ECCO L’AGENDA NAZIONALE DI HILLARY CLINTON

hillary clinton
DI ALAN NASSER
 
counterpunch.org
L’agenda nazionale della Clinton si intreccia con quella estera: “Dominio a 360 gradi ” in tutto il globo, precariato in crescita negli Stati Uniti
 
Harry Truman sorprese gli americani con la sua richiesta di una sanità gratuita per tutti, su modello dei governi europei; Johnson lo fece estendendo le riforme della Great Society*, e pure Nixon lo fece con un’ondata di provvedimenti regolatori e di spesa sociale da lui approvati, superando Johson su diversi fronti “Keinesiani”. Hillary Clinton invece non ci offrirà simili sorprese. La sua impronta tangibile nello scivolamento a destra del partito ci fa dedurre con ferrea logica ciò che possiamo aspettarci dal “mostro” sia sul fronte interno che su quello estero.
Il suo attacco imminente alla classe lavoratrice unisce l’austerità neoliberista alle strategie di dominio in politica estera del Partito Neocon-Democratico. Ciò che segue è un sunto abbastanza breve.
 
Dominio ad ampio raggio e limiti delle ambizioni imperiali
 
Se non sapessimo nulla della storia del capitalismo imperialista e della sua attuale manifestazione, dando per assodato un mondo di nazioni che mostrano livelli differenti di ricchezza e potere, potremmo immaginare uno schieramento geopolitico ne quale il mondo è diviso in diverse aree, mentre le nazioni dalle economie più potenti esercitano la più grande influenza regionale. “Influenza regionale” andrebbe declinata in una determinazione dei poteri maggiormente autoritaria – previa consultazione con altre potenze regionali – dei principali assetti delle relazioni commerciali, accordi di cooperazione e politiche di investimenti. Questo sarebbe un mondo “multipolare” senza egemonia globale di un singolo. I conflitti potenziali si eviterebbero con: 1) nessuna potenza principale aspirante al dominio globale, e 2) le potenze principali della regione, che rappresentano i legittimi interessi delle nazioni che la costituiscono, partecipano a dei negoziati per scongiurare i conflitti assieme alle altre principali potenze regionali. Personalmente non raccomanderei né sconsiglierei un assetto simile. Il punto è che vi è un certo numero di possibili assetti globali che ad uno sguardo politico presentano aberrazioni non immediate. Non è il mondo in cui viviamo.
 
Il nostro mondo presenta una classe dirigente americana pienamente impegnata in quello che il Pentagono ed il resto del mondo chiamano Full Spectrum Dominance (dominio ad ampio raggio ndr) (FSD). Il concetto del quale è implicito nel progetto imperiale. Non appena le ambizioni imperiali vengono in essere, il mondo è – e deve essere – il limite. Nel mondo odierno, dominato esclusivamente dal potere capitalista, e nel quale ogni regione è legata con quasi tutte le altre sia industrialmente che finanziariamente, il conflitto capitalista significa che il potere imperiale non può essere condiviso. Quando molteplici aspiranti imperi sono coesistititi, gli accordi ebbero vita breve: la guerra ha sempre sottomesso tutti tranne uno.
 
Il colpo di mano di Washington per l’FSD significa che l’egemonia deve andare verso la guerra perpetua. I liberal preferiscono addossare la colpa della guerra perpetua a Bush, Cheney &co. Ma l’FSD è il Washington Consensus, e la guerra continua è stata assicurata da Obama nel suo discorso in occasione… del Nobel per la pace!
 
Mentre il potere di Washington è senza alcun rivale del calibro dell’Unione Sovietica, i paletti dell’impero sono piantati: se non sei con noi sei contro di noi. Gli Usa non devono solo restare insuperati in campo militare, ma neppure affiancati; ogni nazione in grado di contrastare un’aggressione statunitense deve essere considerata uno stato nemico. Le elite Usa vedono Cina e Russia come il maggiore attuale o potenziale deterrente all’egemonia globale Usa. La Russia è perciò circondata dal potere militare Usa, le repubbliche ex sovietiche vengono attratte nella principale alleanza di Washington, la Nato e le flotte Usa stazionano nei pressi delle acque territoriali Usa. The Navy Times riporta senza giri di parole che “Gli Usa inviano una squadra navale d’attacco per fronteggiare la Cina… L’esercito Usa ha dispiegato una piccola flotta nel Mar Cinese del Sud.”
 
Questo per quanto riguarda il “pilone Asiatico”. E dietro a tutto ciò sta Hillary Clinton. Un pizzico di coscienza storica ci farebbe riconoscere in tutto questo l’apertura di un conflitto armato. Non c’è bisogno di un’intenzione esplicita per entrare in guerra. Ma questo è uno scenario che enfatizza enormemente il rischio di un confronto militare. Sussulto al pensiero di come potrebbe essere la Crisi dei Missili di Cuba di un domani.
 
Il pilone Asiatico e il crescente impoverimento della classe lavoratrice statunitense
 
E’ stato un mantra delle elite e del loro presidente che i lavoratori americani debbano abituarsi a sopportare salari più bassi e uno standard di vita in calo, al fine di “gettare nuove basi per la crescita” o di riconoscere la realtà della globalizzazione oppure… Il 14 Aprile 2009 Obama, in un discorso alla Georgetown University ci ha detto che noi “dobbiamo consumare meno a casa nostra ed esportare di più all’estero”. Lo stesso anno Jeffery Immelt, amministratore delegato della General Electric, due anni prima della sua nomina a capo del Consiglio della Presidenza per il lavoro e la competitività, ha ricordato presso il Detroit Economic Club che “ Noi tutti sappiamo che i consumi americani non possono guidare la nostra ripresa. Questa economia deve essere guidata da investimenti ed esportazioni…”
 
Queste osservazioni sottendono una logica implicita che ci dice chiaramente come si sia esaurita l’eredità del New Deal e della Great society, ed anche del ritorno all’economia degli anni ’20: nessun aiuto governativo ai salari bassi e stagnanti, tutti gli aumenti di produttività vanno in teoria al capitale e l’inevitabile conseguenza matematica di queste politiche è una sempre crescente diseguaglianza. 
Ora: i salari bassi hanno una doppia funzione: essi abbassano la principale componente dei costi totali di produzione e fanno perciò salire i profitti. In un periodo di maggior competizione internazionale, i bassi salari sono il fattore chiave per la riduzione dei costi ed il rilancio della competitività nell’export. In un discorso del 2010 presso la Import-Export Bank Obama ha sottolineato la priorità politica della competitività nell’export: “ I mercati mondiali più in crescita sono al di fuori dei nostri confini. Dobbiamo competere per questi mercati perché anche altre nazioni lo stanno facendo.” Come disse Immelt nel 2011: “Ci siamo globalizzati per vendere i nostri prodotti. Siamo grandissimi esportatori Usa….oggi andiamo in Brasile, Cina e India, perché è lì che stanno i nostri clienti. E’ lì che stanno i mercati…dei nostri prodotti principali, l’ 80% dei quali viene venduto fuori dagli Usa” Il messaggio è chiaro: i consumatori d’oltremare devono sostituirsi all’ormai esaurito potere d’acquisto dei consumatori Usa; essi assorbiranno l’output dell’industria statunitense. I lavoratori americani somiglieranno sempre più ai lavoratori sfruttati dei paesi poveri dipendenti dall’export.
 
Hillary Clinton è salita a bordo della nave dell’impoverimento. Nel 2011 ha annunciato che “la nostra ripresa economica interna dipenderà dalle esportazioni e dalla capacità delle aziende americane di sfruttare la vasta e crescente fascia di consumatori in Asia. Il “pilone asiatico” consiste nel rimpiazzare – come consumatori dei prodotti Usa – la classe lavoratrice americana impoverita con quella estera, preservando nel frattempo l’egemonia globale Usa. I lavoratori americani continueranno di sicuro a comprare la produzione delle aziende Usa, puntellando col debito gli esigui salari, ma verranno visti sempre più –sia dalle elites e dagli analisti- come un mero costo di produzione piuttosto che una fonte di guadagno. La Clinton metterà tutte le proprie energie in questo progetto. Col tempo, non ci sarà modo per i lavoratori americani di sconfiggere la guerra del presidente contro i lavoratori. Non mi sorprenderebbe se la sua impopolarità futura dovesse superare il suo attuale disprezzo da parte della gente.
 
Non possiamo sovrastimare la priorità dei circoli di potere di reindirizzare l’economia Usa verso quelli che sono visti dalle elites come i mercati del futuro. Lo scorso anno il segretario della Difesa Usa Ashton Carter ha esplicitato alcuni dettagli sulle linee guida geostrategiche che sottostanno al pilone Asiatico/politica dei bassi salari delle elite:
 
“Già vediamo i paesi della regione (Asia-Pacifico) mentre cercano di spartirsi questi mercati… creando diversi singoli accordi commerciali negli ultimi anni… accordi che … lasciano gli Usa ai margini. Ciò mette a rischio l’accesso Usa a questi mercati in crescita. Dobbiamo decidere se lasciare che ciò accada. Se stiamo aiutando a spingere la nostra economia e le nostre esportazioni… e rinsaldare la nostra influenza e la nostra leadership nella regione del mondo che cresce più velocemente; o se, invece, ci stiamo escludendo dal gioco… La regione Asia.Pacifico è quella che definisce il nostro futuro di nazione… metà della popolazione mondiale vivrà lì entro il 2050… più di metà della classe media globale e dei relativi consumi verranno da quella regione… il Presidente Obama ed io vogliamo assicurare che … il business può competere con successo per questi potenziali mercati… nel prossimo secolo, nessuna regione sarà più importante… per la prosperità Usa.”
 
Carter in un discorso un mese più tardi ha definito chiaramente il tipo di aggressione geopolitica che sarà necessaria per un simile blitz commerciale: “Non dovranno esserci errori: gli Usa voleranno, navigheranno e opereranno ovunque le leggi internazionali lo consentano, come facciamo in tutto il mondo”. Ed ha anche chiarito che questo sarebbe stato il modo in cui gli Usa avrebbero mantenuto il Domino ad Ampio Raggio in Asia, esplicitando l’intenzione di Washington di diventare la principale potenza egemone dell’Asia-Pacifico per i decenni a venire”. Il pezzo su “ovunque le leggi internazionali lo consentano” è un non-sense. Washington ha mostrato che laddove le leggi internazionali contrastano con le ambizioni imperiali, le leggi internazionali hanno la peggio.
 
Il neoliberismo interno si intreccia all’aggressione imperiale all’estero. L’agenda di Washington è coerente nel suo insieme. L’influenza della Clinton ci fa fortemente presagire degli esiti preoccupanti qui e all’estero.
 
Alan Nasser
 
 
 
17.06.2016
 
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di VALENTINO FANCELLO
Postato il Domenica, 03 luglio 2016
 
ECCO L’AGENDA NAZIONALE DI HILLARY CLINTONultima modifica: 2016-07-10T09:10:59+02:00da davi-luciano
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