’articolo, l’autore letteralmente così descrive il nostro assistito: “Fulvio Tapparo, 65 anni, storico attivista No Tav e membro fondatore del gruppo Npa (Nucleo Pintoni Armati, dedicato alla bottiglia di vino da due litri)” (corsivo grassetto e sottolineato nostri).
E’ invece fatto notorio e pacifico che il gruppo N.P.A. cui appartiene il nostro assistito si chiami Nucleo Pintoni ATTIVI”, e non “armati”, come affermato in modo intrinsecamente diffamatorio e contrario al vero dall’autore dell’articolo.
Ciò risulta pacificamente da altri organi ed agenzie di stampa apparsi nel medesimo periodo, dalle magliette e dagli striscioni esibiti in manifestazioni pubbliche ad alta rilevanza e partecipazione, dalle foto sui maggiori social network che usualmente vengono consultati dagli organi di stampa – compreso codesto giornale – in occasione di articoli sul Movimento NOTAV.

Assange :La Clinton finanziata dai sauditi e da società’ francesi

http://www.controinformazione.info/assange-la-clinton-finanziata-dai-sauditi-e-da-societa-francesi/

Da  Ago 06, 2016
Clinton e i sauditi

Clinton e i sauditi
LONDRA – “E’ molto  stretto il legame nei rapporti tra l’Arabia Saudita e Hillary Clinton e tra l’Arabia Saudita e la “Clinton Foundation”.

Molto probabilmente i sauditi sono il maggiore finanziatore della fondazione dei Clinton.  Basta  guardare  la sua politica perseguita nell’esportazione delle armi quando ricopriva la carica di segretario di Stato.

La Clinton  era molto ben disposta verso l’Arabia Saudita, ha dichiarato Assange in un’intervista con RT. Il fondatore di WikiLeaks ha commentato anche la notizia diffusa nella stampa francese, secondo cui lo sponsor della “Clinton Foundation”, la società produttrice di materiali da costruzione “Lafarge”, avrebbe inviato denaro a beneficio dei terroristi dell’Isis.

Riferendosi ad un articolo di “Le Monde”, Assange sostiene che la società è stata coinvolta nei finanziamenti della guerra in Siria. “L’inchiesta di “Le Monde” ha rivelato che la società pagava il pizzo per svolgere le sue attività in alcune zone della Siria. Di fatto hanno siglato con i terroristi diversi affari commerciali.

Più di recente negli ultimi 2 anni i capitali della “Lafarge” sono finiti nella Fondazione dei Clinton”, — ha raccontato. Assange ha dichiarato che Hillary Clinton è legata alla “Lafarge” da “un rapporto di lunga data”, in particolare faceva parte del consiglio di amministrazione della società. Il fondatore di WikiLeaks ha inoltre sottolineato che il suo portale aveva di recente pubblicato circa 2mila e-mail relative alla Siria, e più di 350 erano contrassegnate dal marchio della suddetta società.

Fonte: Pars Today

Provvidenziali morti presidenziali: 5 morti in 4 settimane salvano Hillary Clinton

Algarath 8 agosto 2016
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Quando ci si candida alle presidenziali negli Stati Uniti suscitando rumore, si ha la fortuna del buon spirito che opera eliminando in un modo o nell’altro fastidiosi ostacoli. Così cinque persone, tra cui un testimone giurato su rivelazioni ai media che avrebbero posto fine alla candidatura di Hillary Clinton, spedendola a marcire dietro le sbarre, sono misteriosamente morti in condizioni più che sospette. Uno suicida, per altri la giustizia si fa delle domande. Il caso favorisce tale candidata. Sarà eletta impestando le nostre vita anche con funghi atomici ovunque, fino a casa nostra. Come Pollicino semina briciole, Hillary Clinton semina morte sulla via al potere. Ognuno ha il suo stile. Queste le persone morte per la grande causa, nelle ultime 4 settimane:
Shawn Lucas, sostenitore di Sanders che permise di scoprire il traffico sul 50% dei voti per Sanders presso la DNC, morto il 2 agosto 2016. Il traffico fu svelato facendo infuriare milioni di elettori democratici che avevano votato per Sanders al DNC e che hanno promesso di non votare Clinton alle presidenziali. E’ la minaccia numero 1 che potrebbe far perdere la megera.
Victor Thorn, autore che scrisse sulla nostra cose non belle, suicida ad agosto, colpa della prosa.
Seth Conrad Rich, 27enne militante del partito democratico , morto mentre si recava negli uffici dell’FBI per fare delle rivelazioni. L’inchiesta s’è conclusa con l’omicidio, l’8 luglio 2016. Di che s’immischiava questo?
John Ashe, funzionario delle Nazioni Unite che doveva testimoniare presso l’FBI contro Hillary Clinton e il suo partito. Non oppose resistenza allo strangolamento per mezzo del bilanciere del sollevamento pesi. Come quasi successe a James Bond in uno dei suoi film. John Ashe è morto il 22 giugno 2016. Essendo questo uno sport pericoloso, dobbiamo praticarlo il meno possibile.
Mike Flynn (redattore sul governo profondo per il Breitbart News). L’ultimo articolo di Mike Flynn fu pubblicato il giorno della morte, era intitolato “Il denaro dei Clinton: Bill e Hillary crearono la loro Fondazione cinese solo per sé, nel 2014“. Resta inteso che meritava tale fine, il malvagio. Accusare Clinton di appropriazione indebita, pensate! Morto il 23 giugno 2016.
 
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Completerà l’opera
 
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

I POPOLI RISCHIANO LA VITTORIA – SCATENATI I CANI DI GUERRA A STELLE E STRISCE E MEZZALUNA WAHABITA – FUORI DALLE GUERRE I MERCENARI ITALIANI!

http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2016/08/i-popoli-rischiano-la-vittoria.html

MONDOCANE

MERCOLEDÌ 10 AGOSTO 2016 

    
 
Libia: tutti contro l’Egitto
In Libia siamo all’intervento, presuntamente e falsamente contro l’ISIS (che si toglierebbe dai piedi non appena i suoi mandanti in Usa, Israele, Qatar, Turchia e Arabia Saudita, glielo ordinassero, o gli facessero mancare rifornimenti e guiderdone), delle forze speciali Nato, con tanto di italiani spediti a uccidere e farsi uccidere col pretesto di combattere il terrorismo e con lo scopo di favorire la spartizione della Libia e delle sue risorse tra i paesi colonialisti aggressori. Le strumentali e calunniose polemiche contro l’Egitto e contro l’ENI, che con il Cairo collabora nell’interesse dei nostri rifornimenti energetici (per una volta sottratti al controllo Usa), sono motivate unicamente dal tentativo di escludere l’Egitto, arabo e laico, da una soluzione unitaria e inter-araba del conflitto che elimini l’esercito surrogato dei Fratelli Musulmani.. L’operazione Regeni, sfruttata a fondo da tutta la stampa filo-imperialista e sostenitrice della quinta colonna coloniale dei Fratelli Musulmani, come i ripetuti attacchi all’Eni e la spaventosa guerra terroristica condotta dalla Fratellanza in Egitto, si inseriscono in questo quadro, Nella strategia occidentale e dei petrosatrapi del Golfo le milizie di Misurata, fanteria Nato, resesi note durante il conflitto con torture, stupri, assassinii di prigionieri e civili, e nell’immediato dopo-Gheddafi per le orrende atrocità compiute sui membri della precedente amministrazione, come sui libici di colore nero (genocidio a Tawarga, cittadina a maggioranza nera), sono di nuovo l’esercito degli aggressori e del loro burattino, privo di qualsiasi legittimazione democratica, Fayez al Serraj. Il loro compito non è tanto quello dell’eliminazione della presenza dell’Isis in Sirte, per la quale hanno già clamorosamente fallito e che ora parrebbe rilanciata con il sostegno dei criminali bombardamenti Usa da Sigonella, – anche questi finti-antiterrorismo – quanto quello di neutralizzare l’unica forza nazionale legittima in campo, comprensiva della maggioranza delle tribù e degli orientamenti politici antimperialisti: il parlamento di Tobruq, l’unico eletto dal popolo libico, e la sua forza armata comandata dal generale Khalifa Haftar.
Sul vergognoso servilismo del regime italiano, immediatamente messosi a disposizione con basi e reparti, del signore della guerra Usa, facendo oltretutto del nostro paese bersaglio di rappresaglie fatte passare per attuate dall’Isis, il Comitato No Nato fa circolare il documento in calce.
Aleppo o morte
Dall’altro estremo della regione araba, i clamori preoccupati e anche indignati di tutto l’arco mediatico e politico filo-imperialista e cripto-imperialista per il flirt tra il sultano turco e lo “zar” Putin, descritto come osceno connubio tra due autocrati, tendono a oscurare il dato del rovesciamento strategico della guerra, con in prospettiva la vittoria di Baghdad e Damasco e il fallimento dell’opzione USraeliana e wahabita della frantumazione di questi Stati (ai quali collaborano, oltre all’Isis, i curdi, diventati fanteria della Nato). L’alluvione di menzogne e deformazioni che cercano di occultare questa situazione in particolare relativa ad Aleppo, dove la sconfitta finale dei terroristi (in parte riciclatisi su ordine Nato in “moderati”) era imminente, si accompagna al frenetico invio dalla Turchia di rifornimenti e combattenti (altro che crisi Erdogan-Usa-Nato), al rinnovato voto del sultano di spazzare via Assad (conferma dell’alleanza Nato-Riad-Isis) e al disperato intervento dell’ONU con la proposta di una tregua finalizzata unicamente a consentire ai terroristi di evitare la disfatta e riprendere fiato.
 Assistiamo a un diluvio di umanitarismo che si fa forte delle bugie sulle vittime civili, tutte arbitrariamente attribuite al “regime” (a dispetto delle inconfutabili e autorevoli testimonianze dal posto), ma che era totalmente assente durante i 5 anni di assedio e devastazione della città da parte di Al Nusra e soci, con le conseguenti atrocità contro la popolazione. Si ignora che i russi hanno aperto tre corridoi umanitari nei quali si sono precipitati migliaia di cittadini inseguiti dall’artiglieria di Al Nusra, si lamenta che 2 milioni di cittadini sarebbero  a rischio di genocidio, mentre 1,5 milioni sono nella zona controllata dal governo, in sicurezza alimentare, ma esposti ai mortai e ai gas tossici dei terroristi, e circa 200mila sono trattenuti come scudi umani nelle zone ancora occupate dai mercenari.
Si può essere sicuri della determinazione di Damasco e ci si deve augurare che i russi, con la solita volontà di mostrarsi “ragionevoli” o, magari, per coltivare l’illusione di un Erdogan convertito a un nuovo fronte russo-turco, non cadano nella trappola, non si facciano tagliare le gambe dall’uragano propagandistico occidentale, di Al Jazeera ed embedded vari (il manifesto, sempre sul fronte). Ma  smascherino l’ipocrisia degli “umanitari” e dell’ONU, e insieme alle forze siriane portino a termine la liberazione di Aleppo.
 
Comunicato della Lista ComitatoNoNato

NO all’intervento militare in Libia

Dopo il bombardamento a sorpresa della città libica di Sirte da parte dell’aviazione statunitense il 1 agosto e, nei giorni successivi, le dichiarazioni di “approvazione” da parte dei ministri Gentiloni e Pinotti, gli aderenti alla lista ComitatoNoNato hanno stilato il comunicato stampa che segue.
6 agosto 2016 – Lista ComitatoNoNato (comitatononato@googlegroups.com)
Gli aderenti alla lista ComitatoNoNato@googlegroups.com condannano nel modo più deciso la nuova avventura militare scatenata dagli USA in Libia con l’appoggio diretto del governo italiano e di altri governi occidentali aderenti alla NATO.
La ministra della Difesa italiana Pinotti ha assicurato che “l’ITALIA FARA’ LA SUA PARTE” e ha preannunciato la concessione delle basi italiane per le operazioni militari.
Questa operazione guerresca viola quindi nuovamente l’articolo 11 della costituzione italiana, già violato pesantemente con la precedente aggressione alla Libia del 2011 che ha distrutto il paese più ricco e sviluppato dell’Africa.
La nuova avventura bellica, scatenata con la motivazione ufficiale della lotta all’ISIS, è in realtà una nuova operazione neocoloniale che si propone tre obiettivi concreti:
Una nuova spartizione delle ingenti risorse libiche: gas, petrolio, acqua sotterranea, e la definitiva rapina delle grandi risorse finanziarie libiche depositate nei fondi di investimento internazionali e già “sequestrate” nel 2011 dalle potenze occidentali; 
Il rafforzamento del cosiddetto governo “unitario” della Libia guidato dal fantoccio Serraj, sostenuto dalle milizie islamiche di Misurata e dalla “Fratellanza Musulmana”. Questo “governo”, imposto dall’esterno da un gruppo di potenze occidentali con la copertura della solita ambigua risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non è stato mai approvato ed eletto dai Libici e non è riconosciuto dal Parlamento Libico e dal “governo” di Tobruk che controlla tutta la parte orientale della Libia e che ha condannato recisamente ogni intervento militare straniero, comunque motivato: 
La riapertura di basi militari straniere in Libia che furono chiuse dal governo Gheddafi dopo la proclamazione della repubblica in Libia.
Per eliminare l’ISIS/Daesh, non servono le bombe. ISIS va estirpato alla radice, attraverso sanzioni severe contro i suoi mandanti. Il ricorso a bombe straniere su Sirte, invece, non farà altro che favorire il reclutamento di nuovi jihadisti e un conflitto senza fine, aumentando il caos già creato con la guerra di aggressione del 2011 e moltiplicando il pericolo di attentati anche in Italia.
Gli italiani contrari alla guerra e a nuove avventure neocoloniali sono invitati a organizzare forme di protesta — insieme a forme di controinformazione su questi gravi fatti — per dire al governo Renzi: L’Italia si dissoci dai bombardamenti, NO all’uso di tutte le basi militari poste sul territorio italiane e dello spazio aereo italiano.
Roma, 6-8-2016 Lista ComitatoNoNato
 
Pubblicato da alle ore 16:20

Rai Tre cancella ‘Scala Mercalli’: «Trattavamo argomenti scomodi per il Governo»

http://espresso.repubblica.it/visioni/cultura/2016/08/09/news/rai-tre-cancella-scala-mercalli-trattavamo-argomenti-scomodi-per-il-governo-1.279984?ref=huffpo

Dopo ‘610’ di Lillo e Greg (Radio Due), il ‘caso Fornario’ e la sostituzione della Berlinguer, viale Mazzini chiude il programma che il sabato sera faceva un milione di spettatori parlando di cambiamento climatico. L’amarezza del conduttore Luca Mercalli: «Non c’è più spazio per un’informazione ambientale di qualità»

DI DANIELE CASTELLANI PERELLI

09 agosto 2016

Rai Tre cancella 'Scala Mercalli': «Trattavamo argomenti scomodi per il Governo»

È un’altra vittima dell’accetta della nuova Rai. La cancellazione di “Scala Mercalli”, decisa da Rai Tre, ha fatto meno rumore della chiusura di programmi come “610” con Lillo & Greg o delle sostituzioni di Bianca Berlinguer e Massimo Giannini, ma ha mandato su tutte le furie i telespettatori e le associazioni ambientaliste. Il conduttore Luca Mercalli, climatologo e già volto noto di “Che tempo che fa”, spiega in quest’intervista perché la Rai ha chiuso la sua trasmissione.

Quando e come ha saputo della cancellazione?
«Qualche settimane fa, ma ufficiosamente era nell’aria già da qualche mese. Il nostro programma ha bisogno di una preparazione lunga, serve molto tempo per organizzare i documentari in giro per il mondo. Di solito a giugno sapevamo già quando sarebbe iniziata la nostra stagione, ma stavolta nessuno ci ha comunicato nulla. Poi, un paio di settimane fa, ho ricevuto la telefonata del dirigente Rai a cui faccio riferimento. “La direttrice di Rai Tre non ha confermato ‘Scala Mercalli’”, mi ha detto»

Nel frattempo la direttrice, Daria Bignardi, le ha telefonato?
«No, assolutamente. Non mi ha chiamato, non ci ho mai parlato in vita mia»

Molti stanno protestando. Una lettera della Federazione italiana dei media ambientali  e una petizione su Change.org   chiedono il ripristino della trasmissione.
«Sono felice della solidarietà degli spettatori, ma non credo che servirà a far cambiare idea a chi decide. Sarà più che altro solo un esperimento sociologico, temo. Sul breve termine non ci sono speranze. Se poi dovesse cambiare qualcosa, non ci sarebbero comunque i tempi tecnici per ricominciare a febbraio, casomai più avanti»

Come le hanno argomentato la chiusura?
«Non me l’hanno spiegata. Anche perché era difficile da spiegare. Abbiamo portato avanti un’informazione ambientale che non solo era rigorosa dal punto di vista scientifico, con interviste a grandi esperti di tutto il mondo, ma attirava un milione di spettatori in media ogni sabato sera»

Lei quale idea si è fatto sui veri motivi?
«Abbiamo trattato argomenti che sono scomodi per qualsiasi governo, e il governo Renzi non fa certo eccezione. Basterebbe dire che siamo andati contro le trivelle e le grandi opere, e a favore di un’agricoltura sostenibile»

Durante l’ultima stagione il senatore del Pd Stefano Esposito ha presentato un’interrogazione in Commissione di Vigilanza Rai contro i «22 minuti di propaganda ai No Tav» che lei avrebbe concesso in una puntata.
Avrà pesato?

«Penso proprio di sì»

Poi hanno fatto rumore le dure stroncature di Aldo Grasso, che sul Corriere della Sera l’ha definita un «catastrofista», un «gufo con cravattino».
«Gli attacchi che mi ha riservato in questi anni Aldo Grasso li porto ad esempio nelle mie lezioni all’università. Perché al di là dell’astio personale, che è un dettaglio, è il simbolo di un certo mondo giornalistico che non ha capito nulla della crisi ambientale. Non ha competenze per ribattere, e quindi si accontenta di denigrare. Non dice mai una parola sull’autorevolezza dei miei intervistati e sulle soluzioni propositive, non certo da “gufi”, che avanziamo»

Più in generale, c’è un problema che riguarda i programmi sulla natura e l’ambiente. In tv, dicono alcuni studiosi come il professor Ferdinando Boero dell’Università del Salento, sono troppo spesso «concepiti come mero intrattenimento del pubblico, e non hanno funzione di elevazione culturale» . “Scala Mercalli” era una delle poche eccezioni, e anche “Ambiente Italia” e “Bellitalia” sono stati di recente ridimensionati.
«Al di là dei problemi della Rai, questo è un fenomeno più grave che riguarda tutti i media internazionali, e che ha ben descritto sul Guardian il mio amico George Monbiot. C’è cioè una sottovalutazione generale della crisi climatica, i media portano una grande responsabilità e servirebbero sociologi e psicologi sociali per capire perché abbiano deciso di nascondere la testa sotto la sabbia»

Come si è trovato in questi anni alla Rai?
«Devo dire che non ho mai ricevuto pressioni, ho goduto di un’autonomia completa. D’altronde il biglietto da visita di “Scala Mercalli” era lo stesso studio in cui registravamo. Eravamo infatti ospitati dalla Fao, che non avrebbe esitato un secondo a cacciarci se avessimo detto qualcosa di scientificamente scorretto. L’ufficio stampa della Fao ci aveva avvertito: “Fate attenzione, se sbagliate qualcosa il giorno dopo ho 4 ambasciatori che mi chiedono conto di voi e devo mandarvi via”. Ma non c’è mai stato bisogno di richiamarci all’ordine»

Che cosa pensa della nuova Rai?
«Ho sempre creduto fortissimamente nel servizio pubblico. Ci lavoro da 20 anni. Gli spettatori mi conoscono dal 2003, da “Che tempo che fa” con Fazio, ma collaboravo già da prima. Oggi faccio sempre più fatica a riconoscermi in questa Rai»

Francesca Fornario, conduttrice di “MammaNonMamma” su RadioDue, denuncia che le hanno chiesto di non fare battute su Renzi. C’è chi paragona questa Rai a quella di Berlusconi.
«Direi che, a guardare dall’esterno, si fa molto presto a poterlo dire»

Pensa di aver commesso degli errori?
«Non credo. Ho fatto solo le mie scelte, prendendomi le mie responsabilità. È chiaro che sarei stato un ingenuo a pensare che non avrei sollevato un polverone con la puntata sui No Tav. Ma ci siamo sempre affidati a un metodo scientifico, un metodo “da Pulitzer”, da giornalismo d’inchiesta. Questi sono i fatti, ora se ci riuscite confutateli. Ma è un metodo che evidentemente non piace a chi sta in alto»