Principe saudita ammette: abbiamo finanziato oltre il 20% della campagna di Hillary!

Principe saudita ammette: abbiamo finanziato oltre il 20% della campagna di Hillary!
L’Arabia Saudita ha finanziato oltre il 20% della campagna elettorale presidenziale di Hillary Clinton. Lo ha dichiarato, secondo quanto riporta l’agenzia giordana Petra News, il Principe saudita  Mohammed bin Salman.
 
Secondo quanto scrive il sito Middle East Eye, la dichiarazione è stata poi cancellata dalla pagina dell’agenzia di stampa. Tuttavia, uno screenshot della versione araba orginale è stata pubblicata dall“istituto per gli affari del Golfo” di Washington.
“L’Arabia Saudita ha quasi sempre sponsorizzato sia i partiti repubblicani che quelli democratici e …. il regno ha sempre fornito con pieno entusiamo il 20% del costo della campagna di Hillary Clinton nelle elezioni presidenziali nonostante il fatto che alcune forze influenti nel paese non hanno mostrato un atteggiamento positivo nel supportare il candidato perché donna”, scriveva prima della cancellazione l&#

 

39;agenzia giordana Petra. 
 

Scrive correttamente TeleSur come sia illegale nelle elezioni statunitensi per un candidato accettare fondi da governi stranieri, “ma Arabia Saudita e Hillary non sono nuovi nello scambiarsi favori”.
La Clinton Foundation, presieduta da Hillary e suo marito Bill Clinton, ha ammesso nel 2008 di aver accettato 25 milioni di dollari dal regno saudita. Altri governi stranieri che hanno donato ingenti somme alla Clinton sono: Norvegia, Kuwait, Qatar, Brunei, Oman, Italia e Giamaica per una cifra complessiva di 20 milioni di dollari. 
Middle East Eye scrive che ha cercato di contattare entrambe le parti, un rappresentante del regime saudita e Hillary Clinton, ma non ha avuto risposta. 
Notizia del: 13/06/2016

Isis, la guerra segreta dell’Italia: forze speciali in Libia e Iraq. Ma il Parlamento è all’oscuro di tutto

http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/silenzio-si-combatte-la-centuria-italiana-sui-fronti-anti-isis/

Decine di membri dei reparti speciali in Iraq (e nell’ex colonia nordafricana) in prima linea. Ma il Parlamento è all’oscuro
Isis, la guerra segreta dell’Italia: forze speciali in Libia e Iraq. Ma il Parlamento è all’oscuro di tutto
di  | 30 luglio 2016

La guerra all’Isis l’Italia la fa ma non lo dice. Operazioni militari segrete condotte dalle forze speciali e decise dal governo all’insaputa delparlamento, missioni che ufficialmente non esistono e che quindi vanno categoricamente smentite fino alla loro conclusione, fino a quando non arriva il conferimento ufficiale di medaglie e onorificenze. È accaduto dieci anni fa per l’operazione “Sarissa” della Task Force 45 in Afghanistan, decisa e sempre negata dal governo Prodi. Sta accadendo oggi in Iraq e inLibia, dove truppe d’élite italiane partecipano da tempo ai combattimenti contro l’Isis.

Partiamo dall’Iraq. Il coinvolgimento di truppe italiane nella guerra alCaliffato nella provincia sunnita di Al-Anbar, oltre ad essere trapelato sulla stampa un anno fa a inizio missione (con inevitabile smentita dalla Difesa), è stato riportato lo scorso febbraio anche sul sito web ufficiale dei marines. Rispondendo a un’interrogazione parlamentare in proposito, la Difesa – non potendo smentire anche gli americani – disse a marzo che la presenza nell’area aveva riguardato solo cinque uomini ed era terminata. Ad aprile però il sito dei marines confermava la presenza italiana. Ora il Fatto Quotidiano apprende da autorevoli fonti militari che in Al-Anbar è in corso ancora oggi un’azione delle forze speciali italiane. Si chiama operazione “Centuria” ed è condotta dalla Task Force 44, inizialmente basata su un’aliquota del 9° Reggimento d’assalto “Col Moschin”, poi affiancati, o avvicendati, dalle altre unità dipendenti dal Cofs (il Comando interforze per le operazioni delle forze speciali del generale Nicola Zanelli) quindi gli incursori di Marina del Comsubin, quelli del 17° Stormo dell’Aeronautica e i Gis dei Carabinieri, solitamente supportati dai ricognitori del 185° Folgore e dai Ranger del 4° Alpini.

La partecipazione del Goi (Gruppo operativo incursori, alias Comsubin) è certa, altre fonti riferiscono la presenza di uomini di tutte le 4 unità del Cofs. Difficile dire con esattezza quale sia la consistenza numerica della TF-44: certamente non i 200 uomini della TF-45 afghana, ma si dovrebbe essere non di molto sotto ai cento che suggerisce il richiamo alla centuria romana. La base operativa della Task Force 44 è l’aeroporto militare di Taqaddum, tra Ramadi e Fallujah, teatro delle principali offensive anti-Isis degli ultimi mesi. Ed è qui che le forze speciali italiane, insieme a quelle australiane e ai marines, sono state impegnate al fianco dell’8ª Divisione dell’esercito iracheno con compiti di pianificazione, coordinamento e appoggio ai combattimenti. Una funzione che le forze regolari della Coalizionesvolgono inside the wire, cioè all’interno della base, ma che per le unità speciali comporta anche attività outside the wire, cioè sul campo al fianco dei corpi d’élite iracheni.

L’operazione “Centuria”, inquadrata nell’operazione multinazionale a guida Usa Inherent Resolve, è cosa ben diversa sia dall’operazione italiana “Prima Parthica” per l’addestramento dell’esercito iracheno e deipeshmerga curdi, sia dalla missione della Brigata Friuli a protezione della diga di Mosul. È invece probabile che gli elicotteri italiani da attaccoMangusta e da trasporto Nh-90, schierati a Erbil in primavera per missioniCombat search and rescue, possano fornire supporto alle nostre forze speciali. Soprattutto se, conclusa anche la riconquista di Fallujah dopo quella di Ramadi, la TF-44 venisse ridislocata più a nord, nella base aera diQayara, dove in vista dell’offensiva autunnale su Mosul stanno per arrivare560 marines e forze speciali americane.

Veniamo all’altro fronte della guerra segreta all’Isis: la Libia. Dell’operazione italiana nell’ex colonia, autorizzata da Renzi lo scorso 10 febbraio con un decreto subito secretato, non si conosce ancora il nome in codice né i corpi speciali che vi partecipano. Si sa solo, in via del tutto ufficiosa, che si tratta di un piccolo distaccamento basato all’aeroporto militare di Misurata, che partecipa insieme alle forze speciali britanniche all’operazione “Banyoun Al Marsoos” (Struttura Solida) lanciata a maggio delle brigate misuratine e dalle guardie petrolifere di Ibrahim Jadhran per riconquistare la roccaforte Isis di Sirte. I combattimenti hanno provocato pesanti perdite tra le forze filo-governative libiche, ufficialmente supportate dall’Italia solo con un ponte-aereo di soccorso medico. A fine aprile, quando fonti israeliane hanno riportato la notizia di soldati inglesi e italiani caduti in un’imboscata dell’Isis, la smentita del governo italiano è stataimmediata: “Non ci sono soldati italiani che combattono in Libia”. Come non ci sono in Iraq. Come non c’erano in Afghanistan.

di  | 30 luglio 2016

Wu Ming 1, «Un viaggio che non promettiamo breve». L’anteprima al festival Alta Felicità #NoTav

Pubblicato il 01.08.2016 da 

Détournement di una foto di Michele Lapini. Barca No Tav nel Canale della Giudecca, Venezia. All'orizzonte, le montagne della Val di Susa.

[WM1] Dunque… Da dove cominciare? È un pezzo che sono in semiclausura. Trascuro le relazioni, lascio le email senza risposta (scusatemi tutt*!), non propongo post per Giap(a parte questo che state leggendo), delego a Tommaso e Giulio la cura di Quinto Tipo, lascio ai miei compagni di collettivo diverse patate bollenti, sono in defaillance su molti fronti. Come mai?

È presto detto: ho dedicato gran parte della primavera e sto dedicando gran parte dell’estate all’Ultimo Sforzo, alla Tirata Finale, a una maratona di scrittura e revisione del libro che vado scrivendo dal 2013.
Chi segue Giap sa di che si tratta. Per tutti gli altri lo esplicito: è una biografia narrativa del movimento No Tav; è un’inchiesta in forma di poema in prosa; è un romanzo vero.
Si intitola: Un viaggio che non promettiamo breve. 25 anni di lotte No Tav in Val di Susa.
Se tutto fila liscio, dovrei riuscire a consegnare l’ultima parte dopo Ferragosto. In quel caso, uscirà per Einaudi il 31 ottobre, data in cui, ogni anno, il movimento No Tav ricorda la «Battaglia del Seghino» (31/10/2005).

Sono stati pochi, in questi mesi, gli “strappi” alla regola monastica. Molto rari gli impegni in trasferta. L’ultimo è stato domenica 24 luglio 2016. In realtà, era sempre parte del lavoro sul libro, perché ho fatto una «pre-presentazione» di fronte a una platea di No Tav al festival Alta Felicità di Venaus.

Che grande e importante evento sia stato Alta Felicità, con tutte le iniziative correlate, lo hanno già raccontato in tanti. Qui rimando a due bei resoconti, uno di Alpinismo Molotov, l’altro di 2 Ruote di Resistenza, oltre a questo videoservizio di Simone Bauducco. E qui ci sono alcune foto di Michele Lapini.

Prima di me, al festival c’era passato Wu Ming 2. Sabato 23 ha presentato Il sentiero luminoso, e la mattina di domenica 24 ha accompagnato una spedizione al ponte del Seghino. Durante la camminata, ha letto un brano in anteprima dal mio libro – quello sulla Battaglia del Seghino, appunto – e la relazione del comandante partigiano Aldo Laghi (al secolo Giulio Bolaffi) sulla Battaglia delle Grange Sevine, che si svolse in quella zona il 26 agosto 1944.

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Gita ad  al Seghino, dove dal 2005 non passa il celerino! 

Io e WM2 non ci siamo incrociati perché sono arrivato a Venaus quando lui era già ripartito, nel tardo pomeriggio di domenica, dopo ore di frustranti vicissitudini. Io e la mia compagna non ringrazieremo mai abbastanza Giancarlo, artefice di una decisiva missione di soccorso.

Con un ritardo di appena quattro ore sul programma della giornata, ho potuto spiegare che tipo di lavoro sto facendo, e leggere due brani in anteprima, uno dall’«Ouverture» (un’invettiva contro il «modello emiliano») e una dalla «Prima parte» (lo sgombero della Libera Repubblica di Venaus).

Durante la presentazione sono intervenuti Maurizio Piccione di Spinta dal Bass,Filippo Sottile dei comitati No Tav Val Sangone e Collina Morenica (anche se ha parlato in rappresentanza di Alpinismo Molotov), Luca Abbà e Alberto Perino. La registrazione che state per ascoltare, purtroppo, si interrompe prima degli interventi (splendidi) di Alberto.

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WM1 pre-presenta ad  «Un viaggio che non promettiamo breve. 25 anni di lotte  in Val di Susa»

Segnalo alcune imprecisioni contenute nei miei interventi:
1. la foto di Alberto da piccolo non lo ritrae sul Rocciamelone ma a Bar Cenisio;
2. quando racconto dell’azione diretta al campo di tiro al piccione di Orbassano dico «cinquant’anni e passa fa» mentre sono «quarant’anni e passa fa»;
3. ho chiamato «Alpi Ribelli» – che è il titolo dell’ultimo libro di Enrico Camanni – il gruppo di compagn* Alpi Libere.

E dico troppe volte «eccetera» :-/

Un’ultima cosa: esprimo la mia totale solidarietà ai ferrovieri in lotta e trovo sacrosanto lo sciopero che mi ha bloccato a Tortona. Era indetto da Cub Trasporti, Sindacato Generale di Base e Coordinamento Autorganizzato Trasporti, e le motivazioni si possono leggere qui.

 

Un viaggio che non promettiamo breve. Live ad Alta Felicità. Durata: 57’28”

L’audio  può scaricare anche in una cartella zippata (95 mega)

No Tav, criticare i giudici si può. Eccome

http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/no-tav-criticare-i-giudici-si-puo-eccome/

Replica a Tinti. Né “collateralismo” né “pregiudizi”: il confronto tra ex magistrati sul movimento in Valsusa
No Tav, criticare i giudici si può. Eccome
di Livio Pepino | 31 luglio 2016

Lo scorso 21 luglio, Bruno Tinti, commentando su questo giornale alcuni interventi critici su vicende giudiziarie connesse con l’opposizione al Tav in Valsusa ha svolto rilievi che è utile riprendere. In particolare, Tinti lamenta che le indagini “dirette a reprimere le violenze dei No Tav” sono circondate da diffusa “ostilità politica e sociale”, che le […]

Giorgio Cremaschi sul provvedimento contro la Dosio in Val Susa

Nicoletta Dosio, scrive il giudice, è una “personalità negativa” e la sua vita libera e piena di insegnamenti e solidarietà per tanti va posta sotto sequestro. L’opinione di Cremaschi.

Il giudice di Torino ha emesso contro , da sempre una delle anime del movimento e del popolo NoTav, un pesante provvedimento di restrizione della libertà personale. A

Nicoletta è stato notificato l’obbligo di soggiorno a  con il divieto di lasciare il territorio del comune e dalle 18 alle 8 del mattino il domicilio coatto nella propria abitazione. Un provvedimento gravissimo, una rappresaglia per la coraggiosa decisione di Nicoletta di non accettare l’obbligo di firma quotidiana, cui era stata precedentemente sottoposta da un altro scandaloso atto repressivo. Il soggiorno obbligato è un provvedimento che viene dal fascismo e che spesso è stato utilizzato nel passato contro la criminalità mafiosa. Che oggi sia rivolto contro una limpida figura di miltante per la democrazia, quale è Nicoletta, la dice lunga sulla portata autoritaria e liberticida che ha assunto la repressione contro il movimento NoTav.

Nicoletta, scrive il giudice, è una “personalita negativa” e la sua vita libera e piena di insegnamenti e solidarietà per tanti va posta sotto sequestro.

Ma negativo, per tutto ciò che c’è di civile e democratico, è solo orientamento poliziesco con cui il governo e la magistratura torinese difendono un’opera inutile e devastante e con essa l’occupazione militare di una valle e della sua comunità, che non vuole sottostare allo scempio del territorio e dei soldi pubblici.

Sono dei burocrati repressori, ma sono anche dei furbastri vili, perché per colpire Nicoletta hanno aspettato che si concludesse il  dell’Alta Felicità di Venaus , dove con migliaia di giovani molti esponenti della cultura e dello spettacolo avevano espresso il loro sostegno alla lotta del popolo della Valle . Spenti i riflettori, i burocrati repressori hanno dato il via al nuovo giro di vite e alla nuova vendetta contro la libertà di chi lotta .

So che Nicoletta non ne ha bisogno, sia per la sua forza e dirittura morale, superiore in misura imparagonabile a quella di chi la giudica persona negativa. Sia per la stima e l’affetto che la circondano nel popolo NoTav e ovunque si lotti per i diritti e la democrazia. Ma voglio comunque esprimere alla compagna della cui amicizia mi onoro tutta la mia solidarieta e condivisione.

Forza Nicoletta sono, siamo, con te. Ora e sempre No 

di  per l’Antidiplomatico.it.

Assalto al cantiere Tav con i fuochi d’artificio, dispersi manifestanti

Domenica notte in Val Susa, forze dell’ordine usano idranti

Nuovo attacco al cantiere dell’Alta velocità domenica notte. Attivisti No Tav si sono avvicinati in direzione delle reti, nella zona est e hanno iniziato a lanciare fuochi d’artificio e petardi dall’alto.

Le forze dell’ordine che presidiano l’area strategica hanno risposto con gli idranti per disperdere gli attivisti mentre altri hanno improvvisando una cena al cancello della centrale di Chiomonte.

TORINO–LIONE: CONSIDERAZIONI DI GEOGRAFIA POLITICA IN VISTA DELLA RATIFICA ITALIANA E FRANCESE DELL’ACCORDO DI PARIGI DEL 2015 E DEL PROTOCOLLO ADDIZIONALE DI VENEZIA DEL 2016

http://www.presidioeuropa.net/blog/torino%E2%80%93lione-considerazioni-di-geografia-politica-vista-della-ratifica-italiana-francese-dell%E2%80%99accordo-di-parigi-del-2015-del-protocollo-addizionale-di-venezia-2016/

Torino–Lione: considerazioni di geografia politica in vista della ratifica italiana e francese dell’Accordo di Parigi del 2015 e del Protocollo addizionale di Venezia del 2016


1. – Attivare iniziative politiche nazionali ed europee

Perché un vero dibattito si accenda, e si riesca ad oltrepassare il muro di gomma dei sostenitori del progetto Torino-Lione, credo che occorra mettere in campo adeguate iniziative politiche per fermare la ratifica dell’Accordo di Parigi del 24.02.2015 e del Protocollo addizionale di Venia dell’8 Marzo 2016 fr.

Il pericolo è alle porte: una volta che i Parlamenti italiano e francese avranno ratificato l’Accordo di Parigi del 2015 e il Protocollo addizionale di Venezia del 2016 (ratifiche la cui conclusione è prevista entro il 31.12.2016), il Grant Agreement sottoscritto da Italia e Francia con l’Unione europea a dicembre 2015 potrà sviluppare i suoi effetti, ossia permettere che l’Unione Europa cofinanzi i lavori per lo scavo del tunnel di base.

A quel punto gli spazi di manovra per fermare il progetto saranno più ridotti.

Credo che sia intanto necessario un grande e impegnativo investimento di comunicazione a livello nazionale ed europeo da parte dei cittadini in lotta e dei soggetti politici eletti in Italia, Francia ed Europa, che oltrepassi così i confini geografici segnati dai cantieri in Italia e in Francia.

Per rinfrescare la memoria è posta in basso la sintesi dei passi fondamentali delle intese tra Italia e Francia[1] dal 1993 al 2016 che dimostrano come la Torino-Lione si sia conquistata uno spazio di inevitabilità nelle menti dei decisori politici e di molti cittadini.

Inoltre, sul tema dell’accesso ai documenti è bene ricordare che è dal 24 febbraio 2015 che è attesa laconsegna del dossier allegato alla Domanda di finanziamento[2] che Italia e Francia hanno presentato alla Commissione europea in quel giorno. Proprio sulla base di quel dossier la Commissione ha già deciso i valori da cofinanziare. La scheda del Progetto indica che l’importo del cofinanziamento dell’Unione Europea è di €  813.781.900 a fronte del valore concesso dei lavori di € 1.915.054.750[3] da parte di INEA.

Come introdurre “granelli di sabbia” nel meccanismo che con inesorabile lentezza[4] prosegue verso il punto di non ritorno ?

Gli spazi non sono molto ampi, dobbiamo agire su un tema inesplorato che però può contribuire ad accendere il dibattito: l’iniqua ripartizione dei costi tra la Francia e l’Italia.

Conclusione

Gli oppositori in Italia e in Francia hanno da sempre dimostrato che la Torino-Lione (il tunnel di base) è una Grande Opera Inutile e Imposta e chiesto che sia fermata.

Denunciare l’esproprio della sovranità italiana da parte della Francia ottenuta attraverso l’addebito a carico dei contribuenti italiani della gran parte dei costi[5] per la  realizzazione del tunnel di base, che si trova per la stragrande parte in Francia (45 km su 57,2), permetterebbe:

– di impedire l’espropriazione delle risorse economiche dell’Italia da parte della Francia con la complicità di molti Governi italiani,

– di mettere in ulteriore difficoltà la Francia che non dispone delle risorse pubbliche per la costruzione dei 45 km della parte transfrontaliera in territorio francese come dichiarato da Manuell Valls[6],

– di attrarre alla causa degli oppositori alla Torino-Lione il sostegno di molti cittadini “timidi”,

– di contribuire a fermare il progetto.

2. – Gli accordi Italia – Francia

Una rapida rivisitazione del processo durante il quale è stata decisa la ripartizione dei costi della “Torino–Lione” tra Italia e Francia è utile alla comprensione e alle potenzialità di questo tema.

Nel corso dei Vertici italo-francesi del 1990 (Nizza), 1991 (Viterbo), 1993 (Roma) e 1994 (Aix-en-Provence) i Governi discutono di ferrovie e delle modalità per collegare l’alta velocità francese che da Parigi arriva a Lione con quella italiana, ma non si avventurano a definire né l’investimento necessario né la sua ripartizione tra i tre soggetti (Italia, Francia ed Europa).[7]

L’Accordo di Parigi del 1996[8] crea la Commissione Intergovernativa (CIG), ma non indica alcuna ripartizione economica tra Italia e Francia.

L’Accordo di Torino del 2001[9] nulla dice sulla ripartizione di costi, ma all’Art 78 (b) precisa che “Le acque e i minerali utili trovati nel corso dei lavori sono attribuiti sulla base della legislazione della Straro sul cui territorio la scoperta è fatta, indipendentemente dal loro scopritore”. Questo articolo è da tenere a mente perché prefigura l’importanza del riconoscimento del confine politico-geografico tra Italia e Francia per attribuire la proprietà dell’opera, come meglio sarà indicato nell’Accordo del 2012.

In un’intervista a Panorama del 2003[10] Pininfarina, Presidente della Commissione Intergovernativa italo-francese, alla domanda del giornalista “Perché allora Parigi punta i piedi?”, risponde: ”Perché l’impegno finanziario è importante. Il patto di stabilità impone di non sfondare i tetti di deficit ed è la Francia che deve sopportare l’onere maggiore: su 15,2 miliardi di € per la realizzazione della Torino-Lione, 9,5 peseranno su Parigi e 5,7 su Roma. Il tunnel, che sarà in due tratti di 52 e di 12 chilometri, costerà 6,7 miliardi di €, divisi a metà tra Italia e Francia. Ma per collegare il tunnel a Lione l’investimento sarà elevato”.

Con questa risposta Pininfarina svela il peccato originale, ossia come l’Italia (governo Berlusconi II) abbia “corrotto” la Francia affinché fosse realizzata la Torino-Lione[11]: le ha offerto di pagare la maggioranza dei costi per ottenere una brevissima tratta in galleria di soli 12,2 su 57,2 km.

L’anno seguente, nel Memorandum del 2004[12]è stata infatti introdotta a pagina 2 questa precisa ripartizione dei costi della sezione internazionale, al lordo del Contributo europeo:

E’ utile notare che la Francia avrebbe dovuto contribuire a pagare la galleria di Bussoleno nella stessa ridotta ed iniqua misura del tunnel di base.

Il Memorandum prosegue: “Per quanto riguarda la ripartizione dei costi, la Francia e l’Italia convengono quanto segue:

a) I costi delle parti nazionali (n. 1, 2, 3 per la Francia e n. 5 per l’Italia) restano a carico dei paesi in cui devono essere realizzate tali infrastrutture;

b) I costi totali per la realizzazione della parte comune (n. 4) vengono suddivisi come segue: partecipazione del 63% per l’Italia e del 37% per la Francia.”

Queste le motivazioni “ufficiali” di tale iniqua ripartizione contenute nel Memorandum:

“- Bilanciare i finanziamenti di ogni Stato sull’insieme della sezione internazionale.

– Tenere conto del fatto che è su richiesta dell’Italia che vengono realizzate simultaneamente le due canne del tunnel di base.”

Nel Memorandum Italia e Francia domandano congiuntamente all’Unione Europea un contributo per il finanziamento dell’opera pari al 20% degli investimenti necessari per la realizzazione della sezione internazionale e potranno ugualmente chiedere per parte loro dei finanziamenti all’Unione Europea, al fine di finanziare altre opere sulle sezioni nazionali del progetto Torino-Lione.

Nello stesso Memorandum del 2004 è indicato che la ripartizione dei pedaggi è prevista al 50% tra Italia e Francia, anche se la Francia contribuisce ai lavori solo per il 36%.

Passano otto anni di fortissima opposizione popolare che rallentano i processi decisionali e si giunge infine all’Accordo di Roma del 30 gennaio 2012[13] che indica   una nuova ripartizione dei costi, definisce la proprietà delle opere e l’indispensabilità di disporre dei finanziamenti nazionali per iniziare lo scavo del tunnel di base:

–   all’Art. 18 che indica le nuove percentuali di ripartizione di costi della sezione transfrontaliera[14] (di fatto del tunnel di base di 57,2 km): Italia 57,9 % – Francia 42,1%, al netto del contribuito dell’Unione Europea e nel limite del costo certificato da un terzo esterno, oltre questo importo certificato gli importi sono ripartiti al 50/50 tra le parte italiana e la parte francese,

–   all’Art. 16 – Principi: che contiene la clausola che impone che la disponibilità del finanziamento sarà una condizione preliminare per l’avvio dei lavori nella parte internazionale della sezione transfrontaliera (ossia del tunnel di base),

–   all’Art. 11 – Proprietà delle opere: all’estinzione del promotore pubblico (TELT) le opere di sua proprietà diventano dello Stato sul territorio del quale sono situate.  Questo sbrigativo articolo pare mettere in dubbio fino all’estinzione del promotore pubblico, la sovranità territoriale degli Stati attribuendo provvisoriamente a TELT la proprietà di infrastrutture realizzate con differenti contributi di ciascuno dei due Stati. E’ bene ricordare che l’oggetto sociale di TELT[15], una società con un Capitale sociale di 1 milione di € detenuto al 50% dallo Stato francese e al 50% da Ferrovie dello Stato italiane S.p.A., è la direzione strategica e operativa del progetto, la concezione, la realizzazione e lo sfruttamento della nuova linea ferroviaria Lione Torino nella sezione transfrontaliera e della linea esistente). Questo articolo dovrebbe essere analizzato da un esperto di diritto internazionale che ne validi la legittimità.

Nel corso del Vertice di Lione del 3 dicembre 2012[16] Francia e Italia si sono accordate per ottenere il massimo del finanziamento possibile dall’Unione Europea che alla fine del 2013 è stato infatti approvato dal Parlamento Europeo nella misura del 40%[17], percentuale inserita nelle basi legali (Regolamento TEN-T e CEF) approvate dal Parlamento europeo a dicembre 2013. A questo proposito è utile ricordate che all’inizio di questo storia i proponenti si auguravano di ottenere dall’Europa un contributo tra il 10 e il 20%.

L’Accordo di Parigi del 24 febbraio 2015[18] conferma la ripartizione tra l’Italia e la Francia e rinvia ad un Protocollo addizionale le modalità per valutare l’attualizzazione monetaria e l’evoluzione dei costi dei fattori di produzione.

Il Protocollo Addizionale è stato firmato a Venezia l’8 marzo 2016[19] e rappresenterebbe, con la sua ratifica, l’ultimo passo per dare il via ai lavori di scavo del tunnel di base.

Ma ad agosto 2016, viste le decisioni francese (Commission Mobilité 21, Giugno 2013[20]) e italiana (Delrio, Giugno 2016[21]) di rimandare la costruzione delle linee di accesso nazionali a causa della mancanza di traffico di merci e di risorse pubbliche, questa ripartizione ineguale non è più tollerabile, se mai lo è stata.

3. – La precaria situazione finanziaria della Francia

Ma intanto sappiamo che la Francia è in difficoltà a finanziare la Lyon-Turin: lo ha detto il primo ministro francese Manuel Valls il 21 luglio a Saint-Martin-la-Porte[22].

Sappiamo anche che l’Unione europea finanzia i progetti TEN-T negli Stati membri rimborsando loro i costi dopo che essi sono stati sostenuti.

Sappiamo che se la Francia non mette a disposizione il suo finanziamento, l’Unione europea non può finanziare il progetto.

Affinché la Francia sia posta in ulteriore difficoltà, dopo che per 15 anni ha evitato di ammettere che è l’Italia il vero motore finanziario della Lyon-Turin in Francia, occorre chiedere pubblicamente di riconoscere che il suo contributo deve essere quello di pagare il costo chilometrico uguale a quello italiano, ossia 6,18 miliardi di €[23], circa tre volte tanto dei 2,2 miliardi di € previsti da Manuell Valls.

4. – Conclusione

Gli oppositori in Italia e in Francia hanno da sempre dimostrato che la Torino-Lione (il tunnel di base) è una Grande Opera Inutile e Imposta e chiesto che sia fermata.

Denunciare l’esproprio della sovranità italiana da parte della Francia ottenuta attraverso l’addebito a carico dei contribuenti italiani della gran parte dei costi[24] per la  realizzazione del tunnel di base, che si trova per la stragrande parte in Francia (45 km su 57,2), permetterebbe:

– di impedire l’espropriazione delle risorse economiche dell’Italia da parte della Francia con la complicità di molti Governi italiani,

– di mettere in ulteriore difficoltà la Francia che non dispone delle risorse pubbliche per la costruzione dei 45 km della parte transfrontaliera in territorio francese come dichiarato da Manuell Valls[25],

– di attrarre alla causa degli oppositori alla Torino-Lione il sostegno di molti cittadini “timidi”,

– di contribuire a fermare il progetto.


[1] Tutti gli Accordi italo francesi sulla Torino Lione 1993 Ciampi – 1996 D’Alema – 2001 Amato II – 2004 Berlusconi III – 2012 Monti – 2015 Renzi – 2016 Renzi

[4] La lentezza dell’esecuzione delle grandi opere non garantisce sul loro abbandono ma solo sul fatto che molti dei caparbi oppositori (e anche dei delusi proponenti) non ne vedono l’inizio perche morti nel frattempo.

[5] I contribuenti italiani non possono essere costretti ad acquistare 12,2 km di una galleria pagando quasi il 60% dell’intera galleria lunga 57,2 km.

[6] Il Primo ministro Manuell Valls ha dichiarato il 21 luglio 2016: Il finanziamento (del tunnel di base) dovrà essere assicurato per la durata della realizzazione del progetto, non  pesare esclusivamente sul bilancio dello Stato. http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=9551

[11] Nella Storia questo non è forse l’unico caso di corruzione di uno Stato da parte di un altro Stato, ma di questo si tratta: il Governo Berlusconi II (Ministro delle Infrastrutture Lunardi) ne è il responsabile.

[23] Il costo del tunnel di base di 57 km non può essere inferire a quello del Gottardo inaugurato nel 2016 dalla Svizzera: 11,3 Miliardi di €. Questa la corretta ripartizione dei costi su base chilometrica:

– ITALIA: 12,2 km su 57,2 = 21% del costo totale al netto del contributo UE: 1,676 Miliardi di € (invece di 4,337 Miliardi di €),

– FRANCIA: 45 km su 57,2 = 79% del costo totale al netto del contributo UE : 6,183 Miliardi di € (invece di 3,522 Miliardi di €). Ma ora, viste le decisioni francese (Commission Mobilité 21, Giugno 2013 e italiana (Delrio, Giugno 2016 cfr. http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=9476 ) di rimandare la costruzione delle linee di accesso nazionali a causa della mancanza di traffico di merci e di risorse pubbliche, questa ripartizione ineguale non è più tollerabile, se mai lo è stata.

[24] I contribuenti italiani non possono essere costretti ad acquistare 12,2 km di una galleria pagando quasi il 60% dell’intera galleria lunga 57,2 km.

[25] Il Primo ministro Manuell Valls ha dichiarato il 21 luglio 2016: Il finanziamento (del tunnel di base) dovrà essere assicurato per la durata della realizzazione del progetto, non  pesare esclusivamente sul bilancio dello Stato. http://www.presidioeuropa.net/blog/?p=9551